A.S. SLEDDOG CREMONA
Storia ed origini dello sleddog
Nonostante qui in Italia lo sleddog sia ancora uno sport pressoché
sconosciuto, in realtà esso ha origini antichissime ed è molto diffuso nelle
regioni che per conformazione geografica ben si prestano alla sua pratica:
alcune pitture rupestri ci indicano infatti che i primi cani da slitta furono
utilizzati 4.000 anni fa nella Siberia centrale, a nord del lago Baikal. Questa
importante iniziativa è da attribuire alle tribù samoiedo, i Koikal, e ad altre
tribù nomadi che vivevano invece nel territorio più orientale della Siberia, i
Ciukci: l'aspetto dei cani di quell'epoca è straordinariamente simile a quello
che essi hanno ancora oggi e la somiglianza con i lupi è del tutto evidente.
Ciukci e Koikals svilupparono un alto livello di tecnicità nel traino delle loro
slitte, utilizzando i più svariati materiali per la loro costruzione, dal legno
alle ossa di balena ai blocchi di ghiaccio e riuscirono così ad arrivare ad
attaccare fino a venti cani per ogni slitta.
Nel "Nuovo Mondo" dobbiamo attendere il succedersi di diverse culture,
discendenti dalle tribù provenienti dalla Siberia orientale, per ritrovare con
il popolo dei Thulè, antenati degli eschimesi e presenti nell'Alaska Nord
Orientale, la tecnica delle slitte trainate dai cani. Cacciatori di balene,
foche e trichechi, i Thulè utilizzavano le slitte come mezzi di locomozione per
coprire immense distese e per il trasporto delle prede cacciate.
Questa tecnica fu ripresa dagli Esquimesi groenlandesi e dal popolo dei Caribù
che popolava la baia di Hudson: furono queste le tribù che gli esploratori
europei incontrarono nel XVI e nel XVII secolo. Richiamati dalla caccia alla
balena e dalle ricchezze che ne derivavano, gli esploratori europei si spinsero
sempre più a nord: i primi osservatori, che descrissero gli esquimesi come
popolazioni ancora primitive, furono particolarmente impressionati dai mezzi di
trasporto utilizzati da questi "selvaggi". H. Egede, missionario in Groenlandia,
nel 1763 scriveva: "Gli abitanti del Nord si servono dei cani al posto dei
cavalli per tirare sul ghiaccio le loro slitte cariche di leoni marini e
condurle alle loro abitazioni. Si contano quattro, sei, fino a dieci cani per
ogni slitta che può essere caricata con cinque - sei carcasse e il groenlandese
stesso...".
La civiltà occidentale aveva utilizzato i cani per i pascoli, per la guerra e
per i combattimenti, ma tutte le conoscenze accumulate sui più vecchi e fedeli
compagni delle nostre regioni temperate non avevano valore se confrontate con
quelle delle popolazioni artiche: le mucche e i cavalli erano considerati fino
ad allora gli unici mammiferi atti al traino.
Era giunto il momento di aggiornarsi e soprattutto di adattarsi. ma prima di
riuscire a comprendere l'indole di questi cani, scoprire le loro capacità ed i
loro limiti passeranno ancora un centinaio di anni.
Arriviamo così all'ultimo decennio del diciannovesimo secolo, anni in cui
scoppia la febbre dell'oro, siamo nella "terra promessa" che si chiama
Klondike, migliaia di uomini si mettono in viaggio per ostili territori del nord
di quella che fu la più grande migrazione umana dall'epoca delle crociate.
Freddo, valanghe, rapide, malattie, fame e stanchezza spazzarono via
quarantamila uomini che non raggiunsero mai la meta tanto ambita. Fu proprio la
febbre dell'oro a fornire lo spunto ai romanzi di Jack London, neanche ventenne,
quando nel 1897 approdò in Alaska e per la precisione a Dawson City, sperduta
cittadina al confine tra il Klondike e lo Yukon.
Nel suo capolavoro "Il richiamo della foresta" London evoca come si
svolgesse la vita in quei territori sperduti e come i cani avessero un ruolo
così importante per i cercatori d'oro, corrieri postali ed avventurieri.
A quel tempo discussioni e scommesse sulla supremazia di uno o dell'altro cane
erano all'ordine del giorno, ma lo sleddog divenne una disciplina vera e
propria solo nel primo decennio del Novecento, per l'esattezza nel 1908, quando
fu organizzata a Nome una corsa di 408 miglia (656.6 km), la "All Alaska
Sweepstakes".
E' interessante notare come, durante la prima edizione di quella gara, tra i
cani iscritti e partecipanti non vi fossero cani nordici, ma semplicemente
meticci di qualunque tipo: a quell'epoca infatti veniva impiegato al traino
qualsiasi soggetto purché fosse abbastanza forte e veloce, a dimostrazione del
fatto che ogni cane adora correre e trainare una slitta.
