Sulla soglia
Von Schwelle zu Schwelle
e altre poesie
di Paul Celan
tradotte da Omar Wisyam
Sentii dire
Sentii dire che vi era
nell'acqua una pietra ed un cerchio
e sopra l'acqua una parola
che dispone il cerchio attorno alla pietra.
Vidi il mio pioppo scendere nell'acqua,
vidi il suo braccio tastare giù nel profondo,
vidi, protese al cielo, le radici implorare alla notte.
Non gli andai dietro,
solo raccolsi dal suolo quella briciola
che ha del tuo occhio la forma e la nobiltà,
ti tolsi dal collo la collana delle parole
e ne orlai la tavola, dove adesso stava la briciola.
E non vidi il mio pioppo, non più.
Parla anche tu
Parla anche tu,
parla per ultimo,
di' quello che hai da dire.
Parla -
Ma non separare il no dal sì.
Dà anche un senso al tuo dire:
dagli dell'ombra.
Dagli abbastanza ombra,
dagliene così tanta,
che si divida ampia attorno a te tra
mezzanotte e mezzogiorno e mezzanotte.
Dà un'occhiata intorno:
vedi, come si vive in giro -
Accanto alla morte! Si vive!
Vero dice, chi dice ombre.
Ma ora si stringe il posto, dove stai:
Dove ora, non più coperto dalle ombre, dove?
Sali. A tentoni in alto.
Più sottile divieni, irriconoscibile, più fino!
Più fino: un filo,
su cui vuole scendere, la stella:
dove sotto nuotare, sotto,
dove si vede scintillare: nell'oscura tempesta
delle parole erranti.
Quello che ci contava le ore
Quello che ci contava le ore,
ne conta altre.
Che ha da contare, lo sai?
Ma conta e conta.
Non diventa più freddo,
non più della notte,
non più umido.
Solo che ci aiutava ad ascoltare:
ora ascolta
per sé solo.
In due
In due nuotano i morti,
in due, circondati dal vino.
Nel vino, scolato su di te
nuotano i morti in due.
I loro capelli da sé si intrecciarono in una stuoia,
giacciono insieme.
Tira il tuo dado ancora una volta
e tuffati in un occhio del due.
Ghiaccio, Eden
C'è una terra perduta,
lì cresce una luna nella torba,
e questa con noi gelata
arde intorno e vede.
Vede, poiché ha gli occhi,
essi sono terre chiare.
La notte, la notte, la lisciva.
Vede, l'occhio del bambino.
Vede, vede, noi vediamo,
io vedo te, tu vedi.
Il ghiaccio si sarà riformato
prima che in sé l'ora si chiuda.
La parola dell'andare-in-basso,
quella noi abbiamo letto.
Gli anni, le parole passati.
Noi siamo ancora noi.
Sai tu, lo spazio è infinito,
sai tu, non hai bisogno di volare,
sai tu, ciò che si scrisse nel tuo occhio,
sprofonda per noi il fondo.
Sei stata la mia morte:
ti ho saputo fermare,
mentre a me tutto sfuggiva.
Luci
Segreto ventre
ti sdrai sulla sabbia accanto a me,
tutto di stelle.
(...)
Si rifranse un raggio
di qua fino a me?
Oppure era la sua corsa,
che si rompeva sopra di noi
che così splendeva?
Nei fiumi nordici dell'avvenire
getto la rete là, che tu
esitante blocchi
con ombre dalle pietre
scritte.
Occhio del tempo
Questo è l'occhio del tempo:
esso guarda storto
di sette colori sotto il sopracciglio.
La sua palpebra viene lavata dal fuoco,
la sua lacrima è fumo.
La cieca stella vola verso -
e si scioglie in quel bollente ciglio:
viene il caldo nel mondo,
e i morti
sbocciano e fioriscono.
Di chi ingannato cammina-occhi: in voi
sfociano i rimanenti sguardi.
Un unico
flutto
s'ingrossa su.
Presto brillate voi
che gli scogli a morte ponete, sopra i quali essi
hanno
puntato, contro
se stessi.
La chiusa
Su tutto questo tuo
lutto: niente
secondo cielo.
(...)
Su una bocca
che era di mille parole,
smarrii -
smarrii una parola
che mi era rimasta:
sorella.
Per
i troppi dei
smarrii una parola, che di me chiedeva:
Kaddisch.
Attraverso
la chiusa passai,
la parola nel flutto salato indietro -
e fuori - e dall'altra parte da salvare:
Jiskor.
Fili di sole
sopra la grigio-nera desolazione.
Altezza -
albero un pensiero
afferra la tonalità della luce: vi sono
ancora lieder da cantare al di là
degli uomini.
Stare, nell'ombra
del segno ferito nell'aria.
Per-nessuno-e-niente-stare.
Sconosciuto,
per te
soltanto.
Con tutto quanto vi ha spazio,
anche senza
parlare.
