“In
attesa dei cyborg: nuova versione”
parte II
Rannicchiò
le gambe al petto, tremando e battendo i denti, preda del terrore e del gelo
che sopravvenne. Il suo petto si sollevava al ritmo di singulti indeboliti,
accompagnati dal tacito fluire di grosse stille di disperazione.
Un
tizzone ardente le era penetrato nella tenera carne della sua femminilità,
trapassandole ogni punto del corpo. Nulla in confronto al fuoco che distruggeva
adesso la sua esistenza, dolosamente appiccato da un saiyan frustrato dalla propria.
Con
orrore scorse una macchia di sangue lì dove era prima distesa.
“Dio
mio…” la mano con cui si toccò tra le gambe si imbrattò dello stesso colore
carminio.
“Che
cosa mi hai fatto, Vegeta? Cosa mi hai fatto…”.
Incominciò
a piangere straziatamente, piegata in due su quel letto d’amore e di violenza,
schiacciata dall’insostenibilità di una insormontabile desolazione.
Era la
fine di tutto…credette che anche di morte sarebbe stato quel letto tanto era
soffocante il pianto.
Quelle
spinte animalesche, quegli occhi compiaciuti del dolore arrecato, una mano
passata sulla bocca satolla…era di quanto più disgustoso e riprovevole Vegeta
le potesse dare…e di quel torbido atto lei si sentiva sudicia fuori e dentro.
Non
riusciva a scacciare la sequenza di quelle immagini marchiate sulla pelle e
nella mente, il suggello del sangue che ne era sgorgato.
“Speri
di uscire vive da sotto le sue
lenzuola?! Vegeta è un animale…un selvaggio…” le parole di Iamko a ricordarle la terribile natura ferina di
quell’essere immondo, conosciuto adesso nell’apoteosi della sua perversità.
Perché
l’avesse fatto era una domanda che ora non trovava spazio nella sua
prostrazione.
Quelle
spinte…quegli occhi…quella mano…
No! Non
ne poteva più!
Si
sollevò piano, col timore di rompersi ulteriormente. Si trascinò fin nel bagno,
accucciandosi sotto il getto freddo della doccia, per purificarsi di quel
sudiciume astratto di cui le pareva di sentire perfino l’odore.
Con chi
condividere ora quel dolore troppo grande a sostenersi da solo?
“Te lo avevo
detto…” le avrebbe detto Iamko.
“Come
hai potuto innamorarti di in individuo simile…?” sarebbe stato l’eco del Genio.
“Perdonalo…ha
ancora bisogno di tempo…” le parole misericordiose di Goku.
Uscì
dalla cabina avvolgendosi in un accappatoio. Si toccò piano nella parte intima
notando che non fuoriusciva altro sangue. Nondimeno, sapeva che una visita in
ospedale andava rigorosamente eseguita per accertarsi che nulla le avesse
lacerato, ma per ora anche raggiungere il letto appariva una fatica estenuante.
Vi si
adagiò piano, stringendosi al cuscino, con gli occhi troppo gonfi per lacrimare
ancora.
Solo nel
sonno poteva trovare pace…fosse la morte sarebbe stata anche meglio.
Un
mattino uggioso la sorprese al risveglio, così confuso e sconnesso da darle per
un istante l’illusione che fosse stato tutto un brutto sogno. Ma quella macchia
di sangue era ancora lì…uno schizzo dai contorni bizzarri e dal colore macabro
a risaltare sul bianco del cotone.
Pioveva
su di un giardino di cui non si riconosceva più il colore dei fiori e la
compostezza delle siepi. Era ovunque melma e fogliame spezzato.
Indossò
la vestaglia, non si guardò nello specchio, per la prima volta uscì da quella
stanza senza accertarsi del riflesso della sua immagine.
Voleva
appurare il ritorno dei suoi genitori, prima di decidersi ad andare in
ospedale.
Camminò
con lentezza lungo il corridoio che conduceva al soggiorno.
Aveva
perso la sua elasticità, il suo modo di muoversi flessuoso e nervoso. Ora aveva
la stessa andatura di un convalescente.
Si fermò
nei pressi della cucina: tutto era nell’ordine in cui lo aveva lasciato la sera
prima.
Era
molto presto, i signori Brief non avevano fatto ritorno, forse neanche Vegeta
si era ancora destato, sempre che fosse riuscito a chiudere occhio.
Le
girava il capo, il cuore aveva preso d’improvviso ad aumentare il suo ritmo, la
salivazione era aumentata d’intensità. Era sul punto di vomitare…
Corse
verso il cestino dei rifiuti, rigurgitando solo inconsistenza. Vacillante,
raggiunse il lavello, dove con acqua gelida sciacquò la bocca.
Si andò
a gettare infine su una sedia, poggiando stancamente il capo sul legno duro del
tavolo.
Lo alzò
solo quando riconobbe la cadenza inconfondibile dei suoi passi: Vegeta…
Per un
istante il saiyan pensò che lei avesse passato lì tutta la notte.
Con quel
pallore esangue, i capelli scarmigliati ed una vestaglia indosso sembrava
cagionevole seriamente di salute.
Lei
abbassò con inquietudine lo sguardo, non sentendosi pronta a vederlo,
percependo un brivido lungo la schiena. Provava paura e vergogna ancora,
avrebbe solo voluto correre via, lontana da lui, dal suo stupratore.
Come
doveva comportarsi? Far finta che non fosse accaduto nulla?
E se
avesse provato a farle ancora del male?
Vegeta
la ignorò invece, interrogò a lungo il frigorifero, preparandosi poi un enorme
ciotola di latte in cui mise a mollo un’abbondante porzione di cereali. Si
sedette, consumando la sua prima, leggera colazione.
Bulma
non lo guardò. Non si accorse delle profonde occhiaie che solcavano il volto
granitico di lui, segno di una notte insonne e turbolenta, dove all’ebbrezza
della vittoria era seguita la lucidità dell’atto compiuto.
