In attesa dei cyborg: nuova versione”

parte II

 

Rannicchiò le gambe al petto, tremando e battendo i denti, preda del terrore e del gelo che sopravvenne. Il suo petto si sollevava al ritmo di singulti indeboliti, accompagnati dal tacito fluire di grosse stille di disperazione.

Un tizzone ardente le era penetrato nella tenera carne della sua femminilità, trapassandole ogni punto del corpo. Nulla in confronto al fuoco che distruggeva adesso la sua esistenza, dolosamente appiccato da un saiyan  frustrato dalla propria.

Con orrore scorse una macchia di sangue lì dove era prima distesa.

“Dio mio…” la mano con cui si toccò tra le gambe si imbrattò dello stesso colore carminio.

“Che cosa mi hai fatto, Vegeta? Cosa mi hai fatto…”.

Incominciò a piangere straziatamente, piegata in due su quel letto d’amore e di violenza, schiacciata dall’insostenibilità di una insormontabile desolazione.

Era la fine di tutto…credette che anche di morte sarebbe stato quel letto tanto era soffocante il pianto.

Quelle spinte animalesche, quegli occhi compiaciuti del dolore arrecato, una mano passata sulla bocca satolla…era di quanto più disgustoso e riprovevole Vegeta le potesse dare…e di quel torbido atto lei si sentiva sudicia fuori e dentro.

Non riusciva a scacciare la sequenza di quelle immagini marchiate sulla pelle e nella mente, il suggello del sangue che ne era sgorgato.

“Speri di uscire vive da  sotto le sue lenzuola?! Vegeta è un animale…un selvaggio…” le parole di Iamko a ricordarle la terribile natura ferina di quell’essere immondo, conosciuto adesso nell’apoteosi della sua perversità.

Perché l’avesse fatto era una domanda che ora non trovava spazio nella sua prostrazione.

Quelle spinte…quegli occhi…quella mano…

No! Non ne poteva più!

Si sollevò piano, col timore di rompersi ulteriormente. Si trascinò fin nel bagno, accucciandosi sotto il getto freddo della doccia, per purificarsi di quel sudiciume astratto di cui le pareva di sentire perfino l’odore.

Con chi condividere ora quel dolore troppo grande a sostenersi da solo?

“Te lo avevo detto…” le avrebbe detto Iamko.

“Come hai potuto innamorarti di in individuo simile…?” sarebbe stato l’eco del Genio.

“Perdonalo…ha ancora bisogno di tempo…” le parole misericordiose di Goku.

Uscì dalla cabina avvolgendosi in un accappatoio. Si toccò piano nella parte intima notando che non fuoriusciva altro sangue. Nondimeno, sapeva che una visita in ospedale andava rigorosamente eseguita per accertarsi che nulla le avesse lacerato, ma per ora anche raggiungere il letto appariva una fatica estenuante.

Vi si adagiò piano, stringendosi al cuscino, con gli occhi troppo gonfi per lacrimare ancora.

Solo nel sonno poteva trovare pace…fosse la morte sarebbe stata anche meglio.

Un mattino uggioso la sorprese al risveglio, così confuso e sconnesso da darle per un istante l’illusione che fosse stato tutto un brutto sogno. Ma quella macchia di sangue era ancora lì…uno schizzo dai contorni bizzarri e dal colore macabro a risaltare sul bianco del cotone.

Pioveva su di un giardino di cui non si riconosceva più il colore dei fiori e la compostezza delle siepi. Era ovunque melma e fogliame spezzato.

Indossò la vestaglia, non si guardò nello specchio, per la prima volta uscì da quella stanza senza accertarsi del riflesso della sua immagine.

Voleva appurare il ritorno dei suoi genitori, prima di decidersi ad andare in ospedale.

Camminò con lentezza lungo il corridoio che conduceva al soggiorno.

Aveva perso la sua elasticità, il suo modo di muoversi flessuoso e nervoso. Ora aveva la stessa andatura di un convalescente.

Si fermò nei pressi della cucina: tutto era nell’ordine in cui lo aveva lasciato la sera prima.

Era molto presto, i signori Brief non avevano fatto ritorno, forse neanche Vegeta si era ancora destato, sempre che fosse riuscito a chiudere occhio.

Le girava il capo, il cuore aveva preso d’improvviso ad aumentare il suo ritmo, la salivazione era aumentata d’intensità. Era sul punto di vomitare…

Corse verso il cestino dei rifiuti, rigurgitando solo inconsistenza. Vacillante, raggiunse il lavello, dove con acqua gelida sciacquò la bocca.

Si andò a gettare infine su una sedia, poggiando stancamente il capo sul legno duro del tavolo.

Lo alzò solo quando riconobbe la cadenza inconfondibile dei suoi passi: Vegeta…

Per un istante il saiyan pensò che lei avesse passato lì tutta la notte.

Con quel pallore esangue, i capelli scarmigliati ed una vestaglia indosso sembrava cagionevole seriamente di salute.

Lei abbassò con inquietudine lo sguardo, non sentendosi pronta a vederlo, percependo un brivido lungo la schiena. Provava paura e vergogna ancora, avrebbe solo voluto correre via, lontana da lui, dal suo stupratore.

Come doveva comportarsi? Far finta che non fosse accaduto nulla?

E se avesse provato a farle ancora del male?

Vegeta la ignorò invece, interrogò a lungo il frigorifero, preparandosi poi un enorme ciotola di latte in cui mise a mollo un’abbondante porzione di cereali. Si sedette, consumando la sua prima, leggera colazione.

Bulma non lo guardò. Non si accorse delle profonde occhiaie che solcavano il volto granitico di lui, segno di una notte insonne e turbolenta, dove all’ebbrezza della vittoria era seguita la lucidità dell’atto compiuto.

Un senso di colpevolezza forse…era la prima volta che si affacciava nel suo animo…era quello a turbarlo, oltre all’insoddisfazione che un amplesso violento e prepotente non gli fosse piaciuto come aveva dato a credere.

Tuttavia, ancora troppo egoista per rendersi conto del dolore insondabile che aveva scavato in lei…così piena di vita solo il giorno prima e adesso distrutta…vittima immolata di un empio sacrificio…l’aveva uccisa e sfregiata comunque…

Consumò in fretta la colazione, percependo lui stesso quanto ingombrante fosse divenuta la sua presenza.

Si allontanò dal tavolo, più in fretta che poté, quando:

“Perché lo hai fatto?”.

Appena percettibile la domanda eppure abbastanza intrepida da farlo voltare a guardare la fonte di quell’interlocuzione.

Lei ancora con gli occhi calati…un cipiglio appena distinguibile di rancore…

“Che bisogno avevi di prenderti in quel modo violento quello che io ti avevo già dato spontaneamente?”.

Si portò una mano alla fronte pallida, come a sostenerla dal peso eccessivo di quei tormentati pensieri:

“Neanche la prima volta…quando entrasti in camera mia quella sera…pensai che tu fossi veramente in grado di farmi quello che mi hai fatto ieri…”.

Più la fissava più incominciava ad accorgersi di averla distrutta…lei che sembrava così infrangibile…aveva reso quel viso adorabile una maschera cerea…perfino la modulazione tanto armoniosa della sua voce aveva ceduto il posto ad un tono inflessibile e scostante.

Aveva sbagliato, non era questo quello che voleva veramente. Aveva scelto la via più meschina per allontanarsi da lei, ma, schiacciato da uno sconosciuto rimorso, aveva toccato il fondo.

Ora si sentiva perfino peggio…

“Ho fatto tanto per te ed in cambio ho ricevuto solo disprezzo…lo avessi saputo prima avrei ragionato di più sulle mie scelte…”.

Ancora silenzio…

“Non mi interessa neanche sapere perché lo hai fatto…un oltraggio simile può averlo solo predeterminato un vile…”.

Dove voleva arrivare? Sembrava ancora lontana da un punto di sfogo effettivo…quelle parole avevano solo il suono di riflessioni amare…

“Ti illudi se pensi che io ti chieda scusa…” parlò finalmente lui “…questo può essere il prezzo di stare con un saiyan…”.

“Scuse?” sogghignò lei “…francamente non so che farmene”.

Spostò lo sguardo in direzione dell’ampia vetrata, osservando il grigiore del cielo:

“Voglio solo una cosa Vegeta…” lo guardò finalmente “…c’è una navicella, a cui mio padre ha lavorato per parecchi mesi, è ormai pronta…” il cielo rintronò ancora “…prendila e vattene via…”.

