Sul pianeta Vegeta     Parte I

 

 

Guardava continuamente l’orologio alla parete, camminando con nervosismo per l’ampio soggiorno. Lo percorreva in lungo e in largo, passando intorno ai divani e compiendo un movimento rotatorio intorno alla tavola apparecchiata per la cena.

Già da un’ora era calato il crepuscolo, già da un’ora percorreva instancabilmente quel monotono cammino, che si arrestava puntualmente dinanzi all’orologio alla parete e riprendeva dopo aver sbirciato la strada dall’ampia vetrata.

Era una sera fredda, di quelle che ispirano a restarsene a casa al caldo, davanti alla televisione, ad immergersi, dopo, in un bagno rilassante e potersi infilare in fine sotto le coperte accanto a lui…trovando calore tra le sue possenti braccia:

“Mi sentiranno quando ritornano!” brontolò Bulma rivolgendosi ad un fagottino che teneva tra le braccia, avvolto in uno scialle di lana, da dove a stento sbucava una minuta testolina:

“Tuo padre e tuo fratello se la prepareranno da soli la cena questa sera!” continuò cullando la creatura, a cui il percorso circolare compiuto dalla madre per tutto il soggiorno aveva conciliato il sonno.

Alla fine, anche lei stanca, si lasciò andare sulla poltrona.

Non era il consueto nervosismo che l’assaliva ogni volta che Vegeta e suo figlio ritardavano e non erano puntuali per la cena.

Era agitata quella sera, come intimorita da un presentimento, come se avesse il sentore che quella sera non avrebbe guardato la televisione, non si sarebbe immersa nella vasca, non si sarebbe riscaldata accanto al suo uomo.

Era un senso di inquietudine insinuatosi in lei alle prime luci dell’alba di quel giorno, quando il sole filtrato attraverso le tende, lasciate tirate la sera prima, l’avevano destata, ed era andato acuendosi sempre più con il calare delle tenebre.

Fu alcuni anni prima l’ultima volta che era stata in preda ad un’angoscia simile, il giorno del torneo Tenkaiki , quando ancora prima di giungere all’isola, aveva avuto il presentimento che quel giorno sarebbe stato lunghissimo e che qualcosa di terribile si sarebbe abbattuto su di lei e sulla Terra. Quel giorno il suo presentimento assunse le sembianze di un mostro rosa, pingue e buffo, che trasformava gli esseri umani in caramelle e cioccolatini.

Quella sera invece non aveva idea di cosa potesse accadere, era da tempo che la Terra conosceva un periodo di pace, non aveva neanche paura per Vegeta e suo figlio, che sapeva ormai sulla strada del ritorno, dopo un pomeriggio di allenamenti.

Era un senso indefinito di ansietà, accresciuto dal silenzio e dalla tranquillità inconsueta che regnava intorno alla sua casa quella sera.

Erano sole in casa, lei e la sua bambina. Da tempo i suoi genitori non vivevano più lì, da quando suo padre aveva deciso di lasciare a lei la Capsule Corp. e trasferirsi fuori città con la madre, per trascorrere in riposo il resto del tempo che la vita riservava loro.

Restare sola in casa era dunque divenuto frequente, eppure quella sera aveva il timore vago che potesse accaderle qualcosa mentre Vegeta e Trunks erano ancora fuori, che proprio nella sua casa, sempre così sicura ed accogliente potesse sopraggiungere qualcosa di terribile.

Era una di quelle volte in cui avrebbe desiderato avere una casa più piccola, come la Kame House magari, dove i rumori minimi non riecheggiavano come tonfi sonori e dove poteva tener tutto sotto controllo, senza il timore di percorre l’interminabile corridoio della Capsule corp. e imbattersi all’improvviso in uno sconosciuto introdottosi di soppiatto.

Era accaduto qualche mese prima di aver trovato due ladri nell’ala dei laboratori, ma Trunks non aveva avuto difficoltà alcuna a liberarsene, risparmiando loro la possibilità inesorabile di incontrare Vegeta, che con minore esitazione li avrebbe lasciati correre.

Forse era semplicemente questa la paura di quella sera, che qualcuno cioè, non necessariamente un essere mostruoso, potesse introdursi in casa mentre era sola e senza possibilità di difesa.

Forse era semplicemente per questo che aveva i sensi già tesi al massimo e la suggestione le stava giocando spiacevoli scherzi, facendole vedere e sentire ombre e rumori inesistenti.

Aveva cercato di dissuadere Vegeta e suo figlio da andarsi ad allenare quel pomeriggio fuori casa. Aveva mentito dicendo di non sentirsi bene e di non voler restare sola, ma non aveva più insistito quando aveva visto lo sguardo deluso di Trunks, che prontamente le aveva promesso che non avrebbero fatto tardi.

Sbirciò ancora una volta l’orologio, sobbalzando allo scricchiolio di un ceppo di legna che ardeva nel camino.

Pensò di accendere il televisore, perché almeno l’elettrodomestico le facesse un po’ compagnia, ma rinunciò vedendo che la bimba dormiva placidamente tra le sue braccia.

Era ancora piccola Bra, aveva solo un mese di vita ed era stata messa al mondo dopo una gravidanza travagliata, dalla quale la madre era riuscita a riprendersi solo da pochi giorni.

Poco alla volta, amorevolmente assistita, aveva ritrovato la forza di rialzarsi dal letto e dopo una lunga convalescenza, il suo viso aveva recuperato il colorito di sempre ed il corpo il vigore di un tempo.

Fu anche per questo che non riuscì a negare al figlio un pomeriggio fuori casa, dopo che  il ragazzino si era prodigato a lungo accanto a lei.

Si mise a guardarla con lo sguardo tenero di una madre e in quella boccuccia vermiglia e nelle guance paffute riuscì a trovare a poco a poco sollievo ed abbandono.

Stava anche lei chiudendo gli occhi e declinando il capo, quando un rumore assordante, come di un motore, ruppe il silenzio serafico di quella sera. Bulma si alzò si soprassalto e si precipitò a gettare un’occhiata dalla finestra.

Sembrava che una fila di tir stesse attraversando la strada, ma la via era deserta, e l’auto che la stava percorrendo non era sufficiente a generare un rumore tanto potente.

Forse era un aereo che sorvolava a bassa quota la città, ma non sentiva il suono calante, tipico di un mezzo che si allontana.

Stava ancora riflettendo sulla natura di quel rumore quando vide un’ombra avanzare nel giardino:

“Finalmente…” esclamò  riconoscendo Vegeta e muovendosi verso i fornelli per riscaldare la cena.

Non li avrebbe rimproverati, ma di certo non avrebbe acconsentito che si sedessero a tavola senza neanche aver fatto una doccia. Non aveva mai voluto transigere su questa faccenda.

Dovevano essere rigorosamente puliti quando si sedevano a tavola o si infilavano sotto le lenzuola e non era stato difficile abituarli, avendoli minacciati più volte di lasciarli a stomaco vuoto o di negare in particolare a Vegeta qualcos’altro...

Ma riuscì a compiere solo pochi passi, quando la porta alle sue spalle esplose con uno schianto inaudito.

Si gettò a terra per proteggere la bambina dai vetri della finestra che si frantumarono in una miriadi di schegge e dal divano che saltò in aria coinvolgendo nella caduta il televisore ed il vaso di fiori sul tavolino.

Poi il silenzio.

Bulma restò in quella posizione, immobile, a proteggere Bra che, bruscamente interrotta dal suo placido sonno,  aveva incominciato a piangere.

Sentì dei passi pesanti avvicinarsi lentamente verso di lei. Alzò il capo con lentezza, osservando prima le gambe possenti e robuste dei due individui fermi davanti a lei, il loro busto scolpito ed ampio, in fine il collo taurino di ciascuno su cui poggiava una testa dall’espressione per niente promettente. Ma più di tutto, ciò che le fece sgranare gli occhi fu osservare le armature di cui erano rivestiti. Le avrebbe riconosciute ovunque quelle placche metalliche che cingevano i fianchi e proteggevano le spalle, non poteva avere più dubbi quando scorse una coda attorcigliata intorno alla vita:

“Dov’è il principe Vegeta?” parlò uno dei due saiyan.

Bulma restò muta, mentre la bocca tremava nel tentativo di emettere un suono articolato.

“Non hai sentito?!”.

“Lui…sta per arrivare…”.

“Cosa?!” gridò più forte l’uomo per superare il rumore assordante proveniente ancora dall’esterno.

Bulma cercò allora di trovare la risposta più giusta, ma il silenzio che irruppe d’improvviso la trovò impreparata. Non riusciva ancora a capire cosa stesse accadendo, cosa dovesse badare prima, se affrontare quei due individui o trovare il modo per tenere buona la piccola che continuava a piangere.

Sentì poi il cuore alleggerirsi quando avvertì il passo inconfondibile di Vegeta che saliva le scale e vide la sua ombra, che avanzava, stagliarsi contro la parete.

Era così simile a lui l’uomo che varcò la porta e si arrestò davanti a loro.

