La notte ciclica
(Omar Wisyam traduce Borges)
La notte ciclica
Lo sapevano gli ardui seguaci di Pitagora:
Gli astri e gli uomini volgono ciclicamente;
Gli atomi fatali ripeteranno l'urgente
Afrodite di oro, i tebani, le agorà.
In età future opprimerà il centauro
Con lo zoccolo solipede il petto del lapita;
Quando Roma sarà polvere, gemerà nell'infinita
Notte del suo palazzo fetido il minotauro.
Ritornerà ogni notte d'insonnia: minuziosa.
La mano che questo scrive rinascerà dal medesimo
Ventre. Ferrei eserciti costruiranno l'abisso.
(David Hume di Edimburgo disse la stessa cosa).
Non so se ritorneremo in un ciclo secondo
Come si ripetono le cifre di una frazione periodica;
Ma so che un'oscura rotazione pitagorica
Notte a notte mi lascia in un luogo del mondo
Che è dei sobborghi. Un angolo remoto
Che può essere del nord, del sud o dell'ovest,
Ma che ha sempre un muro celeste,
Una fichera ombrosa e un sentiero rotto.
Lì sta Buenos Aires. Il tempo che agli uomini
Porta l'amore o l'oro, a me appena lascia
Questa rosa spenta, questa vana matassa
Di vie che ripetono i passati nomi
Del mio sangue: Laprida, Cabrera, Soler, Suarez...
Nomi nei quali rimbombano (già segrete) le diane,
Le repubbliche, i cavalli e i domani,
Le felici vittorie, le morti militari.
Le piazze gravate dalla notte senza padrone
Sono i patii profondi di un arido palazzo
E le vie unanimi che generano lo spazio
Sono corridoi di vaga paura e di sogno.
Volge la notte concava che decifrò Anassagora;
Torna alla mia carne umana l'eternità costante
E il ricordo -il progetto? di un poema incessante:
Lo sapevano gli ardui seguaci di Pitagora...
Poema congetturale
Il dottore Francisco Laprida assassinato il giorno 22 settembre del 1829 dai Montoneros di Aldao, pensa prima di morire:
Fischiano le pallottole nell'ultima sera.
C'è vento e c'è nel vento cenere,
si disperdono il giorno e la battaglia
informe, e la vittoria è degli altri.
Vincono i barbari, i gauchos vincono.
Io, che studiai le leggi e i canoni,
io, Francisco Narciso de Laprida,
la cui voce dichiarò l'indipendenza
di queste crudeli province, sconfitto,
di sangue e di sudore ammantato il volto,
senza speranza né timore, perduto,
fuggo verso il Sud per gli ultimi sobborghi.
Come quel capitano del Purgatorio
che, fuggendo a piedi e insanguinando il piano,
fu accecato e abbattuto dalla morte
dove un oscuro rio perde il nome,
così dovrà cadere. Oggi è il termine.
La notte laterale dei pantani
è in agguato e mi trattiene. Odo gli zoccoli
della mia calda morte che mi cerca
con cavalieri, con grifi e con lance.
Io che anelai essere altro, essere un uomo
di sentenze, di libri, di opinioni,
al cielo aperto giacerà tra il fango;
però mi stringe il petto inesplicabile
un giubilo segreto. Alla fine mi incontro
con il mio destino sudamericano.
A questa rovinosa sera mi portava
il labirinto multiplo dei passi
che i miei giorni tessero da un giorno
dell'infanzia. Alla fine ho scoperto
la recondita chiave dei miei anni,
la sorte di Francisco de Laprida,
la lettera che mancava, la perfetta
forma che sapeva Dio fin dal principio.
Nello specchio di questa notte attingo
il mio insospettato volto eterno. Il cerchio
va a chiudersi. Io attendo che così sia.
Pestano i miei piedi l'ombra delle lance
che mi cercano. I figuri della mia morte,
i cavalieri, le criniere, i cavalli,
si chiudono sopra di me... Già il primo colpo,
già il duro ferro che mi fende il petto,
l'intimo coltello nella gola.
(Traduzione di Omar Wisyam)