Lo spiazzò la freddezza di quella decisione, per quanto neanche il riflesso di un muscolo lo scompose.

“Te ne devi andare, hai capito?!” si alzò dalla sedia, sbattendo un pugno sul tavolo.

Eccola…la rabbia vera era sopraggiunta…

Rovesciò tutto quanto fosse sul tavolo:

“Sei solamente un vigliacco…un vile!” gridò e gridò fuori di ogni controllo.

Non le bastò, aveva trattenuto tutto dentro troppo a lungo. Si avvicinò a lui, colpendolo con tutta la forza pur sapendo che era invano:

“Vattene via! Non voglio più vederti! Via da questa casa, dai miei occhi!” scivolò a terra, ai suoi piedi, piangendo angosciosamente.

“Via…via…!” scuoteva il capo.

Vegeta si allontanò alla fine.

Solo dopo alcuni minuti sentì un rombo di motori che annunciava la sua dipartita.

“Aaaahhh!” fu l’ultimo urlo straziante, piegata in due sul freddo impiantito.

Era la scelta migliore…sì…doveva esserlo…per sé stessa e per la creatura che, sapeva, le stava crescendo dentro.

 

* * *

 

Al quinto mese di gravidanza, una mattina qualunque, in un bar in cui era entrata solo per assecondare l’istinto famelico che le ruggiva dentro per buona parte della giornata, non si sarebbe mai aspettata di rincontrare dopo tanto tempo, proprio lui, Iamko (Leggi: “Bulma e Iamko: fine di una storia”).

Pensava che non sarebbe mai stata pronta abbastanza per rivederlo ed invece addirittura lo aveva invitato a sedersi al suo tavolino, dove, scambiata qualche chiacchiera, aveva schivato un tentativo di ravvicinamento da parte di lui mostrandogli prontamente, non senza un minimo di imbarazzo, il segno evidente della sua gestazione.

Non le aveva neanche chiesto chi fosse il padre, con uno sguardo affranto, il giovane aveva intuito subito che si trattava di Vegeta. Non altrettanto perspicace era stato nell’accorgersi che lei mentiva quando gli aveva fatto credere che Vegeta fosse a casa ad allenarsi in attesa dello scontro con i cyborg.

Non era pronta a parlare con nessuno della sua storia con il saiyan né della fine umiliante del suo idillio. Neanche Iamko, che pur così bene la conosceva, avrebbe mai potuto capire del perché si fosse innamorata di quell’essere rude, e raccontare del motivo per cui non stavano più insieme, ora che aspettava un bambino, era riconoscere giustezza ai suoi avvertimenti.

Era stata però sincera nel manifestare la contentezza di quel concepimento e l’orgoglio che ad essere il padre fosse, nonostante tutto, proprio il principe dei saiyan.

Nonostante il rancore che ancora sentisse per lui, non era dalla violenza che quell’innocente creatura era stata plasmata.

Frutto di un amore…

no…parola troppo astrusa per un saiyan…

Frutto allora di quel compromesso fra orgoglio e desiderio a cui lui ogni sera irrimediabilmente scendeva…

Frutto forse solo di illusioni…le sue…

Iamko, sconvolto da quella sorpresa, non si era neanche accorto di quella patina di opacità che sfumava impercettibilmente il suo fresco sorriso ed il limpido dei suoi occhi.

Aveva saputo fingere bene, semplicemente.

Fingeva da mesi che stesse bene, che potesse vivere da sola anche senza di lui, che per crescere un figlio non avesse bisogno di una presenza distaccata ed ugualmente inesistente.

A volte se ne convinceva al punto tale da non chiedersi più cosa lui stesse facendo ed in quale punto dello spazio avesse arrestato il suo cammino.

Bandito dalla sua casa e oramai dal suo cuore…tanto da sperare che quella creatura, maschio o femmina che fosse, non avesse il suo sguardo ed i suoi occhi.

Occhi dannati…di demone e di ammaliatore…per quanto tempo aveva amato perdersi in quel buio…così tanto da restarne alla fine inghiottita.

A volte nel sonno l’avevano perseguitata, lasciandola trasalire in un bagno di sudore sia che li sognasse annebbiati dalla perversione di quella notte di violenza, sia dalla passione delle volte precedenti.

Quanto aveva sofferto…solo toccandosi il ventre sentiva che avrebbe tratto da lì la forza per andare avanti.

Strano per la ragazzina romantica e sognatrice che un tempo era stata…ma non aveva bisogno di Vegeta, non aveva bisogno più di alcun uomo. Avrebbe vissuto solo per suo figlio, sarebbe stato lui la sua unica felicità.

Non avesse conosciuto Gohan e la sua indole serafica, avrebbe temuto che il figlio di un saiyan non si sarebbe sottratto alla malvagità innata della propria stirpe. Ma il sangue terrestre avrebbe temperato quella natura estrema e l’aria salubre della Terra estirpato definitivamente la malignità di quella radice.

Sarebbe stato un figlio unico e speciale.

Con una tal speranza, non erano rari perfino i momenti di buon umore, in cui, senza alcuna simulazione, sembrava aver superato alla grande ogni problema.

Anche quella mattina si sentiva bene, forse per l’incontro con un caro vecchio amico, forse per le spese abbondanti che aveva fatto in vista del corredino per il suo bambino.

Si era accontenta nel frattempo di scegliere esclusivamente colori neutri, giacché la coda impediva di conoscerne ancora il sesso.

Rientrò in casa, canticchiando uno sconosciuto quanto allegro motivetto.

La sua vita sembrava normale come un tempo, spensierata ed amena.

Sul tavolo del soggiorno poggiò il peso dei suoi acquisti, riguardandoli ad uno ad uno e commovendosi alla tenerezza di quei ricami delicati di orsetti, conigli e fiorellini.

Con delicatezza li ripose nelle loro singole scatole, chiedendosi intanto che fine avesse fatto sua madre.

“Sono andata a fare la spesa…” annunciava un biglietto incollato al frigo.

Ma solo il giorno prima avevano fatto abbondanti rifornimenti, sufficienti a sfamarli un’intera settimana. Non attendevano neanche degli ospiti e da quando non c’era più Vegeta le riserve alimentari finivano perfino per scadere intatte.

Si sedette sul divano frattanto, accorgendosi come ogni sforzo incominciasse ad essere fonte di dolori alle schiena e alle cosce.

Stava quasi per addormentarsi, cullata dall’insolito silenzio di quella mattina e dal ticchettio monotono di un orologio, quando un rumore di passi alle sue spalle le fece sbarrare gli occhi.

No…non era possibile…per quanto tempo potesse passare non avrebbe mai dimenticato quell’inconfondibile cadenza.

Si voltò verso la direzione del movimento…ma…non era lui…non  Vegeta…

Quale divinità le si parava innanzi adesso nel suo fulgore sublime…

non l’aveva invocata ma ugualmente benevola era discesa da un qualche tempio celeste…

Foggiata nell’oro puro la sua chioma…di bronzo iridescente la sua aura…un azzurro cristallino a cangiargli uno sguardo insostenibile…

Portamento fiero di un dio di guerra…non fosse stata per quell’armatura, non l’avrebbe mai riconosciuto.

“Tu…”.

“Lieto di accorgermi del tuo stupore…” parlò il super-saiyan spezzando l’immagine onirica che aveva suscitato.

“Vegeta… che… cosa ci fai qui?” spiccicò sconvolta.

“Ho avuto dei problemi al motore…tuo padre sta riparando la navicella…”.

E così, alla fine, aveva saputo anche lui sprigionare la luce impareggiabile del super-saiyan.

Quali universi aveva dovuto esplorare…quanti popoli annientare…di quale rabbia esplodere per trascendere quel limite irraggiungibile…?

Era bastato alla fine trovarsi su un comune sasso, raggiungere la saturità della frustrazione di cui era pieno nell’ennesima constatazione della sua inammissibile inferiorità, per avvampare di un oro raro e pregiato. In quell’istante, mentre una pioggia di meteore si dissolveva a contatto col suo fuoco, aveva addirittura dimenticato chi fosse.

Nonostante l’impurità del cuore, faticosamente aveva emulato le orme di un guerriero di volgare livello.

Malvagità allo stato puro…l’unica fonte di purezza nel luridume del suo animo…

…e se invece un piccolo  pertugio si fosse effettivamente aperto a rischiarare debolmente le tenebre del suo cuore? Se la distrazione per una terrestre, con tutte le conseguenze che aveva portato, fosse stato il logorio che aveva consunto quella pietra?

