Torino 18
novembre 2003
Dopo Nassiryia. Che cosa è cambiato
di Costanzo Preve
1. I fatti di Nassiryia hanno provocato in Italia molta emozione e poca
riflessione. Questa è stata anche la precisa volontà del circolo
mediatico-politico: provocare molta emozione e poca riflessione. Si è
cominciato, ovviamente, da una mistificazione linguistica alla Orwell: una
legittima operazione di resistenza di un popolo aggredito ed occupato contro
truppe straniere di occupazione è stata battezzata “vile attentato
terroristico”.
La repubblica italiana non si basa più sulla resistenza, che a suo tempo fu una
legittima operazione di un popolo occupato contro truppe straniere di
occupazione, ma su Orwell, o meglio sulla cosiddetta “neolingua” orwelliana, in
cui la Guerra è chiamata Pace.
La prima operazione sta dunque nel ristabilimento del significato razionale ed
autentico delle parole.
2. In primo luogo, è bene sapere che ogni impero impone la sua Lingua, non solo
nel senso di lingua parlata (greco, latino, francese, russo, inglese, eccetera)
ma nel senso di Sistema di Significati. Uno storico romano notò che dove gli
antichi romani avevano fatto un Deserto, lo chiamavano Pace. Da allora non è
cambiato nulla, se non la forza del capillare apparato mediatico.
Oggi la Neolingua imperiale passa attraverso due termini chiave:
(I) Il far la guerra (Warmaking) chiamato mantenere la pace (Peacekeepers).
Questo permette di battezzare le truppe di aggressione e di occupazione, e cioè
i Warmakers, in termini di mantenitori e garanti della pace (Peacekeepers).
(II) Il distruggere gli stati indipendenti (Statedestroying) è chiamato ora
costruire le nazioni (Nationbuilding). Questo permette di ribattezzare le
migliaia di funzionari e pagliacci delle organizzazioni internazionali
coinvolte, e cioè gli Statedestroyers, in termini di ricostruttori di nazioni
nuove, e cioè Nationbuilders.
E’ bene che tutti si impadroniscano di queste due abbiette trasformazioni
semantiche. Si fa la guerra, e si dichiara che si sta garantendo la pace. Si
distruggono gli stati indipendenti preesistenti, e si dichiara che si stanno
costruendo nuove nazioni.
Questa situazione pienamente kafkiana e orwelliana è relativamente nuova nella
storia mondiale per la sua incredibile e surreale ipocrisia. Faccio l’ipotesi
che questo avvenga per una ragione che quasi cinquanta anni fa Gűnther
Anders comprese già molto bene. Oggi con la televisione non è più
necessario”ammassare” fisicamente la gente per “massificarla”, come dovevano
ancora fare Mussolini, Hitler, eccetera. Oggi la massificazione è possibile con
la decentralizzazione spaziale televisiva, in cui si è massificati ormai in
piena solitudine spaziale.
Per suffragare la mia ipotesi, faccio l’esempio dei sette canali televisivi
spazzatura italiani (i tre statali, i tre mediaste ed infine La Sette). Nel
giorno di Nassiryia e nei giorni successivi si sono tutti unificati di fatto
nello slogan “vile atto terroristico” e nella cancellazione del termine e del
concetto di “resistenza”.
Miracoli del pluralismo.
3. In secondo luogo, occorre ricordare che la guerra degli USA (non nomino qui
i suoi fantocci, da Blair alla spazzatura ex comunista di Polonia ed Ungheria,
eccetera) contro l’Irak è cominciata il 20 marzo 2003, ma da allora non è mai
finita. L’aggressore Bush può infatti annunziarne l’inizio, ma non è in suo
potere annunziarne la fine.
Capire questo è decisivo. Non siamo infatti in una situazione di dopoguerra da
“ricostruire”. Siamo dentro una guerra che non è ancora finita, e che
presumibilmente non finirà se non quando gli occupanti stranieri non se ne
saranno andati. E’ possibile ovviamente sperare questo in nome di Dio, in nome
di Allah, in nome del materialismo storico, in nome del diritto naturale dei
popoli, in nome della pace e della non violenza, eccetera. E’ però secondario.
Questa guerra, che è una guerra ancora in corso, è una guerra che qualcuno
vincerà e qualcuno perderà.
Da che parte stiamo, allora?
4. Noi abbiamo fatto la nostra scelta. Noi stiamo dalla parte del popolo
iracheno che resiste. E lo diciamo ancora una volta: non tocca a noi scegliere
l’iracheno buono e l’iracheno cattivo, quello laico e quello religioso, quello
di sinistra e quello di destra, eccetera. Questo sarebbe paternalismo e
colonialismo culturale, sia pure con tutte le migliori intenzioni del mondo. La
nazione irachena è stata aggredita ed occupata in modo illegale (perché in ogni
caso l’ONU non lo ha consentito, e nessuna risoluzione 1511 può legittimare un
atto illegittimo), in base a pretesti palesemente falsi e non dimostrati (appoggio
all’11 settembre 2001, armi di distruzione di massa, eccetera). Questo è il
punto centrale da capire. Di fronte alla caduta del pretesto scatenante (le
armi di distruzione di massa che minacciavano i vicini, in un’area geografica
in cui le sole armi di distruzione di massa le ha lo stato sionista di Israele)
si è passati alla teoria della “esportazione della democrazia” sulla base della
“guerra preventiva”.
