1-  Vicissitudini del libro “Berlusconi inchiesta sul signor TV”.

 

2- Affermazioni del 3-10-2002 della tessera P2 1816.

 

3-  Gravi offese di Paolo Guzzanti a Prodi  del 06-12-04 – trasmesse anche da RAI-TRE senza alcuna presa di distanza durante la rassegna stampa.

 

4- Affermazioni di Andreotti sulla sentenza di “assoluzione” per mafia . Si sognava l’Ipocrisia al Potere nei giorni belli della Costituente?

 

5- Censura di  D’ Alema, menzogna di Veltroni. 

 

6-Antologia di bugie del “Premier” P2 1816. a cura di  Travaglio–Gomez  (18-05-04).

 

7- Come Santoro mistifica e falsifica  a proposito della presenza in studio di G. Ruggeri (colui che ha rifiutato l’assegno in bianco, assieme a Guarino) e della  telefonata fatta dalla tessera P2 1816 durante il “Rosso ed il Nero” del 1994.

 

 

*******

 

1 - Vicenda del libro “Berlusconi inchiesta sul signor  TV

Ed. Kaos  Milano   prima ed.  1994

 

Leggendo attentamente l' introduzione del libro (del 1994) si desume che :

 

1 - il libro non doveva essere stampato e pubblicato. Perche' mai?

2 - i 2 autori del libro non si sono "venduti", per questo sono stati denunciati

e processati  e alla fine sono stati totalmente assolti perche' non  hanno diffamato

nessuno.

3 - Berlusconi, il  "liberal" che voleva oscurare un libro scomodo, ha invece reso falsa testimonianza   e si e' salvato da galera (per sentenza in giudicato dal 13-02-1991) grazie alla amnistia del 1989.

 

La vicenda di questo libro, la censura che ha subito,  e l’ostracismo, soprattutto a sinistra di cui e’ vittima questo libro, sono la prova provata della complicita’ e della connivenza della classe dirigente del PCI-PDS-DS con P2-tessera P2 1816.

 

===============================================================

 

da  :  "Berlusconi, inchiesta sul signor TV"  ed. Kaos   G. Ruggeri - M. Guarino 1994

 

Prima edizione febbraio 1994 Copyright 1994 Kaos Edizioni Milano

 

Berlusconi - Inchiesta sul Signor TV

 

"Il vero potere risiede nelle mani dei detentori di mass media"  LICIO GELLI

 

"C'e' una grande differenza fra il Berlusconi che parla e quello che  agisce"  -  INDRO MONTANELLI

 

 

Premessa

 

Questo  libro  -  alla  sua  seconda edizione, accuratamente approfondito e

aggiornato, dopo la travagliata prima edizione del marzo 1987 - non avrebbe

mai  dovuto  uscire,  poiché‚  il  personaggio  che vi e' biografato gli ha

dichiarato  guerra  prima ancora che venisse edito, e durante e dopo la sua

pubblicazione.

 

 

Il  primo  attacco di Berlusconi al presente libro e' stato sferrato quando

non  era  ancora  stato edito. Il 25 e 26 settembre 1986, il quotidiano "Il

Mattino"  pubblicava  un'inchiesta  in  due puntate del giornalista Roberto

Napoletano intitolata Chi sara' il padrone di Berlusconi?; Napoletano aveva

intervistato  tra gli altri Marco Borsa (allora direttore di "Italia Oggi")

e  Giovanni  Ruggeri, quali "esperti" dell'ambigua materia berlusconiana: i

temi  trattati  spaziavano  dal  sodalizio  del Cavaliere con il Venerabile

maestro piduista Gelli, alle erogazioni creditizie che le banche guidate da

piduisti  avevano a suo tempo accordato alla Fininvest, dalla controversa e

per  piu' aspetti oscura "avventura edilizia" del primo Berlusconi, ai suoi

spericolati rapporti con il chiacchierato faccendiere Flavio Carboni, dagli

ingenti  debiti  del  gruppo  Fininvest, al fiasco di "La Cinq" in Francia,

eccetera. Il Cavaliere reagiva con un'irata lettera al quotidiano, esigendo

la  pubblicazione  di  una  chilometrica  rettifica,  nella quale scriveva:

<<Tutte le affermazioni che il servizio del "Mattino" avrebbe materialmente

desunto  da  questa  incombente  opera (di imminente pubblicazione da parte

degli  Editori  Riuniti  [il  riferimento e' al nostro futuro libro, citato

nell'articolo,  NdA])  sono  assolutamente  false>>,  e  seguivano  le  sue

contestazioni articolate in 18 punti ciascuno dei quali cominciava con <<E'

falso che...>>.

"Il   Mattino"   replicava   confermando   tutte   le   notizie  pubblicate

nell'inchiesta del proprio inviato. A quel punto, Berlusconi querelava

 

pag. 7

 

 

 

il  direttore  Pasquale  Nonno,  e  l'inviato  Roberto Napoletano, nonche'‚

<<altri  che avessero concorso al reato>>, e cioe' anche Giovanni Ruggeri e

Mario  Guarino  (stavamo  per  l'appunto  ultimando  la  "incombente opera"

menzionata dal Cavaliere).

Ma  il giudice istruttore del Tribunale di Napoli stabilira' l'infondatezza

delle  doglianze di Berlusconi, firmando l'ordinanza di archiviazione della

sua querela.

 

L'uscita  del  nostro  libro  "Berlusconi.  Inchiesta  sul  signor  Tv" era

prevista  per il successivo ottobre 1986, presso gli Editori Riuniti (con i

quali  avevamo stipulato regolare contratto); ma l'inchiesta pubblicata dal

"Mattino"  e le polemiche che ne erano seguite avevano suscitato non meglio

precisate  "difficolta'  tecniche" da parte degli Editori Riuniti - la casa

editrice rimandava infatti l'uscita del libro di mese in mese (verra' edito

solo nel marzo 1987).

Le  ragioni  delle  "difficolta'  tecniche" accampate dagli Editori Riuniti

emergeranno  alcuni  anni dopo, cioe' nel settembre 1993, nell'ambito della

inchiesta  giudiziaria  "Mani  pulite".  Il  sostituto  procuratore Tiziana

Parenti,  interrogando  Flavio  Di  Lenardo  (imprenditore editoriale, gia'

socio   della   Ecolibri   -  societa'  collegata  agli  Editori  Riuniti),

apprendera'  di  <<spericolate  manovre  tentate  da  Silvio Berlusconi per

bloccare  la pubblicazione di una biografia dedicata a Sua Emittenza>> (1).

Di Lenardo racconta al giudice Parenti di avere appreso dall'avvocato Bruno

Peloso  (al  tempo  amministratore  delegato  degli  Editori Riuniti) di un

furente  Berlusconi,  il  quale  alternava minacce e profferte: <<Peloso mi

disse  che  Fedele  Confalonieri cerco' di evitare in tutti i modi l'uscita

del  volume  perche'‚  raccontava  l'inizio dell'ascesa di Berlusconi... Il

braccio destro del padrone della Fininvest arrivo' addirittura a ipotizzare

l'acquisto della Editori Riuniti, pur di non vedere quel libro in vendita>>

(2);  <<I  tentativi  erano  accompagnati  da  offerte  di denaro>> (3). Le

dichiarazioni  di  Di  Lenardo  vengono  riprese  da  tutti  i  quotidiani;

"Avvenire"  scrive:  <<Il  libro  e' il celeberrimo (e ormai introvabile) "

Berlusconi Inchiesta sul signor Tv", scritto a quattro mani dai giornalisti

Giovanni  Ruggeri  e  Mario  Guarino.  Il fatto, emerso due giorni fa, oggi

sembra sia diventato un caso nazionale. Uno dei

 

(1) "L'Europeo", 20 settembre 1993.

(2) "Il Messaggero", 9 settembre 1993.

(3) "Corriere della Sera", 9 settembre 1993.

 

pag. 8

 

 

due  autori,  Giovanni  Ruggeri,  dichiara:  "Per  impedire  l'uscita della

biografia  presso  gli Editori Riuniti, Berlusconi fece di tutto. Un giorno

si  presento'  uno  stretto  collaboratore  di  Confalonieri e mi offri' un

assegno in bianco in cambio dei diritti del libro">> (4).

 

Infatti,  come  abbiamo denunciato piu' volte pubblicamente (senza ricevere

alcuna  querela),  nel febbraio '87 Fedele Confalonieri ci aveva telefonato

presso  la  Rusconi Editore (dove lavoravamo) chiedendo di incontrarci "per

trovare un accordo"; benche'‚ noi avessimo respinto l'offerta, ci mando' in

ufficio   il   funzionario  della  Fininvest  Sergio  Roncucci,  il  quale,

ostentando  un carnet di assegni, ci aveva detto: <<Compriamo noi il vostro

libro,  a  scatola  chiusa.  La  cifra  la scrivete voi...>>, e aveva anche

ventilato di un possibile incarico a "Tv sorrisi e canzoni"...

 

Nel  corso  della  sua deposizione al giudice Parenti, Flavio Di Lenardo ha

inoltre  dichiarato:  <<Il libro usci' ugualmente, e Berlusconi querelo' la

societa'  editrice.  Pero'  la  querela  rientro' quando Berlusconi fece un

grosso affare in Unione Sovietica, relativo a contratti pubblicitari>> (5).

Effettivamente,   la  Fininvest  ha  ottenuto  l'esclusiva  della  raccolta

pubblicitaria  delle imprese occidentali destinata ai palinsesti televisivi

sovietici:  Di  Lenardo ipotizza, in base alle presunte confidenze fattegli

da  Peloso,  che  l'affare sia stato propiziato dagli Editori Riuniti (casa

editrice controllata dal Pci), e che in cambio Berlusconi abbia tra l'altro

rimesso una sua querela.

Fatto  e'  che, finalmente edito nel marzo 1987, "Berlusconi. Inchiesta sul

signor  Tv" andava esaurito in pochi giorni. Una immediata ristampa (aprile

'87) esauriva la tiratura in tre settimane. Benche'‚ il successo di vendite

fosse  comprensibile  ed  evidente,  forte  era il sospetto che parte della

tiratura fosse stata sottoposta a una sistematica opera di "rastrellamento"

da parte di "mani ignote".

 

Non  essendo  riuscito  a  impedirne  la  pubblicazione, Berlusconi tentava

comunque  di  condannare  il  libro  all'anonimato.  Alla  sua uscita nelle

librerie (20 marzo 1987), subito il gruppo Fininvest diramava un comunicato

minacciando  azioni  legali a carico degli autori ("colpevoli" di attentare

alla  reputazione  di  Berlusconi)  e  contro  <<gli  organi  di  stampa  e

d'informazione che in qualunque forma e a qualunque titolo diano risalto al

libro in questione>>.

Ma il Consiglio dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia respingeva

 

(4) "Avvenire", 10 settembre 1993.

(5) "la Repubblica", 9 settembre 1993.

 

pag. 9

 

 

<<l'intimidazione preventiva e generalizzata della Fininvest>>, e in un suo

comunicato  intitolato  L'Ordine  sull'intimidazione  della  Fininvest alla

stampa   dichiarava:   <<Presa  conoscenza  del  comunicato  diffuso  dalla

Fininvest  Comunicazioni dopo la pubblicazione del volume-pamphlet dedicato

a  Silvio Berlusconi dai giornalisti Giovanni Ruggeri e Mario Guarino per i

tipi  degli  Editori  Riuniti,  l'Ordine  dei  giornalisti  della Lombardia

respinge  la  manifesta  inammissibilita'  dell'intimidazione  preventiva e

generalizzata  rivolta  nel  comunicato  stesso  agli  organi  di  stampa e

d'informazione  che in qualunque forma e a qualunque titolo daranno risalto

al libro in questione>>.

 

La   polemica  Fininvest-Ordine  dei  giornalisti  della  Lombardia  veniva

registrata   dai   quotidiani   con   accenti   critici  per  le  arroganti

intimidazioni della Fininvest; scriveva ad esempio "la Repubblica":

 

<<Forse  i troppi viaggi all'estero gli hanno dato alla testa. Dal tempo in

cui  Craxi voleva scacciare il corrispondente di "Le Monde" da Roma, non si

era  vista  una  cosa piu' insensata e, in fondo, anche autolesionista>>; e

"La  Notte":  <<Il  contenuto  del  libro, scritto dai giornalisti Giovanni

Ruggeri  e  Mario  Guarino,  ha mandato in bestia Sua Emittenza spingendolo

all'incauta  mossa,  giudicata  come  un inaccettabile tentativo di censura

preventiva>>.

 

Ma  -  come  e' noto - Berlusconi e' un tipo tenace, e dunque "aggirava" il

comunicato  dell'Ordine  dei  giornalisti  contattando personalmente alcuni

direttori   di  giornali.  Ad  esempio,  il  compianto  Pietro  Giorgianni,

direttore  de  "La Notte", il quale ci ha raccontato la seguente telefonata

di  Sua Emittenza: <<Direttore, parlando di quel libro lei si e' giocato la

mia  stima...  Io  la  riduco in poverta'>>, e Giorgianni: <<Non puo': sono

gia' povero...>>.