Non solo dalla rabbia, ma anche da quel barlume di sentimenti puri, che invano aveva tentato di occludere, poteva essersi sprigionata forse la fiamma d’oro del super-saiyan.

“Allora spero che tu sia già pronto per partire. Mi sincererò personalmente che mio padre sia molto veloce nella riparazione…” si mosse nella direzione dei laboratori.

“In verità ho tutta l’intenzione invece di fermarmi…” la richiamò.

Per un istante solo durò la paralisi di lei:

“Di certo… non posso impedirti di restare sulla Terra, ma non in questa casa. Non ti voglio qui…” fu lapidaria.

“Che peccato…” sorrise sardonico “…tua madre invece ha già pensato bene di invitarmi a restare per tutto il tempo che voglio…”.

“No!” sbottò indispettita “…verme che non sei altro…io non ho dimenticato quello che hai osato farmi…voglio che tu te ne vada adesso stesso!”.

“Ti ripeto che, volente o nolente, ho già deciso che resterò qui. Dopo mesi di vita sacrificata, intendo godermi gli agi di questa casa ancora per un po’…”.

“Ti sto cacciando Vegeta…dov’è finito il tuo orgoglio? Non dirmi che ora che ti sei ossigenato i capelli non hai più un po’ di amor tuo?” atteggiò la bocca ad un ghigno molto simile a quello suo “…se sei ancora così orgoglioso…non dovresti intestardirti a voler restare in un posto in cui già una volta fosti cacciato via...”.

“Non ho perso la mia dignità” incrociò le braccia “ma devo rammentarti che io non accetto ordini. Se resto o non resto qui, non è certamente perché me lo hai imposto tu…”.

“E allora perché?!” era sul punto di imbestialirsi seriamente.

Sapeva che ormai non c’era più molto da fare, conoscendo troppo bene la sua ostinazione.

Perché era tornato proprio adesso che era riuscita a trovare un nuovo equilibrio mentale ed una rinnovata serenità?

Il petto aveva preso a sollevarsi ansante. Il ventre gravido attirò tutto ad un tratto l’attenzione di lui:

“Ti trovo ingrassata dall’ultima volta…”.

Fu allora che lei avvampò definitivamente in un accesso incontrollato:

“Imbecille che non sei altro!” l’apostrofò “…così ottuso da non capire neanche che sono incinta!”.

Tacque di colpo. Tacquero entrambi, l’una spiazzata dal modo ardito della rivelazione, l’altro conservando più contegno.

Arduo dire cosa passasse nella testa del saiyan in quel momento. Tuttavia, un balenio negli occhi tradì un filo di sorpresa.

Bulma cercò di recuperare compostezza:

“Comunque…” riprese con tono ostile “il bambino non è tuo” incominciò a mentire con fredda lucidità “…sai…non mi sono certa disperata per la tua assenza…non avevo motivo alcuno per rimpiangerti…ho avuto altri amanti nel mio letto…”.

Decisa ed astiosa era la sua voce:

“E’ già da un po’ di tempo che…” gli voltò le spalle, prendendo con noncuranza a sistemare le scatole sul tavolo “…che ho ripreso a frequentare Iamko…te lo ricordi?” gli chiese maliziosa “ebbene… il bambino è suo…del resto…dopo tutto il tempo che siamo stati assieme…era giusto che lo ripagassi con qualcosa…”.

Vegeta continuò a fissare le spalle di lei, che con disinteresse riapriva e richiudeva gli acquisti del giorno.

Le sue braccia nervose…i dolci glutei…le gambe flessuose…la gravidanza non aveva alterato quei particolari che un tempo l’avevano avvinto.

Allora giurò che l’avrebbe uccisa senza pietà se qualcun altro, prima o dopo di lui, avesse assaporato fino in fondo le piacenti meraviglie del suo corpo, godendo dei suoi sospiri e delle sue languide carezze, come a lui era stato concesso.

Bulma, dandogli ancora le spalle, non si accorse dell’espressione dura del suo viso, né di un impercettibile spostamento d’aria.

Sentì solo d’un tratto due braccia nerborute stringerla da dietro con possesso e fermarsi sul suo grembo tondo.

Restò intontita prima di realizzare cosa stesse accadendo.

Stava per ucciderla… aveva osato sfidarlo troppo…

Eppure le mani di lui si erano solo posate lievemente sul suo stomaco e non parevano intenzionate ad esercitare alcuna pressione mortale.

Senza osare nessuna opposizione, inevitabilmente si scontrò col calore del suo corpo scolpito, con quel profumo maschio che emanavano i suoi pori, fino ad inibirle qualsiasi reazione.

Se quello era il tentativo di una minaccia, allora tra quelle braccia stesse sarebbe voluta morire.

Aveva già chiuso gli occhi alla sua disfatta, quando si sentì sussurrare nell’orecchio, a denti stretti:

“Bugiarda…”.

Vegeta la liberò dalla presa, scostandosi da lei, che si riprese barcollando quasi:

“Che…che cosa vuoi dire?” balbettò.

“Che se a Iamko è spuntata la coda…allora quello è effettivamente suo figlio”.

Doveva aver percepito l’aura del bambino…di certo non c’era altra spiegazione…pensò lei a bocca aperta.

Abbassò lo sguardo poi:

“Sì…è tuo figlio, già sapevo di tenerlo in grembo ancor prima di mandarti via. Se quella notte non mi avessi trattata in quel modo l’avresti saputo…invece per colpa tua, fui quasi sul punto di perderlo…” un velo penoso sugli occhi ad indicare quanto ancora quel ricordo le dolesse.

“Ma non preoccuparti…” inghiottì le lacrime “né io ti sarò più d’impiccio né questa creatura, maschio o femmina che sia…”.

“E’ un maschio” annunciò subito.

“Davvero?” sentì il grembo sussultare.

“Certo!” confermò con sdegno “come hai anche potuto pensare che il principe dei saiyan generasse per primogenito un’inutile femmina?”.

“Ad ogni modo…” si risentì “…mio figlio non sarà come te…sarà un bambino buono e giusto….proprio come Gohan…lui ha anche il mio sangue…” ribatté prontamente, precisando i diritti che aveva su di lui “…crescerà qui con me, sulla Terra, non mi importa che abbia un padre…anzi non voglio neanche che tu lo veda…da te avrebbe solo pessimi esempi…”.

“Non ti scaldare…” la frenò Vegeta “…per quel che mi riguarda, puoi farci quello che vuoi, non so che farmene di un moccioso…”.

Si avviò verso la porta, tornando a voltarsi prima di congedarsi definitivamente:

“Fossi in te poi…” le disse ancora “…non guarderei così avanti nel futuro…tuo figlio potrebbe non aver ancora imparato a discernere la luce dal buio quando giungeranno i cyborg…” sogghignò spietato, contento di averle messo timore.

“Ci sarà Goku a sconfiggerli!”

“No! Io li ucciderò!” puntualizzò infuriato, andandosene poi via.

E così il principe dei saiyan era ritornato…

una vecchia vibrazione a palpitare in quelle stanze…

una nuova ventata a rigenerarne l’aria stantia…

 

* * *

 

Eppure non fu tutto come un tempo, non come lo ricordava lui.

Sì…la stessa stanza…lo stesso cibo…la medesima camera gravitazionale…perfino gli stessi ritmi quotidiani…ma qualcosa non era più come allora…

Un profumo in meno ad impregnare l’aria intorno a lui…

Una luce in meno a rischiarare le ultime ore della giornata…

Perfino il cielo di quel pianeta gli pareva più grigio senza il confronto con l’azzurro dei suoi occhi e dei suoi capelli…

Non sapeva bene se tutto questo gli mancasse o dovesse essere lieto di non averla tra i piedi come un tempo.

Per quanto preferisse ammettere la seconda delle due prospettive, in cuor suo sapeva che quell’insopportabile terrestre aveva saputo rendergli lo sgradito soggiorno sulla Terra più piacevole di quanto avesse previsto.

Bulma si faceva vedere molto poco, semplicemente evitava di incontrarlo.

Non trovava più lei a preparargli da mangiare, ma quella detestabile madre dai modi gentili quanto fastidiosamente insistenti.

Aveva anche smesso di lavorare, pareva che trascorresse gran parte delle sue giornate distesa oziosamente sul letto o temporaneamente sul divano, da dove gli rivolgeva solo una briciola dell’attenzione riservatagli un tempo.

Niente più sorrisi, dolci insistenze, neanche furibondi litigi.