La carta ONU non prevede, ovviamente, né la guerra preventiva né l’esportazione
della “democrazia”. Siamo in pieno incubo orwelliano, in presenza di un
tradimento epocale della stragrande maggioranza dei ceti politici ed
intellettuali dell’Occidente, che non è neppure più occidentale, ma pienamente
post-occidentale, nel significato dato da Desmond Fennel, in cui cioè la
vergogna di Auschwitz fu giustamente condannata, ma la sua gemella vergogna di
Hiroshima (questa “Auschwitz istantanea”, secondo l’azzeccata definizione di un
fisico americano) fu assolta.
5. Chiediamoci ora: i fatti di Nassiryia, e la guerra ideologica che hanno
scatenato in Italia, cambiano le cose per noi che continuiamo a volere una
manifestazione in sostegno della resistenza irachena, oppure lasciano le cose
come prima?
A mio avviso cambiano le cose. E dirò perché. In una prima fase, abbiamo dovuto
perdere tempo (ed altro sicuramente ne perderemo) con chi ci accusava di
lasciare “infiltrare” i fascisti eterni, di voler fare un fronte rosso-bruno,
eccetera. Non è vero, naturalmente, ed abbiamo risposto, senza poter evitare,
purtroppo, di cadere in superflue logomachie personalistiche. Ora però la fase
è cambiata. Oggi bisogna rispondere ad una nuova domanda, che sintetizzerò più
o meno così: cari amici e compagni, non è sbagliato fare una cosa così
“estremistica” e psicologicamente “provocatoria” come una manifestazione in
sostegno della resistenza armata irachena, specie dopo i fatti di Nassiryia, e
non è più opportuno limitarsi ad una manifestazione genericamente per la pace,
per il multilateralismo, per il ritorno dell’ONU o al massimo per il ritiro
immediato dei soldati italiani dall’Irak?
Questa è la nuova domanda cui bisogna saper rispondere. Siamo dunque ormai
oltre Grimaldi, Huambo e le ridicole logomachie in cui costoro ci hanno tenuti
fermi per un mese. Ci stiamo invece avvicinando al vero cuore del problema, e
questo è un bene e non un male. E dunque affrontiamolo esplicitamente ed in
modo esauriente e razionale.
6. La risposta è si, e cioè è giusto manifestare in favore della resistenza
irachena, perché il capire che il popolo e la nazione irachena hanno il diritto
di resistere è preliminare, e non posteriore, al capire che è giusto chiedere
la pace ed il ritiro delle truppe d’occupazione dall’Irak occupato. Se,
infatti, gli iracheni stessero solo facendo del “terrorismo”, sarebbe difficile
rispondere a chi afferma che per impedire che il terrorismo arrivi anche da noi
bisogna schiacciarlo la dove si origina e da dove può diffondersi.
Questa è la debolezza non solo del dilettante irresponsabile Bertinotti (su questo
mille volte meglio il più colto Diliberto) ma di gran parte del movimento
pacifista, che vive dentro una contraddizione logica infantile, e cioè da un
lato accetta la terminologia imperiale orwelliana (chi resiste è un terrorista,
chi distrugge gli stati indipendenti costruisce nuove nazioni, eccetera), e poi
in modo del tutto irrazionale vuole rovesciare in pratica ciò che accetta in
teoria.
Era già successo nel 1999: da un lato si accettava che Milosevic fosse un
dittatore genocida, un Hitlerovic, e dunque si consentiva che in Kosovo ci
fosse un genocidio o perlomeno una pulizia etnica, e poi, in modo del tutto
incongruo si sosteneva che non bisognava comunque fare la guerra, eccetera.
Chi semina confusione raccoglie tempesta.
7. Scendiamo ora nei particolari. Parlerò ora di Ciampi, e del perché il suo
comportamento sia stato a mio avviso vergognoso. Passerò poi a Berlusconi, e mi
chiederò fino a che punto sia strategico, e non solo tattico, il suo ripugnante
allineamento a Bush ed alla sua banda criminale. Passerò infine a D’Alema ed
all’Ulivo, e dirò perché a mio avviso non sono degli alleati neppure tattici
(come pensano molti no-global, i bertinottiani, i cossuttiani, gli ernestiani,
eccetera) dal momento che è stato D’Alema nel 1999 a scoperchiare la pentola
del diavolo della legittimazione della guerra, per la prima volta dal 1945.
Infine, anche se questo può scontentare o impazientire molti amici e compagni,
concluderò sulla questione della bandiera nazionale. Anche in questo caso,
infatti, ritengo che Nassiryia abbia cambiato molte cose.