 

Dopodiche',  prende avvio l'offensiva legale. Il 12 maggio 1987, Berlusconi

presenta  due  querele alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di

Milano,  alle  quali  fara'  seguire  anche la costituzione di parte civile

<<per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali tutti>>. Il

potentissimo  "Sua  Emittenza"  (sodale  del  potentissimo  presidente  del

Consiglio  Bettino  Craxi)  si  ritiene  diffamato  dal  contenuto  di  due

interviste  che  gli  autori  di "Berlusconi Inchiesta sul signor Tv" hanno

rilasciato,  in  occasione  dell'uscita  del  libro,  a  "l'Unita'" e a "La

Notte". Per il servizio apparso sul quotidiano del Pci il 28 marzo 1987, la

querela  berlusconiana  coinvolge,  oltre  agli  intervistati,  l'estensore

dell'articolo   Francesco  Bucchieri,  e  -  limitatamente  alla  questione

dell"'omesso  controllo"  - il direttore del quotidiano comunista Giancarlo

Bosetti. L'illustre querelante lamenta che nell'intervista

 

pag. 10

 

 

 

sia  stata affermata l'esistenza di un procedimento penale a suo carico per

reati  valutari; inoltre, si duole del passo dell'intervista che tratteggia

il  suo  impero  come un "colosso d'argilla" costituito da "scatole cinesi"

spesso vuote.

 

Anche la querela del 28 marzo 1987, relativa all'articolo pubblicato da "La

Notte"  il  20  marzo,  e' sporta per <<diffamazione aggravata dall'uso del

mezzo  della  stampa  e  dall'attribuzione  di fatti determinati (quello di

avere un processo pendente per reati valutari)>>.

 

Vi  si  legge:  <<Sul  numero  del  quotidiano "La Notte" del 20 marzo 1987

appariva  in  prima  pagina e a caratteri cubitali il titolo annunciante un

Libro-bomba  su  Berlusconi.  Nel  sottotitolo si specificava, tra l'altro,

essere  il  libro il risultato di una "lunga indagine che mette a fuoco gli

interessi  di  Berlusconi  con  le  loro  luci  e le loro ombre". Il tutto,

corredato da una foto "a mezzo busto" del sottoscritto e dal rinvio "a pag.

3">>. Il testo della querela prosegue citando brani della nostra intervista

(<<"Dal  nostro  libro  saltano fuori cose spiacevoli: fallimenti, societa'

ombra,   mafia   bianca,   Ciancimino,  Calvi,  Gelli">>);  dopodiche'‚  il

megaeditore  craxiano  e  piduista argomenta: <<Il testo dell'intervista e'

tale  da  far  ritenere  che  tutto  questo  ben  di Dio [cioe' fallimenti,

societa'  ombra,  mafia  bianca, Ciancimino, Calvi Gelli NdA] sia posto nel

libro  "a  carico"  del  sottoscritto.  Per la verita', non e' precisamente

cosi',   perche'‚   il  libro  e'  costruito,  dal  punto  di  vista  della

diffamazione,  in  maniera  piu'  subdola  ma  piu' accorta... L'intervista

invece e' piu' brutale, sotto il profilo della metodologia diffamatoria: va

giu'  dura  e  diretta,  perche'‚  le  "cose  spiacevoli"  non  possono non

significare   un   coinvolgimento   di  Berlusconi  nell'elencazione  sopra

riportata  [e  cioe'  fallimenti  societa' ombra, mafia bianca, Ciancimino,

Calvi Gelli NdA]>>. Ma la querela sporta dall'ex palazzinaro affiliato alla

Loggia  P2  riserva  un  finale "colpo di scena": <<...Ed ecco la sorpresa:

l'articolista e' nientedimeno lo stesso direttore del quotidiano "La Notte"

Pietro  Giorgianni,  che  agisce evidentemente in sospetta sincronia con il

suo editore, Rusconi; quest'ultimo e' gia' stato querelato dal sottoscritto

per un'altra intervista, rilasciata ad un settimanale nello stesso lasso di

tempo  in  cui  veniva  pubblicato l'articolo di cui sopra. Anche Ruggeri e

Guarino sono giornalisti di casa Rusconi>>.

 

Berlusconi  ritiene dunque che i "rusconiani" abbiano ordito una "strategia

della diffamazione" a suo danno, come sostiene nella querela; ma in seguito

cambiera'  idea e rimettera' la querela sporta a carico dell'editore Edilio

Rusconi.  Rimettera'  anche  la  querela  a carico di Pietro Giorgianni, il

quale  era  stato querelato sia come estensore dell'articolo, sia nella sua

veste di direttore de "La

 

pag. 11

 

 

 

 

 

Notte" (Giorgianni verra' in seguito invitato a cena nella villa di Arcore,

e  quando  il  giornalista  lascera'  la direzione de "La Notte" gli verra'

affidata  la  direzione  del  periodico  della  Silvio  Berlusconi  editore

"Telepiu'");  ma il "presunto diffamato" chiede espressamente che l'effetto

della  remissione  della querela a carico di Giorgianni non si estenda agli

altri  due  querelati,  e  cioe'  a  Ruggeri e Guarino: lui il direttore lo

perdona, ma "quei due" li vuole in galera...

 

Tuttavia,  il  Tribunale  (presieduto  da  Giorgio Caimmi, giudice relatore

Fabio  De  Pasquale) e' di diverso avviso. <<La richiesta del querelante>>,

si  legge  nella  sentenza del 27 aprile 1988, <<deve giudicarsi quantomeno

singolare.  A  fondare  l'effetto  estensivo  basterebbe infatti il rilievo

dell'unicita'  dei  fatti contestati>>. Il Tribunale dichiara dunque il non

luogo a procedere nei confronti di tutti i querelati, e condanna Berlusconi

al pagamento delle spese processuali.

 

Stessa  sorte  subisce,  l'anno  dopo,  la  querela relativa all'intervista

pubblicata  da  "l'Unita'".  Berlusconi  la  rimette, e con sentenza del 20

novembre  1989  il  Tribunale  (presidente  Paolo  Carfi', giudici Fabio De

Pasquale  e  Claudio  Gittaredi)  gli  accolla  le  spese del procedimento.

Secondo  alcuni,  la  querela  che  stando  alla deposizione del Di Lenardo

sarebbe   stata   rimessa   quando   <<Berlusconi  fece  un  grosso  affare

pubblicitario in Unione Sovietica>> sarebbe proprio quest'ultima.

 

Berlusconi  sporge  un'altra  querela  a  nostro  carico  per  un'ulteriore

intervista  pubblicata  dal  settimanale  "Epoca" (6). Il giornalista Carlo

Verdelli  aveva  trascritto,  nel  numero  di "Epoca" del 26 marzo 1987, il

colloquio-intervista  che  aveva  avuto  con  noi in merito al libro appena

pubblicato.  Gli  argomenti  dell'intervista  erano  stati anticipati dalla

edizione  de  "La Notte" del 20 marzo; Berlusconi era al corrente di questo

particolare   (<<quella   a  "La  Notte"  e'  un'intervista...  in  seconda

battuta>>,  puntualizzava infatti nella sua querela); e dunque la "presunta

diffamazione"  era  contenuta  in  entrambe  le  testate:  e  tuttavia,  il

querelante  rimetteva  solo  la  querela  a  carico  de  "La Notte", mentre

confermava  quella  a "Epoca". Sara' questa evidente contraddizione, questa

giuridicamente inammissibile difformita', a segnare la sconfitta finale del

Cavaliere,  dopo  una  battaglia legale durata anni e combattuta in tutti e

tre i gradi di giudizio, fino alla Cassazione.

 

(6)  Superfluo  precisare  che il settimanale della Mondadori, al tempo dei

fatti  in  questione,  non  era  ancora  entrato  a  far  parte dell'impero

berlusconiano.

 

pag. 12

 

 

 

 

Berlusconi sporgeva querela per l'articolo di "Epoca" il 12 maggio 1987. Il

processo  si  teneva  nell'autunno  del  1988 presso il Tribunale penale di

Verona,  competente per territorio (in quanto "Epoca" si stampava in quella

citta').  Imputati  di diffamazione aggravata a mezzo stampa erano i soliti

Ruggeri  e  Guarino, il collega Carlo Verdelli, e per "omesso controllo" il

direttore del settimanale Alberto Statera (7).

 

La  vicenda  merita  di  essere  seguita attraverso il testo della sentenza

datata  16  novembre  1988  del  Tribunale  penale (presidente Mario Resta,

giudici a latere Giovanni Tamburino e Giovanni Pietro Pascucci, estensore):

<<Si  dolse,  in  particolare,  nell'atto di querela, il Berlusconi, di due

brani contenuti in detto articolo.

 

..  In  primo  luogo  ritenne diffamatorio l'articolo laddove, dopo che gli

autori  avevano  spiegato  il  perche'‚  della  scelta  della casa editrice

Editori  Riuniti  ("Abbiamo  scelto  la  casa  editrice del Pci perche'‚ ci

piaceva  una loro collana, I libri bianchi, quella che pubblica gli atti di

accusa  dei giudici impegnati nei processi piu' importanti: mafia, Sindona,

strage  di Bologna"), con un ardito accostamento e in risposta alla domanda

che  sorgeva spontanea di come c'entrasse Berlusconi coi processi, riferiva

come  testualmente  dichiarato  dagli autori del libro che "un procedimento

penale in corso ce l'aveva anche lui: dal 1983, per reati valutari commessi

insieme  a  Flavio  Carboni.  E  una vicenda poco risaputa ma la si evince,

incontrovertibilmente, dalla relazione della Commissione parlamentare sulla

P2".  In  secondo luogo gravemente diffamatoria, a giudizio del querelante,

doveva ritenersi la frase successivamente riportata nell'articolo anch'essa

come  testuale  dichiarazione  degli autori del libro: "Dal nostro libro su

Berlusconi saltano fuori cose spiacevoli: fallimenti, societa' ombra, mafia

bianca,  Ciancimino,  Calvi,  Gelli" [...]>>. Si da' il caso che all'inizio

della  fase  dibattimentale noi imputati avessimo subito chiarito che Carlo

Verdelli  aveva  riportato  fedelmente  le  nostre  dichiarazioni, e che la

notizia  del  procedimento  penale a carico di Berlusconi era poi risultata

infondata.  Infatti,  nel procedimento penale cui ci eravamo riferiti erano

imputati  il  faccendiere  Flavio  Carboni  e  il suo braccio destro Emilio

Pellicani,  e  deponendo  davanti alla Commissione d'inchiesta sulla Loggia

P2,  Pellicani aveva chiamato in causa anche Berlusconi: si trattava di una

chiamata  di  correita',  tant'e' vero che il faccendiere il 19 luglio 1984

aveva promosso causa civile contro Berlusconi esigendo

 

(7) Non appena Berlusconi acquisira' la Mondadori, Statera verra' sollevato

dalla direzione di "Epoca".

 

pag. 13

 

 

 

la  restituzione  di  545  milioni che avrebbe speso per suo conto e in suo

nome  e  chiedendo  di  <<essere  manlevato  da  tutte le conseguenze a lui

derivanti  e  da  derivare  dal  procedimento  penale pendente davanti alla

Procura  di  Trieste>>:  questo  era quanto noto al momento dell'uscita del

nostro libro e dell'intervista a "Epoca".

 

Mentre  al  Tribunale  di Verona era in corso il processo per la querela di

Berlusconi, ignoravamo ancora che il 6 ottobre 1988 la Prima sezione civile

del  Tribunale  di  Milano,  presieduta dal giudice Diego Curto' (8), aveva

respinto  le  richieste  di Pellicani (ed e' singolare che Berlusconi abbia

ritenuto  di  non  informare  il  Tribunale  di Verona della sentenza a lui

favorevole e avversa a Pellicani - ma forse piu' strano ancora e' il merito

della sentenza...).

 

Nella  prima  edizione  del  nostro  libro,  a pagina 102, avevamo scritto:

<<Pellicani  sostiene  trattarsi  di  procedimenti  per  reati valutari che

vedrebbero  coinvolto,  oltre  a  due  societa'  di  Carboni,  anche Silvio

Berlusconi.   Se   cio'  che  Pellicani  afferma  corrispondesse  al  vero,

significherebbe   che   contro   Berlusconi  sarebbe  in  corso  (1983)  un

procedimento  penale.  Non  ci  e'  consentito soffermarci ulteriormente su

questo   punto  e  di  approfondirlo,  poiche'‚  scatterebbe  il  reato  di

violazione  di segreto istruttorio>>; al collega Verdelli non potevamo aver

dichiarato  altro  -  a scanso di equivoci, lo avevamo pregato di riferirsi

alla  pagina 102 del libro, ed egli lo aveva puntualmente scritto, sia pure

con l'inevitabile imprecisione delle sintesi troppo sommarie.

 

La  prima udienza del processo di Verona si teneva il 27 settembre 1988, ma

nel  frattempo  si erano verificati fatti nuovi. Il procedimento di Trieste

pendente in istruttoria a carico del duo Carboni-Pellicani era approdato in

aula  per  il  pubblico  dibattimento,  e  quindi  era  caduto  il  segreto

istruttorio;   presa   visione  delle  carte  processuali,  avevamo  potuto

constatare   che  Berlusconi  non  figurava  tra  i  rinviati  a  giudizio,

circostanza  che  infatti  subito  dichiaravamo in apertura del processo di

Verona.

 

La  sentenza  ce  ne  dara'  atto:  <<Ruggeri  ha  precisato di aver potuto

recentemente  accertare  l'infondatezza  della notizia... Ma di quali altri

elementi erano in possesso gli autori del libro su tale informazione?

 

Lo  si  ricava dalla memoria oggi prodotta a firma del Ruggeri: "Ma dove la

prudenza,  il  senso della misura, la cautela nel trattare siffatta materia

vengono   da   noi   esercitati  al  massimo  e'  a  proposito  dell'affare

Calderugia-Nova  Nuraghe. Le due societa' - di diritto estero - possedevano

vaste aree edificabili in Sardegna;

 

(8)  Sulle  singolari  coincidenze intercorse fra il corrotto giudice Diego

Curto' e Fininvest-Berlusconi, cfr. pag. 221-22.

