LEGGENDA DI MARINO DA ARBE

Come per i periodi precedenti, anche per il Medioevo, in particolare per la sua prima fase storicamente conosciuta come Alto Medioevo, non esistono o non sono conosciuti a tutt'oggi abbastanza documenti per sapere con la necessaria chiarezza come venne formandosi la prima comunità del Titano, né studi o ricerche specialistiche e dettagliate tendenti a capire e spiegare con la precisione necessaria questa fondamentale fase della storia sammarinese.

Gli elementi su cui basarsi per una ricostruzione storica di tale lunghissima epoca sono pochi, per cui la ricostruzione che oggi se ne può fare è per forza di cose molto parziale, approssimativa e lacunosa. Primo elemento da cui si deve obbligatoriamente partire è la leggenda del dalmata Marino, sant'uomo proveniente dall'isola di Arbe, ritiratosi ad un certo punto della sua vita in eremitaggio sul Monte Titano, considerato dalla tradizione locale come l'iniziatore ipotetico della minuscola comunità sammarinese.

Narra la leggenda, ricavata da una "Vita" di Marino scritta in latino da autore anonimo nel X secolo, che nella seconda metà del III secolo d.C., precisamente nell'anno 257, regnando su Roma Diocleziano e Massimiano, venne promulgato un editto per la ricostruzione delle mura di Rimini, abbattute durante un assedio da Demostene re dei Liburni. Tale ordine stimolò l'arrivo a Rimini di molta manovalanza specializzata e adatta allo scopo, tra cui svariati tagliapietre dalmati. Marino e Leo, due scalpellini di fede cristiana provenienti dall'isola di Rab, ovvero Arbe in Dalmazia, facevano parte di questo gruppo che cercava lavoro per procacciarsi il pane.

Per la verità non è certo se Marino arrivasse in cerca di lavoro, o fuggendo per colpa di qualche persecuzione di carattere religiosa; tuttavia a Rimini Marino iniziò ad operare facendosi conoscere per le sue grandi doti umane e di carità cristiana, ma anche di lavoratore.
Marino e Leo, dopo qualche tempo, ricevettero l'ordine di salire sul Monte Titano insieme ad altri tagliapietre per estrarvi pietra. Così fecero e qui rimasero a lavorare per tre anni. In seguito Leo decise di ritirarsi sul Monte Feretro, posto a pochi chilometri dal Titano, dove si costruì una celletta e un piccolo oratorio che dedicò al Dio dei Cristiani.

Marino invece ridiscese a Rimini dove si fece conoscere sempre più per le sue abilità lavorative e per la sua straordinaria umanità. A Rimini Marino visse dodici anni e tre mesi, predicando il Vangelo e lottando contro l'idolatria. Poi però dovette andarsene e rifugiarsi nuovamente sul Titano perché dalla Dalmazia sopraggiunse una donna malvagia, ispirata direttamente dal diavolo, indispettito dalla santità di Marino, che pretendeva di essere la legittima moglie del tagliapietre di Arbe, e che aveva iniziato a infastidirlo e tormentarlo, trascinandolo addirittura davanti ad un tribunale.

Sul Titano Marino visse all'addiaccio per un anno finché non venne scoperto da alcuni pastori di porci, che subito si affrettarono a divulgare la notizia ai quattro venti. Ovviamente l'impavida presunta moglie di Marino si recò immediatamente presso il nascondiglio del sant'uomo. Egli, vedendola, si barricò nel suo rifugio per sei giorni e sei notti, digiunando e pregando affinché quella tormentosa presenza se ne andasse. Alla fine la donna, rendendosi conto che non era possibile lusingare e corrompere un uomo così pio, decise di andarsene via per sempre.

Marino capì che era meglio cambiare dimora, per cui decise di spostarsi sulla sommità del monte Titano. Qui costruì prima una piccola cella e in seguito una chiesetta dedicata a San Pietro. Tale sistemazione non piacque però a Verissimo, figlio di una nobile vedova di nome Felicissima che era la legittima proprietaria del luogo.Costui era deciso a cacciare via l'eremita, ma l'intento non gli riuscì perché subito cadde paralizzato nelle braccia e nelle gambe. Felicissima, comprendendo che tale disgrazia era senza dubbio legata all'offesa recata dal figlio a Marino, si precipitò da questi per pregarlo di essere magnanimo con Verissimo, e di restituirgli l'uso degli arti; in cambio avrebbe potuto chiedere ciò che voleva.

