Omar Wisyam


La stanza dei cuori spurii




Di Arbeit Macht Frei uscirono due soli numeri tra la fine del 1974 e l'inizio del 1975. Quella volta avevo diciassette anni. L'idea prese piede a casa di Vittorio, che accoglieva di pomeriggio (per quanto mi riguarda) vari ragazzi e ragazze (fricchettoni, femministe, gay e lesbiche, gente con problemi vari, ribelli nel senso più ampio del termine e così via). Per due anni consecutivi, regalò alla mia famiglia un abbonamento a CONTRO informazione per scopi meramente educativi. A casa sua, in cucina, parlai con chi ci stava e dopo pochi giorni uscì il primo numero eliografato di Arbeit Macht Frei. Altre persone le vedevo sotto il celebre loggiato nel cuore della mia città o in decrepiti appartamenti. Di molti tipi strampalati ho perso le tracce, di altri no. La tecnica eliografica non sporcava (perché non era affare nostro, soprattutto) come il ciclostile ed era economica purché a bassissime tirature; di certo eravamo degli insoliti clienti, in mezzo a geometri ed architetti. Il primo numero lo composi con Pietro (Pieripuzz), Giulio e Giovanni (l'Avvoltoio). Ognuno collaborò con un disegno o un breve intervento. Niente di particolare (in realtà non sono in grado di giudicare ciò che realizzammo, dato che non mi è rimasto niente di quegli anni: zero spaccato), ma il primo passo era compiuto! Ufficialmente non era che uno dei numerosi ed artigianali supplementi a Stampa Alternativa, diretta da Marcello Baraghini.

Al secondo numero partecipò ancora Pieripuzz (che nel frattempo aveva prodotto una sua fanzine: Abrax, e continuava a disegnare fumetti su Puzz). La riproduzione (sempre eliografata) di un testo di Raoul Vaneigem sull'autogestione generalizzata, anche se priva di un'apparente ragione, segnalava senza dubbio dove erano approdate le mie letture. Le frequenti citazioni di autori e di opere nel “Trattato del saper vivere ad uso delle giovani generazioni” (Edizione Vallecchi) e nella raccolta dell'Arcana editrice (“Terrorismo o rivoluzione”, che poi era la prefazione agli scritti di Ernest Coeurderoy) mi avevano fornito una robusta schiera di autori da approfondire (in pratica tutti quelli citati da Vaneigem). Dunque più che altro leggevo o mi procuravo da leggere (Romanticismo!!). Ma ora non ne sono più tanto sicuro. Però, avevo cominciato con lo scorrere tra le mani il libro di Vaneigam (!), della De Donato, dove le “Banalità di base” del titolo entravano in corto circuito con la grafia del nome in copertina!

L'Avvoltoio si era preoccupato di distribuire qualche decina di copie in città, altre le inviavo per conoscenza o scambio ai redattori di altre pubblicazioni in giro per l'Italia e, a Torino, l'ideatore di “Tampax” ne distribuiva altre, grazie alle copie degli originali che gli avevo spedito.

Esisteva una rete informale di contatti più estesa della dimensione provinciale dell'Italia (mi fu recapitato, inatteso e sorprendente in quel periodo, un numero di una rivista argentina, ma si seguivano le attività del Bureau of Public Secrets di Ken Knabb con sede a Berkeley, di Errata di Toni Arno e dell'Istituto di Preistoria Contemporanea di Jean-Pierre Voyer – di cui era uscita un'elegante traduzione italiana di “Reich:modo d'uso”). C'erano anche, oltre a tutti quelli che mi spiace non riuscire a ricordare, il ticinese Paria, Il Buco di Putignano di Bari (uno di quel gruppo fece il sevizio militare nella mia città, così come in divisa veniva a trovarmi Bruno di Rapallo), Insekten Sekte, Gatti Selvaggi di Quarto Oggiaro e soprattutto Puzz (con vari numeri unici) e poi Provocazione di Max Capa. Per lui scrissi un paio di articoli, qualche racconto ed infine scoprii, con una vaga sorpresa, di essere uno dei tre firmatari di Provocazione (al novantacinque per cento pensata, discussa e scritta dagli altri due). Sulla mia città (anzi, “contro”) avevo già scritto una scheda per il volume “Italia alternativa” curato da Angelo Quattrocchi FALLO! (Edizioni Ottaviano). In quell'occasione, tra le righe, dichiaravo che era imminente la stampa di una mia “Fenomenologia della miseria spettacolista”. Passavamo il tempo libero tra un bar e l'altro in attesa della buona stagione. Credevo di vivere “nella periferia della periferia”, come diceva Pieripuzz. Le canzoni di Claudio Lolli mi sembravano convincenti (non più malinconiche di un adolescente medio). Ma in un lampo arrivò il '77, durante il quale l'esplosione della rivolta e delle pubblicazioni alternative mi diede, per un attimo, la piacevole sensazione di avere anticipato un'epoca, che, peraltro, non prevedevo quanto sarebbe stata effimera. Poco tempo prima avevo scoperto Amadeo Bordiga, i bordighisti del Partito Comunista Internazionale e Invariance di Jacques Camatte (prima di tutto, parlo per me, nelle Edizioni International di Savona e poi “Il capitale totale” delle Edizioni Dedalo, i due volumi editi da Jaca Book - “Verso la comunità umana” e “Comunità e comunismo in Russia” - poi quelli editi da La Vecchia Talpa di Napoli e uno da La Pietra - Il disvelamento – ma ormai si era nel 1978-79) e collaborai al primo numero di Emergenza (con sede a Coccaglio in provincia di Brescia, forse nel 1980) con un articolo del cui titolo specialistico non provavo alcun imbarazzo: “Il romanzo orientale di Kafka” (il contenuto non era altro che un'illazione, probabilmente elaborata con qualche fondamento), che seguiva un'altra fantasia del genere (illeggibile senz'altro, e visionaria) apparsa nelle ultime pagine del numero uno di Provocazione: “Il fratricidio di K”. D'altronde se altri discettavano di Gemeinwesen, perché non io su Kafka? Ma elaborare il negativo non pareva più opportuno e Camatte me lo fece notare, anche se pubblicò l'articolo).