Un senso
di colpevolezza forse…era la prima volta che si affacciava nel suo animo…era
quello a turbarlo, oltre all’insoddisfazione che un amplesso violento e
prepotente non gli fosse piaciuto come aveva dato a credere.
Tuttavia,
ancora troppo egoista per rendersi conto del dolore insondabile che aveva
scavato in lei…così piena di vita solo il giorno prima e adesso
distrutta…vittima immolata di un empio sacrificio…l’aveva uccisa e sfregiata
comunque…
Consumò
in fretta la colazione, percependo lui stesso quanto ingombrante fosse divenuta
la sua presenza.
Si
allontanò dal tavolo, più in fretta che poté, quando:
“Perché
lo hai fatto?”.
Appena
percettibile la domanda eppure abbastanza intrepida da farlo voltare a guardare
la fonte di quell’interlocuzione.
Lei
ancora con gli occhi calati…un cipiglio appena distinguibile di rancore…
“Che
bisogno avevi di prenderti in quel modo violento quello che io ti avevo già
dato spontaneamente?”.
Si portò
una mano alla fronte pallida, come a sostenerla dal peso eccessivo di quei
tormentati pensieri:
“Neanche
la prima volta…quando entrasti in camera mia quella sera…pensai che tu fossi
veramente in grado di farmi quello che mi hai fatto ieri…”.
Più la
fissava più incominciava ad accorgersi di averla distrutta…lei che sembrava
così infrangibile…aveva reso quel viso adorabile una maschera cerea…perfino la
modulazione tanto armoniosa della sua voce aveva ceduto il posto ad un tono
inflessibile e scostante.
Aveva
sbagliato, non era questo quello che voleva veramente. Aveva scelto la via più
meschina per allontanarsi da lei, ma, schiacciato da uno sconosciuto rimorso,
aveva toccato il fondo.
Ora si
sentiva perfino peggio…
“Ho
fatto tanto per te ed in cambio ho ricevuto solo disprezzo…lo avessi saputo
prima avrei ragionato di più sulle mie scelte…”.
Ancora
silenzio…
“Non mi
interessa neanche sapere perché lo hai fatto…un oltraggio simile può averlo
solo predeterminato un vile…”.
Dove
voleva arrivare? Sembrava ancora lontana da un punto di sfogo effettivo…quelle
parole avevano solo il suono di riflessioni amare…
“Ti
illudi se pensi che io ti chieda scusa…” parlò finalmente lui “…questo può
essere il prezzo di stare con un saiyan…”.
“Scuse?”
sogghignò lei “…francamente non so che farmene”.
Spostò
lo sguardo in direzione dell’ampia vetrata, osservando il grigiore del cielo:
“Voglio
solo una cosa Vegeta…” lo guardò finalmente “…c’è una navicella, a cui mio
padre ha lavorato per parecchi mesi, è ormai pronta…” il cielo rintronò ancora
“…prendila e vattene via…”.
Lo
spiazzò la freddezza di quella decisione, per quanto neanche il riflesso di un
muscolo lo scompose.
“Te ne
devi andare, hai capito?!” si alzò dalla sedia, sbattendo un pugno sul tavolo.
Eccola…la
rabbia vera era sopraggiunta…
Rovesciò
tutto quanto fosse sul tavolo:
“Sei
solamente un vigliacco…un vile!” gridò e gridò fuori di ogni controllo.
Non le
bastò, aveva trattenuto tutto dentro troppo a lungo. Si avvicinò a lui,
colpendolo con tutta la forza pur sapendo che era invano:
“Vattene
via! Non voglio più vederti! Via da questa casa, dai miei occhi!” scivolò a
terra, ai suoi piedi, piangendo angosciosamente.
“Via…via…!”
scuoteva il capo.
Vegeta
si allontanò alla fine.
Solo
dopo alcuni minuti sentì un rombo di motori che annunciava la sua dipartita.
“Aaaahhh!”
fu l’ultimo urlo straziante, piegata in due sul freddo impiantito.
Era la
scelta migliore…sì…doveva esserlo…per sé stessa e per la creatura che, sapeva,
le stava crescendo dentro.
* * *
Al
quinto mese di gravidanza, una mattina qualunque, in un bar in cui era entrata
solo per assecondare l’istinto famelico che le ruggiva dentro per buona parte
della giornata, non si sarebbe mai aspettata di rincontrare dopo tanto tempo,
proprio lui, Iamko (Leggi: “Bulma e Iamko: fine di una storia”).
Pensava
che non sarebbe mai stata pronta abbastanza per rivederlo ed invece addirittura
lo aveva invitato a sedersi al suo tavolino, dove, scambiata qualche
chiacchiera, aveva schivato un tentativo di ravvicinamento da parte di lui
mostrandogli prontamente, non senza un minimo di imbarazzo, il segno evidente
della sua gestazione.
Non le
aveva neanche chiesto chi fosse il padre, con uno sguardo affranto, il giovane
aveva intuito subito che si trattava di Vegeta. Non altrettanto perspicace era
stato nell’accorgersi che lei mentiva quando gli aveva fatto credere che Vegeta
fosse a casa ad allenarsi in attesa dello scontro con i cyborg.
Non era
pronta a parlare con nessuno della sua storia con il saiyan né della fine
umiliante del suo idillio. Neanche Iamko, che pur così bene la conosceva,
avrebbe mai potuto capire del perché si fosse innamorata di quell’essere rude,
e raccontare del motivo per cui non stavano più insieme, ora che aspettava un
bambino, era riconoscere giustezza ai suoi avvertimenti.
Era
stata però sincera nel manifestare la contentezza di quel concepimento e
l’orgoglio che ad essere il padre fosse, nonostante tutto, proprio il principe
dei saiyan.
Nonostante il rancore che ancora sentisse per lui, non era dalla
violenza che quell’innocente creatura era stata plasmata.
Frutto di un amore…
no…parola troppo astrusa per un saiyan…
Frutto allora di quel compromesso fra orgoglio e desiderio a cui
lui ogni sera irrimediabilmente scendeva…
Frutto forse solo di illusioni…le sue…
Iamko, sconvolto da quella sorpresa, non si era neanche accorto
di quella patina di opacità che sfumava impercettibilmente il suo fresco
sorriso ed il limpido dei suoi occhi.