 

pag.14

 

 

 

Carboni   e   Berlusconi  le  acquisirono  per  destinare  i  terreni  alla

realizzazione,   in   societa'   tra   loro,  del  gigantesco  progetto  di

insediamento   turistico  noto  come  Olbia  2...  Il  cav.  Berlusconi  ha

dichiarato  di  non  aver mai sentito parlare della Calderugia e della Nova

Nuraghe.  Che  smemorato! In sostanza Berlusconi sapeva che i terreni erano

di  societa' estere, sapeva che volevano il pagamento 'in nero', sapeva che

Carboni-Comincioli avevano ingannato l'Ufficio italiano cambi, e frodato il

fisco,  ecc. Berlusconi aveva fornito il denaro per i terreni in questione,

e  questi  sono  regolarmente  finiti  a  lui con rogito del notaio Zito di

Milano  dell'aprile  1981.  Questi  i  fatti.  Che  poi Pellicani gli abbia

attribuito  una  comunicazione giudiziaria e' un errore deprecabile, ma non

cambia la sostanza dei fatti">>.

 

<<Tali elementi>>, si legge piu' avanti nella sentenza, <<se giustificavano

la  conclusione del cointeressamento di Berlusconi all'acquisto dei terreni

e   del  suo  coinvolgimento  nella  complicata  vicenda  giudiziaria,  non

autorizzavano  certo  la  conclusione di un suo concorso nei reati valutari

addebitati  al  Carboni>>.  Era  questa  considerazione  che determinava la

nostra  condanna  a  un  milione  di lire di multa ciascuno. Per le residue

imputazioni venivamo invece assolti per insufficienza di prove. Il collegio

giudicante  perveniva  alla nostra assoluzione "con riserva" in merito alla

frase   "societa'  ombra,  mafia  bianca,  Ciancimino,  Calvi,  Gelli",  in

considerazione  del  fatto  che <<sono effettivamente esistiti dei punti di

contatto  o  dei  legami  del  Berlusconi con dette persone e con fatti del

genere   giungendosi   anche   a   qualificare   tali   rapporti  come  non

irrilevanti>>,  e  inoltre  perche'‚  quanto  da noi affermato <<non appare

ispirato da motivi contrari ai doveri professionali del giornalista>>.

 

Le  motivazioni  della sentenza del Tribunale di Verona erano un duro colpo

per   il   clan  berlusconiano,  gia'  contrariato  dalla  parzialissima  e

momentanea  "vittoria  di  Pirro".  Il  mensile  "Prima  comunicazione" nel

febbraio  1989  pubblicava  un inserto speciale con il testo completo della

sentenza,  e  segnalava:  <<Il  Tribunale  di  Verona  condanna  i  quattro

giornalisti,    ma    molta    stampa    scrive   che   lo   sconfitto   e'

Berlusconi>>.Infatti,   "L'Espresso"   scriveva  di  <<clamorosa  sconfitta

giudiziaria  di  Berlusconi  a  Verona>>  (9).  "Il manifesto" gli dedicava

questo  colorito  articolo:  <<In galera! Il grido bracardiano e' risuonato

mercoledi'  pomeriggio  nell'aula  di giustizia del Tribunale di Verona, ex

caserma asburgica con vista sul carcere. A lanciarlo e' l'avvocato Domenico

Contestabile, a nome di Silvio Berlusconi e

 

(9) "L'Fspresso", 15 gennaio 1989.

 

pag. 15

 

 

 

all'indirizzo  di Carlo Verdelli, Alberto Statera, Giovanni Ruggeri e Mario

Guarino.  Era  la  quarta  e  ultima  udienza del processo per diffamazione

aggravata  [...].  Berlusconi,  che  alla  sua immagine tiene molto, si era

presentato in persona alla terza udienza, nonostante tutto quello che ha da

fare.  Alla  giuria  aveva  raccontato delle lagrime di mamma' alla lettura

dell'articolo.  Il  suo  avvocato  ha  raccontato  anche  delle lagrime dei

Berlusconi babies alla lettura del libro, incautamente lasciato da papa' in

bella  evidenza  sulla  libreria  della  villa di Arcore. "Il sospetto come

strumento della diffamazione", ha tuonato l'avvocato di parte civile, e per

questa  pratica  da "diffamatori di professione" ha chiesto una riparazione

pecuniaria  di 100 milioni. Il pubblico ministero, da parte sua, ha chiesto

9  mesi  di  reclusione  per  Verdelli,8  per Ruggeri-Guarino,5 per Statera

direttore  di  "Epoca".  Punizione  esemplare  per  chi  lede l'immagine di

Berlusconi? La giuria, dopo 4 ore e mezza, ha deciso che non era il caso...

Una sentenza che certo non puo' soddisfare Berlusconi>> (10).

 

Anche  "l'Unita'",  in  un  articolo  intitolato  Berlusconi amico di Gelli

querela  ma  i  giudici  assolvono,  evidenziava  come il magnate di Arcore

avesse  chiesto,  tramite il suo avvocato, un risarcimento di 100 milioni a

testa,  respinto  dal  Tribunale,  e condanne per tutti tra i 5 e i 9 mesi:

<<Il  Tribunale  a  tarda  sera  ha  invece  emesso  una  sentenza diversa,

assolvendo  gli  imputati  proprio sulle contestazioni piu' gravi, sia pure

per insufficienza di prove>> (11).

 

Ai  nostri  avvocati  Corso  Bovio, Caterina Malavenda e Paolo Maruzzo (che

sono  anche  colleghi  pubblicisti,  e  ci hanno assistito con competenza e

passione), davamo mandato di ricorrere avverso la sentenza del Tribunale di

Verona.  Il  22  ottobre  1992,  la  Corte d'Appello di Venezia (presidente

Michele  Curato, consiglieri Lionello Marini e Umberto Mariani) trasformava

l'assoluzione per insufficienza di prove in assoluzione piena, e riduceva a

700  mila lire la multa per avere attribuito a Berlusconi il coinvolgimento

in  reati  valutari  in  concorso  con  Carboni. Dunque, risultava vieppiu'

legittimo,  e con l'autorevolissimo avallo del Tribunale, accostare il nome

e le gesta di Silvio Berlusconi al Venerabile maestro piduista Licio Gelli,

al  mafioso  Vito  Ciancimino, al bancarottiere piduista Roberto Calvi, e a

vicende   i   fallimenti,   societa'   ombra,   "mafia   bianca".  Rimaneva

l'infinitesimale

 

(10) "il manifesto", 18 novembre 1988.

(11) I'Unita'". 17 novemhre 1988

 

pag. 16

 

 

 

neo  della  multa  per  una  svista non nostra - un minuscolo neo del quale

volevamo comunque liberarci.

 

L'ultimo  atto  e'  del  30  marzo  1993.  La  Corte  suprema di Cassazione

(presidente  Guido Guasco, consiglieri Giuseppe Ciufo, Guido Ietti, Alfonso

Malinconico,   Carlo   Cognetti)   accoglieva  il  nostro  ricorso,  giusto

l'articolo  90  del  vecchio  Codice  di  procedura  penale:  <<L'impugnata

sentenza  dev'essere  annullata  senza rinvio>>, sentenziava la Cassazione.

Era  la  vittoria  finale  e  completa. Di tutti e tre i gradi di giudizio,

niente e' rimasto a nostro carico, neppure la pur modestissima multa.

 

L'onnipotente  Cavaliere, da parte sua, non solo doveva prendere atto della

completa  sconfitta,  ma  finiva nei guai per falsa testimonianza - cioe' a

dire, l' accusatore finiva sul banco degli imputati, ai sensi dell'art. 372

del  Codice  di  procedura  penale.  Al  Tribunale  di  Verona,  nel  corso

dell'udienza   del  27  settembre  1988,  Berlusconi  aveva  deposto  sotto

giuramento;  interrogato  in  merito  alla  sua  affiliazione  alla  Loggia

massonica  P2,  l' aveva temporalmente collocata nell'anno 1981 (invece che

nel  1978, come noi avevamo scritto), e aveva affermato - mentendo - di non

avere  corrisposto  al  Venerabile  maestro  Licio  Gelli  alcuna  quota di

iscrizione alla Loggia, al momento dell'affiliazione. Al cospetto di queste

clamorose menzogne, avevamo inoltrato un esposto alla Pretura di Verona.

Il 22 luglio 1989 il pretore Gabriele  Nigro  firmava  una  sentenza

istruttoria  di  <<non doversi procedere contro l'imputato [Berlusconi NdA]

perche'‚ il fatto non costituisce reato>>. Avverso la decisione del pretore

si  appellava  il  Procuratore  generale  della  Corte d'Appello di Venezia

Stefano Dragone.

 

Il  processo d'Appello aveva luogo nel maggio 1990. Dal nostro esposto alla

Pretura  erano  trascorsi  venti mesi, nel corso dei quali era stata varata

dal   Parlamento   l'ennesima   amnistia  (la  ventitreesima  della  storia

repubblicana);  essa  diveniva  operante  il 12 aprile 1990, e riguardava i

reati  commessi  fino  a  tutto  il 24 ottobre 1989 - per Berlusconi era un

provvidenziale  salvagente.  Quando  i  magistrati  lo  avevano convocato a

Venezia per rispondere del reato di falsa testimonianza, l'editore piduista

aveva  dichiarato:  <<Spero  che  la prossima amnistia, che si annunzia non

rinunziabile,  non  mi tolga il piacere di vedere confermata la sentenza di

proscioglimento  [della  Pretura,  NdA] dalla Sezione istruttoria presso la

Corte di Appello di Venezia>> (12), "Amnistia non rinunziabile"? Berlusconi

 

(12) "L'Espresso", 25 febbraio 1990.

 

pag. 17

 

 

 

fara'  tutto  meno  che  rinunciarvi,  e  la Corte d'Appello (presidente G.

Battista  Stigliano,  consiglieri  Luigi Nunziante e Luigi Lanza, relatore)

non gli togliera' alcun piacere: <<Ritiene il Collegio che le dichiarazioni

dell'imputato  non  rispondano  a  verita'...  Ne  consegue  quindi  che il

Berlusconi,  il  quale,  deponendo davanti al Tribunale di Verona nella sua

qualita'  di  teste-parte  offesa,  ha  dichiarato  il  falso  su questioni

pertinenti  alla  causa  ed  in  relazione all'oggetto della prova, ha reso

affermazioni  non estranee all'accertamento giudiziale e idonee in astratto

ad alterare il convincimento del Tribunale stesso e cio' (a prescindere dal

mancato  utilizzo  processuale  delle  dichiarazioni menzognere medesime da

parte  del  giudicante) ha compiutamente realizzato gli estremi obiettivi e

subiettivi  del  contestato  delitto... Il reato attribuito all'imputato va

dichiarato estinto per intervenuta amnistia>>.

 

Complimenti, Cavaliere!

 

Giovanni Ruggeri - Mario Guarino

 

 

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2 - Affermazioni del 3-10-2002 della tessera P2 1816

 

-  Berlusconi, graziato dalla amnistia del 1989, si permette di affermare impunemente che l'amnistia  del 1989 ha salvato i dirigenti del PCI-PDS-DS; proprio lui parla' della amnistia del 1989. 

 - il silenzio dei dirigenti del PCI-PDS-DS riguardo le gravi affermazioni fatte nell'articolo  lo si comprende solo se sulla vicenda P2 i dirigenti del PCI-PDS-DS  sono sotto ricatto. (ad esempio perche' si devono coprire iscritti del PCI iscritti anche  alla P2, ipotesi di cui sono sempre piu' convinto.)

 

Quando avro’ occasione, soprattutto in pubblico, chiedero’ perche’ ufficialmente i dirigenti del partito hanno fatto orecchio da mercante.

 

Lo stralcio tratto dal Giornale del 03-10-2002 l'ho letto nel  capitolo del libro :  "B Tutte le carte del Presidente"  Ed. Tropea - Gianni Barbacetto  in cui v’ e’  l'articolo firmato dalla tessera P2 1816.

 

*******

 

Tutta colpa dei comunisti

 

Sergio Moroni, dirigente e parlamentare del Partito socialista, si toglie

la vita il 2 settembre 1992 nella sua casa di Brescia. Aveva ricevuto tre

avvisi di garanzia, che gli contestavano il ruolo di esattore delle

tangenti per il Psi nel settore dei rifiuti. Prima di morire, aveva inviato

al presidente della Camera, Giorgio Napolitano una lettera in cui

protestava contro il <<clima di pogrom>) e contro la <<decimazione >>

casuale della classe politica, la <<ruota della fortuna>> che <<assegna a

singoli il compito di vittinie sacrificali>>. Ma in quella lettera Moroni

ammetteva il suo ruolo nel sistema dei finanziamenti illeciti, poi

definitivamente confermato nelle sentenze a carico dei suoi complici

(risultera’<<accertata e pienamente provata la materialita’dei fatti>>, e

cioe’ che Moroni aveva ricevuto <<circa 200 milioni in totale nelle sue

mani in una cartellina tipo quelle da ufficio, avvolta in un giornale>>).

 

Un suo amico e compagno di partito, Loris Zaffra, dichiara nel gennaio 1993

al settimanale Panorama: <<Aveva ragione il povero Sergio Moroni quando,

nella sua lettera scritta prima del suicidio aveva parlato di ruota della

fortuna: sei stato preso, peggio per te.

 

Con Moroni ne avevamo discusso la scorsa estate. Aveva molto sofferto per

il cordone sanitario che gli era stato fatto attorno. Tangentopoli ha messo

a nudo, oltre al giro delle tangenti, la slealta’ dei rapporti politici.

Sei stato arrestato? Peccato per te, entri nel cesto delle mele marce. Gli

altri, che con te hanno diviso errori e responsabilita’, si girano

dall'altra parte. Inaccettabile>>).

