Guy Debord

 


Due lettere a Gianfranco Sanguinetti



 

Traduzione a cura di Omar Wisyam (Claudio D'Ettorre)




 

 

 

21 aprile 1978

 

La "Brigata Rossa" ha fatto dei continui progressi dalla bomba di Milano: nell'inflazione delle sfide - da Calabresi a Moro - ma non nei metodi; hanno sempre saputo uccidere con efficacia, ma lo sfruttamento delle azioni è ancora carente a causa di una messa in scena povera, illogica, piena di esitazioni e di contraddizioni.

Degli estremisti, per quanto stupide possano essere le loro intenzioni e la loro strategia, non avrebbero in nessun caso potuto operare da soli in quel modo. In primo luogo, se non erano coperti, avrebbero agito in modo da perdere meno tempo dopo il rapimento (giacché la possibilità che siano già infiltrati o si trovino un giorno denunciati a qualche livello, ma anche la possibilità di commettere qualche sciocchezza, o di incorrere in qualche disavventura, si sarebbe evidentemente affacciata almeno a qualcuno di loro). Essi chiaramente e con l'insistenza più pressante, avrebbero immediatamente chiesto qualcosa: la liberazione di prigionieri - come nel caso di Baader -, la diffusione della loro propaganda, o la rivelazione di alcune delle manovre più recenti dello Stato democristiano semistalinizzato, attraverso delle confessioni estorte a Moro, o semplicemente attribuite a Moro. Ma costoro appaiono del tutto indifferenti alla sorte degli imputati di Torino; non hanno alcuna tesi discernibile; non vogliono compromettere il personale dello Stato, che del resto non ha mostrato alcun timore da questo lato.

Suppongo che l'intelligenza del popolo italiano, che non si esprime attraverso i mass media, abbia in grandissima parte compreso tutto questo. Da ciò derivano diversi sviluppi degli ultimi giorni. Moro si sarebbe suicidato per dare meglio l'impressione di uno stile terroristico tradotto dal tedesco (ed allora il suo corpo sarebbe in un lago che forse conteneva un altro corpo, ma la notizia viene corretta ipotizzando che il suddetto corpo si trovi altrove, giacché si è dovuto pensare che la semplice coincidenza sarebbe parsa strana, e che le informazioni su dei fatti verificatisi nelle campagne più remote siano più accessibili ai carabinieri che ai terroristi urbani). Nel cinema hollywoodiano, si dice: Tagliate: si rifà la scena. Non era naturale. Allora Moro non si è più suicidato, e si vuole ora scambiarlo entro breve termine. Ecc..

L'affare è ovviamente condotto dai nemici del compromesso storico, ma non da nemici rivoluzionari. Gli estremisti sono di solito così ingenui, anche in Italia, che si gettano abbastanza volentieri, in simili casi, in discussioni perfettamente teologiche sui problemi della violenza rivoluzionaria, come quel chierichetto al quale il suo estetismo passatista dell'attentato anarchico aveva fatto credere in precedenza che Oswald avesse abbattuto Kennedy. È dunque una discussione pressappoco sul modello: Se Dio esistesse, avrebbe rapito Moro? Ma non si dovrebbe dire piuttosto: Può essere che Censor esista, e che abbia cambiato politica?

Gli stalinisti sanno ovviamente chi dirige questo colpo contro di loro. La base fragile della loro politica, è che tutti i democristiani sono ufficialmente loro amici. Alcuni dei loro amici esercitano questa pressione contro altri loro amici. Gli stalinisti dicono che non si deve cedere: ma che possono dire di diverso? L'omertà disciplinerà questi rapporti fino alla fine. Ma a cosa porterà effettivamente una tale pressione, spinta fino a questo punto? Le cose che si sono dette non sono che dei segni cifrati di un confronto che si gioca altrove. Si sono affrontati dei grandi rischi per dimostrare che l'ingresso degli stalinisti nella maggioranza non ha riportato l'ordine, tutto il contrario. Non si deve dimenticare che se dal punto di vista della rivoluzione, ed anche dal punto di vista di un certo capitalismo moderno, alla Agnelli, la partecipazione degli stalinisti non cambia in alcun modo la natura della società di classe, esistono altri settori del capitalismo i cui interessi, ma anche le cui passioni, sono completamente contrari ai costi di questo cambiamento, e ne fanno apertamente un casus belli.