Solo poche domande, qualche risposta monosillabata ed un mare di freddezza.

Era evidente che lei non gli avesse ancora perdonato la violenza di quella notte, che intendesse farglielo pesare ancora per molto.

“Sciocca…se pensa che io possa chiederle scusa…” aveva riflettuto tra sé parecchie volte “sto meglio così…non ho bisogno di quell’oca…”.

Era una sera come tante quando la vide entrare dalla porta della cucina, mentre lui era sul punto di ultimare la sua sostanziosa cena.

Se lei avesse saputo cosa lui stava per riservarle, si sarebbe indiscutibilmente tenuta alla larga dalla sua zona, o quanto meno avrebbe adoperato più circospezione nel varcare i suoi confini.

Ugualmente, anche lui, se qualcuno gli avesse preconizzato il gesto che irrazionalmente stava per compiere, avrebbe optato di prolungare i suoi allenamenti  almeno fino a quando non avesse visto la luce della stanza di lei spegnersi definitivamente.

“Ah…sei ancora qui…” notò con noncuranza la ragazza, portandosi verso i fornelli a preparare una tisana che la conciliasse al sonno.

Il suo ventre si era ingrossato, i seni appesantiti, settimana dopo settimana aveva visto il suo corpo mutare, anche Vegeta sapeva che ormai non mancava molto alla nascita di Trunks.

Sarebbe stato quello il nome del bambino. Bulma lo aveva scelto senza neanche consultare lui, che, ad ogni modo, non aveva risentito di quella mancanza.

Ignorò del tutto la sua presenza mentre poneva la teiera sul gas ed attendeva che l’acqua bollisse.

Al termine, versò il liquido caldo in una tazza che poggiò sul tavolo, nell’attesa che la temperatura si abbassasse a renderlo bevibile.

Adagiò frattanto la sua mole appesantita su una sedia, proprio di fronte a lui, gettando un’occhiata ad una rivista che lì era stata lasciata. All’uomo sembrò che lei tollerasse perfino bene quel silenzio di cui lui incominciava a sentirne il fastidio. Possibile che gli fosse diventato così indifferente?

Bulma portò la tazza alla bocca:

“Ahi!” gridò d’un tratto scottandosi la lingua al punto tale da far trasalire perfino il saiyan che prontamente non mancò di sogghignare:

“Se basta così poco a darti dolore…mi chiedo come farai ad affrontare un parto…” le disse ricevendo un’occhiata truce.

“Sta zitto! Meriteresti tu di soffrire al mio posto in quel momento…trovo ingiusto che debba soffrire solo io per una colpa che principalmente è la tua!”.

“Colpa? Quale colpa? Di averi messa incinta, forse? Certe cose si fanno in due…dovresti ricordarlo bene…” disse con molta semplicità.

Bulma si era alzata, affrettandosi a porre dell’acqua fredda sulla gengiva.

Nervosa com’era, non sapeva neanche più cosa blaterava.

La data del parto si apprestava impellente e con essa cresceva il timore dell’evento, di non sapere se fosse riuscita fino in fondo a sostenerlo.

Non era stato facile portare in grembo fino a quel momento il figlio di un saiyan, soprattutto da quando quella piccola scimmietta aveva preso a scalciare contro le sue viscere col vigore tipico della sua razza.

Le faceva così male in quei momenti che, nel delirio del dolore, vaneggiava addirittura che stesse nutrendo dentro un essere dall’entità demoniaca.

Il seme di Vegeta…

Non era esagerato pensare che avesse potuto piantare una radice maligna quanto la sua essenza…

“Del resto…” continuò Vegeta come se avesse letto nel pensiero i timori di lei “ …è anche troppo pretendere che il corpo fragile di una terrestre porti un fardello simile…”.

“Cosa vuoi dire…?” si voltò bruscamente la giovane. 

“Che il tuo corpo non è forte abbastanza per portare in grembo un cucciolo saiyan…le femmine di Vegeta-sei, al mio vago ricordo, avevano corporatura più robusta…”.

“Questo non è un problema…” replicò Bulma, convincendosi che lui le stesse di proposito mettendo paura “…non sono la prima a partorire il figlio di un saiyan…prima di me l’ha fatto già Chichi…”.

Ma Chichi aveva Goku…lei nessuno…solo una madre più interessata al corredino che alla sua salute…

Mai una mano tenera ad accarezzarle il ventre gravido…

Una presenza a darle conforto quando nel silenzio angoscioso della notte la sorprendevano gli spasmi inattesi della gravidanza…

“Inoltre…” soggiunse lei con acredine “bada agli affari tuoi, ai tuoi allenamenti, io e te non stiamo più insieme…neanche questo figlio ci lega…”.

Quante volte aveva detestato sentirsi imporre quel legame…altrettanto ora lo infastidiva quel diniego…

“Lo hai già sottolineato parecchie volte…” replicò avvicinandosi a lei “così tante che è divenuto un ritornello patetico…”.

Un cipiglio furioso ad incresparle sempre più la candida fronte…

Quel ghigno che lui teneva sulla bocca sembrava volersi prendere gioco di lei, che volesse farla intenzionalmente infuriare:

“Sono sicuro…” proseguì fermandosi ad un passo da lei “che se non avessi avuto quell’enorme ingombro davanti…mi avresti aperto le tue gambe esattamente come ti piaceva fare in passato…”.

Lo schiaffo fu sonoro quanto doloroso.

Bulma si tirò la mano con una smorfia sofferente:

“Neanche il piacere di schiaffeggiarti posso avere!” gli urlò stizzita “come ti permetti di rivolgerti con quel tono? Maiale!” lo assalì con dei pugni che lui non schivò “io non ho dimenticato quello che hai osato farmi quella notte…pensi che solo tu possiedi orgoglio?! Io ti dico che ne ho tanto da non permetterti mai più di toccarmi!”.

Non capì subito cosa di insolente l’avesse fatta zittire.

Era qualcosa di morbido ed umido che aveva preso a conturbarsi intorno alla sua lingua in modo impetuoso quanto paralizzante. A Bulma non restò altro che assecondare quel bacio nonostante la punta della lingua indolenzita dalla scottatura.

A contatto col calore del suo ampio torace, il bambino le sussultò nel grembo.

Strano come tra le sua braccia non la cogliesse il timore che quel colpo la potesse seriamente danneggiare.

Quel bacio poi fu sufficientemente lungo da consentirle di incominciarsi a rendere conto di cosa vagamente stesse accadendo.

Perché la stava baciando?

Di certo per mostrarle come lei fosse debole, che l’avrebbe potuta riavere tutte le volte che voleva, permettendosi ugualmente il lusso di trattarla male a suo piacimento.

No…non poteva lasciarglielo fare…lei non era debole….lei aveva il suo orgoglio ed il suo onore da difendere…non poteva permettere che lui diroccasse tanto facilmente la muraglia che aveva eretto a sua protezione…Vegeta non la meritava…lui l’avrebbe fatta soffrire ancora…in mille altri modi…e lei era già stanca oramai…

Se lui era orgoglioso…lei doveva imparare ad essere implacabile…

“Non ti permettere mai più!” si liberò con uno strattone, portandosi a distanza da lui e fissandolo furente.

“Sei il solito insolente! Come ti sei azzardato a baciarmi di sorpresa? Non cambierai mai! Non c’è nulla da fare…sei uno zotico approfittatore…mai  imparerai ad essere un gentiluomo…”.

“Non lo sono mai stato…eppure ti piacevo…”.

“Dici bene…” convenne col tono amaro “…mi piacevi…ora non più…”.

Con le gote infiammate ed il respiro a bocconi gli disse ancora:

“Io…non voglio che accada più…hai capito? Io ti detesto! Non voglio più essere il tuo giocattolino! Ormai ho aperto gli occhi…per me non significhi più niente…”.

Avrebbe voluto gridargli ancora altro contro, ma dinanzi a quel sorriso curvato a beffa, l’unico modo per non scoppiare definitivamente era retrocedere e di corsa.

Vegeta la vide scappare via.

Si portò due dita ai lati dalla bocca, asciugando lentamente l’impronta umida delle labbra di lei.

L’impulsività del suo gesto lo aveva lasciato alquanto sorpreso…ma…quanto aveva desiderato farlo…

 

* * *

 

Non c’è nulla di più terapeutico per una gravidanza quanto il beneficio di un placido riposo e Bulma aveva tutta l’intenzione di goderselo quel pomeriggio, quando ormai solo una decina di giorni mancava alla conclusione dei suoi conti.