 

Dieci anni dopo, i compagni che lo avevano ipocritamente emarginato

celebrano la memoria di Moroni. E quelli che avevano invece inneggiato a

Mani pulite, come Marcello Pera e lo stesso Silvio Berlusconi [pag. 174],

si ritrovano a commemorare il parlamentare attaccando Mani pulite e i suoi

magistrati. Una commemorazione ufficiale di Moroni viene organizzata alla

Camera e a essa segue una lettera di Berlusconi pubblicata sul giornale di

famiglia il 3 ottobre 2002. Nella lettera, la corruzione viene giustificata

con l'esigenza "democratica" di contrastare i comunisti, che potevano

disporre di finanziamenti da Mosca. Quei finanziamenti che non sono piu'

reato, sottolinea Berlusconi, grazie all'amnistia "voluta fortissimamente

dalla sinistra" nel 1989: proprio l'amnistia "provvidenziale" che nel 1990

aveva salvato Berlusconi dalla sua prima condanna, quella per falsa

testimonianza sulla P2 [ pag. 115].

 

In verita’, nel sistema di Tangentopoli e’ stata in piu’ casi provata

l'esistenza del "cassiere unico", che ritirava le tangenti e poi le

divideva tra i diversi partiti, comunisti compresi: questi erano dunque in

piu' casi alleati e complici con cui spartire il bottino, non nemici da

battere in nome della democrazia. Ma ormai le necessita’ polemiche

sovrastano la ragione e i fatti. Berlusconi, che nel videomessaggio della

"discesa in campo", nel 1994 [ pag. 169], criticava i partiti e rendeva

omaggio a Mani pulite, nel 2002 considera ormai i magistrati i suoi grandi

nemici e difende non solo i vecchi partiti, ma anche il loro illegale

sistema di finanziamento.

 

IL VERO COLPO DI SPUGNA

 

Silvio Berlusconi, il Giornale, 3 ottobre 2002

 

La vicenda umana e politica di Sergio Moroni E’ lo specchio tragico di

un'epoca inquisitoria e buia, per molti aspetti ancora sconosciuta, un

fiume tumultuoso che travolse l'Italia, un'onda giustizialista che fini’

per cancellare dignita’e garanzie e per destabilizzare gli equilibri

democratici dello Stato di diritto. Tangentopoli fu vissuta dall'opinione

pubblica, a causa anche di un cortocircuito politico-mediatico-giudiziario,

come un'illusione salvifica, come un atto liberatorio, ma restera’ invece

nella storia del nostro Paese come un marchio indelebile di giustizia

parziale. E quando la giustizia e’ parziale genera solo ingiustizia,

seminando inquietudine e disperazione. Questo ci ricorda Sergio Moroni, che

individuo’ nel gesto "estremo" di togliersi la vita l'unico modo per far

sentire la propria voce e per affermare la propria innocenza. Questo ci

devono ricordare le altre venticinque persone che si uccisero ai tempi di

Tangentopoli.

 

La giustizia penale non dovrebbe mai avere finalita’ politiche. Non puo’

averle, per definizione, perche’ la responsabilita’ penale e’ personale.

Come espressione della volonta’ punitiva dello Stato per chi commette

singoli reati, essa dovrebbe esaurirsi nella valutazione di fatti

specifici, le cui conseguenze possono, si’, essere anche politiche, ma

soltanto come riflesso occasionale. L'esperienza italiana ha dimostrato,

invece, che una certa giustizia puo’ portare alla fine di un sistema

politico, all'esautorazione di un'intera classe dirigente e puo’, in

definitiva, sostituirsi al popolo nella scelta di chi deve governare il

Paese.

 

I numeri di Tangentopoli sono emblematici nella loro crudezza: Carlo

Giovanardi, nel suo libro Storie di straordinaria ingiustizia ricorda che

88 deputati della Democrazia cristiana, su un totale di 206 eletti alle

elezioni del 5 aprile 1992, furono inquisiti. Tranne quattro, sono stati

tutti prosciolti o non giudicati. Eppure quel Parlamento fu messo alla

berlina come "il Parlamento degli inquisiti" e fu sciolto anticipatamente

malgrado esistesse ancora una maggioranza legittimamente eletta. Lo stesso

trattamento fu riservato agli altri partiti che nella Prima Repubblica

avevano fatto da diga, insieme alla Dc, contro il pericolo comunista: il

Partito socialista, il Partito socialdemocratico, il Partito repubblicano e

il Partito liberale.

 

Quel sistema, caratterizzato da due blocchi ideologici, aveva esaurito la

sua ragion d'essere con la caduta del Muro di Berlino, ma pochi se ne

accorsero. Era un sistema consociativo consolidato da decenni, di un

difficile equilibrio di potere costantemente "contrattato" con

l'opposizione comunista. Questa anomalia, questa assenza totale di

alternanza di governo aveva portato quel sistema a una serie di

degenerazioni. Ma non bisogna mai dimenticare che la corsa al finanziamento

illegale dei partiti era stata innescata dai poderosi finanziamenti che il

Pci riceveva dall'Urss, da parte della potenza, cioe’, che si contrapponeva

apertamente alle democrazie occidentali. La sinistra comunista e

postcomunista era dunque corresponsabile a pieno titolo di quella

degenerazione, ne era anzi la causa principale.

 

Ma alla fine di Tangentopoli il Pds, erede diretto del Pci travolto da una

disfatta storica, fu l'unico tra i principali partiti a rimanere in piedi.

 

Cio’ avvenne, in primo luogo, per la "provvidenziale" amnistia del 1989

voluta fortissimamente dalla sinistra, amnistia che consenti’ di azzerare

tutti gli effetti giudiziari del finanziamento sovietico. Quello si’che fu

"colpo di spugna"!

 

Ed e’ abbastanza sconcertante che ora, a tredici anni di distanza chi

usufrui’di quell'amnistia salvifica propugni la definitiva eliminazione di

questo istituto. La sinistra, in questi anni, ha raccontato una storia

assolutamente strabica della Prima Repubblica: quella secondo cui in Italia

sarebbe esistita una "questione morale" dalla quale pero’erano esenti,

grazie alla loro "diversita’", solo i comunisti. Questa surrettizia

ricostruzione del fenomeno della corruzione in Italia e’ in realta’ servita

per coprire due fenomeni che hanno prodotto effetti disastrosi: la

trasformazione della questione morale in questione giudiziaria e la

trasformazione dell'azione giudiziaria in azione politica.

 

Quando scesero clamorosamente in campo, i magistrati del pool di Mani

pulite poterono sostenere che il loro compito era quello di processare un

sistema, di "combattere un fenomeno".

 

Non piu’ di perseguire i singoli reati, dunque, come prevede la legge, ma

di "ripulire un sistema", "di rivoltare l'Italia come un calzino".

Tangentopoli non fu una rivoluzione in senso proprio ma fu sicuramente il

tentativo di un ordine dello Stato di attribuirsi un ruolo etico di

preminenza e politico di supplenza, con l'intento di celebrare "un grande

processo pubblico", come ebbe a definirlo il procuratore capo di Milano.

 

A quei magistrati fu concesso di bloccare il normale iter di approvazione

delle leggi con pronunciamenti sulle scalinate del Palazzo di Giustizia e

di usare la carcerazione preventiva per costruire le prove attraverso le

confessioni, confessioni che in quel clima arrivavano copiose anche da

parte degli innocenti che avevano quel solo mezzo per uscire di galera. Si

arrivo’ perfino all'ignobile tentativo di denigrare i suicidi: qualcuno,

quando si seppe della morte di Sergio Moroni, insinuo’ che ci si uccide

anche per vergogna. Ma Moroni, come tanti altri, non aveva nulla di cui

vergognarsi, avendo lealmente servito la causa del suo partito, la cui

scomparsa ha inferto una grave perdita alla sinistra riformista.

 

Moroni si tolse la vita in preda a una lucida e sfuggente disperazione,

come risulta chiaramente dalla lettera al presidente della Camera

dell'epoca. In quella lettera c'e’, espresso in forma sintetica, molto di

quello che si poteva e si doveva dire.

 

Voglio rileggerlo ancora. "Un grande velo di ipocrisia (condiviso da tutti)

ha coperto per lunghi anni i modi di vita dei partiti e i loro sistemi di

finanziamento. Ne’ mi pare giusto che una vicenda tanto importante e

delicata si consumi quotidianamente sulla base di cronache giornalistiche e

televisive a cui e’ consentito di distruggere immagine e dignita’ personale

di uomini solo riportando dichiarazioni di altri. Mai e poi mai ho pattuito

tangenti. Eppure vengo coinvolto nel cosiddetto scandalo tangenti e

accomunato dalla definizione di 'ladro' oggi cosi’ diffusa. Non lo accetto,

nella serena coscienza di non aver mai approfittato di una lira. Ma quando

la parola e’ flebile non resta che il gesto."

 

La sua grandezza, la grandezza di Sergio Moroni, sta proprio nel fatto che

e’ arrivato a sacrificare la vita per superare con un gesto estremo "la

flebilita’della voce". Ma cio’ e’ proprio il contrario della

normalita’democratica. E' stato detto che la democrazia non ha bisogno di

eroi, e se una persona equilibrata come Moroni arrivo’ a togliersi la vita,

significa che in quel momento il giustizialismo aveva commissariato la

democrazia. Ma una democrazia non puo’ crescere e sviluppare le sue

potenzialita’ se e’ frenata da uno scontro di potere fra una corrente della

magistratura che concepisce il proprio ruolo in termini di egemonia

politica e una parte della politica, espressione della maggioranza degli

italiani, che invece intende riaffermare le prerogative della volonta’

popolare. Per questo e’ giunto il momento di voltare pagina, senza volonta’

punitive nei confronti di nessuno, ma tenendo ben presente che la questione

giustizia in Italia e’ la questione della legittimita’ e della sovranita’

democratica.

 

La Casa delle liberta’ ha vinto le elezioni proponendo una riforma della

giustizia in senso piu’ garantista, in grado di rafforzare il ruolo del

giudice terzo di fronte allo strapotere del pubblico ministero, che deve

tornare a rappresentare nel processo la parte accusatoria, e non a essere

visto come il rappresentante della legge davanti al quale la difesa fa la

parte del sabotatore dell'ordine costituito. L'esperienza ci ha insegnato

che dietro l'usbergo dell'obbligatorieta’ dell'azione penale spesso si e’

celata e si cela la piu’ grande discrezionalita’, che e’ una

pericolosissima strada per realizzare la disuguaglianza dei cittadini di

fronte alla legge. Come Sonnino invoco’ a suo tempo il "ritorno allo

Statuto", cosi’ noi riteniamo che si debba tornare alla Costituzione, ai

principi dello Stato di diritto.

 

Per creare queste condizioni intendiamo approvare tutte le riforme che

abbiamo in programma cercando nello stesso tempo di svelenire lo scontro

politico in atto, per ricondurlo alla logica del normale confronto

democratico. E' difficile, pero’, dialogare con coloro che sostengono che

il 13 maggio del 2001 "la criminalita’ organizzata ha vinto le elezioni" e

assimilano ogni tentativo di riforma della giustizia a un atto eversivo. Ma

i fatti li smentiscono. Avevano detto che la legge sulle rogatorie avrebbe

fatto scarcerare mezza malavita italiana, e naturalmente nulla di tutto

questo e’ accaduto. Sono arrivati fino al punto di insultare il Parlamento,

con la scusa ipocrita di difenderlo dalla legge sul legittimo sospetto, che

e’ una legge garantista che in Italia esisteva gia’ e che e’ giusto e

doveroso ripristinare.

 

Noi, e lo dico soprattutto a Chiara Moroni, che sta coraggiosamente

portando avanti nella Casa delle liberta’ la battaglia iniziata da suo

padre, abbiamo il dovere di far si’ che non ci sia una nuova Tangentopoli.

Una democrazia che funziona sa far rispettare le sue leggi senza dover

ricorrere al giustizialismo giacobino, e non ha bisogno ne' di sceriffi ne'

di eroi, ma di regole incorniciate in un sistema garantista che sappia

offrire una giustizia rapida e in cui il giudice abbia recuperato

attraverso la sua indispensabile imparzialita’ tutta la sua autorevolezza.

 

Il carcere non deve piu’ essere usato per la formazione della prova. E' il

momento di voltare pagina. Chi e’ chiamato a far rispettare le leggi dello

Stato, e puo’ dunque togliere la liberta’ a un cittadino, deve essere

cosciente di maneggiare un'arma terribile. Il carcere e’ l'extrema ratio

nella difesa degli interessi statuali, e mai piu’dovra’ essere usato come

mezzo di formazione della prova.

 

Lo riaffermiamo oggi, nel commosso ricordo di Sergio Moroni. Lo

riaffermeremo sempre, tenendo la nostra rotta ben distante sia

dall'indulgenza verso la corruzione che dal giustizialismo, due facce di

una medaglia che ha drammaticamente segnato la nostra vita, la vita

italiana negli anni novanta. E non saranno ne’ i giacobini ne’ i

girotondini a rimettere indietro l'orologio della Storia.

 

 

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3 - Gravi offese di Paolo Guzzanti  a  Prodi  del 06-12-04

 

Prodi non ha ritenuto di dover difendere il suo onore a fronte delle affermazioni che Guzzanti fa.

 

Ho anche scritto a Prodi, alla casa di Bologna in Via Gerusalemme (BO) segnalando l’articolo di Guzzanti e per  informarlo di questo articolo e delle affermazioni veicolate a  RAITRE dal giornalista Venturini del Corriere della Sera.

