La prefazione potrebbe avere per titolo:
Per esempio: leggi gli aforismi di Lichtemberg (così
passerà il tempo e non penserai! Detto di Omar Wisyam che
ha letto l'Antologia di André Breton)).
Il timore più grande superato; l'unico motivo di rammarico, meno l'accusa di imparzialità, avrebbe potuto essere tutt'al più quello di non esserci dimostrati abbastanza difficili nell'unico atteggiamento idoneo per un compito di tal fatta. Le prove eliminatorie del torneo eliminano lo humour, meno la stupidità, l'ironia scettica e la facezia senza peso, mentre si devono sottolineare l'influenza del sentimentalismo dall'aria eternamente braccata (all'acqua di rose) e di una certa fantasia di corto respiro, la cui impresa insiste inutilmente nel voler sottoporre lo spirito ai suoi artifici caduchi. Di ogni frase, di cui è modificato il senso, è preferibile una assoluta reticenza, in cui si esaurisce il suo traité du style, né al di qua della rivolta assoluta dell'adolescenza, né al di là della rivolta interiore dell'età adulta.
Falsi obiettivi
1.
La democrazia è
l'arte di dire - bel cagnolino - perché hai il sasso in mano,
o la frase di Mae West sul semplice sorriso e la pistola.
2.
Poiché
i partiti non rappresentano più gli elettori, il loro compito,
il loro “impegno”, è quello di cambiarli.
3.
Per
dire la verità bisogna sempre sbagliare misura.
4.
Il
pessimista sa che è vero che il migliore dei mondi possibili
non potrebbe essere peggiore.
5.
C'è un modo per far
credere tutto: far credere di non voler dire che c'è.
6.
La
parte del torto è l'unica rimasta per dire la verità.
7.
Discutere con un idiota è il miglior modo di
salvare le apparenze.
8.
Il futuro deve essere vendibile.
Ciò spiega tutto.
9.
Dobbiamo pensare. Per questo
qualcuno deve sparare.
10.
Pubblico si nasce, si diventa e
si muore. Purché non sembri noioso.
11.
Salvo
complicazioni tutto deve cambiare in fretta.
Fobie
1.
Quando la monaca Chiyono studiava lo
Zen con Bukko di Engaku, per molto tempo non riuscì a
raggiungere i frutti della meditazione. Finalmente, in una notte di
luna, stava portando dell'acqua in un vecchio secchio tenuto insieme
con una cordicella di bambù. Il bambù si ruppe e il
fondo del secchio cadde, e in quel momento Chiyono si sentì,
per quello che era, una schiava. Qualunque decisione avrebbe preso
avrebbe confermato quella schiavitù. Se fosse fuggita lo
sarebbe stata ancora, lo stesso se fosse rimasta; perché il
bambù stava per rompersi, dunque adesso niente più
acqua nel secchio, niente luna nell'acqua. Non poteva più
rimanere, però, questo lo sapeva.
2.
Un signore
pregò Takuan, un insegnante di Zen, di suggerirgli come
potesse trascorrere il tempo. Le giornate gli sembravano molto
lunghe, mentre assolveva le proprie funzioni e se ne stava seduto e
impettito a ricevere l'omaggio della gente. Takuan tracciò
pochi segni e li diede all'uomo. “Lo sapessi, te lo direi, ma
non lo so”.
3.
“Se nella mia mente non c'è
nulla, che cosa devo fare?”.
Joshu rispose: “Buttalo
via”.
“Ma se non c'è nulla, che cosa devo
fare?” insistette l'allievo.
“Attua ciò di cui
non sei capace”.
4.
Una sera, mentre Shichiri stava
recitando i sutra, entrò un ladro con una spada affilata e gli
ordinò di dargli il denaro se non voleva essere ucciso.
Shichiri gli disse: “Non mi disturbare. Il denaro lo troverai
in quel cassetto”. Poi si rimise a recitare. Poco dopo si
interruppe e gridò: “Non prendermelo tutto. Domani me ne
serve un po' per pagare le tasse”. L'intruso aveva arraffato
quasi tutto il denaro e stava per andarsene. “Ringrazia quando
ricevi un regalo” soggiunse Shichiri. L'uomo gli rispose che
non poteva ringraziarlo, perché quello avrebbe smesso di
essere un furto, lui l'avrebbe corrotto e ne sarebbe diventato
complice, inoltre sarebbe rimasto il debito per un altro furto.
Dunque evitarono di parlarsi ancora.
5.
Camminando per un
mercato, Banzan colse un dialogo tra un macellaio e un suo cliente.