8. In Italia ci si vanta di godere di libertà d’opinione e d’espressione, ma
poi non se ne fa uso. La cosiddetta “opinione pubblica” è composta da duecento
persone arroganti e strapagate, che nei momenti emergenziali ( i soli
significativi nella storia) dicono tutte la stessa cosa. Se ci fosse una vera
opinione pubblica, il comportamento di Ciampi avrebbe dovuto essere duramente
sanzionato. Nella finzione istituzionale, Ciampi dovrebbe rappresentare l’unità
spirituale (non l’unità politica, che in una democrazia è una contraddizione in
termini) della nazione. Certo, tutti sappiamo che questa unità spirituale non
esiste, è una finzione, ma accade come quando nei funerali i preti ci dicono
che in quel momento i nostri cari defunti ci stanno guardando dall’al di là.
Tutti sappiamo che non è vero, ma ci fa piacere fingere di crederlo. Ebbene, la
stessa cosa, anche se mille volte meno importante, avviene per la cosiddetta
unità spirituale della nazione.
A mio avviso, Ciampi l’ha violata (consapevolmente o meno) in modo addirittura
intollerabile. Se avesse detto che gli italiani erano uniti nel cordoglio e nel
dolore per le vittime, sarebbe stato bene. Ma no, il nostro banchiere ha voluto
andare oltre, e parlare di “vile attentato terroristico”.
Ebbene, caro presidente, non è così. Metà degli italiani pensano che si sia
trattato di terrorismo, e metà di resistenza. Certo, lo fanno in piena
confusione terminologica e filosofica, ma è così, e persino i sondaggi lo dicono.
E allora lei ha solo espresso il suo (per me, italiano come lei, inaccettabile)
punto di vista, non l’unità spirituale degli italiani.
9. Il comportamento di Ciampi ha rispecchiato lo stato di sonnambulismo, o
meglio lo stato confusionale, in cui da mesi gli italiani sono stati tenuti.
Basti in proposito sfogliare i giornali-spazzatura, e la schizofrenia che essi
hanno comunicato.
Da un lato, nelle pagine dedicate ai commenti politici e militari “seri”, la
maggioranza dei commentatori ha detto qualcosa di simile alla verità. I fatti
di Nassiryia, sono fatti di guerra, basta con la finzione ipocrita delle truppe
di pace, in Irak c’è una guerra in corso, lo scopo politico dell’attentato è
stato quello logicissimo di indebolire la coesione della coalizione dei servi
di Bush, eccetera. Interrogato sulla natura di Nassiryia l’esperto militare
americano Farrar (cfr. Repubblica, 14.11.03) ha detto: “ E’ un atto di guerra
portato a termine con modalità che normalmente qualificano atti terroristici e
che noi definiamo di guerra asimmetrica. La guerra asimmetrica è quella in cui
si supplisce alla sproporzione delle forze convenzionali in campo con il
ricorso alle tecniche della guerriglia”. Un breve commento. Non si poteva dire
meglio. La stessa resistenza italiana è stata appunto una guerra asimmetrica, e
qualcuno dovrebbe dirlo a Ciampi ed alla sua signora, fra una scolaresca
festante ed un’altra.
Dall’altro, in piena schizofrenia, le pagine dei giornali-spazzatura accanto ai
commenti politici più o meno realistici portano montagne di servizi
strappalacrime ispirati al motto: “Eravamo in missione di pace, eravamo buoni
ed amati da tutti, ed i pazzi terroristi ci hanno colpito lo stesso”.
Come spiegare questa schizofrenia?
10. Si spiega, si spiega. Per dirla con il poeta, c’è una logica in questa
follia. E la logica è appunto l’unione sacra bipartisan di cui Ciampi è appunto
il gran sacerdote.
Questa logica bipartisan poloulivo e ulivopolo si compone di solo due elementi.
Indichiamoli.
(I) Dopo la rapida vittoria della democrazia contro la dittatura gli italiani
si divisero democraticamente fra chi pensava che bisognava mandare le truppe e
chi pensava che bisognava fare come Francia e Germania che invece non le
mandarono. Un vero esempio di democrazia.
(II) Ora però si tratta di “non darla vinta” a Saddam e Bin Laden, e dunque non
bisogna comunque ritirarci, ma spingere sul multilateralismo come mezzo
migliore per sconfiggere Saddam.
Come si vede, l’unità nazionale viene fatta sulla base dei fatti compiuti, e la
conclusione pratica è la stessa. Chi è ancora capace di ragionare deve
riflettere sul fatto che solo la piena legittimità della resistenza irachena,
con le necessarie tecniche di guerra asimmetrica che questo comporta, fra cui i
patrioti suicidi (patrioti, non terroristi, e si lavino la bocca quelli che
usano questa parola!), può rompere questa logica totalitaria bipartisan.