Aveva il suo stesso portamento, quel tipico modo di fermarsi con le braccia conserte e con la testa alta. La sua fronte era ampia, il volto, ricoperto da una folta barba, aveva i suoi stessi tratti duri, gli occhi erano scuri e misteriosi quanto quelli di lui, ma avevano quella cattiveria che da tempo non intravedeva negli occhi di Vegeta:

“Dov’è mio figlio?” la voce del saiyan risuonò cavernosa nella stanza.

Bulma restò confusa, a guardare quell’uomo così somigliante a Vegeta, che posò su di lei un’espressione fredda e superba:

“Donna! Il re dalla potente stirpe dei saiyan ti ha posto una domanda, rispondigli!” disse con tono magniloquente uno dei saiyan che lo aveva preceduto.

Bulma credette di non aver sentito bene, ma i suoi occhi non potevano ingannarla: quell’uomo era identico a Vegeta ed era suo padre.

Vegeta non le aveva mai parlato di lui, erano ormai alcuni anni che sul suo passato era molto poco comunicativo, come se lo avesse accantonato intenzionalmente in qualche parte recondita della sua mente.

Ma lei sapeva per certo che Vegeta e Goku erano gli unici saiyan di razza pura esistenti e che suo padre non poteva essere sopravissuto all’immane deflagrazione del pianete Vegeta che lo spietato Freezer provocò moltissimi anni prima:

“Lui…sta per arrivare…” disse a fatica, sconcertata da quell’apparizione, come se fosse stato un fantasma.

Uno dei due saiyan entrati per primi si fece avanti e col capo riverentemente basso disse:

“Quando eravamo in viaggio verso la Terra ed abbiamo percepito l’aura di suo figlio provenire da qui, lei ci ha accordato il permesso di riposarci e così abbiamo lasciato che fosse la navicella a guidarci in questo punto. Sono mortificato, Altezza, che non lo abbiamo trovato. Se vuole…possiamo andargli incontro…”.

“Aspetteremo qui il suo ritorno…” annunciò con tono fermo “…ancora un altro po’ . Se non arriverà, nel frattempo faremo un giro di cognizione intorno a questo pianeta. Credo che guadagneremo molto dalla vendita di questo posto”.

Bulma apprese con sgomento le intenzioni inique di quei visitatori.

“Che cosa?! Ma siete impazziti? Goku e Vegeta non ve lo lasceranno fare! Non avete nessuna possibilità di potercela fare contro di loro! Rimpiangerete di essere venuti dall’oltretomba!” fu quello che la donna avrebbe voluto gridare, quello che la sua mente generava inconsciamente in risposta ai propositi infami di un mostruoso disegno già tracciato, ma riuscì solo a seguire con lo sguardo sconvolto l’uomo, che avanzò piano verso la tavola apparecchiata per la cena.

“Dico a te! Donna! Preparaci da mangiare!” Bulma sussultò, ritornando in se a quell’imperativo.

Restò per un istante immobile, guardando la bambina che aveva smesso di piangere. Si alzò barcollante, proprio come se fosse in un incubo ed i suoi movimenti venissero rallentati dalle proiezioni del cervello, ma decise che era meglio obbedire e, preso l’arrosto dal forno, lo mise sul tavolo.

Fissò quegli ospiti inattesi e sgraditi che prendevano a mangiare come animali voraci, divorando in pochi minuti le pietanze che aveva preparato per Vegeta e suo figlio.

Intuì che quello poteva essere il momento opportuno per scappare via. Occupati come erano ad ingozzarsi non avrebbero certo notato nulla, ma non voltò neanche la schiena che un sibilo luminoso la sfiorò e fulmineo si infranse sonoro contro la parete, perforandola:

“Non provare a dartela a gambe!” tuonò la voce del re dei saiyan, abbassando il braccio che aveva diretto contro di lei.

“Lasciatemi andare…a cosa serve che io resti?” ebbe il coraggio di chiedere, nonostante avesse sentito la morte rasentarle la spalla.

“Non sei nella posizione di esigere favori. Sarai tu a dare un messaggio a mio figlio, nel caso in cui non dovesse ritornare entro trenta minuti. Perciò…è il caso che obbedisci alla lettera e che non compia un passo. La prossima volta non devierò intenzionalmente il mio colpo!”.

Bulma per il momento si arrese, e chiusi gli occhi, pregò fervidamente che Vegeta e Trunks arrivassero il più presto e mettessero fine a quell’incubo dal quale incominciava a temere di non uscirne più viva.

La bambina si agitava inquieta tra le sue braccia, non sapeva per quanto ancora, cullandola, sarebbe riuscita a tenerla buona.

Fra un po’ avrebbe avuto fame e lei non era libera di muoversi come voleva.

Doveva sottostare alla volontà di quegli individui che erano irrotti in casa sua e che adesso facevano il loro comodo seduti alla sua tavola e consumando quello che lei aveva preparato con la dedizione di ogni sera per suo figlio ed il suo uomo.

Si appoggiò rassegnata con la schiena contro una parete, sbirciò l’orologio, ma ormai era già da un pezzo che Trunks e suo padre sarebbero dovuti essere a casa.

Se solo avesse potuto avvicinarsi al telefono e contattare Goku, ma per farlo avrebbe dovuto necessariamente passare accanto a loro, dove su un mobile vicino era poggiato l’apparecchio.

Non sarebbe riuscita ancora a reggere a lungo quella tensione, si sentiva così debole, del resto non si era ripresa ancora del tutto dalla difficile gravidanza, altri trenta minuti alla presenza di quegli individui sembrava essere uno sforzo immane al solo pensiero.

Scivolò piano con la schiena lungo la parete e si adagiò a terra.

Col la coda dell’occhio provò a gettare un’occhiata ai suoi sequestratori. Riusciva a sentire distintamente  il rumore delle loro mascelle che strappavano la carne e a vedere i loro volti. Erano così spaventosi gli occhi dei due saiyan che erano entrati per primi. Una cicatrice squarciava la palpebra calante di uno e simile a quello di un animale feroce quando abbranca la sua preda e la divora era lo sguardo dell’altro.

Il re dei saiyan invece, che con avidità trangugiò un bicchiere di vino rosso, mantenne per tutto il tempo uno sguardo indecifrabile e distaccato. Le ricordò per un istante Vegeta, quando la prima volta si sedette alla sua tavola e lei gli servì da mangiare:

“Cha hai da guardare?!” inveì il re, non gradendo di essere spiato.

Bulma spostò rapida gli occhi, trasalendo. Se fosse stata un’altra circostanza, avrebbe dovuto sorridere: anche Vegeta infatti le si rivolse con la stessa irritazione quella volta.

Ad un tratto uno dei tre guerrieri, quello con la cicatrice che gli squarciava la palpebra calante, si alzò con l’imponenza della sua mole. Si diresse verso i mobili della cucina e con furia inaspettata prese a svuotarli ad uno ad uno in cerca di altro cibo. Rovesciò i piatti, le pentole, tutto quanto gli capitasse sotto gli occhi, procurando un frastuono inaudito che fece scoppiare il lacrime non solo la piccola Bra ma anche la madre che, impotente, assisteva allo scempio della sua casa:

“Buona, Bra!” la scosse la donna, temendo che i tre guerrieri non avrebbero gradito il suo pianto quando il baccano fosse cessato.

Fu presa dal panico vedendo che la bambina non desisteva e si sentì ormai persa quando si accorse che il saiyan apriva il frigorifero e trovava ciò che cercava.

Poi, proprio ai piedi del divano ribaltato intravide il suo ciuccio, si allungò ma non riuscì ad afferrarlo. Allungandosi oltre, dopo essersi accertata velocemente che nessuno di loro la stesse tenendo sotto controllo e fraintendesse il suo movimento come un tentativo di fuga, lo prese tra le dita tremanti e lo diede da succhiare a Bra, che si calmò all’istante.

Trasse un respiro di sollievo, ma il suo viso era stravolto, la paura prendeva a lasciare spazio ad un sentimento più forte di rabbia e di ira. Era quella parte del suo carattere più aggressiva che incominciava a prendere il sopravvento, quella che sapeva affilarle bene la lingua e le faceva digrignare i denti. Del resto non era nella sua indole starsene silenziosa e subire passivamente la prepotenza altrui.

Si alzò e con occhi iniettati di rancore camminò verso i tre saiyan, fermandosi con la testa alta davanti a loro:

“Esigo che ve ne andiate subito da casa mia” scandì lentamente.

La sua voce non tremò, fu risoluta, decisa, enfatica:

“Vegeta non arriverà ed è bene per voi che ve ne andiate subito perché non gradirà quello che avete combinato in casa sua, né sarà lieto di ricevervi”.

Il saiyan dallo sguardo simile a quello di un animale feroce, sollevò il capo a fissarla, inghiottì un morso di mela e si alzò:

“Calmati, bellezza, quello sguardo minaccioso non ti si addice. Sei alla presenza del potente re dei saiyan, non te lo scordare”.

“Bellezza lo dici a tua madre e vi ricordo che siete voi a trovarvi in casa mia” fece di rimando.

Il re dei saiyan osservò la scena con sorriso beffardo, si alzò e procedette lento verso di lei:

“Un caratterino aggressivo…” commentò posando sulla donna il suo sguardo freddo.