 

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PAOLO GUZZANTI Il Giornale  06-12-04

 

Si potrebbe rispondere a Prodi che  quando uno definisce mercenari i militanti del partito di maggioranza relativa, si qualifica politicamente come un fior di mascalzone, punto e basta. Ma questa faccenda  del  mercenario non va vista soltanto come una rissosa provocazione, una becera trovata di un uomo dal passato cupo di ombre e scarso di luci. No, questa mascalzonata va capita nel suo significato politico, va spiegata. Prodi, si sa, è uno che va per le spicce. Quando fecero il golpe contro Gorbaciov, lui si dimostrò amico dei comunisti golpisti  e lo disse in un'intervista.

 

Prodi è quel signore, giova ricordarlo, che ha mentito ai giudici, ha mentito al Parlamento e seguita a mentire al Paese sulla storia della seduta spiritica in cui si fece sapere che Aldo Moro, prigionièro di forze ancora oggi oscure, ma forse chiarissime, era prigioniero a via Gradoli, salvo scambiare il nome di quella strada con quello di un omonimo paesino.

 

Prodi è quel signore che svendeva la Sme a prezzi ridicoli, che ha fatto a pezzi il Paese e che ha per anni giocato la parte del moderato, dando vita alla leggenda mistica della santa mortadella, a quella del pacioccone, o del parroco di campagna.

 

Tutte balle: Prodi non è una mortadella, ma semmai un salame secondo molti diessini di mia conoscenza. Non è un pacioccone, ma una persona dagli umori lividi e vendicativi. Non è un parroco di campagna nel senso buono, ma potrebbe esserlo nel senso cattivo: di quei «cura» dell'America Latina che seguendo in modo contorto la teologia della liberazione, adoravano il mitra invece che il crocefisso.

 

Prodi è un uomo che finge: finge di declamare principi, finge di credere in valori, è stato ritratto dalla stampa inglese come un disastro e dalla stampa europea come un imbarazzo europeo. Lo spedirono li', in Europa, Cossiga e D'Alema, dopo averlo fatto cadere con un colpo di maggioranza di un solo voto, mentre Cossutta sulla sua via di Damasco diventava governativo.

 

Bene, quel Prodi pacioccone, moderato, misurato, un po' bavoso se volete, dall'eloquio rassicurante perché strascicato e dalla dizione mai limpida, ha fatto come certi supereroi dei cartoni americani: è entrato in una cabina telefonica, si a tolto il liso panciotto, si è spolverato la forfora, si è spogliato ed è rimasto nel costume con mantellina con la grande «M» di Mascalzone, quella che provoca turbamenti e languori a Pecoraro Scanio, a Rizzo, Cento e compagnia. Ma anche a sinistra, gente normale e magari un po' triste ma seria come Fassino, non ha gradito la sortita vergognosa e si e' tirato indietro. Il Tg3 di ieri sera, l'ammiraglia della sinistra, arrossendo sullo schermo a colori parlava

d'altro.

 

E dunque  l'uscita di questo medium da retrobottega, di questo presidente dell'Europa al quale gli americani, gente d'intuito, facevano sfilare le scarpe all'aeroporto per passarle ai raggi X, ha provocato imbarazzo e freddezza fra la gente normale del centrosinistra, che però è in minoranza, perché il cosiddetto centrosinistra è una sinistra demenziale e all' occorrenza violenta, che regge il timone, e una piccola sinistra normale che fa finta di produrre idee di governo e non ci riesce.

 

Allora, come si spiega la mascalzonata? Io, che non essendo un politico di professione, ho impiegato qualche mese prima di capire come funziona la giostra, ho dovuto imparare anche a spese mie, oltre che seguendo l'aggressione  continua e canagliesca contro Berlusconi, che l'odio, l'agguato, l'innesco di meccanismi emotivi, sono sempre sintomi di disperazione politica e vanno trattati come tali: eccellenti (per noi) motivi di gioia. L'uso della parola «mercenari»  è un attrezzo per disperati. È la prova  che chi era già arcisicuro di avere la futura vittoria in tasca, sente che sta per perdere tutto.

 

 

Lettera che ho spedito a Prodi il 07-12-04 per informarlo dell’articolo di Guzzanti.

 

Professor Prodi, sono un volontario che lavora gratuitamente per lei ma non per D’Alema, Fassino, Rutelli, Bertinotti e tutti i complici e collusi con la tessera P2 1816.

 

La presente per informarla che il giorno 06/12/04 alle ore 7:30 circa, il giornalista Franco Venturini del Corriere della Sera, a Prima Pagina di RAI –TRE, ha dato lettura di un brano dell’articolo scritto da Paolo Guzzanti e pubblicato su “ IL GIORNALE” del 06-12-04.

 

Tra l’altro Venturini ha letto la frase  che segue piu’ avanti senza fare alcuna rettifica, quindi veda lei come procedere.

Personalmente ho fatto immediatamente 2 telefonate al numero 800050333 dal mio cellulare 3478502650, mentre stavo andando al lavoro.

Volevo rettificare e precisare immediatamente alla radio che se c’e’ un matricolato bugiardo con sentenza passata in giudicato, questi e’ la tessera P2 1816 (sentenza n. 97 n. 215/89 Reg. Gen. Della Corte di Appello di Venezia).

Ovviamente la redazione di Prima Pagina non mi ha richiamato neppure il giorno 07-12-04, nonostante un ulteriore sollecito fatto alla sera del 06-12-04 tramite e-mail.

La frase che e’ stata trasmessa per radio, senza smentita e’ :

 

“Prodi e’ quel signore, giova ricordarlo, che ha mentito ai giudici, ha mentito al Parlamento, e seguita a mentire al Paese sulla storia della seduta spiritica in cui si fece sapere che Aldo Moro, prigioniero di forze ancora oggi oscure, ma forse chiarissime, era prigioniero a via Gradoli, salvo scambiare il nome di quella strada, con quello di un omonimo paesino.”

 

                                               Distinti saluti

                                                                                     Pietro Campoli

 

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4 - Affermazioni di Andreotti sulla sentenza per mafia.

 

 

WWW.CENTOMOVIMENTI.COM - 21 MARZO 2005
Senatore Andreotti, Le spiace se parliamo di mafia?
LETTERA APERTA A GIULIO ANDREOTTI - A CURA DI PIERO RICCA

 

Egregio Senatore Andreotti, venerdì 18 marzo Lei era a Milano, a Palazzo Marino, per raccontare la storia della Repubblica ai bambini delle elementari. Quella sera, alla Casa della Cultura di Milano, veniva presentato un volume di scritti di Giuseppe Fava, giornalista ucciso dalla mafia il 5 gennaio del 1984. La coincidenza mi ha fatto riflettere.
E ho sentito l’esigenza di scriverle questa lettera, per chiederle un chiarimento, su un tema che avrei preferito proporle direttamente se, l’autunno scorso, alla Fondazione Cariplo, sempre a Milano, due agenti della Digos non mi avessero impedito di partecipare a un convegno pubblico, nel quale lei, in qualità di ospite d’onore, ricordava la figura di Alcide De Gasperi. Censura preventiva del dissenso, ho preso a chiamarla.

Vengo
al dunque. Lei, senatore Andreotti, alla Giustizia italiana risulta colluso con la mafia, almeno fino al 1980. Mi sbaglio?
La sentenza definitiva della Corte di Cassazione ha infatti confermato il verdetto di appello, che la assolveva per intervenuta prescrizione del reato di associazione a delinquere, mentre per l’imputazione di concorso in associazione mafiosa, relativa a fatti successivi al 1980, non riteneva sufficientemente provata l’accusa. Dico bene? Prescrizione non equivale a innocenza.
Se il processo fosse durato meno – e la piaga della lunghezza dei processi, come ognun sa, reca danno ai diritti degli onesti - lei infatti sarebbe stato condannato, in nome del Popolo Italiano.

Sicché solo per una questione procedurale – una garanzia cui l’imputato può chiedere di rinunciare – lei, senatore a vita Andreotti, si è salvato da una condanna per aver collaborato con l’organizzazione criminale che, sparandogli alla nuca, ha ucciso uomini come Giuseppe Fava.
Del resto, le circostanze che sono emerse da quel processo, sul piano morale, squalificano la sua biografia politica. In altri paesi, su queste ombre, si sarebbe aperto un ampio dibattito. Qui no.
Mi dispiace doverle ricordare questi fatti, ma non sono soltanto fatti suoi. Non riguarda solo lei, senatore Andreotti,
il fatto che una sentenza di assoluzione per prescrizione, riferita all’uomo di governo più longevo e rappresentativo d’Italia, non abbia generato scandalo, tranne nella solita e sparuta cerchia di ficcanaso con il “vizio della memoria”. Demonizzatori, ci chiamano.


Al contrario lei ha ricevuto congratulazioni dalle alte cariche istituzionali. I media l’hanno rappresentata come la vittima dell’orco giustizialista. I patroni hanno esultato a pugni alzati. Il padrone di Casa dei "liberali" e le sue squadre hanno colto l’occasione per un nuovo j’accuse agli eversori in toga. Gli oppositori politici, in gran parte, sono stati al gioco. La Curia si è felicitata. Il Papa l’aveva già assolta con una carezza preventiva. Pochi, troppo pochi hanno detto e saputo la verità.
Si sognava l’Ipocrisia al Potere nei giorni belli della Costituente?
E così lei, da “Cittadino al di sopra di ogni sospetto”, continua a frequentare l’aula del Senato della Repubblica, a presenziare a pubblici convegni con selezione all’ingresso, perfino a raccontarci, tramite lo storiografo confidenziale Bruno Vespa, i retroscena della storia d’Italia “da Mussolini a Berlusconi”.
Lo fa con humour, non lo nego, ma non tutto nella vita – e questo lei stesso lo riconoscerà – può essere liquidato con un motto di spirito.

Fava, dicevo. Lui è di quelli che hanno conosciuto il prezzo della verità. Lui certo avrebbe trovato le parole giuste per raccontare la sua strana assoluzione. Ed è la memoria di uomini come lui – tra le tante vittime della mafia che proprio oggi a Roma vengono ricordate dall’associazione Libera di Don Ciotti – che mi induce a non rassegnarmi a vivere in un paese in cui le sentenze che riguardano i potenti valgono niente, mentre le leggi vengono scritte da prescritti e pregiudicati per mafia e corruzione. Altrimenti il sacrificio dei giusti non avrebbe senso.
Ecco perché mi permetto di chiedere a lei, senatore Andreotti, con la considerazione che meritano tanto la sua alta carica quanto la sua affilata intelligenza, come può un semplice cittadino continuare ad avere fiducia nelle istituzioni e rispetto per la legge, di fronte al trionfo del cattivo esempio?
Come posso, mi dica, come posso convincermi che la legge abbia ancora un minimo fondamento etico, se essa è prodotta da un Parlamento in cui siede come senatore a vita, in mezzo a decine di pregiudicati, un cittadino considerato dalla Giustizia colluso con la mafia, sia pure prescritto?
O forse possono bastare la sua dichiarata buona fede e la pronta solidarietà dell’establishment a rassicurarmi?

Io non so dare una risposta serena a questi interrogativi. Mi aiuti lei, senatore Andreotti, dall’alto della sua cristiana saggezza. Mi risponda, mi rassicuri, mi aiuti a capire. La distinzione del laticlavio a vita, forse, questo modesto onere può anche comportarlo.
Lei certo comprende che dopotutto il mio non è che un appello alla parte più integra della sua coscienza, che nessuna guardia del corpo, mediatica o di polizia, può togliere a lei la libertà di esercitare e a me il diritto di interpellare. Un cordiale saluto, con gli auguri per una Pasqua serena.

 

 

WWW.CENTOMOVIMENTI.COM - 15 APRILE 2005
Non sono stato assolto per prescrizione
GIULIO ANDREOTTI

 

Lo scorso 21 marzo il nostro quotidiano ha pubblicato una lettera aperta, firmata da Piero Ricca, indirizzata al senatore a vita Giulio Andreotti. Il sette volte presidente del Consiglio ha risposto. Ricca ha infatti ricevuto una lettera, spedita tramite il servizio postale, su carta intestata di Palazzo Madama. Pubblichiamo di seguito il contenuto della missiva.