La penombra in cui era immersa la stanza procurava un fresco riparo dalla calura dell’afoso pomeriggio.

Una brezza sottile attraversava la tendina, agitava lievemente le lenzuola su cui era assopita, le accarezzava le gambe nude. Una vestina larga di cotone leggero, dalla tenue tonalità paglierina, ricadeva morbidamente sul ventre tondo, arrivando poco sopra il ginocchio.

Solo il ronzio di una mosca osava infastidire la quiete inviolabile di quella pennichella pomeridiana.

Sbadigliò e flemmaticamente aprì gli occhi alla pace che l’avvolgeva.

Quanto si sentiva bene…

Poteva ormai dirsi pronta ad affrontare l’incontro col suo piccolo.

Sorrise al pensiero che tra non molto sarebbero stati rari i momenti di riposo effettivo.

Povera Bulma…

Non sapeva ancora che quel dolce risveglio stava per trasformarsi in un incubo allo stato puro.

Si sentiva umida tra le gambe, come sudata. Portò una mano lì ad accarezzarsi: anche questa si inumidì ed il colore era di un rosso vivo!

Saltò inorridita giù dal letto, accorgendosi che la sua vestina era chiazzata dello stesso sangue che imbrattava le lenzuola.

L’ennesima macchia di sangue…

Più sconvolgente delle altre…le conseguenza potevano essere terribili…

Cosa le era accaduto? Lei non lo aveva sentito muoversi, invero non lo sentiva dimenarsi dal giorno prima.

Quando sua madre accorse alle sue grida, la trovò in piedi piangente a fissare quel sangue dai presagi nefasti:

“Tesoro…ma cosa…”.

“Dimmelo, mamma, cosa mi è accaduto…” faceva tenerezza come una bambina indifesa.

“Io non so…corriamo subito in ospedale…ora chiamerò Vegeta…così volando…” provò a dire, ma:

“No!” urlò risoluta “non lo voglio neanche vedere…lui non deve sapere…”.

“Ma è il padre del tuo bambino…”.

“NO! NO!”.

Non voleva farsi vedere in quelle condizioni, dargli la soddisfazione di non essere stata neanche in grado di portare in grembo il figlio di un saiyan.

Intanto anche suo padre era accorso:

“Cara…credi di farcela ad arrivare fuori, o chiamo un’autoambulanza?”.

Lei si appoggiò alla sua spalla:

“Non voglio perdere il mio bambino…” piangeva sforzandosi a camminare.

“Non voglio..non voglio…”.

Ci vollero entrambi i genitori a sostenerla. Lei non collaborava, atterrita solo da quel pensiero angoscioso.

Che ne sarebbe stato di lei se avesse perduto quel figlio? Era l’unico legame che le restava con Vegeta, l’unica cosa che lui le avesse dato.

“Andrà tutto bene…” la rincuorava lo scienziato.

E se fosse morta lei? Chi si sarebbe preso cura del suo bambino?

“Mio figlio…no…no…non è normale quello che mi è accaduto…”.

Sua madre le faceva aria sul viso sventolando un giornale. Sembrava che ad ogni passo fosse sul punto di svenire.

“Dai…un altro sforzo e raggiungeremo l’air-car nel giardino…”.

Il volto era stravolto in una maschera cerea, gli occhi quasi sbarrati verso l’alto. La madre le asciugava il sudore:

“Non voglio perdere il mio bambino…” lo straziante mugolio di una giovane disperata.

Quando Vegeta venne fuori dal trainer gravitazionale, rischiarava il giardino una falce di luna.

Notò, non senza riconoscerne la stranezza, che in casa le luci erano già spente. Eppure non era tardi abbastanza perché tutti si fossero ritirati già a dormire.

In cucina non gli era stato preparato nulla da mangiare, ma prima di riempire comunque lo stomaco, voleva accertarsi cosa fosse accaduto, avvertendo un insolito presentimento.

Salì la rampa di scale, percorrendo agilmente il corridoio nonostante l’oscurità. Si fermò presso una porta, era trascorso molto tempo dacché vi si era fermato per l’ultima volta:

“Bulma!” chiamò, senza ottenere risposta.

Aprì piano l’uscio e trovato l’interruttore inondò di luce la stanza.

Quella chiazza estesa di sangue risaltava sul candore delle lenzuola come un faro nella notte.

Sbarrò gli occhi ugualmente abbagliato.

Avvicinatosi per ispezionarla, si accorse che questa era asciutta ma indubbiamente recente.

Apparteneva a lei, lo percepiva distintamente dall’odore.

Cosa era accaduto? Mancavano ancora dieci giorni alla nascita…possibile che un colpo di quel cucciolo avesse potuto sventrare realmente il suo fragile ventre, come lui si era divertito a farle credere?

Intanto un richiamo lo induceva ad uscire dalla finestra e a prendere il volo, il richiamo di un saiyan che aveva il suo stesso sangue.

Difficile reprimere quella voce, per quanto lui non l’avesse mai voluta sentire, per quanto lui avesse voluto restare sordo al richiamo di quel figlio venuto finalmente alla luce.

“E così sei nato…Trunks…”

Quando si introdusse di soppiatto dalla finestra nella stanza in cui Bulma era stata ricoverata, trovò il piccolo a dormire in una culla.

“Lascia che ti guardi…per qualche istante solamente, prima di andarmene via ed ignorare per sempre la tua esistenza…

Non ti ho chiesto di venire al mondo, né lo ha scelto la tua madre sconsolata… frutto di una passione che ci ha avvinti e che ora definitivamente abbiamo bandito…sei questo solamente …

Non aspettarti nulla da me…impara subito che un saiyan non deve mai niente ad alcuno…

Ed io sono troppo pieno di me per offrire la mia attenzione ad un essere che qualche anno impiegherà per parlare e  camminare e qualcosa in più per discernere cosa sia giusto nella vita e cosa no…

Strano, ma io, personalmente, non l’ho ancora imparato.

Essere padre è un ruolo di cui non conosco l’essenza e la funzione, se non quella di averti generato…

Un padre non l’ho mai avuto e se Freezer se ne avocava a volte l’attributo…allora…ti confesso che mille volte è preferibile esserne nati senza…

Meglio per te la mia freddezza, il mio silenzio, la mia assenza piuttosto l’imitazione di quella che la mia educazione è stata…

Sappi fin da ora che gli occhi, con cui adesso ti guardo, non sono quelli commossi di un padre…ma di un guerriero che freddamente esamina la sua prole e ne valuta la robustezza…

In quel corpicino indifeso nascondi energia e vigore che mi lasciano sorpreso quanto perplesso…

Forse, se riuscirò a sconfiggere i nemici di cui attendiamo ormai l’arrivo, potrei decidere di restare qui e far di te un combattente ardimentoso…strapparti perfino da quella madre che ti renderebbe solo un debole sentimentale…

Poco mi importa del risentimento che le cagionerai, ne ha fin tanto nei miei riguardi oramai che mi ha detto chiaramente che neanche tu costituisci più un legame…”

 

Si mosse verso il letto in cui giaceva Bulma. Il volto era disteso e sereno, sembrava perfino che sorridesse nel sonno:

“Pensare che ho creduto che tu non fossi neanche capace di generare un saiyan…sciocco sono stato...dimenticando che ad un saiyan, al principe, hai osato addirittura concedere tutto di te…

Mi spiace quasi…ma tu lo hai capito…non sarò mai il tuo compagno…il padre di tuo figlio…per questo mi rivolgi poco la parola…ti ho deluso…

Non vuoi che io ti sia solo amante…ma mi hai insegnato tu la forza della passione, a farmi scoprire  che oltre al piacere del combattimento un uomo può godere anche di altro…potevi respingermi tutte le volte che ti ho fatto visita nella tua stanza…se ero in me…se avevo il giusto controllo delle mie azioni…me ne sarei andato…frustrato e contrariato…ma lo avrei fatto…per il mio bene...

E adesso cosa pretendi da me?

Sono un animale solitario…non ho bisogno di legami per sentirmi completo…non riesco ad accettare di dovermi conformare alla vita di voi terrestri…faresti di me un debole solamente…

Se fosse solo un po’ di piacere carnale ciò che da me reclami…credimi…resterei con te per altri mille anni…

Ma penso di non essere in grado di darti altro…”.

 

L’indomani, uscendo dal trainer gravitazionale, si sarebbe imbattuto in Bulma e nella madre dal ritorno dall’ospedale. La seconda spingeva un carrozzino, mentre l’altra la seguiva col passo stanco, ma con un sorriso smagliante sulla bocca, che non mutò neanche quando si accorsero della sua presenza.