Bulma non si sentì raggelare, molti anni prima aveva imparato a reggere quello di Vegeta:

“Mio figlio dovrebbe usare più accortezza quando sceglie le sue schiave”.

Lei restò come intontita, avvampando di rabbia quando capì l’errore in cui era incappato l’uomo:

“Io non sono la schiava di Vegeta! Sono sua moglie!”.

L’uomo la guardò interrogativo, corrugando la fronte:

“Un termine come un altro per indicare comunque una schiava, Altezza” gli venne in aiuto il saiyan dalla palpebra squarciata.

Poi Bulma indietreggiò, sul suo viso comparve un’espressione di panico, la paura si insinuò di nuovo, questa volta fin nelle ossa quando vide che il re dei saiyan adesso osservava con interesse e con cipiglio il fagottino che aveva tra le braccia. Sembrava che solo ora si fosse accorto di quella creatura che agitava le sue piccole gambe:

“No! No!” urlò sentendosela strappare dalle braccia.

Lo scialle di lana in cui era avvolta cadde a terra, svelando il tipico attributo della razza saiyan: una piccola coda che sbucava penzolante da un foro della tutina.

Bulma trattenne il respiro mentre vedeva che l’uomo fissava la sua bambina come un insetto ripugnante:

“Così Vegeta ha avuto una femmina…” osservò con disgusto “povero figlio mio…ricevere un’onta simile…”.

Bulma sentì la forza nella gambe venirle meno. Nessuna offesa poteva farle tanto male quanto quella rivolta ad una creatura innocente:

“Beh…vorrà dire che sarà uno di quegli scarti che manderemo a conquistare qualche pianeta lontano…”.

Non poté sopportare altro. Si avventò con la disperazione di una madre contro l’uomo, ma non riuscì neanche a raggiungerlo che una forza invisibile l’afferrò e con violenza la scagliò contro la parete.

La donna cadde a terra. Il suo corpo restò inerme mentre Bra piangeva e si dibatteva tra le mani rudi di quello sconosciuto, ignara che quello era solamente l’inizio di una spaventosa avventura.

 

* * *

 

Era bello sentire l’aria sferzare il viso, mentre si attraversavano le nuvole ed il brulichio della città sottostante si perdeva nel sibilo del vento.

Ma quella sera l’aria era gelida. A Trunks non piacque come tutte le altre volte quella sensazione che adesso gli paralizzava il viso e gli faceva lacrimare gli occhi.

Aveva una spalla ferita e faceva fatica a mantenersi in aria:

“Allora, ti muovi?!” gridò Vegeta che rallentava per stare al suo passo.

“Siamo già in ritardo. Tua madre sarà su tutte le furie e dopo sarò costretto io a sorbirmi il suo cruccio”.

“Lo so…ma sono stanchissimo”.

“Questo è il risultato di chi non vuole allenarsi ogni giorno” lo rimproverò.

“E’ vero…ma da quando è nata Bra anche tu ti sei allenato poco”.

“Sì, ma non appena potevo, un’oretta nella camera gravitazionale la trascorrevo. Tu hai sempre la scusa pronta per uscire ed andare dal figlio di Kaarot”.

Avevano trascorso un intero pomeriggio su un’isola sperduta nel mezzo dell’oceano. Si erano battuti l’uno contro l’altro tra le onde del mare ed i vortici di sabbia che si sollevavano al concentrarsi della loro potenza, perdendo addirittura la cognizione del tempo che trascorreva.

“Mi hai trovato parecchio peggiorato?” chiese al padre, avendo a cuore conoscere la sua risposta.

Si abbassarono di quota, posandosi con passo felpato nel giardino della Capsule Corp.

“Abbastanza” gli rispose “se mi è bastato un colpo solo per ferirti la spalla”.

Varcarono l’ingresso e salirono stancamente le scale.

Finalmente a casa…

Un bagno caldo…una cena corroborante e poi…sotto le coperte…era il pensiero che percorreva la mente di entrambi.

Trunks stava per dirgli che domani si sarebbe allenato volentieri nella camera gravitazionale insieme a lui, che era pronto a tutto pur di recuperare il tempo perduto, quando si accorse dell’espressione del padre divenuta rigida e pensierosa.

Tese anche lui i sensi, ma non riuscì a percepire niente che potesse aver messo sull’allarme il padre.

Solo quando vide la porta buttata giù comprese il motivo e ne valutò la gravità vedendo il volto dell’uomo diventare una maschera cerea.

Era avvilente lo scenario che si parò dinanzi a loro. Niente di quanto avessero visto, prima di uscire da quella casa, era più al suo posto. Il divano ribaltato, il tavolo ed i mobili della cucina rovesciati, le schegge di vetro che calpestarono sotto i piedi, erano il segno indissolubile che qualcosa di spaventoso si era consumato tra quelle mura.

Un alito gelido di vento attraversò la finestra frantumata, oltrepassò le tende e spense la cenere nel camino.

Restarono agghiacciati a guardare il disastro accaduto che si concluse con il tonfo metallico di una pentola che, in bilico, cadde a terra spezzando il silenzio nefasto che avvolgeva la stanza.

“Bulma!” nel grido di Vegeta trapelò una nota di tremore.

Il vetro scricchiolò sotto i passi dell’uomo, che avanzò lento, con il cuore in gola, scorgendo spuntare da dietro il divano il piede di un corpo inerme.

Con orrore aveva già riconosciuto la caviglia sottile che terminava in una pantofolina rossa, ma volle per un istante illudersi che non fosse il corpo di lei quello riverso a terra, prima di compiere un altro passo e riconoscere la familiarità di quelle gambe, di quei fianchi che dopo mesi avevano recuperato la loro sottigliezza ed il colore dei suoi capelli che, scompigliati, le coprivano il volto.

Trunks con un urlo si gettò dopo di lui verso il corpo della madre.

Un’espressione più distesa percorse il viso del principe dei saiyan quando sentì il battito regolare del suo polso. La prese tra le braccia, scuotendola perché si risvegliasse.

La donna emise solo un gemito di dolore, faticando ad aprire gli occhi:

“Cerca di svegliarla tu, io vedrò dov’è tua sorella” si rivolse al figlio notando che non distante da lei c’era a terra uno scialle di lana.

Lo prese tra le mani, guardandosi intorno alla disperata ricerca di cosa fosse accaduto e perché quello scialle si trovasse lì.

Si precipitò verso la sua camere da letto, dove si trovava la culla della bambina.

Fu una corsa delirante, dove la paura e l’apprensione  lo paralizzarono al punto tale da fargli apparire quel corridoio un tunnel interminabile.

Cosa avrebbe fatto se non fosse riuscito a trovare Bra…per quale motivo il suo scialle non avvolgeva il suo corpicino…doveva essere accaduto qualcosa di terribile…aleggiava ancora intorno alla casa una mostruosa carica negativa.

Sorpassò la camera gravitazionale, le stanze degli ospiti, ma fu quando superò la camera di Trunks che le sue orecchie sensibili captarono un gemito provenire da lì.

Si arrestò all’istante, quel gemito si ripeté ancora, questa volta più prolungato: era il pianto di un neonato, era il pianto della sua Bra.

Aprì la porta. La bambina era stata gettata sul letto e adesso piangeva dibattendo le braccine e le gambe.

Vegeta la prese tra le sue braccia e sorrise soddisfatto quando la creatura, riconoscendo il suo abbraccio, smise di dimenarsi.

Stava ritornando indietro, dove aveva lasciato Bulma e Trunks, quando si accorse che il portafotografie, poggiato sul comodino accanto al letto, era stato fatto cadere.

Fissò impensierito la fotografia, poi si mosse per lasciare la stanza.

La foto, scattata un anno prima, che lo ritraeva tra Bulma e suo figlio sulla riva del mare, restò lì sul pavimento dove l’aveva gettata il re dei saiyan.

Trovò Trunks ancora intento a far riprendere la madre.

Bulma strizzò gli occhi, emise un gemito di dolore quando cercò di rialzarsi con la schiena, confusa si guardò intorno, riuscendo solo dopo qualche istante a riconoscere il ragazzo:

“Finalmente…” proruppe scoppiando in lacrime “finalmente siete arrivati…”.

Cercò di ricordare cosa fosse accaduto prima di sentire quella forza energumena che l’aveva scaraventata contro la parete:

“Bra…” mormorò riprendendo a respirare affannosamente.

“E’ qui” la tranquillizzò Vegeta.

Finalmente riuscì a vedere anche lui.

Gettò la testa contro la sua spalla, piangendo a dirotto per alcuni lunghi minuti.

“Cosa è accaduto mamma?”.

Riuscì a calmasi, ma volle che la bambina fosse tra le sue braccia quando avrebbe raccontato a Vegeta la sorprendente vicenda:

“Sono venuti dei saiyan…cercavano te e c’era anche tuo padre…devono essere andati via..” parlò confusamente.

“Ma cosa stai dicendo?” si alterò Vegeta “hai forse sognato?!”.

Ma lei scuoteva il capo, ancora troppo impaurita per poter essere più chiara.

“Hanno detto che avrebbero venduto questo pianeta…”.

“E’ impossibile! Non potevano essere saiyan!” la contraddisse alzandosi “non ne esistono più!”.