Aveva saputo fingere bene, semplicemente.
Fingeva da mesi che stesse bene, che potesse vivere da sola
anche senza di lui, che per crescere un figlio non avesse bisogno di una
presenza distaccata ed ugualmente inesistente.
A volte se ne convinceva al punto tale da non chiedersi più cosa
lui stesse facendo ed in quale punto dello spazio avesse arrestato il suo
cammino.
Bandito dalla sua casa e oramai dal suo cuore…tanto da sperare
che quella creatura, maschio o femmina che fosse, non avesse il suo sguardo ed
i suoi occhi.
Occhi dannati…di demone e di ammaliatore…per quanto tempo aveva
amato perdersi in quel buio…così tanto da restarne alla fine inghiottita.
A volte nel sonno l’avevano perseguitata, lasciandola trasalire
in un bagno di sudore sia che li sognasse annebbiati dalla perversione di
quella notte di violenza, sia dalla passione delle volte precedenti.
Quanto aveva sofferto…solo toccandosi il ventre sentiva che
avrebbe tratto da lì la forza per andare avanti.
Strano per la ragazzina romantica e sognatrice che un tempo era
stata…ma non aveva bisogno di Vegeta, non aveva bisogno più di alcun uomo.
Avrebbe vissuto solo per suo figlio, sarebbe stato lui la sua unica felicità.
Non avesse conosciuto Gohan e la sua indole serafica, avrebbe
temuto che il figlio di un saiyan non si sarebbe sottratto alla malvagità
innata della propria stirpe. Ma il sangue terrestre avrebbe temperato quella
natura estrema e l’aria salubre della Terra estirpato definitivamente la
malignità di quella radice.
Sarebbe stato un figlio unico e speciale.
Con una tal speranza, non erano rari perfino i momenti di buon
umore, in cui, senza alcuna simulazione, sembrava aver superato alla grande
ogni problema.
Anche quella mattina si sentiva bene, forse per l’incontro con
un caro vecchio amico, forse per le spese abbondanti che aveva fatto in vista
del corredino per il suo bambino.
Si era accontenta nel frattempo di scegliere esclusivamente
colori neutri, giacché la coda impediva di conoscerne ancora il sesso.
Rientrò in casa, canticchiando uno sconosciuto quanto allegro
motivetto.
La sua vita sembrava normale come un tempo, spensierata ed
amena.
Sul tavolo del soggiorno poggiò il peso dei suoi acquisti,
riguardandoli ad uno ad uno e commovendosi alla tenerezza di quei ricami
delicati di orsetti, conigli e fiorellini.
Con delicatezza li ripose nelle loro singole scatole,
chiedendosi intanto che fine avesse fatto sua madre.
“Sono andata a fare la spesa…” annunciava un biglietto incollato al frigo.
Ma solo il giorno prima avevano fatto abbondanti rifornimenti,
sufficienti a sfamarli un’intera settimana. Non attendevano neanche degli
ospiti e da quando non c’era più Vegeta le riserve alimentari finivano perfino
per scadere intatte.
Si sedette sul divano frattanto, accorgendosi come ogni sforzo
incominciasse ad essere fonte di dolori alle schiena e alle cosce.
Stava quasi per addormentarsi, cullata dall’insolito silenzio di
quella mattina e dal ticchettio monotono di un orologio, quando un rumore di
passi alle sue spalle le fece sbarrare gli occhi.
No…non era possibile…per quanto tempo potesse passare non
avrebbe mai dimenticato quell’inconfondibile cadenza.
Si voltò verso la direzione del movimento…ma…non era
lui…non Vegeta…
Quale divinità le si parava innanzi adesso nel suo fulgore
sublime…
non l’aveva invocata ma ugualmente benevola era discesa da un
qualche tempio celeste…
Foggiata nell’oro puro la sua chioma…di bronzo iridescente la
sua aura…un azzurro cristallino a cangiargli uno sguardo insostenibile…
Portamento fiero di un dio di guerra…non fosse stata per
quell’armatura, non l’avrebbe mai riconosciuto.
“Tu…”.
“Lieto di accorgermi del tuo stupore…” parlò il super-saiyan
spezzando l’immagine onirica che aveva suscitato.
“Vegeta… che… cosa ci fai qui?” spiccicò sconvolta.
“Ho avuto dei problemi al motore…tuo padre sta riparando la
navicella…”.
E così, alla fine, aveva saputo anche lui sprigionare la luce
impareggiabile del super-saiyan.
Quali universi aveva dovuto esplorare…quanti popoli
annientare…di quale rabbia esplodere per trascendere quel limite
irraggiungibile…?
Era bastato alla fine trovarsi su un comune sasso, raggiungere
la saturità della frustrazione di cui era pieno nell’ennesima constatazione
della sua inammissibile inferiorità, per avvampare di un oro raro e pregiato.
In quell’istante, mentre una pioggia di meteore si dissolveva a contatto col
suo fuoco, aveva addirittura dimenticato chi fosse.
Nonostante l’impurità del cuore, faticosamente aveva emulato le
orme di un guerriero di volgare livello.
Malvagità allo stato puro…l’unica fonte di purezza nel luridume
del suo animo…
…e se invece un piccolo
pertugio si fosse effettivamente aperto a rischiarare debolmente le
tenebre del suo cuore? Se la distrazione per una terrestre, con tutte le
conseguenze che aveva portato, fosse stato il logorio che aveva consunto quella
pietra?
Non solo dalla rabbia, ma anche da quel barlume di sentimenti
puri, che invano aveva tentato di occludere, poteva essersi sprigionata forse
la fiamma d’oro del super-saiyan.
“Allora spero che tu sia già pronto per partire. Mi sincererò
personalmente che mio padre sia molto veloce nella riparazione…” si mosse nella
direzione dei laboratori.
“In verità ho tutta l’intenzione invece di fermarmi…” la
richiamò.