Marino le rispose che non desiderava altro che la loro conversione al Cristianesimo ed il loro battesimo, oltre ad un lembo del monte per potervi essere seppellito. Felicissima, ammaliata dalla santità dell'eremita, gli disse che egli ed i suoi successori avrebbero potuto tenersi per l'eternità non solo un lembo di terra, ma tutto il monte e le terre limitrofe. A queste parole Verissimo riacquistò immediatamente le sue facoltà. La vedova si gettò ai piedi dell'eremita, e in seguito si convertì al Cristianesimo con tutti i suoi familiari. Marino divenne così il legale proprietario delle terre che poi da lui prenderanno nome.

Nei tempi successivi Marino e Leo divennero tanto famosi nella zona da ricevere per mano del vescovo Gaudenzio di Rimini il primo il diaconato, e il secondo l'investitura sacerdotale. Marino poi si distinse ancora per alcuni miracoli compiuti, ma non ebbe più grossi problemi dalla vita. Trascorse i suoi ultimi giorni sul Titano insieme alla piccola comunità che gli si formò attorno, e qui morì il giorno 3 settembre di un anno sconosciuto venendo sepolto all'interno della chiesa da lui stesso edificata.

In punto di morte avrebbe pronunciato la famosa frase relinquo vos liberos ab utroque homine (vi lascio liberi dagli altri uomini) così importante per la cultura dei Sammarinesi che su queste sacre parole fonderanno sempre il culto della loro indipendenza e della loro autonomia statuale. Questa storia, pur presentando parecchi elementi fantastici ed inverosimili, nonché storicamente erronei, ha rappresentato per lunghi secoli l'unica spiegazione, pienamente accettata da tutti i Sammarinesi, dell'origine della minuscola repubblica, la cui fondazione è sempre stata collocata per tradizione non scritta nel 301 d.C.

Solo in anni vicini a noi sono stati pubblicati studi che mettono in dubbio la leggenda sia per le date in essa contenute, di certo imprecise o del tutto sbagliate, sia per i nomi di alcuni personaggi che cita, come Demostene re dei Liburni, di cui non si ha reale conoscenza storica, sia perché presenta aspetti, miracoli e stereotipi tipici di tante altre leggende elaborate dagli agiografi nel corso del Medioevo.

La leggenda del dalmata Marino non ha cioè peculiarità tali da renderla anche in minima parte certa e inconfutabile. In realtà non si sa con esattezza neppure se un anacoreta di nome Marino sia vissuto realmente, né quando, né dove. E' stato ipotizzato tuttavia che se veramente un uomo dalle caratteristiche simili a quelle raccontate nella leggenda sia esistito ed abbia dimorato sul Titano, la sua vita può essere più facilmente collocabile tra il VI e VIII secolo d.C. che non prima.

Questo perché dalle poche tracce che abbiamo della comunità sammarinese di questi secoli possiamo attualmente dedurre, sempre che non emergano altri documenti per ora sconosciuti che vadano ad inficiare le congetture storiche attualmente più plausibili, che nel 511 d.C. già vi fosse un monastero edificato sul monte Titano, ma non ancora la venerazione per un santo di nome Marino, venerazione che per la prima volta è storicamente rintracciabile nell'ottavo secolo, precisamente dal 754 in poi.

Infatti per il 511 possediamo un documento, cioè una lettera scritta da un monaco di nome Eugippio al diacono Pascasio, in cui l'autore afferma di aver letto una "Vita" di un monaco di nome Bassus vissuto per qualche tempo in un monastero posto sopra un monte vicino a Rimini chiamato Titano. Da questa fonte possiamo quindi ricavare che agli inizi del 500 esisteva sul Titano un monastero con forse una minuscola comunità che gli si raccoglieva attorno; con molte probabilità, però, non si era ancora sviluppato un culto per un santo di nome Marino, perché nella lettera di Eugippio stranamente non si fà alcuna menzione a tale personaggio, o alla comunità che da lui ha preso nome.

Nel 754, invece, il culto risulta già consolidato, poiché in un documento dell'epoca, riportato nel Libre Pontificalis all'interno della vita di papa Stefano II, in cui si elencano le località donate da Pipino il Breve al papa, si menziona anche il "Castellum Sancti Marini", citazione che lascia facilmente e lecitamente ipotizzare che a quella data sul monte Titano già si ergesse un castello dedicato al nome del santo. Inoltre, sempre in mancanza di documenti più precisi, si può anche pensare che a questa data sul monte Titano dimorasse una comunità anche di laici, visto che accanto al monastero si era sentito il bisogno di innalzare un edificio fortificato. Comunque sia della comunità sammarinese non sappiamo più nulla fino all'885, data in cui sarebbe stato stilato il famoso "Placito Feretrano".

 

 

 

 

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