“Ti sbagli Vegeta!”.

L’uomo si bloccò.

Quella voce che gli parlò alle spalle…non l’aveva mai dimenticata…l’avrebbe riconosciuta ovunque…la voce di suo padre…

Non si voltò subito. Restò paralizzato nel sentirla e sorpreso nel percepire un’aura tanto potente quanto negativa.

Trunks strinse sua madre, che aveva ripreso a tremare rivedendo i tre guerrieri che erano ritornati prima di quanto credesse.

Vegeta si voltò piano e fu così che dopo anni tornò a riflettersi negli occhi d’ebano del re dei saiyan, il potente re del pianeta Vegeta, che per anni aveva esercitato un indiscusso potere in molte galassie.

Era difficile dire cosa attraversasse la mente di Vegeta in quegli istanti: non un muscolo del viso scompose la freddezza della sua espressione:

“Come è possibile?” domandò solamente.

Il re sorrise, conscio di aver generato in lui molto più stupore di quanto avesse cercato di non ostentare. Incrociò le braccia e si apprestò a parlare:

“Non c’è molto da sorprendersi e nulla che non possa essere spiegato. Siamo in carne ed ossa…come puoi vedere…e siamo venuti fin qui perché tu sapessi che la rinomata stirpe dei guerrieri saiyan è tornata alla potenza e alla gloria di un tempo”.

Un lampo balenò negli occhi di Vegeta, solo quello, solo quel movimento impercettibile del sopracciglio sinistro sconquassò il suo contegno.

Il re del pianeta Vegeta si apprestò a rivelare il significato delle sue arcane parole.

Molti anni or sono, il potente Freezer aveva recato terrore fino ai confini estremi dell’universo, assoggettando popoli e conquistando intere galassie.

Il popolo dei saiyan, potente razza guerriera e distruttrice, ne aveva riconosciuto il dominio, prendendo a mercanteggiare pianeti al suo servizio e vendendoli ai migliori offerenti sul mercato.

Continuando a fare uso della loro natura aggressiva, i saiyan erano cresciuti in potenza e in rinomanza. Incominciando a ritenerli una minaccia e suggestionato dalla leggendaria figura del super-saiyan, il malvagio Freezer tramava di annientare presto l’intera stirpe.

Nell’ombra si muoveva la figura altrettanto diabolica del re del pianeta Vegeta, che intuito il pericolo a cui sarebbero andati prima o poi incontro e consapevole di potere ben poco contro la potenza combattiva del tiranno, aveva già da tempo provveduto a trovare la soluzione perché la stirpe dei saiyan non andasse mai estinta.

Da ogni saiyan adulto e piccolo aveva fatto prelevare un campione di pelle.

Saputo che Freezer era ormai pronto a portare avanti il suo disegno di annientamento quando Burdack, padre di Goku, avuto il dono funesto della premonizione, si aggirava come un profeta forsennato negli ambienti del Palazzo per esortare tutti ad affrontare lo scontro, il re di Vegeta affidò le provette contenenti il prezioso materiale ad una schiava di fiducia, perché lontana dal pericolo provvedesse a ridare molto presto vita alla sua stirpe, sfruttando il dna prelevato da ogni donna e da ogni uomo.

Giunta costei ai limiti ultimi dell’universo conosciuto, a bordo di una navicella, alla ricerca di un pianeta evoluto tecnologicamente e scientificamente abbastanza da consentirle l’effettuazione dell’ ambizioso progetto del suo sovrano, dopo un lungo peregrinare, arrestò il suo cammino presso una civiltà aliena, tanto pacifica quanto altamente evoluta. Sottomessola in breve alla sua volontà, le cellule di dna trovarono fertile terreno nei sofisticati laboratori del pianeta, alle cui condizioni estreme di gravità, dovute ad un elevatissimo campo magnetico che circondava il pianeta, i corpi redivivi dei saiyan foggiarono la loro potenza ed acquisirono nuove capacità combattive, raggiungendo ciascun guerriero l’ambito livello del super-saiyan.

Erano ormai trascorsi tre anni dacché, rarefattosi il campo magnetico che impediva la loro partenza, i saiyan avevano ripreso a scorazzare tra le galassie, più forti ed aggressivi di un tempo.

Avevano scelto come propria sede il pianeta Aval, battezzato col nome di Vegeta. Si trattava dell’unico satellite naturale del pianeta Ulavac, terra vergine e disabitata, di dimensioni immani. Era qui che aspiravano ad istallarsi definitivamente e a cui avrebbero dato il nome di Neo-Vegeta:

“Sono lieto di vedere che anche tu, Vegeta, hai raggiunto in questi anni un elevato livello di combattimento. Adesso so che il mio cammino e la mia ansietà di ritrovarti non sono state vane” concluse alla fine suo padre.

Vegeta era rimasto muto, con lo sguardo perso nel vuoto, ad ascoltare il suo racconto.

Al suo progredire gli era sembrato di sentire in lontananza la sua voce, mentre su di essa prendevano il sopravvento i rumori di mille stermini compiuti in passato. Sentiva ancora i boati delle città distrutte, le urla disperate di popoli annientati e sottomessi, il colore vivo del sangue che gli schizzava sul volto e sull’uniforme.

Il suo passato, rivissuto in quel racconto, incominciò a fargli ribollire il sangue, accese nei suoi occhi una luce sinistra, disegnò sulla sua bocca un ghigno sottile.

A Bulma e a Trunks non sfuggì nulla del folle proposito portato avanti nell’arco di lunghi anni con dedizione e pazienza.

Trunks percepiva l’aura potente del re dei saiyan, si accorse che non era inferiore a quella di suo padre e neanche a quella di Goku o di Gohan.

Sarebbe stato uno scontro titanico un eventuale combattimento contro quegli individui ed era abbastanza sveglio e perspicace per capire che avrebbero dovuto affrontare un intero esercito.

Non ne sarebbero usciti vincitori mai…era la minaccia più terribile che potesse abbattersi sulla terra. Simili contro i propri simili…si sarebbero fronteggiati a pari armi…alla medesima potenza…con gli stessi punti deboli e le stesse capacità combattive…prese a sudare freddo pensando che non sarebbe mai dovuto essere negligente negli allenamenti.

Bulma si preoccupò invece di capire perché mai quei guerrieri fossero giunti fino alla sua casa ed il re avesse voluto ansiosamente avere quel colloquio col figlio.

Possibile mai che fossero venuti a riprenderselo?

Vegeta non sarebbe sceso ad alcun compromesso…ora lui apparteneva alla Terra….l’avrebbe difesa come aveva fatto tutte le altre volte….non aveva ombra di dubbio…

Il re parve che avesse letto le sue preoccupazioni nella tensione della sua espressione, perché:

“E’ tempo, Vegeta, che ritorni dal tuo popolo. I saiyan ti aspettano con trepidazione. Questo pianeta lo venderemo….ho già avuto modo di appurare che guadagneremo lautamente da questo posto”disse.

“Voi siete impazziti!” gridò Bulma. La presenza di Vegeta le infondeva sicurezza. Sarebbe stata capace di assalirli verbalmente senza remore e stava già per proseguire quando:

“Sta zitta!” gridò laconico Vegeta.

Bulma ammutolì, quasi umiliata che proprio lui le si rivolgesse così.

“Va bene. Verrò con voi” decise il principe, con freddezza e risoluzione, senza lasciar trapelare entusiasmo né contrarietà:

“Papà…!” intervenne Trunks balzando in avanti.

Ma Vegeta sembrò non averlo neanche ascoltato.

“Ma ad una condizione…” proseguì.

Il re attese, curioso di sapere su cosa intendesse patteggiare:

“Loro vengono con me” comunicò alla fine.

La reazione suscitata fu comune a tutti gli astanti: un’espressione trasecolata e stupita che alterò perfino l’inflessibilità della fronte e delle mascelle dell’uomo più anziano:

“Perché?” domandò osservando il ragazzino e la donna con la neonata.

“La terrestre è una scienziata. Potrà esserci di aiuto. Non mi sembra di ricordare che noi saiyan spicchiamo particolarmente in questo campo. Gli altri devono venire in quanto suoi figli. I terrestri sono esseri sentimentali…non si allontanerebbe mai senza di loro” spiegò sprezzante, con lo stesso disinteresse che avrebbe adoperato se si fosse riferito a degli sconosciuti:

“Vegeta…” mormorò Bulma in maniera quasi impercettibile, come se il suo nome si fosse spento sulla sua bocca.

Non era possibile che lui stesse parlando così di loro.

Il re dei saiyan osservò più a fondo Trunks:

“E’ anche lui tuo figlio?”.

Vegeta non lo negò.

“Sa combattere?”.

“Una femminuccia saprebbe fare di meglio. L’ho avuto con una terrestre…cosa ne sarebbe potuto venire fuori…?”.