Per un istante solo durò la paralisi di lei:
“Di certo… non posso impedirti di restare sulla Terra, ma non in
questa casa. Non ti voglio qui…” fu lapidaria.
“Che peccato…” sorrise sardonico “…tua madre invece ha già
pensato bene di invitarmi a restare per tutto il tempo che voglio…”.
“No!” sbottò indispettita “…verme che non sei altro…io non ho
dimenticato quello che hai osato farmi…voglio che tu te ne vada adesso
stesso!”.
“Ti ripeto che, volente o nolente, ho già deciso che resterò
qui. Dopo mesi di vita sacrificata, intendo godermi gli agi di questa casa
ancora per un po’…”.
“Ti sto cacciando Vegeta…dov’è finito il tuo orgoglio? Non dirmi
che ora che ti sei ossigenato i capelli non hai più un po’ di amor tuo?”
atteggiò la bocca ad un ghigno molto simile a quello suo “…se sei ancora così
orgoglioso…non dovresti intestardirti a voler restare in un posto in cui già
una volta fosti cacciato via...”.
“Non ho perso la mia dignità” incrociò le braccia “ma devo
rammentarti che io non accetto ordini. Se resto o non resto qui, non è
certamente perché me lo hai imposto tu…”.
“E allora perché?!” era sul punto di imbestialirsi seriamente.
Sapeva che ormai non c’era più molto da fare, conoscendo troppo
bene la sua ostinazione.
Perché era tornato proprio adesso che era riuscita a trovare un
nuovo equilibrio mentale ed una rinnovata serenità?
Il petto aveva preso a sollevarsi ansante. Il ventre gravido
attirò tutto ad un tratto l’attenzione di lui:
“Ti trovo ingrassata dall’ultima volta…”.
Fu allora che lei avvampò definitivamente in un accesso
incontrollato:
“Imbecille che non sei altro!” l’apostrofò “…così ottuso da non
capire neanche che sono incinta!”.
Tacque di colpo. Tacquero entrambi, l’una spiazzata dal modo
ardito della rivelazione, l’altro conservando più contegno.
Arduo dire cosa passasse nella testa del saiyan in quel momento.
Tuttavia, un balenio negli occhi tradì un filo di sorpresa.
Bulma cercò di recuperare compostezza:
“Comunque…” riprese con tono ostile “il bambino non è tuo”
incominciò a mentire con fredda lucidità “…sai…non mi sono certa disperata per
la tua assenza…non avevo motivo alcuno per rimpiangerti…ho avuto altri amanti
nel mio letto…”.
Decisa ed astiosa era la sua voce:
“E’ già da un po’ di tempo che…” gli voltò le spalle, prendendo
con noncuranza a sistemare le scatole sul tavolo “…che ho ripreso a frequentare
Iamko…te lo ricordi?” gli chiese maliziosa “ebbene… il bambino è suo…del
resto…dopo tutto il tempo che siamo stati assieme…era giusto che lo ripagassi
con qualcosa…”.
Vegeta continuò a fissare le spalle di lei, che con disinteresse
riapriva e richiudeva gli acquisti del giorno.
Le sue braccia nervose…i dolci glutei…le gambe flessuose…la
gravidanza non aveva alterato quei particolari che un tempo l’avevano avvinto.
Allora giurò che l’avrebbe uccisa senza pietà se qualcun altro,
prima o dopo di lui, avesse assaporato fino in fondo le piacenti meraviglie del
suo corpo, godendo dei suoi sospiri e delle sue languide carezze, come a lui
era stato concesso.
Bulma, dandogli ancora le spalle, non si accorse
dell’espressione dura del suo viso, né di un impercettibile spostamento d’aria.
Sentì solo d’un tratto due braccia nerborute stringerla da
dietro con possesso e fermarsi sul suo grembo tondo.
Restò intontita prima di realizzare cosa stesse accadendo.
Stava per ucciderla… aveva osato sfidarlo troppo…
Eppure le mani di lui si erano solo posate lievemente sul suo
stomaco e non parevano intenzionate ad esercitare alcuna pressione mortale.
Senza osare nessuna opposizione, inevitabilmente si scontrò col
calore del suo corpo scolpito, con quel profumo maschio che emanavano i suoi
pori, fino ad inibirle qualsiasi reazione.
Se quello era il tentativo di una minaccia, allora tra quelle
braccia stesse sarebbe voluta morire.
Aveva già chiuso gli occhi alla sua disfatta, quando si sentì
sussurrare nell’orecchio, a denti stretti:
“Bugiarda…”.
Vegeta la liberò dalla presa, scostandosi da lei, che si riprese
barcollando quasi:
“Che…che cosa vuoi dire?” balbettò.
“Che se a Iamko è spuntata la coda…allora quello è
effettivamente suo figlio”.
Doveva aver percepito l’aura del bambino…di certo non c’era
altra spiegazione…pensò lei a bocca aperta.
Abbassò lo sguardo poi:
“Sì…è tuo figlio, già sapevo di tenerlo in grembo ancor prima di
mandarti via. Se quella notte non mi avessi trattata in quel modo l’avresti
saputo…invece per colpa tua, fui quasi sul punto di perderlo…” un velo penoso
sugli occhi ad indicare quanto ancora quel ricordo le dolesse.
“Ma non preoccuparti…” inghiottì le lacrime “né io ti sarò più
d’impiccio né questa creatura, maschio o femmina che sia…”.
“E’ un maschio” annunciò subito.
“Davvero?” sentì il grembo sussultare.
“Certo!” confermò con sdegno “come hai anche potuto pensare che
il principe dei saiyan generasse per primogenito un’inutile femmina?”.
“Ad ogni modo…” si risentì “…mio figlio non sarà come te…sarà un
bambino buono e giusto….proprio come Gohan…lui ha anche il mio sangue…” ribatté
prontamente, precisando i diritti che aveva su di lui “…crescerà qui con me,
sulla Terra, non mi importa che abbia un padre…anzi non voglio neanche che tu
lo veda…da te avrebbe solo pessimi esempi…”.