Solamente a partire dalla seconda edizione un mercante di pellicce russo, tale
William Goosak, iscrisse alla corsa una muta di nove cani importati dalla
Siberia, che impressionarono per la loro velocità e per la straordinaria
resistenza: quel team arrivò infatti terzo al traguardo, ma mentre tutti gli
altri equipaggi giunsero alla fine allo stremo delle forze, quei nove cani
apparivano freschi come rose e assolutamente desiderosi di correre ancora. Erano
i cani allevati dai Ciukci e riscossero fin da subito un ampio consenso al punto
che diversi musher partirono alla volta della Siberia per importare un
gran numero di esemplari: da questa massiccia importazione nacque la storia
moderna del
Siberian Husky, un cane molto conosciuto anche qui in Italia, un
cane che ha vissuto periodi di grande popolarità seguiti da un brusco arresto
delle vendite, un cane che forse non è stato perfettamente compreso dal grande
pubblico, ma che comunque rimane un perfetto esempio di cane da slitta.
Contemporaneamente alle prime gare con i cani da slitta ebbero inizio anche le
spedizioni e le competizioni verso i poli: nel 1893 il norvegese Fridtjof Nansen
si inoltrò nel Mar Glaciale Artico con il veliero Fram, che venne imprigionato
dai ghiacci alla latitudine di 84° Nord.
L'unico modo per poter proseguire dunque era utilizzare i cani e Nansen, insieme
ad un compagno, stabilì con le slitte il primato nella corsa verso il Polo: il 7
aprile 1896 venne raggiunta la latitudine di 86° 14' Nord.
Pochi anni dopo anche l'Italia prese parte alla sfida polare con una spedizione
guidata dall'indimenticabile marinaio alpinista ed esploratore Luigi Amedeo
principe di Savoia Duca degli Abruzzi e dal suo amico Umberto Cagni, ufficiale
della Regia Marina. I nostri esploratori, a bordo della baleniera Jason Stella
Polare, rimasero bloccati nel pack artico e dovettero proseguire a bordo delle
slitte trainate dai cani per poter finalmente raggiungere, nell'aprile del 1900,
a poco più di un anno dalla partenza della nave, la latitudine di 86° 34' Nord.
Sei anni più tardi lo statunitense B.E. Peary superò, sempre con le slitte, la
latitudine di 87° Nord e, 1909, con 19 slitte e 133 cani, ritentò l'impresa
raggiungendo la latitudine di 87° 47' Nord.
Peary, nel suo volume autobiografico "I segreti delle spedizioni polari"
ha scritto che il segreto del suo successo si poteva racchiudere in una sola
parola di quattro lettere: "cani".
Questa affermazione ci fa capire come i cani, a quell'epoca, fossero davvero
insostituibili per poter tentare simili imprese e come fossero considerati come
l'unico mezzo di trasporto capace di inoltrarsi là dove nessun mezzo meccanico
sarebbe stato in grado di portarsi.
Forse ai giorni nostri, con l'avvento delle motoslitte, la cultura delle
popolazioni nordiche sta lentamente cambiando, ma sicuramente per loro i cani
da slitta rimangono importantissimi: basta pensare che ancora oggi, in alcuni
sperduti villaggi dell'Alaska, i bambini compiono ogni mattina, per potersi
recare a scuola, il tragitto da casa alla fermata dell'autobus a bordo di una
slitta trainata da un cane. Una volta giunti a destinazione lasciano il cane
negli appositi ricoveri che si trovano vicino alle fermate, per poi compiere il
tragitto inverso alla fine delle lezioni: per loro che non sono in grado di
guidare una motoslitta i cani rimangono ancora l'unico mezzo di trasporto
sicuro, veloce ed affidabile.
Dal primo dopoguerra ad oggi le gare di sleddog si sono moltiplicate a vista
d'occhio, rendendolo senza dubbio uno sport popolarissimo in tutte le regioni
nordiche.
La più popolare è senza dubbio l'Iditaroad,
la durissima gara che si svolge il primo sabato di marzo di ogni anno in Alaska,
tra Anchorage e Nome, lungo un percorso di 1.049 miglia (1688 km). Organizzata
per la prima volta nel 1973 ad opera del più grande musher di tutti i
tempi, il grande Joe Redinghton, la competizione si propone di commemorare un
evento storico accaduto a Nome nel 1925: una mortale epidemia di difterite
avrebbe sicuramente sterminato la popolazione di quella tranquilla cittadina se
una staffetta di corrieri su slitte non avesse trasportato in tempo utile il
vaccino, sfidando per cinque giorni tormente di neve inimmaginabili. Al Central
Park di New York è stata eretta una statua in onore di Balto, il
capo muta che secondo la tradizione guidò la gloriosa spedizione, anche se in
realtà il cane che condusse il team per la maggior parte del lungo tragitto si
chiamava Togo. Lo sleddog diventa sport riconosciuto della IFSS
(International Federation of Sleddog Sport), la quale prevede la diffusione di
una terminologia
appropriata e l'osservanza di un
regolamento,
nel rispetto soprattutto dei cani.