Opere incomplete

di

Omar Wisyam

(Claudio D'Ettorre)

 

Il turno dei mongoli

Il romanzo orientale di Kafka





 

1.

Kafka, scrittore di racconti, si è accostato spesso alla loro forma più esemplare di apologhi. Di essi, generalmente inediti durante la vita dell'autore, Un messaggio dell'Imperatore - pubblicato in Il medico di campagna (1919) - perturbante frammento del più esteso Durante la costruzione della muraglia cinese (1917), è il più conosciuto in una costellazione narrativa poco visibile la cui cornice comune è l'Oriente, lo scenario letterario della lontananza e dell'inverosimile. Tuttavia la Cina di Kafka è uno spazio tanto poco esotico almeno quanto, analogamente, sia indeterminato lo spazio del Processo. Ad avvertire delle terre lontane non è il cupo addensarsi delle nubi di Kubin, ma un gesto inavvertito o l'ombra di questo, un lieve vacillare dell'aria. Il colpo contro il portone racchiude e, grazie alla sua brevità, mostra, colto in una forma estrema, uno dei nuclei tematici di Kafka. La centralità di questo racconto è marcata dallo svolgimento drammatico della vicenda che riecheggia lo sviluppo ineluttabile della Metamorfosi, la sua stessa ripida discesa. Il racconto è costituito di poche righe, nel susseguirsi delle sorprese per le apparenti conseguenze di un gesto, neppure compiuto, fino allo sgomento e alla rassegnazione. La storia possiede una spietatezza che ha i tratti propri dell'incubo, al carattere del quale si deve comunque risalire per spiegare un particolare altrimenti superfluo. I due viandanti non conoscono il villaggio, che deve essere vicinissimo al loro, giacché la sorella del protagonista vi si reca per cambiarsi d'abito. Questo villaggio, con le sue regole, si apre al viandante come si spalanca un abisso, un baratro o, come in un altro racconto (Un sogno), una gran buca dalle pareti scoscese, la cui impenetrabile profondità lo accoglie, mentre in alto si compone il suo nome nella grafia del destino, con grandi svolazzi.
Verso la materialità inesplicabile del sogno corre il racconto nell'immagine della cella:
grandi pietre per pavimento, scure, parete grigia, nuda, non so dove un anello di ferro murato e nel muro qualcosa tra il pagliericcio e la tavola operatoria.
L'enorme vastità dell'impero, resa in
Un messaggio dell'Imperatore dalla sequenza del messaggero, prigioniero di interminabili corridoi e cortili, i quali altrettanto lo proteggono, senza l'ombra di voler misurarsi con la metafisica che grava in La muraglia cinese, introduce alla borgata della Supplica respinta. Lo sguardo di Kafka al sottobosco dello psicologico e del sociale è simile a quello di Benjamin: uno sguardo raggelato dallo humour a un mondo intermedio, come il secondo lo definì.
Qui da noi non si è avuto da secoli nessun mutamento politico provocato dai cittadini stessi. Nella capitale si sono susseguiti i sovrani, intere dinastie si estinsero o furono destituite e nuove sono subentrate, anzi nel secolo scorso la capitale stessa fu distrutta e ne venne fondata un'altra molto più lontano, poi anche questa fu distrutta e la precedente ricostruita, ma tutto ciò non ha influito per nulla sulla nostra borgata. Questo passo della Supplica respinta si intona a un altro, tratto dalla Muraglia cinese, in cui si parla di un mendicante che, giunto in una casa in un giorno di festa, ne viene cacciato fuori a spintoni, quando il sacerdote legge due pagine di un manifesto dei ribelli che il mendicante gli aveva consegnato, ma, infine, solo perché (in apparenza) il linguaggio in cui era scritto, il dialetto della provincia vicina, conteneva espressioni, per chi lo stava leggendo, antiquate. E quantunque - così mi pare di ricordare - una vita orribile parlasse per bocca del medico un linguaggio inconfutabile, tutti scossero la testa ridendo e non vollero sentire altro.
Il compito di Kafka è stato quello di scrivere della vita orribile rendendo naturale l'onirico, cioè il punto di vista di chi scuote la testa e ride, dandogli la dignità di un
a priori. Chi non è contento tra i sudditi nel popolo dell'Imperatore? Sono pressappoco i giovani tra i diciassette e i vent'anni. Dunque giovanotti che non possono intuire neanche lontanamente la portata dell'idea più insignificante, figurarsi quella di un'idea rivoluzionaria. E proprio tra loro s'insinua e serpeggia il malcontento.


2.

Da chi doveva proteggere la grande muraglia? Dai popoli del Nord. Io sono oriundo della Cina Sud-orientale. Nessun popolo settentrionale ci può minacciare. Di loro leggiamo nei libri dei vecchi, le crudeltà che commettono secondo la loro natura ci fanno sospirare nelle nostre pacifiche verande. Nei quadri realistici dei nostri artisti vediamo quelle facce di dannati, le bocche spalancate, le mascelle armate di gran denti aguzzi, gli occhi stretti che pare stiano lì a spiare la preda che la bocca maciullerà e sbranerà... Di quei popoli orientali non sappiamo altro - non li abbiamo mai visti e se non ci allontaniamo dal nostro villaggio non li vedremo mai, neanche se in groppa ai loro cavalli selvaggi si lanciassero direttamente verso di noi - troppo grande è il paese e non li lascerebbe avvicinarsi, disorientati si smarrirebbero nell'aria.
La possibilità, tanto remota da impaurire solo i bambini, dell'invasione dei popoli dal Nord nella
Muraglia cinese, si vendica rovesciandosi nel già accaduto in un racconto dello stesso 1917, pubblicato nella raccolta Il medico di campagna. Un vecchio foglio annuncia che i nomadi si erano da tempo accampati nella piazza antistante il palazzo imperiale. Giunti inesplicabilmente, essi tuttavia ci sono. Essi che non parlano, ma gracchiano come cornacchie, passano il tempo ad affilare le spade, ad aguzzare le frecce, a esercitarsi a cavallo. L'Oriente di Kafka, in tempo di guerra, fa le smorfie col suo volto più orrido ed espressionista quando, per un'imprevidenza del macellaio della città, ai nomadi viene consegnato un bue vivo - era già subenntrato un gran silenzio, quando mi arrischiai ad uscire; come bevitori intorno a una botte i nomadi se ne stavano stanchi intorno ai resti del bue. Un parente di Europa.



3.
Nell'arco che in questi frammenti si delinea, immaginiamo la parabola di un potere assoluto che inspiegabilmente si sgretola. Tuttavia le tappe che qui si sono riunite si profilano come ritratti singolari, immobili, avulsi da una successione di capitoli parziali. La sobrietà di Kafka gli impedisce i toni dell'esaltazione surrealistica del 1925. In quella breve e accesa stagione Antonin Artaud lanciava come parola d'ordine:
E' il turno dei mongoli di prendere il nostro posto! Sfidava l'inquietudine istrionica di Celine, un po' più intento a recitare come capo popolo, tesaurizzando i guadagni dei diritti d'autore in lingotti d'oro, al punto di guidare i francesi a farsi europei sotto la bandiera del nazismo. Adorno scriveva che, con la liquidazione del sogno ottenuta mediante la sua onnipresenza, il narratore Kafka aveva spinto l'impulso espressionistico fino agli estremi dei lirici più radicali. La sua opera - dice - ha un tono di estrema sinistra, chi la abbassi al livello dell'universale umano, la falsifica già in un senso conformistico.