“Dammi il miglior pezzo di carne che hai” disse il
cliente. “Nella mia bottega tutto è il migliore”
ribatté il macellaio. “Qui non trovi un pezzo di carne
che non sia il migliore”. Queste parole fanno riflettere, in
effetti. Non bisogna avere paura di ammetterlo.
6.
Soyen
Shaku, il primo insegnante di Zen ad andare in America, disse: “Il
mio cuore bruciava come il fuoco, ma i miei occhi non sono freddi
come ceneri morte”. Egli stabilì le seguenti norme, che
difese dal mettere in pratica. Non badare a quello che dici, e
qualunque cosa tu dica, non metterla in pratica. Quando si presenta
un'occasione lasciala scappare, ma prima di agire non pensare due
volte, ché il timore ti segue. Non guardare al futuro né
al passato. Il cuore tenero di un bambino non sopporterebbe
l'atteggiamento intrepido di un eroe. Il tuo ultimo sonno sia come
gli altri, non appena ti svegli, rallenta le tue reazioni, perché
davanti a te ci sono le tue scarpe.
7.
Jiun, un maestro di
Shingon, era un rinomato studioso di sanscrito dell'era Tokugawa. Da
giovane faceva conferenze ai suoi confratelli studenti. Sua madre lo
seppe e gli scrisse una lettera. “Poiché dedichi il tuo
tempo a meditare, hai imparato che la vera realizzazione di sé
non esiste, ma la dismisura sì, più delle conferenze
però, perché l'amarezza non è improbabile,
quanto la banalità della cosa”.
8.
La poesia
mancava di un verso rispetto al numero di quelli tradizionali, e il
discepolo disse: “Maestro, ci manca un verso”. “Questo
non è lo splendore, dato che ciò che viene se ne va, ma
se non fosse andato via non saprei farlo ritornare, dunque non è
il caso di aspettare”.
9.
Nel suo ultimo giorno di
vita Tanzan non si dimenticò di scrivere sessanta cartoline
postali, su cui non c'era scritto che stava per andarsene da questo
mondo, tuttavia le riempì di tenaci insulti. Perché
perdere quell'occasione?
La passione delle
conclusioni
La critica “rivoluzionaria”
si è nutrita di conclusioni, cioè di aspirazioni,
confuse per quanto bene conosciute, più contraddittorie di
qualunque ambizione, ma con cui hanno in comune quella
spregiudicatezza che ora è quasi impossibile negare a
chiunque. Un esempio della passione della conclusione si trova in
Vecchi e giovani di Luigi Pirandello:
Ebbene, signori
miei, che concluderemo noi? Siamo uomini, e venuti qua per questo. Ma
vi leggo negli occhi. Voi non avete nessuna voglia di concludere, pur
non essendo eterni! Voi avete viaggiato. Molti tra voi seguiteranno
il viaggio fino a Reggio Emilia. Qua a Roma, chi ci viene per la
prima volta, ha da vedere tante cose; e il tempo sringe. Scusatemi,
se parlo così: sapete che vedo per minuto, e parlo come vedo.
Ho poca fiducia nelle conclusioni degli uomini, i quali tutti, a un
certo punto, guardandosi dietro, considerando le opere e i giorni
loro, scuotono amaramente il capo e riconoscono: “si, ci siamo
arricchiti”, oppure: “sì, abbiamo fatto questo o
quest'altro, - ma che abbiamo infine concluso?”. Veramente, a
dir proprio, non si conclude mai nulla, perché siamo tutti
nella natura eterna. Ma ciò non toglie che oggi noi qua, dato
il momento, non dobbiamo venire a una qualsiasi, magari illusoria,
conclusione. Io vi dico che questa s'impone, perché altrimenti
ci verranno da sé, senza la vostra guida illuminata e il
vostro consenso, gli operai delle città, delle campagne, delle
zolfare. E sarà cieco scompiglio, tumulto feroce, quello che
potrebbe essere invece movimento ordinato, premeditato, sicuro. Le
conseguenze? Signori, usa prevederle chi non è nato a fare.
Credete voi che ci sia ragione d'agire? Avvisiamo ai modi e ai mezzi.
Tutta la Sicilia è ora senza milizie. Tre, quattro compagnie
di fantaccini vi fan la comparsa dei gendarmi offenbachiani, oggi
qua, domani là, dove il bisogno li chiama. E contro di essi,
come voi dite, un intero, compatto esercito di lavoratori. Non c'è
neanche bisogno d'armarlo; basterà disarmare quei pochi e si
resta padroni del campo. No? Dite di no? Aspettate!...
Omar Wisyam scripsit