11. Passiamo a riflettere un poco su Berlusconi. E’ sotto gli occhi di tutti
che questo sciagurato paperone ha rotto con la linea ragionevole di politica
estera di Andreotti, ed ha allineato l’Italia non solo con l’impero americano
ed il sionismo,, ma con le loro varianti fondamentaliste di destra (Bush e
Sharon). Berlusconi merita allora l’invettiva apocalittica del profeta Toni
Negri (cfr. La Stampa, 14.11.03) :”Maledetti, maledetti, maledetti”. Bravo
Negri, questa invettiva vale tutto il tuo libro sull’Impero e quelli che
verranno, che non potranno certo essere migliori.
Se si parla di Berlusconi, bisogna disporre di un concetto storico razionale di
Berlusconi, e rompere dunque con le follie dei girotondini partorite dallo
snobismo romanesco dei salotti di sinistra, la cui attendibilità è molto minore
di quella delle opere filosofiche complete del deputato di AN battezzato Er
Pecora. In breve, Berlusconi, è un prodotto fisiologico, ma anche largamente
casuale, cioè aleatorio, della reazione al colpo di stato giudiziario
denominato Mani Pulite, che con la scusa della corruzione (nota da decenni nei
più piccoli particolari) ha fatto fuori la classe politica proporzionalista e
statalista della prima repubblica. Le levatrici storiche di Berlusconi sono
state dunque Di Pietro e Violante, e fra qualche decennio ciò che appare oggi
ancora come un bizzarro e scandaloso sproposito sarà un dato assodato dagli
storici.
Se questo è vero, allora possiamo fare due osservazioni su Berlusconi che
riguardano il nostro impegno per l’appoggio alla resistenza irachena.
12. In primo luogo, dato il carattere fortemente aleatorio del fenomeno berlusconiano,
bisogna capire che il Berlusca, in quanto dilettante politico (ed in questo
secondo solo a Bertinotti), naviga a vista, non ha un vero interesse per la
politica estera, e non ha senso ”dedurre” qualcosa di più grosso, come ad
esempio la spaccatura epocale delle oligarchie capitalistiche italiane in due
tronconi, filoamericano (Berlusconi e Fini) e filoeuropeo (D’Alema e Amato). So
che alcuni compagni ed amici pensano questo, ma a me sembra puro riduzionismo
economicistico. Tutta l’oligarchia italiana, in questo pienamente bipartisan, è
unita nel servilismo strategico verso l’impero americano, e questo in base ad
una sobria valutazione dei rapporti di forza militari e geopolitici.
Il Berlusca ha un’irresistibile affinità con gli USA nello stesso modo in cui i
cossuttiani hanno una irresistibile affinità con la Russia (non con il
comunismo, ovviamente, ma proprio con la Russia). Si tratta di un fattore
largamente extraeconomico e fortemente viscerale. Nel mondo paperonesco del
Berlusca, mondo ridotto ad azienda ed impresa, gli USA sono per il Berlusca la
stessa cosa che per la base del vecchio PCI era l’ URSS, luogo onirico di
ciminiere, di trattori e di festose sfilate proletarie.
13. In secondo luogo, e di conseguenza, la domanda diventa questa: riusciranno
il Berlusca ed il neoconvertito sionista Fini a modificare radicalmente il
senso comune maggioritario italiano di massa, largamente “cattocomunista” anche
dopo la fine della prima repubblica? Non è facile infatti trasformare un senso
comune di massa dalle invocazioni generiche alla pace alla mentalità sionista
della guerra preventiva e dell’esportazione armata della democrazia nella
crociata contro il terrorismo.
Farò qui un’ipotesi. In Italia mi sembra che la sensibilità genericamente pacifista
sia buona, mentre la coscienza antimperialista sia molto minoritaria, e non
riesca ad espandersi. Questo fatto permette ovviamente il facile riassorbimento
dei movimenti pacifisti, ed anche la loro manipolazione diretta ( e pensiamo a
tutti i “pacifisti” arruolati in ambigue organizzazioni non governative i cui
vertici sono apertamente collaborativi con le truppe di occupazione, dal Kosovo
all’Irak).
Se questo è vero, e questo mi pare assodato, allora risulterà ancora più chiaro
che non ha senso portare frigoriferi in Alaska e stufe in Senegal, ma è
necessario intervenire proprio dove sono i punti deboli e dove bisogna coprire
le maggiori mancanze. Ed il punto più debole è proprio la coscienza
antimperialista. Qui bisogna lavorare, e se ci si lavora si vede subito che il
polverone sollevato dai Grimaldi e dagli Huambo è solo un fattore di ritardo e
di confusione.
14. Bisogna dunque tornare al punto essenziale, non darne mai per scontata la
consapevolezza, e non smettere mai di segnalarlo: in Italia si sta cambiando la
costituzione materiale del paese, proponendo il passaggio della sua identità
dal binomio lavoro e resistenza al binomio impresa e lotta contro il terrorismo
internazionale. Si tratta del fenomeno storico più importante dopo il 1945. Chi
se la prende con il cosiddetto “revisionismo storico”, con Pansa ed il suo
libro sui crimini del dopoguerra, eccetera, mostra di non capire assolutamente
niente. Pansa ha fatto benissimo a colmare una lacuna che la tribù opportunista
ed ipocrita degli storici accademici aveva lasciata aperta per mezzo secolo, e
questo non toglie assolutamente nulla alle ragioni storiche, politiche e
spirituali della superiorità della resistenza italiana sul collaborazionismo
con i tedeschi dopo il 1943. Ma, appunto, il problema non è Pansa.