Caro signor Ricca, La ringrazio
per avermi scritto direttamente. Io non sono stato assolto per prescrizione. Circa il presunto incontro con il mafioso Bontade, il "collaborante" aveva fissato una data e mi fu facile smontarla (ero in Giappone). Fissò allora un... periodo: quello della stagione della caccia. ll tribunale non aderì alla mia proposta di presentare confutazione datata (come feci puntualmente sui presunti "buchi" nei miei spostamenti in quegli anni). L'incontro con Bontade non ha quindi insufficienza di prova, ma inesistenza di prova. Se desidera (è un volumone) le mando copia della sentenza. E' spiacevole che dopo dieci anni di tiro al piccione si continui - anche da uno dei procuratori - a confondere le idee.
Con vivi saluti
Giulio Andreotti

 

 

 

WWW.CENTOMOVIMENTI.COM - 19 APRILE 2005
Prescrizione: la sentenza parla chiaro
PIERO RICCA

 

Egregio senatore Andreotti, La ringrazio molto per la risposta. Con garbo Lei fa capire che chi come me si scandalizza nel vedere uno come Lei onorato quale senatore a vita, è una persona dalle idee confuse. Può darsi. Prima di scagionarsi dall’accusa di aver incontrato il mafioso Bontade, Lei afferma di non essere stato assolto per prescrizione. Per verificarlo, Lei mi suggerisce la lettura della sentenza di appello, poi confermata dalla Cassazione, che avrebbe posto fine al "tiro al piccione" nei Suoi confronti.
Apprezzo molto che Lei sia disponibile a inviarmene copia e la riceverò volentieri, anche perché finora di quel "volumone" ho letto solo qualche stralcio. Per esempio il seguente:

"Andreotti ha commesso il reato di partecipazione all'associazione per delinquere (Cosa Nostra, ndr)... concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980... estinto per prescrizione... L'imputato ha indotto i mafiosi a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi (come l'assassinio di Mattarella) nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati, ha omesso di denunciare le loro responsabilità, malgrado potesse, al riguardo, offrire utilissimi elementi di conoscenza... Aveva una propensione a intrattenere personali, amichevoli relazioni con esponenti di vertice di Cosa Nostra... (per) utilizzare la struttura mafiosa per interventi extra ordinem ... forme di intervento para-legale che conferisce, a chi sia in possesso dei canali che gli consentano di sperimentarle, un surplus di potere rispetto a chi si attenga ai mezzi legali... La manifestazione di amichevole disponibilità verso i mafiosi è stata consapevole e autentica e non meramente fittizia... I fatti non possono interpretarsi come una semplice manifestazione di un comportamento solo moralmente scorretto e di una vicinanza penalmente irrilevante, ma indicano una vera e propria partecipazione alla associazione mafiosa, apprezzabilmente protrattasi nel tempo"

In attesa della lettura integrale, mi permetto di chiederLe: Davvero Lei ritiene di non essere stato assolto per prescrizione? Rientra forse tra gli "altissimi meriti" sanciti dall’art. 59 della Costituzione la "partecipazione alla associazione mafiosa?".
Che cosa si deve pensare di una democrazia che permette al governante più longevo del Paese, così descritto da una sentenza definitiva, di sedere in Parlamento come senatore a vita? E infine: non è mai stato sfiorato dal pensiero di dimettersi, posto che per un senatore a vita questo sia giuridicamente possibile?

 

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5- Censura di D’Alema –e  menzogna di Veltroni  (gennaio-luglio 2000)

 

Corriere della Sera del 16-01-2000

PAGINA 3


EMOZIONI

Il premier fa l’umile e non attacca mai il <<nemico>> Berlusconi

 

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

Gli era scappata cosi’, come scappano a lui, per eccesso di baldanza nel corso d'una passerella trionfale: <<Certo, questo gruppo dirigente e’ quello che e’...>>. Una rasoiata gratuita.
Cattiva. Cosi’ inutilmente cattiva che, recuperata la scolorina che gli aveva messo in mano Forattini nella celeberrima vignetta querelata sul dossier Mitrokhin, D'Alema l'ha fatta diligentemente sparire dal resoconto stenografico, distribuito ben quattro ore e mezzo dopo, come i ritoccatori moscoviti facevano sparire dalle vecchie foto sulla piazza Rossa le facce diventate impresentabili.
Un po' di bianchetto e, opla’! I delegati del congresso di Torino, pero’, l'hanno sentita bene quella stonatura. E piu’ di tutti, dolorosamente, ce l'ha ancora nelle orecchie il leader attuale e formale di quella classe dirigente: Walter Veltroni. Il quale, nel momento stesso in cui la presidenza aveva dato la parola all'ex segretario, subito sommerso da un acquazzone incontenibile di applausi e di entusiasmo e di affetto, aveva avuto la prova di quanto sotto sotto forse temeva gia’. E cioe’ che il <<suo>> congresso era in realta’ suo finche’ non s'avanzava l'unico vero Conducador nel quale questo pezzo della sinistra oggi si riconosce fino in fondo: Massimo D'Alema.
Certo, il baffuto deputato di Gallipoli che liquido’ Achille Occhetto e si impossesso’ del partito pur avendo perduto le cosiddette <<primarie>> e’ stato generoso di parole al miele verso l'uomo al quale, impegnato com'era in piu’ importanti faccende di governo, affido’ il partito, per usare le parole di Fulvia Bandoli, <<col metodo un po' medievale della spada sulla spalla>>. L'<<amico Walter>> di qua, l'<<amico Walter>> di la’...
E' arrivato perfino, udite udite, a fare autocritica. Ad ammettere che si’, Luciano Violante ha ragione nello scrivere nel suo libro che <<a volte questo gruppo dirigente ha dato come la sensazione di dire "lasciateci lavorare" a un popolo della sinistra che invece si rivolgeva anche in modo sofferente per ottenere risposte. E' vero, e io avverto questa critica come fortemente rivolta, e giustamente, anche alla mia persona>>. Si’, una scusante la rivendica: <<Abbiamo dovuto affrontare delle sfide molto dure nelle quali sbagliare poteva voler dire perdere con un grave danno per il Paese>>. Pero’...
Pero’, d'accordo, ha esagerato: <<Ma e’ per questo che apprezzo sinceramente il lavoro che stanno svolgendo Veltroni e i compagni piu’ giovani che sta lui raccogliendo intorno a se’. Perche’ e’ un lavoro volto a mettere in comunicazione la sinistra, piu’ di quanto io non sia riuscito a fare, con le emozioni e la passione civile di una nuova generazione. Ed e’ un bene che questo partito sia guidato da un gruppo dirigente capace di suscitare emozioni, passioni, ritornando a far vivere la sinistra nel cuore del Paese piu’ di quanto non siamo riusciti a farlo negli anni passati, quando forse abbiamo interpretato di piu’ il nostro ruolo come quello di uno strumento politico volto a costruire alleanze e governo>>.
Ed eccolo ammettere di non essere uomo di passioni, confessare modesto l'incapacita’ di parlare <<alle nuove generazioni>>, gigioneggiare sull'imbarazzo provato il giorno che una donna lo ha incontrato e gli ha detto: <<Quando io vedo lei mi sento piu’ sicura>>. Al che dice di aver risposto che <<vogliamo arrivare presto a una politica nella quale ciascuno trovi la sicurezza in se stesso>>. E piu’ ostentava professione di umilta’, piu’ chiamava il congresso all'applauso. Piu’ faceva mostra di distacco (<<dovete stare tranquilli che nel momento in cui avro’ la comprensione di non essere piu’ utile a questa difficile transizione mi faro’ da parte...>>), piu’ incitava al compattamento. Piu’ faceva il gesto di sfilarsi dalla corsa per la candidatura nel 2001, piu’ saliva alto dalla platea l'urlo: <<Sei tu il nostro leader!>>.
E via via che parlava, via via che scavalcava con irridente sicurezza tutte le calibratissime revisioni veltroniane buttando li’ disinvoltamente che tra i socialisti democratici e i comunisti totalitari <<erano loro la parte della sinistra che aveva ragione>>, via via che liquidava le accuse occhettiane di aver ammazzato l'Ulivo (ricordate? <<Costituente dell'Ulivo? Ma costituente de che?>>) ammettendo senza problemi di esser stato talora <<spigoloso e non utile>>, via via che riconosceva perfino qualche errore (come la nomina a sottosegretario del camerata Romano Misserville, probabilmente) nella chiusura della crisi, emergeva una certezza assoluta. Quella che ogni atto di piccola umilta’ fosse funzionale a rafforzare l'immagine di un leader cosi’ forte da potersi permettere tutto.
Per ventidue volte Walter Veltroni, nella relazione di apertura, era andato a cercare il consenso picchiando duro sul <<nemico>>, Silvio Berlusconi. E per decine e decine di volte il trucco retorico era stato applicato da questo e quell'oratore. Lui mai.
Neppure una volta. Neppure per sbaglio. Voleva mostrare a tutti, el Lider Maximo, che non ne aveva bisogno. Che per addomesticare la <<sua>> gente gli bastava tirar fuori, coi toni spesso sprezzanti che gli sono propri contro certi <<intellettuali>> o certi <<professori>>, quello che gli altri, per insufficienza di carisma o di boria, non erano riusciti a tirar fuori. L'orgoglio del partito, l'orgoglio della sinistra, l'orgoglio del governo. Un partito, una sinistra, un governo che lui ha reso <<vincenti>>. E che, a sentir lui, hanno cambiato la faccia dell'Italia.
Esagerato? Boh... Non era questo cio’ che il vecchio e ammaccato popolo rosso voleva sentirsi dire?

 Gian Antonio Stella

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Nel luglio 2000, ha avuto l’occasione fortunata di poter parlare a quattr’occhi con Veltroni, e quindi chiedergli di persona cosa pensava della censura operata da D’Alema e consigliori.

Ecco come sono andate le cose.

 

 

Descrizione dell'incontro con Veltroni sul volo Bologna-Roma.

Cronaca di cio' che mi e' accaduto il 15-07-2000 sull'aereo AZ1312 Roma-Bologna, scritto il 16-07-2000 ore 4:30 circa a Bruxelles a casa di Sonia.

Mi sono svegliato alle 2:30 e non riuscivo piu' a riprendere sonno per la gravita' di cio' che mi era accaduto e che racconto.

Nel volo di linea Bologna-Roma AZ 1312 mentre ero con Katia e mi stavo recando a Bruxelles per alcuni giorni di riposo, ho avuto la possibilita' di scambiare alcune frasi con Veltroni che stava rientrando a Roma da Bologna. E' stata Katia a segnalarmi la presenza di Veltroni sull'aereo mentre saliva la scaletta.

Appena l'ho individuato ho seguito dove si e' seduto e in cuor mio ho deciso di andargli a parlare. Poiche' Katia era contraria, ho titubato un po' e alla fine, riuscendo a vincere la contrarieta' di Katia, ho deciso di alzarmi e di avvicinare Veltroni a pochi minuti dall'atterraggio a Roma.

Avendo pochi minuti a disposizione ho sfruttato questo tempo per avere la conferma di un dubbio che da tempo e' diventato una certezza grazie agli elementi che ho raccolto nel tempo. Nell'intervento fatto a Firenze il 14-07-2000 davanti a Di Pietro e Veltri avrei voluto far capire bene alla gente presente la mia certezza ma non c'e' stato il tempo visto che gli interventi di Veltri prima e Di Pietro poi si sono protratti fino alle 23:00 passate e la gente stava gia' uscendo dalla sala.

Sono comunque molto contento di come sono andate le cose a Firenze perche' grazie all'intervento limitato a certi dati essenziali, ho potuto farmi conoscere da Di Pietro che ha preso nota e mi considera un soggetto meritevole di attenzione per il lavoro che vuole portare avanti.

La certezza che ho maturato anche grazie allo scambio veloce di battute con Veltroni e' la seguente : questa sinistra, questo centro-sinistra si sta svendendo a Berlusconi e a tutto cio' che esso rappresenta e impersonifica perche' vuole bloccare la Magistratura che se lasciata lavorare in pace potrebbe svelare misteri riguardo le stragi di stato, le stragi di mafia e i molti crimini di Tangentopoli rimasti impuniti.

Questa ipotesi puo' apparire ardita ed azzardata ma dopo lo scambio di battute con Veltroni non lo e' piu'. Parlando con Veltroni nell'aereo ho subito toccato l'episodio della frase pronunciata da D'Alema al congresso del Lingotto e che e' stata censurata nel discorso ufficiale diffuso via Internet.

Poiche' sono sicuro che la verita' e' quella raccontata da Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera il 16-01-2000, perche' se cosi' non fosse, visto il precedente Forattini-D'Alema altro che causa miliardaria piomberebbe sul "bugiardo" Stella, allora mi chiedo perche' Veltroni quando gli ho ricordato la frase pronunciata da D'Alema l'ha smentita dicendo che lui era presente, e davanti alla mia insistenza basata sul fatto che anche Stella era presente, ha confermato nuovamente la smentita circa la frase incriminata.

Poiche' la frase a D'Alema e' certamente scappata altrimenti Stella non avrebbe potuto fare l'articolo che ha scritto, mi chiedo come mai Veltroni insista a negare la verita'. So che Veltroni e' un debole e posso capire che non sia facile nella sua situazione di segretario dei DS avere un comportamento corretto e limpido poiche' e' oramai lampante che deve coprire inganni e scheletri negli armadi di altri dirigenti del PCI-PDS-DS.

Comunque sia pero' non puo' Veltroni raccontare balle e mentire. Avrei voluto insistere ulteriormente con Veltroni riferendo altri dati in mio possesso ma non mi e' stato possibile perche' il personale di servizio aveva bisogno di passare nel corridoio con il carrello e poiche' l'aereo era oramai nella fase di atterraggio per cui ho dovuto rientrare al mio posto per allacciarmi la cintura di sicurezza.

Quelle poche battute scambiate con Veltroni mi hanno comunque permesso di capire come stiano le cose all'interno dei DS : D'Alema e' il "Berlusconi " del centro-sinistra, ha macchie di cui teme azioni da parte della magistratura (vedi la inchiesta di Gianni Barbacetto del febbraio 1998 "Tangenti rosse" apparsa sul Diario).

Questo ultimo episodio capitato casualmente mentre con Katia stavo andando a trascorrere giorni di riposo a Charleroi ospite di amici, si aggiunge agli altri dati oggettivi che possiedo e che rientrano nel goffo tentativo di coprire e negare verita' scomode. Non diffondere tali verita' permette di ingannare e confondere la pubblica opinione.