“Non ti scaldare…” la frenò Vegeta “…per quel che mi riguarda,
puoi farci quello che vuoi, non so che farmene di un moccioso…”.
Si avviò verso la porta, tornando a voltarsi prima di congedarsi
definitivamente:
“Fossi in te poi…” le disse ancora “…non guarderei così avanti
nel futuro…tuo figlio potrebbe non aver ancora imparato a discernere la luce
dal buio quando giungeranno i cyborg…” sogghignò spietato, contento di averle
messo timore.
“Ci sarà Goku a sconfiggerli!”
“No! Io li ucciderò!” puntualizzò infuriato, andandosene poi
via.
E così il principe dei saiyan era ritornato…
una vecchia vibrazione a palpitare in quelle stanze…
una nuova ventata a rigenerarne l’aria stantia…
* * *
Eppure non fu tutto come un tempo, non come lo ricordava lui.
Sì…la stessa stanza…lo stesso cibo…la medesima camera
gravitazionale…perfino gli stessi ritmi quotidiani…ma qualcosa non era più come
allora…
Un profumo in meno ad impregnare l’aria intorno a lui…
Una luce in meno a rischiarare le ultime ore della giornata…
Perfino il cielo di quel pianeta gli pareva più grigio senza il
confronto con l’azzurro dei suoi occhi e dei suoi capelli…
Non sapeva bene se tutto questo gli mancasse o dovesse essere
lieto di non averla tra i piedi come un tempo.
Per quanto preferisse ammettere la seconda delle due
prospettive, in cuor suo sapeva che quell’insopportabile terrestre aveva saputo
rendergli lo sgradito soggiorno sulla Terra più piacevole di quanto avesse
previsto.
Bulma si faceva vedere molto poco, semplicemente evitava di
incontrarlo.
Non trovava più lei a preparargli da mangiare, ma quella
detestabile madre dai modi gentili quanto fastidiosamente insistenti.
Aveva anche smesso di lavorare, pareva che trascorresse gran
parte delle sue giornate distesa oziosamente sul letto o temporaneamente sul
divano, da dove gli rivolgeva solo una briciola dell’attenzione riservatagli un
tempo.
Niente più sorrisi, dolci insistenze, neanche furibondi litigi.
Solo poche domande, qualche risposta monosillabata ed un mare di
freddezza.
Era evidente che lei non gli avesse ancora perdonato la violenza
di quella notte, che intendesse farglielo pesare ancora per molto.
“Sciocca…se pensa che io possa chiederle scusa…” aveva
riflettuto tra sé parecchie volte “sto meglio così…non ho bisogno di
quell’oca…”.
Era una sera come tante quando la vide entrare dalla porta della
cucina, mentre lui era sul punto di ultimare la sua sostanziosa cena.
Se lei avesse saputo cosa lui stava per riservarle, si sarebbe
indiscutibilmente tenuta alla larga dalla sua zona, o quanto meno avrebbe adoperato
più circospezione nel varcare i suoi confini.
Ugualmente, anche lui, se qualcuno gli avesse preconizzato il
gesto che irrazionalmente stava per compiere, avrebbe optato di prolungare i
suoi allenamenti almeno fino a quando
non avesse visto la luce della stanza di lei spegnersi definitivamente.
“Ah…sei ancora qui…” notò con noncuranza la ragazza, portandosi
verso i fornelli a preparare una tisana che la conciliasse al sonno.
Il suo ventre si era ingrossato, i seni appesantiti, settimana
dopo settimana aveva visto il suo corpo mutare, anche Vegeta sapeva che ormai
non mancava molto alla nascita di Trunks.
Sarebbe stato quello il nome del bambino. Bulma lo aveva scelto
senza neanche consultare lui, che, ad ogni modo, non aveva risentito di quella
mancanza.
Ignorò del tutto la sua presenza mentre poneva la teiera sul gas
ed attendeva che l’acqua bollisse.
Al termine, versò il liquido caldo in una tazza che poggiò sul
tavolo, nell’attesa che la temperatura si abbassasse a renderlo bevibile.
Adagiò frattanto la sua mole appesantita su una sedia, proprio
di fronte a lui, gettando un’occhiata ad una rivista che lì era stata lasciata.
All’uomo sembrò che lei tollerasse perfino bene quel silenzio di cui lui
incominciava a sentirne il fastidio. Possibile che gli fosse diventato così
indifferente?
Bulma portò la tazza alla bocca:
“Ahi!” gridò d’un tratto scottandosi la lingua al punto tale da
far trasalire perfino il saiyan che prontamente non mancò di sogghignare:
“Se basta così poco a darti dolore…mi chiedo come farai ad
affrontare un parto…” le disse ricevendo un’occhiata truce.
“Sta zitto! Meriteresti tu di soffrire al mio posto in quel
momento…trovo ingiusto che debba soffrire solo io per una colpa che
principalmente è la tua!”.
“Colpa? Quale colpa? Di averi messa incinta, forse? Certe cose
si fanno in due…dovresti ricordarlo bene…” disse con molta semplicità.
Bulma si era alzata, affrettandosi a porre dell’acqua fredda
sulla gengiva.
Nervosa com’era, non sapeva neanche più cosa blaterava.
La data del parto si apprestava impellente e con essa cresceva
il timore dell’evento, di non sapere se fosse riuscita fino in fondo a
sostenerlo.
Non era stato facile portare in grembo fino a quel momento il
figlio di un saiyan, soprattutto da quando quella piccola scimmietta aveva
preso a scalciare contro le sue viscere col vigore tipico della sua razza.
Le faceva così male in quei momenti che, nel delirio del dolore,
vaneggiava addirittura che stesse nutrendo dentro un essere dall’entità
demoniaca.
Il seme di Vegeta…
Non era esagerato pensare che avesse potuto piantare una radice
maligna quanto la sua essenza…
“Del resto…” continuò Vegeta come se avesse letto nel pensiero i
timori di lei “ …è anche troppo pretendere che il corpo fragile di una
terrestre porti un fardello simile…”.
“Cosa vuoi dire…?” si voltò bruscamente la giovane.