Il ragazzino sentì come se una lama gli avesse lacerato la schiena. Forse neanche quella avrebbe fatto tanto male come quella parole. Le sue ginocchia si piegarono, Bulma, stretta a lui, dovette reggerlo perché non cadesse. Vide il suo viso impallidire, la mano stringersi al suo vestito, lo sguardo smarrirsi nel buio e nel baratro profondo che incominciava a profilarsi dinanzi ad esso. Si sentì trascinare anche lei, diritto lì nell’abisso dove stava precipitando suo figlio, quando la voce del re la riportò in una realtà altrettanto buia:

“Il satellite Aval, ovvero Vegeta, ha una gravità simile a quella terrestre, ma Ulavac, dove intendiamo stabilirci definitivamente in attesa che gli edifici siano agibili ed ultimati, ha una gravità troppo elevata per loro”.

Aggiunse inoltre che i lavori sarebbero stati ultimati solo entro pochi mesi.

“Quando sarà allora…si vedrà…” concluse spiccio il principe.

“Dunque…possiamo partire ora stesso” disse suo padre, col tono di un ordine piuttosto che quello di una proposta.

Vegeta non obiettò, guardò Bulma e perentoriamente ordinò loro di andare a prendere le proprie cose.

Lei, con gli occhi traboccanti di lacrime, corse verso la sua stanza, ma Trunks restò immobile, come se avesse già toccato il fondo del suo precipizio.

Bulma adagiò la neonata sul letto. Piangente, vagamente conscia di cosa stesse accadendo, prese quanto le capitò sotto le mai e lo ripose in una valigetta.

Bra intanto protestava affamata ed irritata dai trambusti di quella sera.

Cercò di capire cosa stesse dimenticando, ma non era nelle condizioni di ragionare, le parve di impazzire, come se tutto prendesse a girarle vorticosamente intorno.

Il saiyan la trovò seduta sul ciglio del letto, con le mani tra i capelli:

“Vegeta…” si alzò di scatto, ma non disse nient’altro, fissandolo solo con un’infinita tristezza e scuotendo il capo in segno di disapprovazione.

“Muoviti” fu l’unica cosa che pronunciò prima di voltarle la schiena e raggiungere suo padre nel corridoio.

Per un istante sembrò che avesse voluto dirle qualcosa, ma non lo fece.

Bulma li seguì e, trovato Trunks dove lo aveva lasciato, lo spinse a camminare.

L’aria pungente della sera travolse lei ed il fagottino che stringeva al suo petto. Percorrendo il giardino per voltare verso il retro, sentì di nuovo il rumore di quel motore potente che aveva percepito prima che i saiyan irrompessero in casa e finalmente ne scoprì la causa:

una navicella era sospesa a mezza aria ed era il mezzo con cui loro erano giunti.

“Principe…” gli si rivolse il guerriero dalla palpebra squarciata “non c’è posto anche per loro”.

Vegeta rifletté in breve:

“Staranno nella stiva” e si accinse a salire sul veicolo spaziale.

Bulma non protestò. Si accorse di non avere la forza per farlo. Quanto era accaduto quella sera e quanto le sarebbe dovuto capitare nei prossimi mesi, andava oltre qualsiasi presentimento vago…

 

* * *

Dovevano aver già lasciato alle proprie spalle la scia fluorescente che reca il nome di Via Lattea. Pur non essendoci oblò nella stiva, Bulma lo dedusse da un rapido calcolo, guardando il tempo scorrere sul proprio orologio ed ipotizzando la velocità a cui l’avevano percorsa.

Aveva sentito, prima di salire, che il viaggio sarebbe durato meno di quarantotto ore e ritornandoci a riflettere si sentì sollevata di sapere che non sarebbero dovuti stare a lungo rinchiusi in quello spazio ristretto e maleodorante.

Sfamata Bra ed addormentatala, aveva trascorso gran parte di quelle ore nel tentativo di trovare una risposta all’angoscia che le impediva di declinare il capo e concedere tregua ai suoi pensieri.

Vegeta…suo padre…i saiyan clonati…erano percorsi di cui la sua mente ne aveva smarrito la coerenza e la logicità già da molte ore.

Avrebbe accettato qualsiasi cosa, ma non di sapere che Vegeta fosse disposto a rinunciare a tutto quanto di bello avesse creato con lei sulla Terra per prendere parte al folle progetto portato avanti da un uomo che niente aveva mai rappresentato per lui.

Eppure lei sapeva bene che, nonostante lui avesse imparato a volerle bene e a comportarsi come un buon padre, non aveva mai dimenticato di essere un saiyan, che ogni volta che si ritrovava nella condizione di doverlo ricordare a qualcuno, c’era quella luce di orgoglio che gli si accendeva negli occhi e li faceva scintillare diabolicamente, e che anni prima aveva osato addirittura vendere la sua mente ad un mago malvagio perché potesse ritornare ad essere il principe spietato ed impietoso di un tempo.

Ma da allora erano passati alcuni anni e lei era convinta che lui si fosse reso conto di non essere più in grado di compiere del male gratuitamente e che avesse accettato di essersi conformato ad una nuova vita e di ciò ne fosse anche contento.

Era ancora vivo il ricordo in lei di alcune settimane prima, quando lui aveva preso tra le mani la sua bambina appena nata ed aveva visto i suoi occhi farsi più lucidi.

Non riusciva a credere che lui non desiderasse più vederla crescere…che non gli stesse più a cuore allenare l’altro figlio...che non volesse più fare l’amore con lei…

Osservò Trunks, accucciato in un angolo, con lo sguardo spento e quasi incosciente. Rabbrividì al pensiero che suo figlio non riuscisse più a risalire dal precipizio in cui le parole del padre lo avevano fatto cadere.

Suo padre era tutto per quel ragazzino, dire che lo adorasse era descrivere solo una parte della grande stima che aveva per lui, e lui aveva osato ferirlo su ciò che più gli era importante, sapere cioè che, nonostante lo rimproverasse di trascurare sovente gli allenamenti, lo ritenesse ad ogni modo un coraggioso e valoroso guerriero.

Anche Bulma aveva avuto modo di vedere come Vegeta in numerose occasioni fosse stato orgoglioso del figlio, fin da quando era piccolo ed aveva preso ad insegnargli con successo le arti marziali e a foggiare la natura di combattente che gli aveva trasmesso nel sangue.

“Trunks…” lo chiamò piano, ma il ragazzino la ignorò “…lo sai benissimo anche tu che tuo padre non diceva sul serio quando ti ha detto quelle cose…non puoi continuare a pensarci…io non intendo giustificarlo…forse è solo confuso…cerco soltanto di provare ad immaginare cosa stia avvenendo nel suo animo…”.

Ma Trunks chiuse gli occhi, come se volesse addormentarsi pur di non ascoltare nessuno.

Bulma poggiò il capo contro un sacco depositato nella stiva, riflettendo che era necessario riuscire a parlare con Vegeta il prima possibile…riuscire a capire cosa avesse in mente…

Pensò anche alla Terra, a Goku, e a tutti gli altri, e al mistero che avrebbe rappresentato la loro scomparsa.

Chichi sarebbe dovuta andarla a trovare proprio il giorno dopo…cosa avrebbe pensato trovando a soqquadro la sua casa…Goku senza dubbio si sarebbe preoccupato di non riuscire più a percepire l’aura di Vegeta e di Trunks.

Meditava ancora su cosa sarebbe accaduto alla Terra, quando si accorse che i sacchi lasciati all’interno della stiva erano colmi di riserve alimentari.

Non era riuscita a prendere nulla dalla sua cucina, se non del latte in polvere per Bra. Pensò che sarebbe stato il caso di riempire la valigia con un po’ di cibo e di mettere intanto qualcosa nello stomaco. Prese un barattolo di carne in scatola e lo porse a Trunks, ma lui chiuse di nuovo gli occhi e finse di non vederla.

La navicella continuò a viaggiare con velocità sostenuta.

Vegeta osservava il buio dello spazio davanti a sé. Digitò dei pulsanti sul quadrante alla sua destra, facendo bruciare più carburante nei motori:

“Vedo che sei ansioso di giungere a destinazione…” gli disse il padre seduto accanto: erano le prime parole che gli rivolgeva dopo molte ore di silenzio:

“Ansioso è il termine giusto…”.

“Vedrai…non hai neanche idea di cosa sono stato in grado di realizzare…”.

Vegeta si mosse inquieto sul sedile. Era evidente che qualcosa lo turbava e lo impensieriva. Il re non tardò a percepirlo.

Il principe si voltò a guardare gli altri due saiyan, adagiati a terra contro uno sportello di sicurezza.

Uno dei due aveva declinato il capo e respirava già rumorosamente. L’altro, quello con lo sguardo simile ad un animale feroce, era sul punto di fare lo stesso.

Vegeta osservò con attenzione lo sportello di sicurezza alle loro spalle. Qualcosa di malvagio elaborato nella mente gli fece atteggiare la bocca ad un ghigno diabolico.

Con circospezione tornò a guardare il quadrante alla sua destra e digitò alcuni tasti.

Un vortice di aria spaziale irruppe improvviso nella navicella. Lo sportello di sicurezza si aprì risucchiando i due saiyan. Il re si aggrappò al sedile imprecando e cercando di ricomporre il codice di chiusura sulla tastiera, mentre l’urlo di uno dei due saiyan si perdeva nell’abisso sconfinato dell’universo. Poi tutto tornò come prima:

“Ti sei bevuto il cervello?!” fece il padre ricadendo sul sedile, dove Vegeta aveva pensato bene di piantarsi allacciando la cintura.