“Vegeta, vieni a vedere tuo figlio!” lo esortò la simpatica e svampita signora bionda.

Ma l’uomo non mosse un passo.

Senza risentirsene, Bulma lo oltrepassò alla volta della casa. Adesso aveva uno strano ghigno sornione sulle labbra.

Sapeva che Vegeta aveva già visto suo figlio di nascosto…peccato per lui che non si fosse accorto di aver lasciato un’impronta di fango proprio sul pavimento…

 

* * *

 

Non ne poteva più! Quel marmocchio era nato da due giorni ed aveva già catturato l’attenzione di tutta la famiglia Brief.

E lui? Si erano forse scordati della sua presenza? Neanche più quell’oca bionda trovava a preparargli da mangiare!

Già il giorno prima aveva dovuto rimediare da solo a qualcosina che gli tenesse a bada lo stomaco, ma adesso, trovare il frigorifero praticamente vuoto era inammissibile!

Ne avrebbe detto quattro a chiunque di quella stramba famiglia gli fosse capitato a tiro!

Su tutte le furie, uscì dalla cucina, imbattendosi proprio in Bulma che, adagiata sul divano del soggiorno, allattava il suo piccolo:

“Ti sembra giusto…” esordì fermandosi davanti a lei “…che lui mangi ogni ora ed io stia qui a morire di fame?”.

Lei aveva una contrazione dolorosa sul viso roseo:

“Non ti ci mettere anche tu, Vegeta, adesso…non vedi che ho già i miei problemi?”.

Lui non capiva da dove questo provenissero:

“Non potevo immaginare che allattare fosse così doloroso…” si lamentò stringendo i denti “….pensavo che fosse dovuto al fatto che lui è molto vorace…ma leggendo, ho scoperto che molte donne nei primi giorni di allattamento hanno questo problema, almeno fino a quando il capezzolo non si è assuefatto del tutto…”.

Un lembo della camicetta le copriva il seno, lasciando scoperta solo una mammella scura che il piccolo succhiava con la morbidezza della sua boccuccia.

“Allora?” incalzò il saiyan “ti ho già detto che ho fame, ho tutto il diritto di mangiare di quanto lo abbia lui!”.

Bulma incominciò a trovare quella situazione molto divertente:

“Non mi dire che sei geloso del tuo stesso figlio…” lo pungolò piano.

Certo che incominciava ad esserne geloso se tutta l’attenzione era riservata solo al lui…era geloso perfino di come il bambino succhiasse beato e sazio al suo seno, quel petto amabile che lei gli aveva per sempre negato.

“Va bene…ti preparerò qualcosa da mangiare” concluse notando che il bambino aveva terminato la poppata “…ma…me lo devi tenere un po’…per fargli fare il ruttino…”.

Vegeta divenne pallido come un cencio:

“Ma tua madre dov’è?”.

La ragazza gli spiegò che era fuori per la spesa e che avrebbe ritardato come suo solito:

“Ti conviene accettare se non vuoi morire di fame…” patteggiò non lasciandogli scelta.

Quando gli mise il figlio tra le mani le circondò il cuore un calore avvolgente, poco importava che Vegeta fissasse quella creatura come se fosse un animaletto sconosciuto.

“Su…andiamo in cucina…ma mi raccomando…tienilo bene e non lo stringere troppo. Per niente al mondo te lo avrei messo in braccio, ma tu non mi hai lasciato scelta!”.

Qualche pomodorino ed una porzione abbondante di pasta gli avrebbe tenuto impegnato quello stomaco rumoreggiante fino a sera.

Vegeta fissava confuso ora il bambino ora lei che si affaccendava solerte a preparargli da desinare, proprio come un tempo.

Il cipiglio e l’intonazione ostile avevano ceduto il posto ad un’espressione distesa e conciliante.

Possibile che l’essere diventa mamma avesse assottigliato quel modo spigoloso con cui lo aveva trattato negli ultimi mesi?

“Ti assomiglia…” disse Bulma ad un tratto, richiamandolo all’attenzione.

“Io…io non ci vedo niente…” replicò lui senza molta convinzione.

“Ma guardalo….ha il tuo stesso sguardo corrucciato…spero che almeno l’intelligenza sia la mia…” si mise a ridere di gusto.

Era questo avere una famiglia?

Tenere un figlio tra le braccia, guardare la propria donna preparargli il pranzo, scherzare su qualche sciocchezza…aspettare magari che si facesse sera per ritrovarsi in un letto…

“Ehi…questo bambino tenta praticamente di succhiare qualsiasi cosa!” si allarmò vedendo come Trunks aprisse la boccuccia alla ricerca di qualsiasi cosa che gli riempisse le guance paffute.

“Non mi dire che ha già fame…”.

“Avanti…muoviti…prenditelo…” la sollecitò quando il bambino proruppe in pianto.

“Vieni piccolino…” lo riprese “…vuoi fare ancora la pappa? Ma come devo fare con te!”.

In quell’istante non pensò che sarebbe arrivata sera senza che la fame di quel bambino venisse in qualche modo sfamata. Era disperata, sul punto addirittura di telefonare Chichi per chiederle come lei avesse fatto con Gohan, se solo non avesse dovuto perdersi in prolisse spiegazioni su chi fosse il padre.

Il bambino succhiava per un’ora intera ma non ne passava un’altra che riprendeva a reclamare altro latte. I capezzoli erano sul punto di grondare sangue se quella boccuccia li avesse torturati ancora. Il dolore che sentiva ad ogni tirata era come la lama di un coltello che stuzzica una ferita già slabbrata.

“Sono esausta…non ce la faccio più…” si disperava alla presenza della madre.

“Io sono convinta che lui mangi molto meno di quello che tu credi…per questo ha fame…forse sono i tuoi seni a non produrre molto latte e a non saziarlo. Lascia che vada a preparare quel latte in polvere…così sarai certa di quanto consuma e tu non soffrirai…”.

Da qualche ora la madre cercava di convincerla dell’ovvietà della sua supposizione, che fosse preferibile svezzarlo fin da ora e sostituire con la sostanziosità di una bottiglina il nutrimento povero del suo petto.

Alla fine, Bulma, piangente, accennò affermativamente con il capo.

Avrebbe voluto ancora allattarlo lei, ma incominciava a rendersi conto che il suo latte non era sufficiente per un saiyan.

A questo punto, dinanzi a quelle spine che le trafiggevano i capezzoli, era meglio l’ausilio di un mezzo artificiale e che diventasse fin da ora definitivo ed esclusivo, per evitare che il piccolo si separasse più faticosamente dal petto materno.

Sua madre non si era sbagliata: quando la creatura mandò giù l’intero contenuto della bottiglina, giunse a testimoniare la sua salutare poppata un sazio e soddisfacente singhiozzo.

Rimasta da sola con lui, lo cullò per qualche minuto ed addormentato lo ripose nella culletta.

Che giornata! Ma alla fine il suo cucciolo riposava quietamente. Qualche ora sarebbe riuscita a riposare anche lei prima che Trunks, come qualsiasi bambino, si risvegliasse e ricominciasse il turno di una nuova poppata.

Aveva preso a slacciarsi la camicetta quando Vegeta, percorrendo il corridoio alla volta della sua stanza, fu attratto dal silenzio alfine sopraggiunto, dopo aver sentito per interminabili ore il trambusto di pianti ed urla provenire dalla stanza della giovane.

La porta era stata lasciata socchiusa dalla madre distratta, che dopo aver dato quel sapiente consiglio alla figlia, indirettamente, adesso, stava per regalarle qualcosa di altrettanto indimenticabile.

Senza volere, Vegeta si ritrovò a spiare quel momento di intimità.

Illuminava la stanza una fioca luce da notte, riverberandosi sulla nudità del petto, che fluttuava libero da ingombri, mentre lei, lasciato cadere a terra l’indumento, si occupava di prendere delle salviettine imbevute per pulire i residui di latte che Trunks le aveva lasciato sulle mammelle nelle ultime e disperate poppate di prima.

“No, lascia stare…” una voce calda proprio dietro le sue spalle.

Non aveva il tono perentorio di un ordine, ma il medesimo effetto paralizzante.

Lei si voltò piano.

“Non ti pulire…” soggiunse ancora.

“Ma…io…” non poté dire altro quando vide l’uomo avvicinarsi e spingerla a ricadere sul letto.