Per capire dove sta il problema, bisogna innanzitutto capire che il binomio
Berlusconi – Fini insieme con i loro intellettuali cortigiani, in massima parte
ex comunisti (Adornato, eccetera), non è in grado di riconvertire gli italiani dal
binomio lavoro-resistenza al binomio impresa-lotta globale al terrorismo. Nel
linguaggio di Antonio Gramsci, non sarebbero mai capaci di una simile
operazione di egemonia. Questa operazione di riconversione può solo essere
fatta da un gruppo intellettuale ben più consistente e radicato nella società,
e cioè il gruppo Ulivo- DS- Margherita.
15. In questa valutazione sta la radice del nostro dissenso con i cossuttiani,
i bertinottiani, gli ernestiani ed in generale con la maggioranza dei gruppi
intellettuali e politici italiani. Tutto il polverone polemico e le logomachie
nascondono questo centro del problema. E tuttavia, se pensiamo questo, non è
perché siamo “estremisti”. Tutto al contrario. Fra noi vi sono persone
caratterialmente estremiste, e persone che non lo sono. Ma questo è solo
folklore politico. Ad esempio Casarini è un estremista verbale ed un moderato
politico, perché assume la teoria negriana della globalizzazione come bussola
di orientamento. Bertinotti è un esempio addirittura caricaturale di estremismo
verbale e di moderatismo politico. Cossutta almeno, come tutti coloro che hanno
veramente perso la fede precedente, è un moderato sia verbale che politico.
Ripetiamo. Solo i DS ed il loro circo culturale possono veramente egemonizzare
questo passaggio, anche se per fortuna penso che non ce la faranno. Farò qui
solo l’esempio di Piero Fassino e di Massimo D’Alema.
16. Il 15.11.03 Fassino era invitato al programma di Lerner “L’Infedele” della
rete ideologica sionista Sette. Con le mie orecchie l’ho sentito dire che
bisogna lottare sia contro l’antisemitismo che contro l’antisionismo. Chi non
ci crede senta una registrazione della trasmissione. Questo merita un commento.
Inutile dirci tra noi ciò che tutti noi pensiamo, e che cioè gli attentati
contro le sinagoghe ed in generale contro i luoghi di culto sono odiosi e del
tutto inaccettabili. Nessuna strategia giustificazionista deve essere accettata
e scusata. Chi attacca le sinagoghe, le chiese e le moschee è un criminale
politico. Ma giocare con l’equazione ebraismo-sionismo ed
antisemitismo-antisionismo è giocare con il fuoco, e dirò perché.
Il vecchio antisemitismo, pressoché scomparso dopo il 1945-1948, si basava su
questa (falsa) equazione: ebraismo = diaspora dissolvitrice delle culture e
delle identità nazionali. Il nuovo antisemitismo del periodo posteriore al 1948
conserva ovviamente tracce di quello precedente, ma si basa su di una nuova
equazione: ebraismo = sionismo. In questo senso i sionisti sono il principale
fattore ideologico del nuovo antisemitismo.
Fassino gioca dunque con il fuoco. Che se ne renda conto oppure che lo faccia
solo per opportunismo è importante, ma non decisivo. Noi dobbiamo invece tener
fermo su due punti. No all’antisemitismo, vecchio e nuovo. Sì all’antisionismo.
La formula è semplice, anche se il contesto ideologico e polemico è complesso e
pieno di trappole.
17. Veniamo ora al caso D’Alema, un signore che non delude mai chi ha maturato
l’opinione che si tratti di una delle figure più spregevoli della storia
dell’Italia contemporanea. Sempre nel giorno 15.11.03 l’ho visto berciare ed
agitarsi sul palco DS-Ulivo per far passare la linea della permanenza delle
truppe italiane in Irak senza neppure farla mettere ai voti. Ma questi sono
solo dettagli lombrosiani.
D’Alema è stato colui che si è storicamente assunto la responsabilità di
rilegittimare la GUERRA in Italia per la prima volta dopo il 1945. Si tratta,
come è chiaro, della guerra illegale contro la Jugoslavia del 1999. A questo
proposito, bisogna ricordare almeno tre cose.