Il volto di Vegeta sembrava adesso rilassato:

“Ero solamente preoccupato…quei due tipi hanno visto e sentito troppe cose…era necessario che me ne sbarazzassi…mi auguro che tu capisca, padre, che non voglio che si sappia che quei terrestri sono figli miei o che hanno qualche legame con me…”.

Il padre annuì, avendo già in mente di serbare il vergognoso segreto.

Bulma si svegliò di soprassalto, quando lo spigolo di uno scatolone le finì sulla caviglia, procurandole una fitta lancinante.

Protesse Bra quando vide che altri sacchi le stavano rotolando contro e la navicella subiva pesanti scossoni:

“Trunks!”.

Il ragazzino si svegliò di soprassalto, mentre veniva sballottato contro una parete:

“Siamo entrati nell’atmosfera del pianeta! Stiamo atterrando!” gridò la donna.

Il fragore dei motori crebbe al punto tale da sembrare che l’astronave fosse sul punto di disintegrarsi. Poi il silenzio.

Un silenzio troppo lungo…

“Ehi! Fateci uscire!” bussò Bulma contro le lamiere metalliche.

Lo sportello si aprì automaticamente: ne uscì prima il re, poi Vegeta.

Il principe si guardò intorno. Non riusciva a credere a quanto quell’ambiente gli fosse familiare. Ricordava tutte le volte che da ragazzino atterrava in quell’enorme deposito dove le navicelle venivano controllate e smistate per le varie destinazioni.

Quell’aria in particolare, dove erano atterrati loro, era riservata solo a lui e a suo padre ed era attigua al Palazzo.

“Sono lieto di rincontrarti…” gli si rivolse il saiyan incaricato di attendere il loro ritorno.

Vegeta alzò il capo e lo osservò:

“Il piacere è tutto mio…Napa…” fece in tono eloquente e beffardo. In realtà era molto sorpreso di aver trovato anche lui, il vecchio compagno di mille battaglie, che aveva impietosamente ucciso dopo la sua misera  e veloce sconfitta contro Kaarot.

C’erano al suo fianco altri due saiyan, di cui ignorava l’identità e che tenevano il capo riverentemente basso.

“Napa…” gli si rivolse il re “pensa tu a portare Vegeta nei suoi alloggi e ad illustrargli la situazione…io mi riposerò e partirò subito per Ulavac. Voglio rendermi conto quanto ancora dovrò aspettare perché Neo-Vegeta sia pronto ad essere abitato” e detto questo si voltò ed andò via.

I quattro saiyan mossero tutti lo sguardo verso la navicella quando sentirono un suono ripetersi:

“Apriteci!”.

Vegeta fece segno ad uno dei due saiyan di aprire lo sportello della stiva.

Uscirono una donna con un fagottino rosa tra le braccia, che strinse gli occhi accecati dalla luce artificiale che illuminava il deposito, ed un ragazzino con lo sguardo piantato a terra e l’espressione più spenta che mai avesse avuto:

“Chi sono?” domando Napa.

“Terrestri…la donna è una scienziata, l’ho condotta nel caso in cui ci serva aiuto” spiegò in breve.

 Bulma guardò verso Vegeta. L’uomo vide in lei la sofferenza ed il disagio subito per le condizioni del viaggio. Sembrava che in quella stiva il tempo fosse trascorso velocemente ed avesse segnato inesorabilmente il suo viso aggiungendo ad esso una manciata di anni.

La vide camminare verso di lui, faticando a piegare le ginocchia, che solo ora poteva finalmente distendere. Bulma si fermò poco distante:

“Vegeta…” mormorò, ma si accorse che i motori della navicella, lasciati ancora funzionanti, sopraffacevano il suo bisbiglio.

Si avvicinò ancora di più, fino ad essere ad un palmo dall’uomo:

“Ti prego…dobbiamo parlare…” gli disse implorante, per scoprirsi incapace a proseguire quando i motori si spensero.

“Vegeta…” riuscì solo a dire prima che uno dei due saiyan l’afferrasse per un braccio e la costringesse ad indietreggiare.

“Donna! Quando ti rivolgi al principe sei tenuta a stargli alla debita distanza!” fu redarguita.

Lei, che ogni notte dormiva al suo fianco ed amava stingersi al suo corpo, lei, che era la sua donna e la madre dei suoi figli, l’unica persona che più di tutti aveva il diritto di stargli vicino e di pretendere anche dell’altro, era già sul punto di reclamare la sua posizione, quando:

“Portali via” ordinò il principe.

“Dove, Signore? A che Ordine appartengono?”.

“Al Quarto Ordine” rispose senza esitazione.

“Sono schiavi dunque…”.

Schiavi?! Quella parola le devastò la mente e le fece vacillare le gambe. Trunks mosse impercettibilmente gli occhi, ma non palesò altro sgomento.

“Signore…gli schiavi vengono inviati su Ulavac ai lavori forzati. Lì sono addetti alla costruzione degli edifici, perché Neo-Vegeta sia il più presto abitabile. Se sono terrestri non possono sopravvivere alle condizioni gravitazionali del pianeta”.

“Infatti…” concordò “…voglio che restino a Palazzo in qualità di servitù”.

“No, Vegeta!! Non puoi farci questo!”urlò lei straziatamente mentre venivano condotti via.

“Per l’amore del cielo! Tu lo sai che non siamo schiavi! Vegeta non puoi abbandonarci! No! No!” cercò di divincolarsi in preda ad una crisi isterica, che era solo lo sfogo  del dolore e della grande incredulità che fino a quell’istante aveva cercato di respingere e di giustificare.

Le sue urla convulse si smarrirono lungo il corridoio che conduceva agli alloggi del Quarto Ordine. Poi calò il silenzio ed il suo suono fu ancora più agghiacciante.

 

* * *

Era incredibile come certi sogni a volte riuscissero a dare la sensazione di essere veramente vissuti, così tangibili e concreti nelle loro proiezioni mentali…pensò Bulma mentre faticava ad aprire gli occhi e rabbrividiva scoprendo sulla propria pelle il freddo rigido di quella mattina.

Allungò il braccio per cercare calore accanto a Vegeta, ma lo ritirò con disappunto trovando il letto già vuoto.

Possibile mai che si fosse andato ad allenare anche di domenica…borbottò tra sé e sé non accennando ancora ad aprire gli occhi…eppure da tempo era riuscita a convincerlo a concedersi riposo almeno in quel giorno della settimana e a restare insieme a lei a letto fino a tardi a crogiolarsi sotto il tepore delle coperte…almeno era così che le cose erano andate prima che Bra incominciasse a sconvolgere i loro orari e le loro abitudini.

Riuscì con flemma ad aprire gli occhi, che non riconobbero la familiarità della sua camera da letto

come ogni giorno, ma si persero nello squallore di una stanza piccola e scura:

“Trunks!” si alzò di scatto, restando a guardare con espressione interrogativa il figlio rannicchiato in un angolo, che teneva tra le braccia la sorellina.

“Sei svenuta mentre ci conducevano qui”.

Fu solo allora che si accorse che non era il suo letto il materasso gettato a terra su cui aveva dormito:

“Quanto…quanto ho dormito?” tossì per schiarire la gola che le doleva.

“Parecchio” riuscì a dire prima che Bra prendesse a scalciare e a gemere “Mamma…credo… che debba essere cambiata…”.

La donna si alzò solerte, adagiò sul materasso la bambina che si agitava in procinto di piangere e prese l’occorrente per il cambio.

Poi, terminato, si guardò intorno, osservò la borsa da cui aveva estratto il pannolino e scoppiò in un pianto dirotto:

“Moriremo in questo posto…” singhiozzò tra le lacrime, rendendosi conto che erano troppo poche le cose che era riuscita a portare via da casa.

C’erano solo alcuni ricambi per lei ed i suoi figli, troppo leggeri per riuscire a riscaldarli nel clima rigido del pianeta. A parte del latte in polvere per Bra, le scatole di cibo che aveva rubato dalla stiva della navicella sarebbero state sufficienti a sfamare Trunks per un giorno solo.

Pur volendo allattare Bra al suo seno, il suo latte non sarebbe bastato a saziare la voracità della piccola saiyan.

Maledicendosi, si rese conto che nella confusione mentale che aveva preceduto la partenza dalla Terra, non era praticamente riuscita a premunirsi del minimo che fosse indispensabile per sopravvivere, perfino del suo immancabile kit di capsule, dal quale sarebbe bastato estrarne una e lasciarla esplodere, per avere una piccola casa che rendesse lo gradito soggiorno quanto meno più vivibile.

Sarebbero morti per la fame, per il freddo, concluse tragicamente in pochi attimi di riflessione, vedendo che non c’erano finestre in quella misera cella e l’umidità scendeva sotto forma di stille di pioggia lungo il soffitto.

L’unica cosa che le riscaldò un po’ il cuore fu sapere che Trunks le aveva rivolto la parola e che il suo sguardo non era più spento ma solo infinitamente triste.

“Che ne sarà di noi?” continuò a lungo mantenendosi il grembo, piegata in avanti per il dolore, fino a quando lo scatto di una chiave nella serratura della porta la fece scattare in piedi.