 

 

 

6- Premier di bugie – Travaglio – Gomez  18-05-04

 

 

Espresso  18-05-04

 

Premier di bugie

Dal conflitto di interessi alla missione in Iraq. Dalle tasse al lifting. Silvio Berlusconi vanta il governo più longevo della Repubblica. E si pone al primo posto per il numero di falsi

di Peter Gomez e Marco Travaglio

 

Indro Montanelli, dopo averlo avuto come editore per vent'anni, lo definiva un "mentitore professionale". Maurizio Costanzo addirittura un "bugiardissimo". Lui invece giura di essere incapace di mentire. E il suo rapporto con la verità lo ha descritto nel 1994, subito dopo la discesa in campo: "Io dico sempre cose sincere, anche perché non ho memoria e dimenticherei le bugie. Come ci si può fidare di chi usa la menzogna come mezzo della lotta politica? La gente deve fidarsi solo di chi dice la verità" (2 marzo 1994). Oggi, nel momento in cui il governo di Silvio Berlusconi diventa il più longevo della storia della Repubblica, è tempo di bilanci. Davvero il premier è un bugiardo senza speranza? Per scoprirlo 'L'espresso' ha esaminato i suoi discorsi, le sue interviste, le sue promesse. Il risultato è disarmante.
Negli ultimi quattro anni, escludendo i 115 minuti di deposizione spontanea al processo Sme-Ariosto (durante il quale Berlusconi riuscì a pronunciare ben 85 bugie allo straordinario ritmo di una balla ogni 81 secondi), il premier ha mentito quasi cento volte. Per ragioni di spazio, ecco qui solo l'elenco delle 44 bufale migliori.

1. Interessi sì, conflitto no - 1 "Il conflitto d'interessi sarà risolto nei primi cento giorni del mio governo" (5-5-2001). "Il conflitto d'interessi è una leggenda metropolitana" (19-12-2003). A tre anni dalla promessa, la legge sul conflitto d'interessi non è stata ancora approvata.

2. Interessi sì, conflitto no
- 2 "Il conflitto d'interessi esiste solo nel senso che le mie aziende ci hanno rimesso da quando sono entrato in politica al servizio del Paese" (21-12-2001). "Il conflitto d'interessi è una scusa. Tutti vedono bene che non c'è nessun conflitto d'interessi. Anzi, io non posso fare che cose sfavorevoli al mio gruppo. Non c'è stata una sola decisione assunta da questa maggioranza e da questo governo che abbia portato cose a mio favore. Da quando sono sceso in politica, il mio gruppo ha subìto soltanto danni enormi" (7-5-2003). In realtà, Mediaset e le altre aziende del premier hanno guadagnato milioni di euro dai vari condoni fiscali, dalla legge Tremonti, dalla legge salva-Rete4, dall'accordo Mediolanum-Poste, dalla pubblicità istituzionale sulle reti del Biscione, senza contare i continui rialzi in Borsa del titolo Mediaset a ogni stormir di fronda governativa.

3. Dipendenti Mediaset
"Ho messo su un'azienda da 50 mila dipendenti" (conferenza stampa di fine mandato europeo, 13-12-2003). Ma dal rapporto R&S 2003 di Mediobanca si apprende che alla fine del 2002 i dipendenti dell'intera galassia Fininvest erano appena 10.095.

4. Solo 3 leggi ad personam
Dice a Strasburgo il 2 luglio 2003 che si è fatto solo "in tre casi" leggi per lui, mentre invece sono almeno sette: rogatorie, falso in bilancio, Cirami, lodo Maccanico, tassa successioni e sulle donazioni, Gasparri, decreto salva Rete 4.

5. Ciampi d'accordo su Gasparri
Berlusconi, uscendo dal Quirinale, annuncia che Ciampi è d'accordo sulla legge Gasparri. Il Quirinale smentisce: "Non ne abbiamo mai parlato" (2-8-2003), lui deve rettificare dando la colpa ai giornalisti.

6. Lodo senza padri
"Sul Lodo non ho dato parere positivo, ma ci sono insistenze..." (al Tribunale di Milano, 17-6-2003). "Io non c'entro nulla con questo Lodo: è stata un'iniziativa autonoma del Parlamento, sostenuta dal presidente della Repubblica" (30-6-2003). Immediata la smentita del Quirinale, cui segue la precisazione del sottosegretario Paolo Bonaiuti: "Il lodo Maccanico è una iniziativa parlamentare. E a questa proposta il presidente della Repubblica è ovviamente estraneo".

7. I pari del Cavaliere
"In una democrazia liberale chi governa per volontà sovrana degli elettori è giudicato, quando è in carica e dirige gli affari di Stato, solo dai suoi pari... Succede così nel mondo, ma non nel nostro Paese" (29-1-2003). Non è vero. Non accade in nessuna parte del mondo a partire dagli Usa dove l'ex presidente Bill Clinton, quando era in carica, finì sotto inchiesta per il caso Lewinsky.

8. Legge Cirami
"Non capisco tutta questa fretta per la legge Cirami sul legittimo sospetto" (31-7-2002). "La legge sul legittimo sospetto è una priorità per il governo" (30-8-2002). Senza parole.

9. Rai questa sconosciuta
"Dalla Rai io me ne sto fuori come ho sempre fatto" (1-12-2002). Ma il 26 febbraio 2003 Berlusconi riunisce i leader della Cdl nella sua casa in via del Plebiscito per decidere il nuovo Cda Rai. Pera e Casini non ne sanno nulla e vanno su tutte le furie. Il presidente della Rai, Lucia Annunziata, poi rivela: "So per certo che Berlusconi alza il telefono e chiama i consiglieri di amministrazione per suggerire nomine ed influenzare i programmi" (2-2-2004).

10. Mediaset questa sconosciuta
"Da quando sono in politica, non mi occupo più delle mie aziende" (10-5-1996). "Da dieci anni non mi interesso più di affari" (15-10-2003). Maurizio Costanzo, in lite con Mediaset, dichiara: "Mercoledì ho incontrato Berlusconi. Tutto bene, solo qualche rottura di scatole" ('la Repubblica', 18-1-2003).

11. Condono per gli altri
"Mediaset non farà alcun ricorso al condono fiscale" (30-12-2002). Cinque mesi dopo 'L'espresso' scopre che Mediaset ha regolarmente fatto ricorso al condono, risparmiando circa 120 milioni di euro di imposte. Un anno dopo accade di nuovo.

12. Il Milan è tutto mio
"Si parla del Milan di Sacchi, di Zaccheroni e di Ancelotti e non si parla mai del Milan di Berlusconi. Eppure sono io che da 18 anni faccio le formazioni, detto le regole e compero i giocatori" (16-4-2004). "Il Milan non vince più perché, da quando è in politica, il suo presidente non se ne occupa più" (Ansa, 6-2-1998). "Il problema del Milan è che io non me ne occupo più di persona" ('Sette', 2-3-2001).

13. Nesta mai
"Comprare Alessandro Nesta? Sono cose che non hanno più nulla di economico, di morale. Nel calcio abbiamo sbagliato tutti, ora basta"(23-8-2002). L'indomani il Milan di Berlusconi annuncia l'acquisto di Nesta, avvenuto da almeno una settimana.

14. Per il bene di tutti
"Nel 1994 sono sceso in campo per salvare l'Italia da un futuro illiberale" (Ansa, 27-1-2004). Ma Marcello Dell'Utri, che inventò Forza Italia da una costola di Publitalia, lo smentisce: "Berlusconi (...) mi disse: 'Marcello, dobbiamo fare un partito pronto a scendere in campo alle prossime elezioni.' C'era l'aggressione delle Procure e la situazione della Fininvest con 5 mila miliardi di debiti. Franco Tatò, che all'epoca era l'amministratore delegato del gruppo, non vedeva vie d'uscita: 'Cavaliere dobbiamo portare i libri in tribunale'... Oggi posso dire che senza la decisione di scendere in campo con un suo partito, Berlusconi non avrebbe salvato la pelle e sarebbe finito come Angelo Rizzoli che, con l'inchiesta della P2, andò in carcere e perse l'azienda" (intervista ad Antonio Galdo per il libro 'Saranno potenti?', Sperling & Kupfer, 2003).

15. Unto e bisunto
"Io unto del Signore? Non ho mai pronunciato questa sciocchezza" (9-3-2004). "Quando si assume un ruolo come questo, la vita cambia. I cattolici la chiamano la 'Grazia dello status'. È una cosa che ti fa diventare una persona diversa senza che tu te ne accorga. Già stanotte ho dormito da persona diversa, anche se con lo stesso pigiama" (30-4-1994). "Io sono l'unto del Signore, c'è qualcosa di divino nell'essere scelto dalla gente. E sarebbe grave che qualcuno che è stato scelto dalla gente, l'unto del Signore, possa pensare di tradire il mandato dei cittadini" (25-11-1994).

16. Piduista col trucco
"Essere piduista non è un titolo di demerito" (Telelombardia 6-3-2000). "Neanch'io vorrei un piduista al governo. Ma io non mi considero legato alla P2. Mi hanno dato la tessera, ma io l'ho rispedita indietro" (8-3-1994). Berlusconi non rispedì la sua tessera a Licio Gelli, ma anzi versò regolarmente la quota d'iscrizione.

17. Le off-shore
"Non ci sono stati nomi di copertura né ricorso a società estere. Tutto si è svolto in Italia alla luce del sole con operazioni sulle quali sono state pagate tante tasse..." (16-3-2001). "Le società estere sono cose assolutamente legittime che il mio gruppo ha poi abbandonato, ma che in un certo momento, affidandosi alla responsabilità di chi gestiva il sistema estero, si facevano perché si doveva trovare un modo in Europa per pagare tasse più convenienti" (Ansa, 3-5-2001).

18. Cecenia, un paradiso
Il 6 novembre 2003, in conferenza stampa con Putin, in visita a Roma, Berlusconi risponde al posto del collega russo a una domanda sulla Cecenia. E spiega: "In Cecenia c'è stata un'attività terroristica con molti attentati contro cittadini russi" senza che ci fosse "una risposta corrispondente della federazione russa". Tutti gli organismi europei condannano l'affermazione, ricordando che in Cecenia i russi hanno sterminato 200 mila persone su un milione di abitanti, radendo al suolo Grozny.

19. Partiam partiam
"Non sento alcun bisogno di andare a Nassiriya, sarebbe solo una operazione dimostrativa e retorica" (26-3-2004). Il 10 aprile Berlusconi va in visita a Nassiriya.

20. Scontro di civiltà
"Noi dobbiamo essere consapevoli della superiorità della nostra civiltà... Dobbiamo evitare di mettere le due civiltà, quella islamica e quella nostra sullo stesso piano... La nostra civiltà deve estendere a chi è rimasto indietro di almeno 1.400 anni nella storia i benefici e le conquiste che l'Occidente conosce." (26-9-2001). Poi di fronte alla richiesta di scuse presentata da una serie di governi arabi dice al giornale 'Asharq al-Awsat':"Perché dovrei scusarmi? Per qualche cosa che non ho detto? Non ho detto nulla di sbagliato, loro (alcuni giornalisti, ndr) mi hanno fatto dire qualche cosa che non ho detto". (2-10-2001)

21. Armi sì, armi no
"Credo che ormai in Iraq non ci siano più armi di distruzione di massa" (16-10-2002). "Non ho mai detto che Saddam non ha armi di distruzione di massa. Dico solo che ha avuto il tempo di distruggerle o di metterle da qualche altra parte" (17-10-2002).

22. Guerra senza Onu "Se Saddam non cede, l'attacco sarà a gennaio e sarebbe inutile una seconda risoluzione come chiede la Francia, sarebbe un nonsenso" (14-9-2002). "Siamo per una risoluzione dell'Onu che dia termini precisi a Saddam e stabilisca l'intervento militare se Saddam non dovesse accettare la risoluzione" (25-9-2002). "Con realismo bisogna dire che non c'è alternativa alle due risoluzioni dell'Onu, vista la posizione di Francia, Cina e Russia" (16-10-2002).

23. L'ordine regna a Baghdad
- 1 "In Iraq c'è l'assoluta volontà di continuare e c'è anche un certo ottimismo. Nel paese molte cose vanno bene... Dobbiamo far sapere che le scuole funzionano, che gli ospedali funzionano, che c'è l'elettricità, che l'amministrazione comincia a svolgere il suo compito... Il paese ricomincia a funzionare" (29-10-2003). "La situazione in Iraq sta migliorando molto" (Cnn Italia, 1-11-2003). "Si sono fatti molti passi avanti per la normalizzazione dell'Iraq" (Adnkronos, 5-11-2003). Il 12 novembre vengono uccisi 19 italiani a Nassiriya.

24. L'ordine regna a Baghdad
- 2 " Oggi l'Iraq è una nazione che sta progredendo verso la democrazia, verso la normalità. È un paese dove le scuole, gli ospedali, l'amministrazione pubblica e il governo provvisorio funzionano" (Ansa, 4-3-2003). Un mese dopo si scatena la battaglia di Nassiriya e vengono sequestrati decine di occidentali. Un ostaggio italiano viene assassinato.

25. Ostaggi
"Siamo in fiduciosa attesa di eventi che dovrebbero verificarsi nelle prossime ore" (20-4-2003). Due giorni dopo, davanti alla mancata liberazione, invita i componenti del suo governo a "un maggior riserbo". Il 3 maggio chiede il silenzio stampa.

26. Verifica di governo
"Il chiarimento c'è stato e non serve alcuna verifica. Quella è roba da vecchia politica" (15-10-2003). La verifica si trascina per mesi: la risoluzione è rinviata a dopo le europee.

27. Ok dall'Europa
"Ho fatto un'esposizione sommaria della legge finanziaria e ho trovato un'ottima accoglienza sia da Prodi sia dal commissario Pedro Solbes" (10-10-2001). Prodi cade dalle nuvole: "Non ne abbiamo neanche parlato". Anche Solbes lo smentisce. Berlusconi fa retromarcia: "Io ho illustrato l'azione del mio governo, Prodi e Solbes mi hanno ascoltato in silenzio. Ma il club della menzogna della sinistra mi attribuisce cose mai dette".

28. Riforma della giustizia
"Entro tre mesi presenteremo la riforma della giustizia al Parlamento" (21-12-2001). Lo ha fatto tre anni dopo.