Gli stalinisti sono crudelmente imbarazzati (l'eurocomunismo è già fallito, in Francia e in Spagna). Ma se il pubblico di oggi è stupito per tali enormità, i capi stalinisti, e gli altri vecchi antifascisti, hanno già visto tutto ciò, e meglio, in un'altra Spagna, ai tempi della loro gioventù, quando fu rapito Andres Nin. È da allora che hanno appreso a tacere. E come nelle Brigate Internazionali essi difendevano la Repubblica spagnola tacendo, adesso difendono la Repubblica italiana. E le Repubbliche che sono difese in questo modo non durano a lungo.

Il loro obbligo di tacere sugli attuali crimini perché hanno taciuto sui precedenti, questo dato del problema che è ben noto ai loro nemici e giustifica tanta audacia, non è fondato soltanto sui loro stessi crimini staliniani di un'altra epoca. Hanno collaborato, con il loro silenzio, anche al colpo di Stato del 1969, da cui è venuto fuori tutto il resto. Perché non si è creduto di sapere, poi saputo senza saperlo, poi saputo senza concludere, che lo Stato aveva inaugurato il terrorismo a Milano (chi chiede insistentemente di essere invitato ad uno strapuntino della tavola di Stato, nonostante i suoi precedenti loschi, non dirà a voce alta che i piatti sono sporchi), l'Italia politica è entrata in questa apparente follia. Non c'è stato pubblicamente un affare Dreyfus, non perché lo scandalo fosse inferiore, ma perché nessun partito ha mai saputo imporre una conclusione vera. Così l'Italia, che aveva avuto un maggio strisciante, ha peggiorato la sua malattia con un affare Dreyfus rientrato.

Coloro che hanno deciso il rapimento di Moro forse non hanno calcolato giustamente tutte le conseguenze, e le loro interazioni; ma le hanno certamente pesate. Sono pronti a tutto per ottenere un cambiamento adesso, e sono adesso obiettivamente costretti ad ottenerlo. Quello che è stato fatto mostra, allo stesso tempo, che si può fare di peggio. Quello che in questo momento è stato colpito e terrorizzato, è tutto il campo del compromesso storico. Già si vede come reagisce. Se la pressione non porta entro molto breve ad una sorta di soluzione pacifica, un atto di forza è obbligatoriamente programmato.

Gli sperimentatori che operano in Italia, ed iniziano a trasformarla nel laboratorio europeo della controrivoluzione, sono abituati alla generale complicità di tutti coloro che hanno la parola; complicità che, spinta fino a questo limite, dà del paese un ritratto, falso, di imbecillità generale. Ma si sa molto bene che ci sono state una o due eccezioni. Ho conosciuto un uomo che passava il suo tempo fra sfacciate donne fiorentine, e che amava incanaglirsi con tutti gli ubriaconi dei peggiori quartieri. Ma riusciva a comprendere tutto ciò che avveniva. L'ha dimostrato una volta. Si sa che potrebbe ancora farlo. È senz'altro ritenuto oggi da qualcuno come l'uomo più pericoloso d'Italia.

Cavalcanti

 


 

29 agosto 1978

 

Caro amico,

Approvo completamente i progetti della tua lettera del 15 agosto.

Osservo tuttavia che sono in contraddizione totale, senza il minimo tentativo di spiegazione, con le tesi che sostenevi malauguratamente nella tua lettera del 1 giugno.

Vorrei dunque sapere le ragioni che motivavano quelle analisi, così strane, in quel momento:

a) una pressione diretta delle autorità?

b) una pressione indiretta, della stessa origine, ma politicamente presentata dalle insinuazioni del molto sospetto Doge?

c) il puro piacere di contraddire Cavalcanti, attività alla quale non ti sei troppo spesso dedicato, a scapito di passatempi migliori?

In attesa di leggere una risposta su questo notevole problema,

 

Cavalcanti

 

P.S. Ho ricevuto i libri. Grazie. Vorrei avere l'edizione-pirata del 1977 dello Spettacolo.

 


 

Appendice

 

1.

Ho domandato anche a Lebovici di inviarti le fotocopie di quattro lettere scambiate nel 1978 tra Gianfranco (Niccolò) e me (Cavalcanti). Sono da leggere molto attentamente, tenendo conto con attenzione delle date; e di tutto.

Guy Debord a Jean-François Martos, 5 maggio 1981.

 

2.