Quanto gli erano mancati quei candidi seni…ora più turgidi e gonfi dell’ultima volta in cui aveva avuto il piacere di contemplarli…eppure ancora così seducenti…

Aveva tutta la voglia di inebriarsi di quel loro sapore genuino, goderne beato come aveva visto fare a suo figlio. Non era giusto che venisse espropriato di quel diritto che prima era solo suo.

A contatto con la bocca poteva già sentire quel nuovo sapore zuccherino che avevano acquisito, quel gusto dolce di latte che Trunks aveva disseminato un po’ per tutto il loro profilo.

Le sue labbra si facevano appiccicose mentre disseminavano i loro baci.

“No…Vegeta…ti prego…non succhiare…” supplicò lei flebile quando si sentì afferrare uno dei capezzoli doloranti.

Suonava così strana quella richiesta…e quel gemito poi… non si capiva se fosse di dolore o di piacere.

Succhiando piano, bevve un po’ di quel liquido caldo e mieloso, così insoddisfacente per un neonato ma unico come ambrosia divina per la sua bocca in quel momento.

Quale uomo avrebbe mai saputo creare un momento di tale particolarità…

Lui l’aveva generato del gelo del cuore e foggiato con la fiamma pura del suo fuoco nascosto.

Un momento di tale intensità valeva quanto tutti i baci negati e le notti disertate. Le sue labbra non erano quelle morbide di un lattante ma quelle roventi di un’amante, insaziabili e dannate.

Si sarebbe liberato dell’ingombro dei suoi pantaloni se la donna, d’un tratto, non l’avesse fermato prendendogli il volto tra le mani e fissandolo con gravità.

Risalita dall’abisso del ritrovato piacere in cui era sprofondata, adesso era sul punto di annegare nella crudezza della realtà che d’improvviso l’aveva travolta:

“Io non posso…” disse respirando ancora a fatica.

Possibile che lo stesse respingendo?

Vegeta la fissava senza poterlo credere.

“Vorrei…” gli spiegò con la premura di non ferirlo “…ma ho partorito solo due giorni fa…non posso…fisicamente…”.

Vegeta si staccò da lei come se fosse divenuta di ghiaccio, balzando a ritroso, colpito da una miriade invisibile di schegge di cristallo.

Lei si sollevò con la schiena, fissandolo supplichevole:

“Ti prego…resta ugualmente…”.

Ma Vegeta, dopo essere incespicato nello scendiletto, si affrettò ad aprire la porta e a correre via.

Bulma già sapeva come si sarebbe sfogato adesso.

Non passò qualche minuto che già sentì l’eco furioso dei suoi colpi provenire dal trainer gravitazionale…

 

* * *

 

Un cielo plumbeo ed uggioso si scorgeva dal vetro appannato della finestra della sua camera da letto. Al secondo mese del suo puerperio, Bulma teneva tra le braccia un fagottino che agitava le gambette e fissava una madre dal volto affitto e sconsolato:

“Piccolo mio…

darei l’oro più pregiato di questo mondo  in cambio della spensieratezza dei tuoi pochi mesi di vita…

non ti tange la preoccupazione dell’arrivo ormai imminente dei cyborg, né ti accorgi che tuo padre se ne sta per andare…

Lui non me lo ha ancora detto…ma so che è così, già da qualche sera lo sorprendo a guardare più volte verso il cielo stellato, dopo aver insolitamente abbreviato il suo quotidiano allenamento.

Perfino mio padre non ha il coraggio di spiegarmi del perché stia riparando, con la solerzia che non gli è propria, una navicella spaziale.

Il nostro futuro è più grigio di questo cielo…piccolo mio….

Se i cyborg dovessero prendere il sopravvento, di noi due non resterà più niente.

Ugualmente mi chiedo cosa ne sarà se invece trionferà il bene…

Tuo padre si prepara tra breve a scendere sul campo di battaglia…non per salvare noi…ma solo per tornare ad abbeverarsi alla fonte tanto gradita della competizione e della rivalità.

Non aspettarti che lui muova mai un dito per salvare la tua e la mia vita, ma impara subito che il suo orgoglio di saiyan viene sopra ogni cosa.

Mi dispiace…

Badando solo ai miei sentimenti ed accecata dall’amore, scelsi per te un padre che ti ignora intenzionalmente e ti rifiuta.

Miseramente ho fallito…

Volevo cambiare il suo cuore, ma forse, confondendolo, l’ho fatto accanire solo di più contro se stesso.

Da tempo ho rinunciato a quest’ambizione che qualche anno fa mi animava…

Ora mi resta solo la speranza che un giorno arrivi qualcuno per cui lui trovi la pena di aprire veramente il suo cuore…

Forse io non valevo tanto…

Da quella sera in cui bevve al mio seno, non ha fatto altro che evitarmi…ed io l’ho assecondato tenendomi a distanza.

Neanche adesso che sta per lasciare questa casa lo fermerò…

Da quando fece il suo ritorno ricoperto d’oro, ho sempre saputo che questo momento sarebbe prima o poi arrivato…per questo lo evitavo e gli rivolgevo freddi cenni di presenza…

Era la paura di tornare a legarmi…non il ricordo accantonato di una notte di violenza…

Ora è prematuro…ma forse un giorno troverò il coraggio di chiedergli cosa di noi due intende fare…

Intanto, al solo pensiero che possa soccombere nello scontro o ugualmente andarsene via per sempre al termine di esso, mi sorprende una morsa agghiacciante di gelo.

Mi sento così triste e così sola…e so che nella vita si vive una sola volta…che quello che non ho fatto adesso mi travaglierà nel volgere degli anni.

Ho difeso fino ad ora con grinta e risolutezza le mura che mi ero eretta intorno per difendermi da lui e non soffrire….ma adesso…dinanzi alla precarietà delle nostre misere esistenze…sento che sto per demolire io stessa quelle difese e prendere l’ultima folle decisione…

Stare con lui un’ultima volta…tenerlo un po’ per me…serbare un altro raro ricordo di dolcezza…

Mi tremano le gambe…il cuore mi tumultua dentro all’inverosimile…

Sto per andare da tuo padre…piccolo mio…anche se so che ogni volta che lo raggiungo, ancor di più lo allontano …”.

 

* * *

 

La pioggia era ancora sottile quando lei uscì di casa e si mosse verso il trainer gravitazionale dove lo aveva visto dirigersi qualche ora prima.

Dalle officine poteva sentire suo padre lavorare ancora incessantemente al collaudo della capsula spaziale.

Al contrario, dal trainer proveniva un insolito silenzio.

Non era possibile che fosse uscito senza che lei se ne accorgesse, con più eventualità aveva adesso stesso ultimato l’allenamento, dato che l’indice di gravità segnava il livello normale.

Aprì piano lo sportello, facendo con prudenza capolino col suo caschetto azzurro.

Lui stava bevendo con avidità da una bottiglia d’acqua:

“Cosa vuoi?” le chiese senza rivolgerle importanza, asciugandosi la bocca col dorso della mano.

I suoi occhi ed i suoi capelli avevano ancora il colore cangiante del super-saiyan.

“Mi è sembrato di averti già detto di non aprire mai quello sportello senza avermi segnalato la tua presenza…” soggiunse subito dopo.

“L’avevo dimenticato…non ti sei mai preoccupato molto per me…” una venatura di sarcasmo nella voce.

“Cosa sei venuta a fare?” prese un asciugamano, tamponando il sudore sulla fronte e lungo il collo.

“Quando…quando pensi di partire?”.

Vegeta diede per scontato che lei fosse stata già avvertita della sua decisione:

“All’alba di domattina”.

Dunque non si era sbagliata…lui stava davvero per andarsene….si strinse nelle spalle, cogliendola un freddo improvviso.

Lui era lì…a pochi passi da lei…per l’ultima volta forse…

Da quanto tempo non contemplava più il suo busto scolpito e la linea seducente della sua schiena nuda…

Il raggiungimento del livello del super-saiyan aveva acuito lo spessore dei suoi muscoli rendendo ancora più marmorea la struttura del suo torso.

Persino quella nuca, che lui adesso le rivolgeva, era più massiccia dell’ultima volta in cui l’aveva cinta nel suo abbraccio.

Voltato di spalle, sentì i passi di lei avvicinarsi piano. Non capiva perché lei fosse venuta, non dando l’impressione di voler in qualche modo impedirgli la partenza.

Stranamente, lo pungolava una punta di fastidio alla constatazione che lei fosse stata fin ad ora del tutto indifferente alla sua decisione di allontanamento.