Fu un barlume di luce che dall’esterno penetrò nella penombra della cella e riempì il suo cuore di una fioca fiamma di speranza. Forse erano venuti a portar loro del cibo, magari anche delle coperte, forse semplicemente non li avevano ancora abbandonati, non del tutto.

Era una vecchia ricurva la figura che comparve sulla porta, si reggeva ad un bastone ed aveva la coda. Spalancò completamente la porta, perché riuscisse ad inondare di luce le sagome dei terrestri stagliate nel buio.

Non aveva né cibo, né coperte, ma disse:

 “Seguitemi”.

E quel comando apparve anche più confortevole di qualsiasi altro agio.

Bulma non si preoccupò di chiedere chi fosse e dove intendesse condurli, volle solo uscire il prima possibile da quel marciume e, lanciata un’occhiata significativa al figlio, si decise ad obbedire. Percorsero una scalinata ed attraversarono un corridoio. I loro passi risuonarono  frettolosi e sonori lungo il corridoio deserto. C’erano delle porte lungo ambo i lati e a Bulma sembrò di captare un discorso animoso provenire da dietro una di quelle. Erano abitate, ognuna di quelle appartenevano a dei saiyan, non ebbe più dubbi quando si ritrovò addirittura a sentire i gemiti inconfondibili di una donna durante un selvaggio amplesso. Fu a quel punto che, intimorita, voleva sapere dove li stesse conducendo.

Sembrò però che anche la vecchia fosse spaventata, soprattutto che facesse attenzione a non imbattersi in nessuno, perché pure lei, percepiti i rumori provenire da una di quelle stanze, affrettò di più la cadenza claudicante del suo passo e si arrestò proprio presso una di quelle porte, accanto alla quale compose, su un quadrante, un codice, che fece scattare automaticamente l’uscio metallico.

Non era grande la stanza in cui furono fatti entrare, ma la parete ed il pavimento di mattoni grigi erano puliti. C’era un letto grande contro una parete e in un angolo, nascosti dietro una tendina rattoppata e lasciata tirata, gli accessori di un bagno: un gabinetto ed un lavandino.

Completava l’arredo un mobile di legno tarlato, ma quel buco era quasi una reggia paragonata alla putrida cella in cui pensavano di essere stati sconfinati per il resto dei loro giorni:

“Bada che quella mocciosa non pianga…in questo schifo di posto mancano solo i suoi schiamazzi!” gracchiò la vecchia riferendosi alla bambina.

Bulma si girò verso di lei, interrompendo l’ispezione visiva che frettolosamente aveva compiuto.

Solo allora poté guardare meglio il volto della donna e rabbrividire alla sua presenza spettrale, osservando il colorito cereo della pelle tempestata di pustole e di rughe profonde come cicatrici e due fanali neri, incavati in fosse profonde divise da un becco aquilino:

“Chi ti ha ordinato di condurci qui?” chiese la donna, curiosa di sapere se fosse stato Vegeta a decidere di mandarli in un posto più vivibile ed accogliente di un sotterraneo:

“Non sono tenuta a dirti nulla!”replicò la saiyan, senza smentire la razza cui apparteneva.

Stava andando via quando:

“Ti prego!” la fermò Bulma “abbiamo bisogno di cibo e di qualche coperta più pesante e…” non proseguì perché la vecchia uscì sbattendo con veemenza la porta.

 

* * *

 

Napa condusse il principe ai piani alti del Palazzo, riservati esclusivamente ai guerrieri di Primo Ordine.

Vegeta rifletteva assorto su come gli ritornasse alla memoria la familiarità di quei corridoi e delle lunghe rampe di scale. Nel percorrerli volle sapere quanto tempo fosse stato necessario per realizzare di nuovo il Palazzo ed apprese sorpreso che erano stati impiegati solo pochi anni:

“Ma a cosa è servito ricostruirlo se è su Ulavac che ci trasferiremo…”.

“Inizialmente avevamo scelto questo pianeta come sede. Ma è microscopico e tra dei secoli la nostra razza si sarà moltiplicata ed allora questo posto sarà troppo piccolo. Una spedizione ha scoperto che Ulavac non è il pianeta inospitale che pensavamo. E’ immane, la gravità è adeguata ad un popolo di guerrieri ed il sottosuolo è ricco d’acqua. Il terreno coltivato diventerà fertile in meno che non si dica, saremo ricchi e scorazzeremo nello spazio non più per mercanteggiare pianeti e guadagnare danaro, ma solo per il piacere mero di massacrare popoli e vedere il loro sangue schizzare sulle nostre uniformi”.

Il guerriero salì un’altra rampa di scale, si fermò sull’ultimo gradino, si voltò a guardare Vegeta, rimasto ancora in basso, e con un inchino teatrale:

“Vegeta, questo è Ulavac…” annunciò prima di scoprire un pesante panno che copriva una vetrata.

Il principe salì piano i gradini e restò a guardare, dall’alto della collina su cui sorgeva il Palazzo, la città sottostante, con il suo brulichio di saiyan, i suoi edifici realizzati in lega metallica, le sue navicelle che arrivavano e partivano con ritmo frenetico e continuo.

La sua gente…il suo popolo…il suo pianeta…solo ora si rendeva conto che non era tutto una farsa…un sogno…pensare che per tanto tempo aveva creduto che mai più avrebbe rivisto tutto quello…

“Alza gli occhi, Vegeta, quello è Ulavac”.

Un enorme pianeta si stagliava nel cielo purpureo. Era lì che si dirigevano le navicelle, era da lì che facevano il loro ritorno. Nonostante la spettacolarità dello scenario, Napa si accorse di non essere riuscito a sortire nessuna reazione emotiva in Vegeta.

“Non è cambiato affatto…” pensò.

“Ascolta, Napa, è ancora viva Fava?” si sentì chiedere ad un tratto.

Saputo che la donna in questione non era ancora morta, si voltò soddisfatto e proseguì verso i suoi appartamenti.

Vegeta non poteva immaginare che in quello stesso momento, anche Bulma, issatasi su di un tavolo, da una finestra alta, aveva fissato, da dietro le sbarre, lo stesso brulichio di persone, gli stessi edifici e lo stesso cielo infuocato.

Le era sembrato che ci fosse un incendio, che l’intera città stese ardendo e che le fiamme si sollevassero fino in cielo; ma i saiyan si muovevano come se nulla di catastrofico si stesse consumando ed il cielo restava sempre dello stesso intenso colore:

“Non vuoi venire a vedere, Trunks?” si rivolse al ragazzino rannicchiato sul letto, che si limitò a scuotere apaticamente il capo.

Scese dal tavolo e proprio allora ricomparve sulla porta la figura spettrale della vecchia, preceduta dallo scatto automatico dell’uscio.

Aveva un sacco di tela con se. Lo posò a terra, tirò fuori una coperta logora e delle scatole di cibo già aperte:

“Grazie” disse ugualmente Bulma, avendo pensato che non si sarebbe più fatta viva, quando qualche ora prima li aveva condotti lì:

“Come ti chiami?” provò a domandarle.

La vecchia le aveva già voltato le spalle, compose il codice sul quadrante per andare via. La porta scattò:

“Mi chiamo Fava” e poi scomparve.

 

* * *

 

Poco più di un mese…era quello il tempo trascorso.

Bulma aveva contato ogni giorno vissuto in quella prigione, ogni giorno sempre identico a quello precedente, dove non c’era il mattino e la notte, ma il cielo conosceva solo un identico colore, quello del sangue.

Riusciva a contare lo scandire del tempo solo suo orologio: se quello si fosse fermato, avrebbe perso ogni cognizione di esso.

Nonostante questo, il suo ritmo biologico si era assuefatto a quello del pianeta. Aveva imparato che quando Aval compiva la sua rotazione intorno ad Ulavac, di cui era l’unica luna, dalla finestra in alto alla sua cella riusciva a vedere, verso mezzogiorno, l’enorme pianeta tramontare all’orizzonte.

Era verso quell’ora che la vecchia Fava appariva alla porta, portando loro un piatto caldo, che solo Trunks aveva l’ardire di consumare fino in fondo, nonostante il sapore nauseante. La vecchia era di poche parole, più semplicemente sembrava che non avesse intenzione di interloquire con loro. Si muoveva con circospezione, quasi come se temesse che qualcuno si accorgesse delle visite che faceva ai terrestri e Bulma era riuscita a cavarle di bocca molto poco.

Eppure a poco a poco era riuscita a superare la reticenza iniziale ed aveva finito per soddisfare almeno una delle sue richieste. La donna era riuscita ad ottenere che le portasse una cesta di vimini, dove potesse adagiare Bra per farla dormire più comoda. Aveva insistito a lungo, si era sentita rispondere che c’era un letto abbastanza grande da poterlo condividere tre persone adulte, che la sua bambina era solo una piccola mocciosa che non aveva bisogno di simili accortezze, ma alla fine la cesta l’aveva ugualmente portata.

Era acida, maligna, una saiyan di razza pura, Bulma sentiva che di lei non c’era da fidarsi, ma era l’unico essere vivente che almeno una volta al giorno vedeva e lei aveva il disperato bisogno di comunicare con qualcuno, non importava se questo fosse una saiyan centenaria, dalla lingua tagliente e dai modi poco cordiali.