18. In primo luogo, questa guerra, orwellianamente ribattezzata “operazione di
polizia internazionale” (come se ribattezzare “interruzione del respiro” un
omicidio ne cambiasse la natura), fu fatta a suo tempo esattamente come è stata
fatta la guerra di Bush nel 2003, e cioè in modo pienamente illegale dal punto
di vista del diritto internazionale. Fu fatta contro la costituzione italiana,
che apertamente non la consentiva, e che avrebbe consentito solo la difesa del
territorio nazionale aggredito (e quindi Palermo e Trieste non Pristina e
Nassiryia). Fu fatta contro la carta dell’ONU, che apertamente non la
consentiva, ed in cui almeno la Russia e la Cina avrebbero posto il veto, ed in
ogni caso l’assemblea generale avrebbe votato contro a stragrande maggioranza.
Fu persino fatta contro la carta della NATO, alleanza difensiva e non
offensiva.
In secondo luogo, questa guerra fu fatta sulla base di una motivazione
orwelliana, e cioè su di una menzogna documentabile. Così come in Irak 2003 non
c’erano ovviamente le famose armi di distruzione di massa, così in Jugoslavia
1999 non c’era né un genocidio in corso né un genocidio progettato della
popolazione albanese. Non c’erano neppure progetti di espulsione etnica (o
pulizia etnica) tipo Turchi da Salonicco 1913 o Greci da Smirne 1922, perché la
“profuganza albanese” di quei giorni (termine coniato dallo scrittore Sgorlon)
non era cacciata, ma se ne andava da sola per il doppio effetto dei
bombardamenti NATO e della strategia propagandistica UCK. Gli italiani furono
indotti a credere ad una menzogna, e fecero la guerra del 1999 esattamente come
stanno ora facendo quella del 2003, e cioè sulla base di una bugia
“umanitaria”. Non c’è nessuna differenza fra il D’Alema 1999 e il Berlusconi
2003.
In terzo luogo, per finire, occorre rileggere le ricostruzioni storiche della
guerra aerea del Kosovo 1999, persino quelle degli storici che la volevano,
come l’inglese John Keegan. Che cosa dice Keegan? Che ci sono state due guerre
del Kosovo. Nella prima, la strategia di bombardamento era limitata agli
obiettivi militari jugoslavi, ma questa autolimitazione si rilevò inefficace,
perché gli jugoslavi non si arrendevano come previsto. Si passò allora ad una
seconda guerra, basata su bombardamenti indiscriminati su obiettivi civili
(fabbriche, televisione, treni, eccetera), e la cosa si rivelò efficace, perché
gli jugoslavi si arresero, e non fu necessario passare alla terza fase della
invasione di terra in cui comunque D’Alema aveva promesso le truppe, come è
ormai assodato).
Questa fu la guerra del Kosovo. Una guerra illegittima, basata su motivazioni
false e condotta con tattiche di bombardamento criminali. Ora, fino a quando
D’Alema non sarà processato per alto tradimento verso la costituzione da un
tribunale italiano (e non dalla farsa pagliaccesca della Del Ponte all’Aja) noi
non usciremo dalla crisi spirituale ed etica in cui ci troviamo.
E siccome sappiamo che non esistono le condizioni storiche e politiche per
processare in Italia il cinico baffetto, con tutte le garanzie di difesa
tipiche di un paese civile, ne possiamo tirare la conseguenza che non usciremo
presto da questa crisi.
19. Qual è il senso di tutte queste mie riflessioni? E’ semplice. Bisogna che
la manifestazione del 13.12.03 riesca, ma bisogna evitare impostazioni di tipo
“ultimatistico”, per cui o si riesce oppure tutti a casa per sempre. Questa
manifestazione è solo un passaggio. In caso contrario, adotteremo proprio il
punto di vista che chiamerò “scadenziario”, per cui l’intera attività politica
è di fatto ridotta a”scadenze”. Chi non ha ancora capito che il pur necessario
scadenziarismo è il cavallo di Troia dell’omologazione nel modo mediatico e
giornalistico del far politica non ha capito che il nostro compito è di lunga
durata. In proposito, concluderò con alcune riflessioni, cui vorrei si
prestasse un po’ di attenzione.
20. Primo, a proposito della bandiera nazionale italiana, ho letto le
considerazioni dei compagni ed amici Mazzei e Pasquinelli, insieme a quelle di molti
altri, ma dico sinceramente di non esserne stato persuaso, e dunque ripropongo
qui il mio punto di vista, che non è congiunturale ma è strategico, e come tale
vorrei fosse giudicato e discusso.
Le cerimonie per i caduti di Nassiryia sono servite per una artificiale
galvanizzazione nazionalistica (ed imperialistica), che ricorda in piccolo
quella avvenuta nel 1921 per il Milite Ignoto, che fu uno dei fattori
ideologici del clima dell’avvento del fascismo. Su questo non ci piove. Ma
bisogna vedere le cose anche in modo più approfondito, in modo direi più
“gramsciano”. Nella galvanizzazione patriottica e nazionalista non c’era
soltanto l’aspetto principale, che è l’operazione studiata a tavolino per un
nuovo spirito militaristico ed imperialistico travestito da eccezionalità
umanitaria italiana, ma c’è anche un aspetto secondario, e cioè la ricerca
popolare di una identità collettiva dopo la caduta del monoclassismo ideologico
picista e l’avvento della desertificazione aziendalistica berlusconiana (e prima
craxiana). Per questa ragione le solite volgarità uscite su internet di insulto
ai soldati morti devono essere considerate spazzatura, che non ci aiuta a far
diventare egemonico il nostro punto di vista, ma ci inchioda al solito
minoritarismo plebeo, plebeo e non popolare.