Hai ragione a dire che i nostri rapporti, dal primo incontro, sono stati cordiali; e d'altronde spero che si sviluppino ancor di più in questo senso. Prendo dunque quest'osservazione come una sorta d'elogio da parte tua, se rammenti che c'era a priori tra noi una questione abbastanza imbarazzante, che prima ignoravi, e di cui ho cercato di limitare, per quanto possibile, il peso: quella delle tue relazioni con Gianfranco [Sanguinetti]. Ti ho comunicato alcune critiche che sono stato obbligato a formulare a proposito di Gianfranco. Credo di averti detto il meno possibile, ed allo stesso tempo il minimo necessario. Era realmente l'estremo del minimo.

Sono stato amico di Gianfranco. Non vorrei certamente, anni dopo, scoraggiare coloro che si trovano ad essere attualmente suoi amici, esponendo loro tutto ciò che so e tutto ciò che ne penso. Ciascuno deve giudicare da solo, soprattutto in occasioni simili; e soprattutto deve valutare riguardo al presente; poiché ne è parte. Allo stesso tempo, volevo metterti in guardia contro alcuni pericoli, che non so fino a che punto Gianfranco conosca o si rifiuti di conoscerli. Questo è il motivo per cui ti ho detto di chiedergli quello che pensa ora del Doge. È una sorta di parola d'ordine per garantire la tua sicurezza. Poiché sono convinto che Gianfranco, che ne capisce il significato, sia portato a pensare che ti abbia detto molto più di quanto ti ho detto effettivamente, sul passato, su ciò che ne so e su ciò che sospetto. Agirà di conseguenza.

Guy Debord a Jean-François Martos, 24 luglio 1981.

 

3.

Ricevo la tua, inviata da Nizza il 23. Credo che tu l'abbia scritta in un momento di depressione; e spero proprio che tutti i compagni si rifiuteranno di arrivare rapidamente a delle conclusioni contro di te, come tu hai fatto con te stesso in questi giorni.

Hai certamente avuto torto a permettere che Gianfranco [Sanguinetti] parlasse così scorrettamente; ma è una cosa davvero così grave, e così irreparabile? Certamente no. Si sa molto bene che Gianfranco è colpevole, da tempo e davanti a molta gente, di ciò che non ha detto e di ciò che ha detto; si ignora soltanto fino a qual punto è precisamente colpevole. Anziché rispondere di questo, ha spostato cinicamente la discussione su un problema falso: tu saresti, tu, precisamente, un pro-situ. ¡Hombre! Se lo fossi, non lo crederesti; saresti tranquillo come tutti gli altri nella loro falsa coscienza.

Penso che noi abbiamo troppi nemici reali perché i più seri tra noi possano lasciarsi andare alla cattiva abitudine, al lusso, di accusarsi da soli, quando si imbattono nella più grossolana provocazione, e come se avessero realmente nuociuto alla causa. Diffida di più degli altri, prima di diffidare erroneamente di te stesso, compaňero.

Sono sicuro che dovresti ora parlare di tutto questo con Jeff [Martos], e ad altri amici, prima di considerare in modo tanto abominevole e definitivo un momento di distrazione che non può realmente nuocere a nessuno.

Guy Debord a Carlos Ojeda, 29 agosto 1981.

 

4.

È vero che la lettera che Jaap [Kloosterman] ti ha inviato ha un tono, come mi scrive Michel [Prigent], duro. Sono convinto che, da parte sua, questo dipenda soltanto da una grave delusione, e da una giusta sfiducia, nei confronti di Gianfranco [Sanguinetti]; a partire dalle informazioni di cui Jaap era giunto ad avere conoscenza. In realtà, l'elemento veramente decisivo mi sembra piuttosto risiedere nel fatto che Gianfranco non ti ha risposto per niente, ed in un tale contesto, per due mesi. È una verifica terribile: peggio ancora di ciò che potevo pensarne. In questo senso, il tono ancora molto educato delle precisazioni che chiedevi a Gianfranco aveva il merito di lasciargli tutta la libertà di rispondere, e non di offrire nessuna scusa per un tirarsi indietro. Si è dunque visto.

Credo anche che adesso ne vedremo di peggio, e sullo stesso terreno pericoloso. Ti invio, in allegato, la copia di un messaggio che ho appena ricevuto da Carlos [Ojeda]. È qualcosa di desolante, perché mi sembra che Carlos (che aveva giudicato molto correttamente Arthur [Marchadier]), sia caduto in una sorta di delirio auto-accusatorio. Non so perché avesse voluto vedere Gianfranco in un simile momento, ma il risultato è stato disastroso; poiché Gianfranco, nel quale questo genere di abilità detestabili non stupisce affatto, è riuscito a non rispondere a tutte le questioni scottanti alle quali avrebbe dovuto rispondere, portando la discussione su una questione del tutto metafisica: il supposto carattere pro-situ di Carlos! Di modo che ha ottenuto una specie di crollo psicologico in uno che è, evidentemente, più sincero e più onesto di lui. Quali conseguenze non si possono temere?