Nel rosso scuro
Nel rosso inoltrato dormono i nomi:
uno
sveglia la tua notte
e lo conduce, con bianchi bastoni a lungo
tastando verso il passo a sud del cuore,
sotto i pini:
uno, di umana figura,
procede verso la città dei vasai, là
dove la pioggia è accolta come amica
di un'ora del mare.
Nel blu
parla una parola-albero che promette ombra,
e del tuo amore il nome
conta le sue sillabe, inoltre.
Alla maniera di furfanti e imbroglioni
cantata a Parigi emprès pontoise
da Paul Celan
da Czernowitz vicino Sadagora
Solo qualche volta, in oscuri tempi,
Heinrich Heine, A Edom
Allora, quando ancora si dava la forca,
là, non è vero? si dava
un sopra.
Dove rimane la mia barba, vento, dove
la mia macchia di ebreo, dove
la mia barba, che tu strappi?
Storto era il sentiero, che io presi,
storto era, sì,
poiché, sì,
era dritto.
Heia.
Storto, così sarà il mio naso.
Naso.
E noi ci incamminammo anche verso il Friuli.
Lì avremmo noi, lì avremmo noi.
Poiché fioriva il mandorlo.
Mandorlo, Mandorlo (Bandelmaum):
Mandorlo (Mandeltraum), Mandorlo (Trandelmaum).
E anche il ginepro.
Ginepro (Chandelbaum).
Heia.
Aum.
Envoi
Però,
Però s'inalbera, l'albero. Esso,
anch'esso
sta contro
la peste.
Da oscuro a oscuro
Tu hai dato un colpo d'occhio - io vedo il mio buio vivere.
Io lo vedo sul fondo:
anche lì è mio e vive.
(...)
Certezza
Verrà ancora un occhio ad essere,
uno straniero, vicino
al nostro: muto
sotto palpebra di pietra.
(...)
Sparato
nel sentiero di smeraldo.
Covo di larve, covo di stelle, con tutte
le chiglie
io ti cerco,
senza fondo.
Una volta, la morte venne di corsa,
tu ti nascondesti in me.
Deflusso
pettina le tue alghe insieme,
le pone
intorno a te.
Arginato preme,
ciò che tu hai ancora.
Un bianco frammento di fronte va
per te oltre la frontiera.
Frihed
Nella casa del raddoppiato inganno,
dove le barche di pietra volano
sopra
il molo del Re bianco, verso i segreti,
dove l'infine
rilasciata
parola Orlog incrocia,
sono io, di succo di canna nutrito,
in te, su
selvaggina di stagno,
io canto -
cosa canto?
Il mantello
del sabotatore
con dei rossi, dei bianchi
cerchi attorno ai
fori
dei colpi
- attraverso cui
intravedi tu con noi traghettanti
libero
alle stelle il sopra -
copre noi ora,
la verdastra nobiltà della banchina,
con i suoi pensieri di mattone
attorno in giro alla fronte,
ammucchia tutt'intorno lo spirito, la schiuma.
veloci
sfioriscono i rumori
al di qua e al di là del lutto,
il vicino
veleggiante
putrido dente di corona
in un occhio
venuto storto
poesie compone
in danese.
Da sé in tre, in quattro
Menta riccia, menta, arricciata,
davanti alla casa qui, davanti alla casa.
Quest'ora, di quest'ora,
il suo parlare con la mia bocca.
Con la bocca, con il suo tacere,
con la parola, il rifiutarsi.
Con gli ampi, con gli stretti,
con i vicini tramonti.
Con me solo, con noi tre,
mezzi legati, mezzi in libertà.
Menta riccia, menta, arricciata,
davanti alla casa qui, davanti alla casa.
Con pali cantati custoditi a terra
viaggiano le carcasse del cielo.
In questo canto di legno
tu saldo con i denti lo mordi.
Tu sei del canto fermo
il pennone.
Illeggibilità di questo
mondo. Tutto doppio.
I potenti orologi
danno l'ora spaccata giusta,
rauchi.
Tu, nel tuo più profondo bloccato,
scendi
per sempre.
Il compagno di viaggio
L'anima di tua madre è sospesa davanti.
L'anima di tua madre aiuta la notte a navigare intorno, intorno a scoglio e scoglio.
L'anima di tua madre frusta i pescecani qui davanti a te.
Questa parola è boccuccia di tua madre.
Boccuccia di tua madre condivide il tuo covo, da pietra a pietra.
Boccuccia di tua madre si piega verso la briciola di luce.
Alberello, le tue foglie guardano bianche nel buio.
Di mia madre i capelli non furono mai bianchi.
Dente di leone, così verde è l'Ucraina.
La mia bionda madre non venne a casa.
Nuvola di pioggia, tu sosti alle fonti?
La mia lieve madre piange per tutti.
Stella rotonda, tu stringi il fiocco dorato.
Il cuore di mia madre fu ferito dal piombo.
Porta di quercia, chi ti alzò dai cardini?
La mia leggera madre non può venire.
(Traduzione di Omar Wisyam)