In breve sintesi, le ragioni che mi portano a sostenere l’uso (non esclusivo,
ovviamente) della bandiera nazionale sono due, e le ripeto qui, perché sono
frutto di una riflessione di lungo periodo.
In primo luogo, esiste una questione nazionale italiana, e non solo nepalese o
colombiana. Molti non capiscono questo, e dicono che Chavez fa bene in
Venezuela ad usare la bandiera nazionale, mentre qui sarebbe sbagliato, perché
la nostra bandiera è usata da occupatori imperialisti fantocci dell’impero
americano. Errore. Appunto perché la nostra bandiera è usta da fantocci
dell’impero americano, appunto per questo si pone un problema di indipendenza
nazionale. Vogliamo lasciare la bandiera nazionale ai fantocci? Bene. E allora
noi che bandiera useremo? Quella nera anarchica? Quella dei pirati? La sola
bandiera arcobaleno? La sola bandiera rossa? Ebbene qui non c’è lo spazio per
discutere su queste quattro alternative (ma lo faremo in altra sede), ma se ci
si riflette bene si vedrà che sono tutte e quattro in questo momento poco
egemoniche. Bandiere italiana più bandiera irachena della resistenza contro gli
americani ed i loro fantocci. Questa resta per me la formula più opportuna.
In secondo luogo, se è vero che l’asse Berlusconi-D’Alema sta cambiando la
costituzione materiale italiana disgregando il vecchio binomio
lavoro-resistenza per il nuovo binomio capitale-guerra, allora ci troviamo di
fatto in una situazione analoga a quella del triennio 1943-1945. Occorre non
lasciare il monopolio della bandiera a chi allora fece la scelta di Mussolini
del 1935 (Etiopia) e del 1940 (guerra di aggressione verso i vicini), a chi
fece la scelta di D’Alema del 1999 ed infine la scelta di Berlusconi del 2003.
Proprio perché essi la agitano per dire che la patria si difende ad Addis Abeba
(1935), ad Atene (1940), a Pristina (1999) ed infine a Nassiryia (2003),
proprio per questo noi la agiteremo per dire che la patria si difende a Torino
e a Milano, a Roma ed a Napoli.
Certo, so benissimo che per ora non riuscirò a convincervi. Poco male. La lotta
ideale durerà decenni, ed il tempo è galantuomo.
21. Secondo, tornando sul tema del sionismo e dell’antisemitismo, prego di
mettere in rete nel nostro sito uno stupendo articolo dell’ebreo israeliano Uri
Avnery pubblicato sul Manifesto. 16.11.03. che compendia tutto ciò che deve
essere compendiato, e mostra con solare chiarezza che oggi il principale
fattore di antisemitismo nel mondo è la linea politica di aggressione portata
avanti dalle lobbies ebraiche americane, da Sharon e da noi nel nostro
disgraziato e subalterno paese dai pappagalli del sionismo più aggressivo,
Fiamma Nirenstein e Gad Lerner. Un decimo di quanto dice l’ebreo coraggioso
Avnery basterebbe per essere bollati di antisemitismo dallo spregevole circo
mediatico-politico italiano.
Per questo la linea è chiarissima. Condanna senza riserve di tutti gli atti
tipo sinagoga di Istanbul. No ad ogni forma di antisemitismo. Nessuna paura del
ricatto del circo mediatico sionista.
22. Terzo, bisogna assolutamente aumentare la nostra attenzione verso il
movimento No Global. Mi spiego perché. Io ho cambiato idea, ed anzi l’ho
rafforzata, sulle due debolezze strategiche e non solo congiunturali del
movimento No Global. La prima sta nel fatto che l’immagine di questo movimento
é di fatto quasi esclusivamente mediatico e virtuale, ed in questo modo questo
movimento è di fatto non tanto dipendente dai pulcinella politici che lo
parassitano come le mosche con i buoi (tipo Bertinotti), quanto dalle direzioni
culturali strategiche del circo mediatico, che possono sempre decidere di
gonfiarlo o di sgonfiarlo come una fisarmonica. La seconda sta nel fatto che
non esistono movimenti senza filosofia politica, implicita o esplicita, e la
filosofia politica di questo movimento è quella di Negri (con la variante
moderata di Susan Gorge e quella ultramoderata di Naomi Klein). Ora, il
negrismo non è un superamento in positivo del leninismo, ma un suo
peggioramento di 180 gradi. Riassumendo, la dipendenza mediatica e la cattiva
filosofia politica sono due fattori di debolezza non solo tattico-politica, ma
strategico-storica.
E tuttavia non possiamo limitarci a ripetere solo questo, anche se non bisogna
smettere di farlo.