Ed insieme leggevo la prosa poetica e infuocata di Giorgio Cesarano (e Gianni Collu e tutti gli altri amici di Giorgio), che mi è rimasta impressa molto a lungo. Non lo conobbi vivo.

Se devo pensare ad una colonna sonora, tra il 1974 e il '75, mi vengono in mente “Sulle corde di Ares” di Franco Battiato, il primissimo Alan Sorrenti, Claudio Rocchi, Iuri Camisasca, per parlare di alcuni italiani, e di quei pochi che mi potevo permettere, in un modo o nell'altro. I concerti li ascoltavamo fuori dei palasport, finché non si entrava. Bei concerti, di cui perdevamo ben poco, in ogni caso. Il divertimento terminò bruscamente con Iggy Pop, di cui ammirammo non molto più del suo culo al termine dell'esibizione (fu, tra l'altro, occasione di un piccolo screzio con un tale, fornito di biglietto omaggio e macchina fotografica, che nominerò poco oltre).

Per certi film, allora, il problema era l'età anagrafica, per esempio per il Fernando Arrabal di “Viva la muerte!”. Per alcune letture, la loro reperibilità (a parte la solvibilità del cliente, se così si può dire): mi ricordo che faticai un po' a trovare “Impressioni d'Africa” e “Locus Solus” di Raymond Roussel e le lettere di Jacques Vaché.

Dopo (ma il clima era cambiato, erano iniziati gli anni '80), scrissi la presentazione della prima mostra personale fotografica di Piermario, per lui redassi vari interventi sulle fanzine 115/220, Onda 400 e 50% (alle quali avevano contribuito Vittore, i gruppi del Great Complotto, Cataldo Dino e Antonio di Gatti Selvaggi ed altri ancora) e per un po' mi occupai di stravaganti recensioni di fantascienza su Intercom, grazie a Bruno e ai suoi amici.

Dopo (ma ci dev'essere un dopo), la durata ci separa dal passato. Ciò che siamo, eravamo. La realtà si traveste di stabilità.

Così trascorre un decennio ed anche più...

Nel 1992 Max Capa mi chiese di scrivere qualcosa (liberamente, come al solito) per un libro: un'antologia o chissà che altro, su Puzz. All'invito obbedii: ciò che scrissi si ritrova all'interno di “Puzz & Co.”, edito molti anni dopo (giugno 2003, edizioni Nautilus).

Il titolo è “Ritrattato del saper vivere” di Simplicissimus (in realtà avevo scritto Simplicissimissimus). Infatti il tempo insegna come ritrattare nel modo più pratico.

Se lo rileggessi lo troverei insopportabile (of course). Ma, come i balli più belli si fanno in coppia, le rievocazioni dell'età “felice” lo sono con le quotazioni di mercato delle fanzine.

Il tempo passa e mentre la rete si tesse da un capo all'altro del pianeta, mi decido per un nickname, al quale per pigrizia resto fedele: Omar Wisyam.

La dedica è trasparente.

Finché è giorno muovi con grazia e gentilezza il tuo passo sulla polvere, perché è stata pupilla di una bella fanciulla”.