“Che il tuo corpo non è forte abbastanza per portare in grembo
un cucciolo saiyan…le femmine di Vegeta-sei, al mio vago ricordo, avevano
corporatura più robusta…”.
“Questo non è un problema…” replicò Bulma, convincendosi che lui
le stesse di proposito mettendo paura “…non sono la prima a partorire il figlio
di un saiyan…prima di me l’ha fatto già Chichi…”.
Ma Chichi aveva Goku…lei nessuno…solo una madre più interessata
al corredino che alla sua salute…
Mai una mano tenera ad accarezzarle il ventre gravido…
Una presenza a darle conforto quando nel silenzio angoscioso
della notte la sorprendevano gli spasmi inattesi della gravidanza…
“Inoltre…” soggiunse lei con acredine “bada agli affari tuoi, ai
tuoi allenamenti, io e te non stiamo più insieme…neanche questo figlio ci
lega…”.
Quante volte aveva detestato sentirsi imporre quel
legame…altrettanto ora lo infastidiva quel diniego…
“Lo hai già sottolineato parecchie volte…” replicò avvicinandosi
a lei “così tante che è divenuto un ritornello patetico…”.
Un cipiglio furioso ad incresparle sempre più la candida fronte…
Quel ghigno che lui teneva sulla bocca sembrava volersi prendere
gioco di lei, che volesse farla intenzionalmente infuriare:
“Sono sicuro…” proseguì fermandosi ad un passo da lei “che se
non avessi avuto quell’enorme ingombro davanti…mi avresti aperto le tue gambe
esattamente come ti piaceva fare in passato…”.
Lo schiaffo fu sonoro quanto doloroso.
Bulma si tirò la mano con una smorfia sofferente:
“Neanche il piacere di schiaffeggiarti posso avere!” gli urlò
stizzita “come ti permetti di rivolgerti con quel tono? Maiale!” lo assalì con
dei pugni che lui non schivò “io non ho dimenticato quello che hai osato farmi
quella notte…pensi che solo tu possiedi orgoglio?! Io ti dico che ne ho tanto
da non permetterti mai più di toccarmi!”.
Non capì subito cosa di insolente l’avesse fatta zittire.
Era qualcosa di morbido ed umido che aveva preso a conturbarsi
intorno alla sua lingua in modo impetuoso quanto paralizzante. A Bulma non
restò altro che assecondare quel bacio nonostante la punta della lingua
indolenzita dalla scottatura.
A contatto col calore del suo ampio torace, il bambino le
sussultò nel grembo.
Strano come tra le sua braccia non la cogliesse il timore che
quel colpo la potesse seriamente danneggiare.
Quel bacio poi fu sufficientemente lungo da consentirle di
incominciarsi a rendere conto di cosa vagamente stesse accadendo.
Perché la stava baciando?
Di certo per mostrarle come lei fosse debole, che l’avrebbe
potuta riavere tutte le volte che voleva, permettendosi ugualmente il lusso di
trattarla male a suo piacimento.
No…non poteva lasciarglielo fare…lei non era debole….lei aveva
il suo orgoglio ed il suo onore da difendere…non poteva permettere che lui
diroccasse tanto facilmente la muraglia che aveva eretto a sua
protezione…Vegeta non la meritava…lui l’avrebbe fatta soffrire ancora…in mille
altri modi…e lei era già stanca oramai…
Se lui era orgoglioso…lei doveva imparare ad essere implacabile…
“Non ti
permettere mai più!” si liberò con uno strattone, portandosi a distanza da lui
e fissandolo furente.
“Sei il
solito insolente! Come ti sei azzardato a baciarmi di sorpresa? Non cambierai
mai! Non c’è nulla da fare…sei uno zotico approfittatore…mai imparerai ad essere un gentiluomo…”.
“Non lo
sono mai stato…eppure ti piacevo…”.
“Dici
bene…” convenne col tono amaro “…mi piacevi…ora non più…”.
Con le
gote infiammate ed il respiro a bocconi gli disse ancora:
“Io…non
voglio che accada più…hai capito? Io ti detesto! Non voglio più essere il tuo
giocattolino! Ormai ho aperto gli occhi…per me non significhi più niente…”.
Avrebbe
voluto gridargli ancora altro contro, ma dinanzi a quel sorriso curvato a
beffa, l’unico modo per non scoppiare definitivamente era retrocedere e di
corsa.
Vegeta
la vide scappare via.
Si portò
due dita ai lati dalla bocca, asciugando lentamente l’impronta umida delle
labbra di lei.
L’impulsività
del suo gesto lo aveva lasciato alquanto sorpreso…ma…quanto aveva desiderato
farlo…
* * *
Non c’è
nulla di più terapeutico per una gravidanza quanto il beneficio di un placido
riposo e Bulma aveva tutta l’intenzione di goderselo quel pomeriggio, quando
ormai solo una decina di giorni mancava alla conclusione dei suoi conti.
La
penombra in cui era immersa la stanza procurava un fresco riparo dalla calura
dell’afoso pomeriggio.
Una
brezza sottile attraversava la tendina, agitava lievemente le lenzuola su cui
era assopita, le accarezzava le gambe nude. Una vestina larga di cotone
leggero, dalla tenue tonalità paglierina, ricadeva morbidamente sul ventre
tondo, arrivando poco sopra il ginocchio.
Solo il
ronzio di una mosca osava infastidire la quiete inviolabile di quella
pennichella pomeridiana.
Sbadigliò
e flemmaticamente aprì gli occhi alla pace che l’avvolgeva.
Quanto
si sentiva bene…
Poteva
ormai dirsi pronta ad affrontare l’incontro col suo piccolo.
Sorrise
al pensiero che tra non molto sarebbero stati rari i momenti di riposo
effettivo.
Povera
Bulma…
Non
sapeva ancora che quel dolce risveglio stava per trasformarsi in un incubo allo
stato puro.
Si
sentiva umida tra le gambe, come sudata. Portò una mano lì ad accarezzarsi:
anche questa si inumidì ed il colore era di un rosso vivo!