C’è qualche novità da cogliere. Non si tratta solo del fatto che Parigi 2003 ha
segnato un evidente regresso di partecipazione rispetto a Firenze 2002, e se
fossi un no global mi chiederei veramente il perché. Il punto chiave sta invece
nel fatto che il movimento no global si è comportato politicamente bene, perché
non ha fatto concessioni sul ritiro delle truppe dall’Irak. Ed è questo, e
credo proprio per questo, che il circo mediatico ne ha preso le distanze
“silenziando” di fatto Parigi 2003. Il circo mediatico si sta infatti
ricompattando sulla linea del restare in Irak con maggiori dosi di
multilateralismo, ed allora il movimento No Global è diventato improvvisamente
troppo “estremistico”.
Se questa analisi è vera, allora il movimento no global diventa più
interessante di prima. Faccio anzi l’ipotesi che esso sarà obbligato a
riscoprire la categoria di imperialismo sia pure controvoglia, nonostante le
falangi di intellettuali-pagliacci che nell’ultimo decennio hanno detto che
essa non esiste più. In questi casi non bisogna restare ipnotizzati dalla
congiuntura o dall’accesso alla visibilità mediatica, che resterà ferocemente
preclusa a tutti i teorici seri, ma considerare le dinamiche di evoluzione
ideologica di medio periodo. Ritengo infatti che la radicalizzazione sia nelle
cose.
23. Rispetto alla guerra del 1999 la guerra del 2003 presenta interessanti
novità dal punto di vista della spaccatura nelle oligarchie dominanti del
capitalismo italiano. La guerra del 1999 vide una Unione Sacra di Polo e di
Ulivo e degli USA e dell’Europa. Tutti uniti contro Hitlerovic. La guerra del
2003 vede una spaccatura nelle oligarchie dominanti italiane, al punto che
Scalfari (cfr. Repubblica, 16.11.03) scrive che l’Italia ha fatto questo
intervento con le stesse motivazioni di Mussolini 1940, e cioè di avere un
pugno di morti da buttare sul tavolo della pace, in questo caso del bottino
petrolifero e del business della ricostruzione irachena.
Naturalmente, è veramente così. Ma è interessante che a dire questa ovvietà non
siano Mazzei, Pasquinelli e Preve, talmente “silenziati” che neppure il
Manifesto e Liberazione li hanno mai citati in sei mesi, ma sia Scalfari, e
cioè uno dei tre guru (insieme a Bobbio e Montanelli) cui fu fatta
simbolicamente vendere nel 1999 la guerra d’aggressione alla Jugoslavia come
operazione Arcobaleno.
Non si tratta solo, a mio avviso, della fisiologica spaccatura fra i
sostenitori degli USA moderati e multilaterali di Clinton e gli USA estremisti
ed unilaterali di Bush. Certo, c’è ovviamente anche questa. Ma il punto
principale mi sembra risieda nel fatto che un settore crescente di quella che
un tempo era chiamata “opinione pubblica borghese” comincia ad avvertire
confusamente che la linea strategica presa dal capitalismo mondiale a dominanza
imperiale americana può essere suicida. Ovviamente, è la resistenza dei popoli,
ed in particolare del popolo martire iracheno, che comincia a suscitare questa
inquietudine. Se gli iracheni fossero rimasti buoni a prendere le caramelle dei
soldati delle truppe d’occupazione e si fossero lasciati derubare dai sionisti
di tutte le loro ricchezze in questo momento tutti gli Scalfari del mondo si
affretterebbero a dire che forse, sì, magari la scelta di Bush non era poi
stata così avventuristica come sembrava e che in effetti una buona forza
chirurgica non era poi male, come già il Kosovo aveva dimostrato. Il fatto è
che ai serbi sono riusciti purtroppo a spezzare la schiena, ma agli iracheni
non sono riusciti a fare altrettanto.
24. Ora possiamo veramente concludere. L’appoggio alla resistenza irachena non
ha solo un carattere di zona geopolitica medio-orientale, ma è una causa
veramente mondiale. E’ qualcosa di simile all’appoggio al Vietnam 1965 o al
Cile 1973, ma se è possibile è ancora più importante. Dico questo ovviamente
non certo per proporre assurde e stupide classifiche, ma per sottolineare un
elemento storico decisivo. Il Vietnam 1965 e il Cile 1973 si collocavano
storicamente in un bipolarismo USA-URSS che non cancellava certamente la
legittimità delle cause di liberazione nazionale o di lotta contro il fascismo,
ma le piegava di fatto alla sua logica dicotomica. Oggi siamo di fronte alle
pretese deliranti di dominio mondiale di un impero ideocratico che fa
riferimento esplicitamente alla guerra preventiva e all’imposizione ideologica
armata di regimi che autodefinisce “democratici” (senza peraltro elezioni, se
non a “normalizzazione” avvenuta). Se questo non è il “fascismo” del XXI°
secolo, allora qual è il fascismo, cari antifascisti?