“Hai troppi vizi, per i miei gusti, terrestre…” le aveva detto Fava quando lei si era lamentata che non esistesse acqua calda “…quello è un privilegio solo dei piani alti, qui siamo nello schifo, siamo solo schiavi, apparteniamo al Quarto Ordine, su questo piano del Palazzo vivono gli scarti del sistema e tu sei una di noi anche se non hai la coda!”.

“Io non sono una schiava! Capito? Mettitelo bene in testa!” aveva sbottato Bulma.

Era uno di quei momenti in cui avrebbe avuto voglia di gridare che lei era la donna del loro principe, che nei suoi figli scorreva sangue reale, ma aveva reputato opportuno tenere per sé questo segreto e che rivelare la loro identità avrebbe potuto esporli a problemi maggiori.

Non aveva dimenticato l’intenzione del re di voler inviare Bra, come scarto, a conquistare un pianeta lontano, così aveva imparato a tenere la bocca chiusa quando la saiyan le rivolgeva uno dei suoi soliti insulti.

Poco più di un mese…

Non era trascorso un giorno in cui non aveva sperato che quella porta si aprisse e sull’uscio comparisse Vegeta.

Se solo fosse riuscita a parlare con lui da sola..a farlo ragionare…

Non poteva essere stato plagiato al punto tale da non volere neanche un confronto con lei, anche solo per dirle che non gli importava più di lei e dei loro figli, e che li avrebbe lasciati morire quando tutta la razza saiyan si sarebbe trasferita su Neo-Vegeta, dove loro non sarebbero mai potuti andare.

Anche se ormai era evidente che lui li aveva dimenticati già, aveva il bisogno di sentirlo con le sue orecchie e potergli poi gridare contro tutto il suo disprezzo e la sua rabbia.

Ma per il momento non sapeva quale fosse il modo per riuscire a parlare con lui.

Non sarebbe stato difficile uscire da quella porta, avrebbe potuto facilmente manomettere il codice di apertura dell’uscio, ma l’idea di ritrovarsi in un luogo sconosciuto, pullulante di belve feroci, quali erano i saiyan, non l’allettava particolarmente e lei era troppo indifesa per poter affrontare quella giungla. Inoltre era consapevole di non poter fare affidamento su Trunks, che sembrava ormai chiuso in un mondo tutto suo, dal quale ne veniva fuori solo di rado.

Toccò con un dito l’acqua raccolta nella bacinella, l’aveva riscaldata poggiandola sul pavimento che verso sera si faceva più caldo, quando alcune condutture sotterranee si surriscaldavano.

Spogliò Bra, la pulì piano ed effettuò il cambio. Si affrettò a coprirle la coda quando sentì l’uscio scattare e vide entrare Fava:

“Ti ho portati questi” disse gettando sul letto dei pannolini puliti. Era la prima volta che faceva visita a quell’ora.

Gettò un’occhiata a Trunks, che dormiva rannicchiato in un giaciglio del letto:

“Quel ragazzo è malato” sentenziò sprezzante “non fa altro che starsene su quel letto!”.

“Che altro potrebbe fare?” scrollò le spalle la madre “non mi sembra che in questo buco ci sia qualcosa da fare…”.

“Certo è meglio starsene in quello che tu chiami buco…che andare avanti ed indietro tutto il giorno come faccio io….”.

“Perché? …Tu cosa fai?” domandò Bulma con falsa noncuranza, convinta che quello era il momento opportuno per conoscere qualcosa di quella vecchia ed infrangere quella coltre di segretezza e di enigma che l’avvolgeva e sapeva che quando avrebbe risolto il mistero, forse sarebbe riuscita a sbloccare quella situazione statica ed immutabile da cui voleva venirne a tutti i costi fuori.

“Io ho l’immenso privilegio di essere la schiava personale del principe Vegeta, nonché la donna che lo ha allevato” disse con gli occhi che scintillavano fuori dalle orbite incavate.

Bulma che in quel momento stava adagiando la bambina nella cesta, poco non la fece cadere a terra quando sentì la vecchia pronunciare quel nome.

“E perché lo hai…allevato proprio tu?” le chiese, scoprendo che la sua voce aveva incominciato a tremare.

“Perché ero la schiava personale del re, prima di divenire la sua e l’ho cresciuto io prima che incominciasse ad andare nello spazio, come un vero saiyan”.

Sembrò andare in estasi mentre ricordava l’infanzia del suo principe ed il suo colorito terreo si infiammò alla consapevolezza di aver avuto un ruolo nella vita di lui.

Bulma non si accorse dell’esaltazione in cui era in preda la vecchia, voltata a sistemare la copertina di Bra, in modo tale da celare lo stupore e l’ansietà di dover sfruttare a meglio quella situazione.

Così era quella vecchia saiyan, scurrile quanto antipatica, ad occuparsi di Vegeta…del suo Vegeta…

“E spero di vivere ancora a lungo per vedere almeno nascere i suoi figli” soggiunse alla fine.

Bulma si voltò a guardarla, non badando questa volta ad occultare il pallore che la sorprese:

“Vegeta…ha…ha una compagna?” domandò in un sussurro impercettibile, ma la saiyan, per quanto vecchia, aveva l’udito ancora acuto e scattante.

“Compagna?” sollevò il sopracciglio folto, in espressione interrogativa.

“Beh…deve avere una…donna per avere dei figli…no?”.

La vecchia scoppiò in una risata, che risuonò malefica ed agghiacciante.

“Una donna?! Lui può avere quante donne vuole! Io non so voi che usanze abbiate sul quel microscopico pianeta che è la Terra, ma qui i saiyan non scelgono una sola compagna per tutta la vita. Qui una donna non appartiene a nessuno, può essere di tutti.

Quando sta con un uomo è tenuta alla fedeltà solo fino a quando non gli ha procreato un figlio, perché non sorgano dubbi sulla paternità, ma dopo non è più legata da alcun vincolo e può passare nel letto di un altro guerriero”.

Bulma scopriva con sua grande costernazione i costumi libertini dei saiyan, società spartana, divisa per Ordini sociali, e priva perfino di quella struttura che è la cellula di ogni società, prevalentemente ed indissolubilmente composta da nuclei familiari fin dall’origine dei tempi.

Ma Vegeta era vissuto sulla Terra tutti quegli anni ed aveva condiviso il suo letto solo con lei, non poteva aver accettato di conformarsi ad usanze tanto dissolute ed immorali.

La saiyan rivelò che per il momento il principe non aveva avuto il tempo di avere nessuna donna:

“Ma ci sono molte guerriere che farebbero a gara per infilarsi sotto le sue lenzuola…Vegeta è divenuto un uomo maturo, affascinante e seducente…prima o poi dovrà avere un erede…”.

Bulma la vide andare via. Per un pezzo di tempo lunghissimo restò seduta sul ciglio del letto, prima di coricarsi accanto a Trunks e spegnere la luce.

I suoi occhi erano rimasti aperti, era notte fonda, nonostante il cielo non mutasse il suo colore.  I rumori delle navicelle che si muovevano  alla volta di Ulavac e di altre destinazioni lontane avevano rallentato il ritmo ed anche il corridoio, attraverso il quale era stata condotta in quella cella oltre un mese prima, era immerso nel silenzio placido del sonno, interrotto da radi passi.

I lamenti di una donna squarciarono la quiete. Erano dei gemiti ripetuti e costanti che da più notti

si ripetevano nella camera sopra la sua, insieme al cigolio di un letto e al respiro selvaggio di un uomo eccitato. Scoppiò in un pianto dirotto, non pensava di poter tenere dentro ancora tante lacrime dacché le aveva consumate nei primi periodi di prigionia, ma era difficile trattenerle quando ora era cosciente del fatto che esistevano donne su quel pianeta che nutrivano pensieri perversi e voluttuosi per il suo uomo, che avrebbero trovato il modo prima o poi di sdraiarsi nel suo letto, e che il seme del dubbio insinuava le malefiche radici nella sua mente, succhiandole qualsiasi certezza circa la fedeltà che l’uomo per tanti anni le aveva votato.

Era così gelido quel letto senza più il suo calore…silenzioso quanto una tomba senza più il suo respiro profondo e regolare. Aveva dimenticato quanto per lei fosse importante fare l’amore con lui, sentire la sua essenza mescolarsi con la sua e divenire una sola casa, lo aveva ormai dimenticato da parecchio, da quando nei primi mesi di gravidanza, scoprendo di essere a rischio, aveva voluto evitare qualsiasi movimento che fosse brusco per la creatura che portava in grembo.

Era allora che avevano smesso di fare l’amore e se quella sera non avessero ricevuto l’inaspettata visita dei saiyan, giacché era la prima volta in cui si sentiva effettivamente meglio dopo la difficile gravidanza, lo avrebbero fatto dopo mesi di astinenza e sarebbe stato indimenticabile…come sempre.

Pianse ancora a lungo, anche quando l’amplesso dei due inquilini al piano di sopra si era consumato in ultimo grido, più acuto di tutti gli altri.

 

Continua…

 

Lilly81