(...) Penso, infatti, che ci siano molte cose di cui si dovrebbe parlare a viva voce.

Guy Debord a Jean-François Martos, 29 agosto 1981.

 

5.

Capisco che Jeff [Martos] sia stato colpito dalla critica di Jaap [Kloosterman], che sembrava ritenere che lui volesse a tutti i costi risparmiare Sanguinetti. Al contrario, il fatto più importante è che Sanguinetti non era riuscito a trovare nulla da rispondere a Jeff dopo due mesi: ciò prova che la lettera di Jeff era abbastanza forte per ridurre al silenzio qualcuno che è e si sente evidentemente colpevole.

Intorno a questa storia, vedrai allegata alla presente una desolante lettera di Carlos [Ojeda]. Non so cosa sia andato a fare da Sanguinetti; ma il risultato è stato per lui qualcosa che somiglia molto ad una crisi di pazzia auto-accusatoria. È spiacevole, soprattutto dopo tutte le miserie a cui abbiamo dovuto assistere in sei mesi.

Guy Debord a Michel Prigent, 29 agosto 1981.

 

6.

Stavo proprio per scriverti. Michel [Prigent] ha trascorso qui alcuni giorni. Mi ha parlato soprattutto di gran parte della gente che ha la disgrazia di conoscere a Parigi; ma forse anche il piacere? Mi è sembrato di tornare ai risibili tempi di Arthur [Marchadier], tanto questa povera banda gli somiglia nell'incapacità invidiosa; e anche meno brillante. È dunque inutile che quelli lo rimproverino più o meno apertamente: non sono degni di rimproverarlo. Né la Spagna né la Polonia interessano a tutti quei voyeurs e venditori di pettegolezzi, che si appassionano ora soltanto a ciò che è avvenuto in Italia prima del 1978, e principalmente sul mistero del Doge. I pellegrinaggi a Figline riportano indietro strani dogmi: sarebbe improprio parlare del Doge, perché Gianfranco [Sanguinetti] avrebbe rotto con lui da due anni (ma perché?), e perché sarebbe una questione che può essere discussa soltanto tra lui e me (Foutre! non io, in ogni caso, non c'entro per niente in questa storia, e me ne disinteresso dato che sono cinque anni che non metto piede in Italia).

Guy Debord a Jean-François Martos, 10 gennaio 1982.

 

7.

I sanguinettiani di cui parli sono dei fanatici inetti, poiché sono convinti che porre al loro idolo delle domande su alcuni punti molto precisi ed importanti, sia già prendere partito contro di lui. Riconoscono comunque che quelle erano questioni alle quali l'idolo non poteva rispondere; e che era dunque irriverente porre! È vero che l'idolo aveva preliminarmente fatto questa confessione decidendo di non rispondere, e l'aveva giustificata a chi voleva ascoltarlo con la stessa assurda argomentazione. Ci si può chiedere se i fanatici in questione si considerino ancora degli estremisti, anche se i più negano, o se piuttosto non si siano allineati al modo di pensare delle sette del tipo moonista? Ritengo che ti sia comportato nel modo migliore in questa storia, e seguendo la via che ha condotto alla più grande chiarezza. Se la tua lettera fosse stata una condanna completa che si basava su informazioni e documenti sconosciuti, è in quel caso che si sarebbe potuto, senza aver bisogno di falsificare interamente il senso di quella lettera, rimproverarti di un partito preso immotivato; e senza dubbio fare le abituali ipotesi sulle influenze che vi si potrebbe trovare dietro. Ma poiché non hai lasciato neppure l'ombra di un pretesto, non ci si può che chiedere sempre di più perché dei cretini che ostentano fino a questo punto la loro disonestà non trovino più comodo affermare semplicemente che le lettere scambiate nel 1978 non sono nient'altro che dei falsi?

Guy Debord a Jean-François Martos, 25 febbraio 1982.

 




Traduzione a cura di Omar Wisyam (Claudio D'Ettorre)

 







Opere incomplete

di

Omar Wisyam (Claudio D'Ettorre)


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