29. Fiducia, anzi no "Ho assoluta fiducia nella Cassazione, fiducia che non è mai mancata
. Altra cosa sono certi pm che vogliono un ruolo particolare e imbastiscono processi che finiscono nel nulla" (26-1-2003). L'indomani la Cassazione gli dà torto e non sposta i suoi processi da Milano. Allora il premier perde la fiducia e tuona contro la "magistratura golpista".

30. Persecuzione giudiziaria
"Le inchieste sul mio gruppo sono iniziate soltanto dopo il mio impegno in politica. Prima non avevo mai subito nulla del genere" (17-6-2003). È vero il contrario: prima nascono le inchieste sulla Fininvest di Berlusconi, poi Berlusconi scende in campo. La prima indagine sul Berlusconi imprenditore (per traffico di droga) fu aperta a Milano nel lontano 1983 e poi archiviata. Nel 1989 Berlusconi viene processato a Venezia per falsa testimonianza sulla loggia P2: la Corte d'appello ritiene il reato dimostrato, ma estinto per amnistia. Quanto a Mani pulite ecco cosa scrive il gip di Brescia Carlo Bianchetti il 15 maggio 2001: "Risulta dall'esame degli atti che, contrariamente a quanto si desume dalle prospettazioni del denunciante (Berlusconi, ndr), le iniziative giudiziarie (.) avevano preceduto e non seguito la decisione di 'scendere in campo'...".

31. Improrogabili impegni
"Un impegno istituzionale improvviso e improrogabile mi impedisce di essere presente all'interrogatorio" (al Tribunale di Palermo davanti al quale Berlusconi dovrebbe testimoniare sulle origini delle sue fortune e sulla presenza del boss Vittorio Mangano nella villa di Arcore, 11-7-2002). Ma all'ora indicata per l'audizione il premier passeggia per il Transatlantico raccontando barzellette ai giornalisti.

32. Sempre assolto
"Sono sempre stato assolto in ogni processo" (19-1-2002). In realtà, non è stato quasi mai assolto. L'ha fatta franca grazie ad amnistie, prescrizioni, condoni, depenalizzazioni, leggi di impunità.

33. Telekom bufala "La vicenda Telekom Serbia è tutta una tangente" ('Porta a Porta', 22-5-2003). La Procura di Torino appurerà che nessuna tangente è stata dimostrata nell'affare Telekom Serbia e arresterà i sedicenti testimoni Marini, Volpe e Romanazzi che ne avevano parlato.

34. Povertà percepita
A 'Porta a Porta': "Il ceto medio consuma più di prima ed è più ricco di prima... 800 mila italiani sono usciti dalla soglia di povertà... c'è stato un arricchimento generale del Paese", che però "si percepisce più povero" a causa della disinformazione comunista (11-2-2004). Ma tutti i dati di tutti gli istituti di rilevamento economico e statistico indicano un impoverimento del Paese. Secondo l'Eurispes alle già note 2.500.000 famiglie povere (circa 8 milioni di persone), va aggiunto un altro 10 per cento di nuclei a rischio che in valori assoluti vuol dire altre 2.400.000 famiglie. Basti pensare - rileva l'Eurispes nel rapporto 'Italia 2004' - che, nel biennio 2001-2003, la perdita del potere d'acquisto delle retribuzioni è stata pari al 19,7 per cento per gli impiegati, al 16 per gli operai, al 15,4 per i dirigenti e al 13,3 per i quadri.

35. Fascismo buono
"Mussolini non ha mai ucciso nessuno: gli oppositori li mandava in vacanza al confino" ('The Spectator', 4-9-2003). In realtà le squadracce del duce uccisero Giacomo Matteotti, mentre Pietro Gobetti, Giovanni Amendola, Antonio Gramsci, don Minzoni morirono in seguito alle percosse e ai maltrattamenti.

36. Colpa dell'alcol
Berlusconi smorza l'intervista allo 'Spectator': "Eravamo alla seconda bottiglia di champagne" (17-9-2003). Gli intervistatori lo smentiscono: "Abbiamo bevuto solo tè freddo" (19-9-2003.).

37. Meno sbarchi per tutti
"Gli sbarchi di clandestini sono diminuiti del 247 per cento" (21-12-2001). A parte l'iperbolicità della cifra (superare il 100 per cento significa inviare gli immigrati residenti in Italia all'estero), gli sbarchi sono aumentati, anche con episodi drammatici, sulle coste siciliane. "Durante il 2002", scrive il Viminale nella relazione sull'attività delle forze dell'ordine, "si è assistito a un aumento del 23 per cento del flusso di clandestini diretti alle coste della Sicilia (5.504 persone sbarcate nel 2001, 18.225 nel 2002)".

38. San Giuliano 2
"Ricostruiremo San Giuliano di Puglia (rasa al suolo dal terremoto in Molise, ndr) con gli architetti di Milano 2: parchi, case moderne e verde pubblico entro due anni" (4-11-2002). Non si è visto nulla di tutto questo.

39. Lifting forzato
"Io il lifting non lo volevo fare. Sono stato tirato dentro a farlo. È stata Veronica a spingermi a fare il lifting" (27-1-2004). Poi Veronica lo smentisce: "Il lifting è stata un'idea sua".

40. Meno tasse per tutti "Abbattimento della pressione fiscale" (punto 1 Contratto con gli italiani)
. Un anno e mezzo dopo il premier ammette che non esistono i presupposti per mantenere la promessa: "Dobbiamo fare tutti dei sacrifici, non possiamo prendere in giro i cittadini" (27-9-2002). Poi però comincerà a ripetere che "la pressione fiscale è diminuita". L'11 febbraio, a 'Porta a Porta', parla di "pressione fiscale globale ridotta del 7.5 per cento". Ma, come scrive sul 'Sole 24 ore' l'economista Fiorella Padoa Schioppa citando il Sistan (Sistema statistico nazionale), "nel 2003 la nostra pressione fiscale, lungi dall'essere diminuita, è sensibilmente aumentata (al 42.1 per cento dal 41.7 per cento del 2002, mentre stava al 42.3 nel 2001, al 42.5 nel 2000).

41. Più sicurezza per tutti
"Attuazione del 'Piano per la difesa dei cittadini e la prevenzione dei crimini' (...) con il risultato di una forte riduzione del numero di reati rispetto agli attuali 3 milioni (falso, i reati nel 2000 erano 2.563.000, ndr)" (punto 2 del Contratto). Il 30 marzo 2004, all''Alieno', Berlusconi assicura che "i reati da strada sono diminuiti del 40 per cento", mentre le denunce per tutti i reati "sono calate del 12 per cento rispetto al 2001". Ma la relazione Ordine e sicurezza pubblica del 2002, presentata al Parlamento il 6 ottobre 2003 dal ministro dell'Interno, evidenzia che i delitti denunciati sono saliti del 3.13 per cento, in particolare i furti (+ 0,14), le rapine (+ 5,12) e i tentati omicidi (+ 6,94). Aumentato anche il totale dei delitti commessi: 70 mila in più fra il 2001 e il 2002.

42. Furti in casa
Secondo i poster elettorali di Berlusconi sarebbero diminuiti del 17 per cento. In realtà, i dati dicono che nel 2003, dopo cinque anni di calo, sono aumentati dell'1,5 per cento rispetto al 2002.

43. Pensioni più dignitose "Innalzamento delle pensioni minime ad almeno 1 milione di lire al mese" (punto 3 del Contratto). Il 29 settembre 2003 il premier proclama che ormai è cosa fatta "l'aumento delle pensioni sociali a 516 euro al mese". Non dice però che destinatari dell'aumento sono una piccola quota di pensionati, appena il 24 per cento degli aventi diritto (1 milione e 700 mila su 9 milioni).

44. Più cemento per tutti Nei manifesti preelettorali Berlusconi esagera: "Grandi opere attivate per 93 mila miliardi di lire". A oggi ne sono state finanziate per appena 9,8 miliardi di euro. I soli cantieri aperti fra le opere previste dalla legge sono quelli per la terza corsia su 18 km del raccordo anulare di Roma e per un lotto di 28 km della Salerno-Reggio Calabria. Il resto è posa di prime pietre e seconde pietre, inaugurando opere avviate da precedenti governi (grottesca la quarta inaugurazione della variante di valico in Toscana, avviata nel '96 dal ministro Di Pietro).


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Un tomo da 4 kg e cd per tutti

di Primo Di Nicola

Mille e 120 pagine e un cd-rom. Un malloppo da 4 chili e 294 grammi. È il rapporto di metà legislatura fortissimamente voluto dal premier Silvio Berlusconi per magnificare le intraprese del suo governo. A curarlo sono stati i funzionari del ministro per l'Attuazione del programma Claudio Scajola, che hanno messo in pagina i resoconti forniti dai singoli ministeri sulle attività svolte negli ultimi tre anni. A stamparlo, invece, l'Istituto poligrafico dello Stato. Copertina in cartoncino, tabelle, foto e grafici a colori, l'opera riporta per cominciare il famoso 'Contratto' stipulato con gli italiani dal Cavaliere alla vigilia delle elezioni del 2001. Segue il testo dell'ultima conferenza stampa di fine anno tenuta da Berlusconi. Quindi, mettendo le mani avanti per le cose non fatte, una catastrofica descrizione dello scenario nel quale il governo si è trovato a operare: il deficit pubblico più elevato d'Europa ereditato dall'Ulivo, gli attentati dell'11 settembre, la sleale concorrenza dell'economia asiatica, eccetera. Dell'opera sono state tirate 2 mila copie cartacee e 50 mila cd. A chi verranno distribuite? Per quanto riguarda il pacchetto volume+cd, il target è selezionatissimo: si va dalla presidenza della Repubblica ai parlamentari, i partiti, le ambasciate, questure e prefetture. Più larga invece la platea dei soli usufruitori del cd: dirigenti di tribunali e di enti pubblici, province e regioni; confederazioni commerciali e biblioteche, che assorbiranno in tutto 30 mila copie. Gli altri cd? Cinquemila sono già stati distribuiti alla fine di marzo a Rimini alla manifestazione Euro. P. A.; mentre altri 15 mila sono impegnati per appuntamenti come lo Smau di Milano. I costi dell'operazione, dalla progettazione grafica alla stampa, ammontano a 569 mila euro. (Primo Di Nicola)

 

 

7  Come Santoro mistifica e falsifica

 

Santoro, nel 1994 in studio, durante una puntata de “Il Rosso ed il Nero”  aveva  in studio il giornalista G. Ruggeri e permise a Berlusconi di intervenire al telefono e di diffamare Ruggeri che da quanto mi ricordo non ebbe modo di difendersi.
Ricordo bene che Berlusconi disse che il libro “Berlusconi, inchiesta sul signor TV”,  era pieno di menzogne e diffamazioni, che Ruggeri era un noto diffamatore riconosciuto tale da sentenze della magistratura : in realta’ invece dal marzo 1993 una sentenza
della Cassazione aveva totalmente scagionato Ruggeri e Guarino dal reato di
diffamazione.
Non ricordo bene,  ma mi pare che dopo la telefonata, Santoro non diede la parola a Ruggeri per replicare e difendersi, tant’e’ che Ruggeri querelo’ Berlusconi.

Ecco come Santoro ricostruisce la presenza di Ruggeri in studio, nell’ultimo libro di Guarino :
“L’orgia del potere” ed. Dedalo nella post-fazione.

Parole di Santoro

Chi scrive a proposito di Berlusconi deve avere coraggio. Occorre, infatti, che si prepari non solo a subire le reazioni del piu’ ricco e potente tra gli uomini politici ma anche quelle della maggior parte dei suoi avversari.

Quando Guarino diede alle stampe (con Ruggeri) il suo precedente libro dedicato alla resistibile ascesa del nostro Presidente del Consiglio eravamo  alla vigilia delle elezioni del 1994.
“Il Rosso e il Nero” era allora di gran lunga il programma informativo piu’ seguito della televisione italiana e l’era di Bruno Vespa e di “Porta a Porta” non era ancora cominciata.
Nessuno si sarebbe percio’ sognato di impedirmi di invitare l’autore in trasmissione oppure di trattare, come feci, dei debiti dell’Impero Finivest.
Cinque o sei milioni di spettatori poterono cosi’ essere coinvolti in una serata che nella televisione di oggi sarebbe semplicemente impossibile da realizzare; e Silvio Berlusconi  fu costretto a telefonare per la prima volta in diretta in un mio programma, recitando indignazione ma senza usare toni padronali e arroganti.
Oggi il successo di questo libro sara’ affidato probabilmente al passaparola e al tam-tam su Internet, a dimostrazione del fatto che gli spazi di liberta’ si sono enormemente ridotti.
La mia tesi e’ che cio’ non e’ accaduto soltanto in ragione della cattivera del Cavaliere ma per la cultura politica assai diffusa che ritiene naturale il dominio dei partiti sull’informazione e sulla societa’.
Fine delle parole di Santoro.

Mio commento finale :  questo e’ il modo di fare “corretta informazione” di  Santoro;
1 - Perche’ Santoro  non parla della diffamazione, delle menzogne del Cavaliere ai danni di Ruggeri?
2  Santoro non era a conoscenza della sentenza del marzo 1993 che aveva totalmente scagionato Ruggeri-Guarino dal reato di diffamazione per le affermazioni contenute nel libro “Berlusconi, inchiesta sul signor TV?  

Non ci posso credere, un professionista come lui, che chiama in trasmissione Ruggeri non sapeva della sentenza del 1993?

Perche’ non ha permesso  a Ruggeri di ricordare la sentenza e di difendersi  nel rispetto anche della verita’ sancita da sentenza passata in giudicato?