Saltò
inorridita giù dal letto, accorgendosi che la sua vestina era chiazzata dello
stesso sangue che imbrattava le lenzuola.
L’ennesima
macchia di sangue…
Più
sconvolgente delle altre…le conseguenza potevano essere terribili…
Cosa le
era accaduto? Lei non lo aveva sentito muoversi, invero non lo sentiva
dimenarsi dal giorno prima.
Quando
sua madre accorse alle sue grida, la trovò in piedi piangente a fissare quel
sangue dai presagi nefasti:
“Tesoro…ma
cosa…”.
“Dimmelo,
mamma, cosa mi è accaduto…” faceva tenerezza come una bambina indifesa.
“Io non
so…corriamo subito in ospedale…ora chiamerò Vegeta…così volando…” provò a dire,
ma:
“No!”
urlò risoluta “non lo voglio neanche vedere…lui non deve sapere…”.
“Ma è il
padre del tuo bambino…”.
“NO!
NO!”.
Non
voleva farsi vedere in quelle condizioni, dargli la soddisfazione di non essere
stata neanche in grado di portare in grembo il figlio di un saiyan.
Intanto
anche suo padre era accorso:
“Cara…credi
di farcela ad arrivare fuori, o chiamo un’autoambulanza?”.
Lei si
appoggiò alla sua spalla:
“Non
voglio perdere il mio bambino…” piangeva sforzandosi a camminare.
“Non
voglio..non voglio…”.
Ci
vollero entrambi i genitori a sostenerla. Lei non collaborava, atterrita solo
da quel pensiero angoscioso.
Che ne
sarebbe stato di lei se avesse perduto quel figlio? Era l’unico legame che le
restava con Vegeta, l’unica cosa che lui le avesse dato.
“Andrà
tutto bene…” la rincuorava lo scienziato.
E se
fosse morta lei? Chi si sarebbe preso cura del suo bambino?
“Mio
figlio…no…no…non è normale quello che mi è accaduto…”.
Sua
madre le faceva aria sul viso sventolando un giornale. Sembrava che ad ogni
passo fosse sul punto di svenire.
“Dai…un
altro sforzo e raggiungeremo l’air-car nel giardino…”.
Il volto
era stravolto in una maschera cerea, gli occhi quasi sbarrati verso l’alto. La
madre le asciugava il sudore:
“Non
voglio perdere il mio bambino…” lo straziante mugolio di una giovane disperata.
Quando
Vegeta venne fuori dal trainer gravitazionale, rischiarava il giardino una
falce di luna.
Notò,
non senza riconoscerne la stranezza, che in casa le luci erano già spente.
Eppure non era tardi abbastanza perché tutti si fossero ritirati già a dormire.
In
cucina non gli era stato preparato nulla da mangiare, ma prima di riempire
comunque lo stomaco, voleva accertarsi cosa fosse accaduto, avvertendo un insolito
presentimento.
Salì la
rampa di scale, percorrendo agilmente il corridoio nonostante l’oscurità. Si
fermò presso una porta, era trascorso molto tempo dacché vi si era fermato per
l’ultima volta:
“Bulma!”
chiamò, senza ottenere risposta.
Aprì
piano l’uscio e trovato l’interruttore inondò di luce la stanza.
Quella chiazza estesa di sangue risaltava sul candore delle lenzuola come un faro nella notte.
Sbarrò
gli occhi ugualmente abbagliato.
Avvicinatosi
per ispezionarla, si accorse che questa era asciutta ma indubbiamente recente.
Apparteneva
a lei, lo percepiva distintamente dall’odore.
Cosa era
accaduto? Mancavano ancora dieci giorni alla nascita…possibile che un colpo di
quel cucciolo avesse potuto sventrare realmente il suo fragile ventre, come lui
si era divertito a farle credere?
Intanto
un richiamo lo induceva ad uscire dalla finestra e a prendere il volo, il
richiamo di un saiyan che aveva il suo stesso sangue.
Difficile
reprimere quella voce, per quanto lui non l’avesse mai voluta sentire, per quanto
lui avesse voluto restare sordo al richiamo di quel figlio venuto finalmente
alla luce.
Quando
si introdusse di soppiatto dalla finestra nella stanza in cui Bulma era stata
ricoverata, trovò il piccolo a dormire in una culla.
“Lascia che ti guardi…per qualche istante solamente, prima di andarmene via ed ignorare per sempre la tua esistenza…
Non ti ho chiesto di venire al mondo, né lo ha scelto la tua madre sconsolata… frutto di una passione che ci ha avvinti e che ora definitivamente abbiamo bandito…sei questo solamente …
Non aspettarti nulla da me…impara subito che un saiyan non deve mai niente ad alcuno…
Ed io sono troppo pieno di me per offrire la mia attenzione ad un essere che qualche anno impiegherà per parlare e camminare e qualcosa in più per discernere cosa sia giusto nella vita e cosa no…
Strano, ma io, personalmente, non l’ho ancora imparato.
Essere padre è un ruolo di cui non conosco l’essenza e la funzione, se non quella di averti generato…
Un padre non l’ho mai avuto e se Freezer se ne avocava a volte l’attributo…allora…ti confesso che mille volte è preferibile esserne nati senza…
Meglio per te la mia freddezza, il mio silenzio, la mia assenza piuttosto l’imitazione di quella che la mia educazione è stata…
Sappi fin da ora che gli occhi, con cui adesso ti guardo, non
sono quelli commossi di un padre…ma di un guerriero che freddamente esamina la
sua prole e ne valuta la robustezza…
In quel corpicino indifeso nascondi energia e vigore che mi lasciano sorpreso quanto perplesso…
Forse, se riuscirò a sconfiggere i nemici di cui attendiamo
ormai l’arrivo, potrei decidere di restare qui e far di te un combattente
ardimentoso…strapparti perfino da quella madre che ti renderebbe solo un debole
sentimentale…
Poco mi importa del risentimento che le cagionerai, ne ha fin
tanto nei miei riguardi oramai che mi ha detto chiaramente che neanche tu
costituisci più un legame…”
Si mosse verso il letto in cui giaceva Bulma. Il volto era disteso e sereno, sembrava perfino che sorridesse nel sonno:
Mi spiace quasi…ma tu lo hai capito…non sarò mai il tuo
compagno…il padre di tuo figlio…per questo mi rivolgi poco la parola…ti ho
deluso…
Non vuoi che io ti sia solo amante…ma mi hai insegnato tu la
forza della passione, a farmi scoprire
che oltre al piacere del combattimento un uomo può godere anche di altro…potevi
respingermi tutte le volte che ti ho fatto visita nella tua stanza…se ero in
me…se avevo il giusto controllo delle mie azioni…me ne sarei andato…frustrato e
contrariato…ma lo avrei fatto…per il mio bene...