Stava per dirle di andarsene via e lasciarlo solo, quando d’improvviso sentì qualcosa  di morbido imprimersi a fuoco proprio dietro al collo, lì dove lei gli aveva lasciato l’impronta di un timidissimo bacio…eppure audace al punto tale da avere la forza di farlo vacillare per un istante.

Dopo tal prodezza, lei si sentì cogliere da un indicibile senso di insicurezza al pensiero di come lui avrebbe reagito adesso.

Vegeta era rimasto immobile…forse sul suo volto si stava dipingendo una maschera di rabbia e di astio. Indietreggiò sul punto di battere in ritirata, quando:

“Dove pensi di andare?”.

La sua voce era ferma, quasi intimidatoria.

“Io…non volevo…non so cosa mi abbia preso…” spiccicò lei nel panico più evidente.

Il saiyan si voltò finalmente, prendendo a muoversi verso di lei:

“Smettila di fare la santarellina…” le disse “…se i tuoi pensieri sono gli stessi che ho io in questo momento…sei tutt’altro che innocente…”.

Con vigore le afferrò un braccio, facendole saltare in un solo colpo tutti i bottoni che chiudevano il suo vestito.

Bulma era già sul punto di protestare. Quando lui agiva così impetuosamente, lei si sentiva inerme ed indifesa, per quanto, nel rifletterci poi a freddo, si accorgesse di come quel modo di fare così virile le piacesse.

“Ma cosa…” restò sconcertata fissando il suo corpo scoperto.

“Non ti lagnare…” l’avvertì lui “…non puoi fare ad un uomo quello che hai fatto e pretendere che se ne stia con le mani in mano”.

Quanto era sorprendente quel saiyan…così freddo quanto poi capace di tirare fuori istintività di così sublime livello…

Senza neanche accorgersene, sapeva essere l’amante ideale…maschio in ogni particella della sua essenza…

Se la strinse contro di sé con possesso.

Lei non si divincolò, ma tuttavia si irrigidì, ancora poco conscia di cosa l’uomo aveva intenzione di farle.

“Cosa c’è…?” chiese in un roco sussurro lui, mentre la faceva distendere sul pavimento “…pensi che voglia farti del male, forse?”.

Lei guardò nei suoi occhi di super-saiyan, così cerulei da sembrare inverosimili:

“Non lo so…” pronunziò, avvertendo stentatamente la sua stessa voce.

“Non mi interessa averti con la violenza…” le disse fissandola a sua volta “…solo un pazzo rinuncerebbe alla spontaneità delle tue mani e della tua bocca…”.

“Allora…” fece lei mentre declinava il collo ai suoi baci “…quella volta eri pazzo…”.

Lui, già annebbiato totalmente dalla passione:

“Tu mi hai fatto impazzire…” alla fine ammise ciò che la lucidità non gli avrebbe mai concesso di dire.

E dopo tanto tempo tornò a ripercorrere i dolci pendii del suo corpo, le distese calde e vellutate, le selve ombrose stillanti di rugiada.

I suoi fianchi si erano di nuovo assottigliati, anche i seni erano ritornati come li ricordava lui, incoronati da due piccole perline delicate.

In quel trainer in cui da anni gettava il sudore, alla fine, proprio sul freddo impiantito gettò il suo seme.

Quando Bulma riaprì gli occhi frementi, si accorse che i capelli di lui erano tornati neri come le ali di un corvo e gli occhi ardevano come brace.

Di tutte le qualità che un saiyan potesse aver acquistato con la trasformazione, mai lei avrebbe pensato che potesse aver raggiunto altezze impareggiabili perfino nell’atto dell’amore.

Forse semplicemente era stata la forza della disperazione a rendere quel momento indimenticabile, la disperazione da parte sua di sapere che quella poteva essere l’ultima volta, la disperazione da parte di lui di averne fatto per troppo tempo a meno.

Vegeta le si stese accanto. Lei ebbe l’impressione che lui non avesse la sollecitudine di andarsene come tutte le altre volte.

Nonostante la durezza del pavimento sul quale giacevano nudi, era pronta a restarvi fino all’alba del giorno venturo. Neanche un morbido letto di piume sarebbe stato più invitante al confronto.

Era in procinto di osare appoggiare il capo sul comodo cuscino che era il suo torace, quando irruppe nel silenzio dell’abitacolo il pianto di un neonato.

Vegeta si guardò intorno senza capire da dove la fonte provenisse. Bulma invece si mosse a cercare qualcosa tra i vestiti sparsi a terra, vedendo naufragare tutte le prospettive di quella notte:

“Trunks si è svegliato…” annunciò lei, trovando la ricetrasmittente collegata alla culla del bambino.

Spense l’apparecchio e, con sommo sforzo, prese a rivestirsi davanti ai suoi occhi. Vegeta la imitò di lì a poco, trovando imbarazzante lo stare nudi su di uno spoglio pavimento.

Si era già alzato in piedi, abbottonandosi i pantaloni, quando prese parola senza guardarla negli occhi:

“Tornerò quando arriveranno i cyborg, nel giorno preciso in cui il giovane del futuro ci ha anticipato l’arrivo. Nel frattempo mi allenerò a modo mio altrove…questo pianeta non mi offre le condizioni che cerco e questo spazio ristretto non mi permette più di muovermi come vorrei…”.

Bulma non capiva perché lui avesse il bisogno di giustificare la sua partenza, non essendosi mai sentito nel dovere di spiegare le proprie intenzioni a lei.

“Sei libera…” le disse il saiyan dandole definitivamente le spalle.

“Non…non capisco…”.

“Sei libera da me…puoi cercarti qualcun altro…un altro padre per Trunks…se credi che ne abbia bisogno…un altro… cui concedere il tuo letto…”.

Bulma non sapeva se risentirsi di quella proposta che rasentava l’offesa o cogliere l’aspetto più generoso di esso:

“Mi hai da sempre detto che ero libera di fare quello che volevo…che io e te eravamo indipendenti l’uno dall’altra…perché mi dici adesso questo…?”.

Lui stava per dirle che, il giorno in cui l’aveva posseduta la prima volta, aveva promesso sé stesso che l’avrebbe uccisa senza pietà se lei fosse appartenuta a qualcun altro, invece:

“Non è cambiato esattamente niente da quello che pensavo prima di noi…ti ho detto questo perché tu non ti convinca che quest’ora che abbiamo passato insieme possa avere qualche significato per me…” fu l’ultima efferatezza che le rivolse.

“Non c’è alcun problema…” ribatté lei a testa alta, voltando i tacchi ed uscendo sotto la pioggia scrosciante.

 

* * *

 

L’alba sopraggiunse, ma il sole quel giorno non spuntò mai, coperto da una spessa coltre di nubi.

Vegeta percorse il giardino, lasciando sul terreno melmoso l’impronte della sua partenza. Nel silenzio di quel mattino, a cui la città non aveva ancora aperto i suoi occhi, la cadenza dei suoi passi si attutì nelle pozzanghere disseminate sul suo cammino.

Si guardò intorno: accanto alla capsula pronta per il decollo c’era solo uno scienziato dagli occhi assonnati ed una sigaretta già accesa tra le labbra.

Lei non c’era dunque…non era venuta a supplicarlo di non partire…non era venuta per mostrargli le sue lacrime…invero neanche il giorno prima aveva tentato in qualche modo di opporsi alla sua decisione.

Lo avrebbe fatto la Bulma che lui aveva conosciuto solo pochi anni prima, non la donna che adesso era diventata, che lui, senza neanche volere, aveva fatto crescere regalandole sé stesso, un figlio e tanta disperazione.

Lei, intanto, da dietro i vetri della sua stanza, lo vide salire sulla navicella. Teneva tra la braccia suo figlio:

“Piccolo mio…tuo padre se ne sta per andare…

Ho promesso a me stessa che non l’avrei fermato…che non sarei andata a salutarlo facendogli vedere la mia afflizione…

Che non avrei pianto…perché anch’io ho un orgoglio, troppo spesso ferito, da difendere quanto il suo…e da lui ho imparato ad avere il controllo delle mie azioni…

Eppure ho un nodo che mi attanaglia la gola…

Sento i miei occhi già infuocati…

Ogni forza di volontà già vacilla in questa valle di lacrime che mi inonda…

Piango…ma non vorrei perché so di essere forte…non dovrei perché lui non lo merita…

Ti prego…piccolo mio…piangi…perché le mie lacrime possano confondersi alle tue…”.

 

Fine

 

Lilly81

 

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