E adesso cosa pretendi da me?
Sono un animale solitario…non ho bisogno di legami per sentirmi
completo…non riesco ad accettare di dovermi conformare alla vita di voi
terrestri…faresti di me un debole solamente…
Se fosse solo un po’ di piacere carnale ciò che da me
reclami…credimi…resterei con te per altri mille anni…
Ma penso di non essere in grado di darti altro…”.
L’indomani,
uscendo dal trainer gravitazionale, si sarebbe imbattuto in Bulma e nella madre
dal ritorno dall’ospedale. La seconda spingeva un carrozzino, mentre l’altra la
seguiva col passo stanco, ma con un sorriso smagliante sulla bocca, che non
mutò neanche quando si accorsero della sua presenza.
“Vegeta,
vieni a vedere tuo figlio!” lo esortò la simpatica e svampita signora bionda.
Ma
l’uomo non mosse un passo.
Senza
risentirsene, Bulma lo oltrepassò alla volta della casa. Adesso aveva uno
strano ghigno sornione sulle labbra.
Sapeva
che Vegeta aveva già visto suo figlio di nascosto…peccato per lui che non si
fosse accorto di aver lasciato un’impronta di fango proprio sul pavimento…
* * *
Non ne
poteva più! Quel marmocchio era nato da due giorni ed aveva già catturato
l’attenzione di tutta la famiglia Brief.
E lui?
Si erano forse scordati della sua presenza? Neanche più quell’oca bionda
trovava a preparargli da mangiare!
Già il
giorno prima aveva dovuto rimediare da solo a qualcosina che gli tenesse a bada
lo stomaco, ma adesso, trovare il frigorifero praticamente vuoto era
inammissibile!
Ne
avrebbe detto quattro a chiunque di quella stramba famiglia gli fosse capitato
a tiro!
Su tutte
le furie, uscì dalla cucina, imbattendosi proprio in Bulma che, adagiata sul
divano del soggiorno, allattava il suo piccolo:
“Ti
sembra giusto…” esordì fermandosi davanti a lei “…che lui mangi ogni ora ed io
stia qui a morire di fame?”.
Lei
aveva una contrazione dolorosa sul viso roseo:
“Non ti
ci mettere anche tu, Vegeta, adesso…non vedi che ho già i miei problemi?”.
Lui non
capiva da dove questo provenissero:
“Non
potevo immaginare che allattare fosse così doloroso…” si lamentò stringendo i
denti “….pensavo che fosse dovuto al fatto che lui è molto vorace…ma leggendo,
ho scoperto che molte donne nei primi giorni di allattamento hanno questo
problema, almeno fino a quando il capezzolo non si è assuefatto del tutto…”.
Un lembo
della camicetta le copriva il seno, lasciando scoperta solo una mammella scura
che il piccolo succhiava con la morbidezza della sua boccuccia.
“Allora?”
incalzò il saiyan “ti ho già detto che ho fame, ho tutto il diritto di mangiare
di quanto lo abbia lui!”.
Bulma
incominciò a trovare quella situazione molto divertente:
“Non mi
dire che sei geloso del tuo stesso figlio…” lo pungolò piano.
Certo
che incominciava ad esserne geloso se tutta l’attenzione era riservata solo al
lui…era geloso perfino di come il bambino succhiasse beato e sazio al suo seno,
quel petto amabile che lei gli aveva per sempre negato.
“Va
bene…ti preparerò qualcosa da mangiare” concluse notando che il bambino aveva
terminato la poppata “…ma…me lo devi tenere un po’…per fargli fare il
ruttino…”.
Vegeta
divenne pallido come un cencio:
“Ma tua
madre dov’è?”.
La
ragazza gli spiegò che era fuori per la spesa e che avrebbe ritardato come suo
solito:
“Ti
conviene accettare se non vuoi morire di fame…” patteggiò non lasciandogli
scelta.
Quando
gli mise il figlio tra le mani le circondò il cuore un calore avvolgente, poco
importava che Vegeta fissasse quella creatura come se fosse un animaletto
sconosciuto.
“Su…andiamo
in cucina…ma mi raccomando…tienilo bene e non lo stringere troppo. Per niente
al mondo te lo avrei messo in braccio, ma tu non mi hai lasciato scelta!”.
Qualche
pomodorino ed una porzione abbondante di pasta gli avrebbe tenuto impegnato
quello stomaco rumoreggiante fino a sera.
Vegeta
fissava confuso ora il bambino ora lei che si affaccendava solerte a preparargli
da desinare, proprio come un tempo.
Il
cipiglio e l’intonazione ostile avevano ceduto il posto ad un’espressione
distesa e conciliante.
Possibile
che l’essere diventa mamma avesse assottigliato quel modo spigoloso con cui lo
aveva trattato negli ultimi mesi?
“Ti
assomiglia…” disse Bulma ad un tratto, richiamandolo all’attenzione.
“Io…io
non ci vedo niente…” replicò lui senza molta convinzione.
“Ma
guardalo….ha il tuo stesso sguardo corrucciato…spero che almeno l’intelligenza
sia la mia…” si mise a ridere di gusto.
Era
questo avere una famiglia?
Tenere
un figlio tra le braccia, guardare la propria donna preparargli il pranzo,
scherzare su qualche sciocchezza…aspettare magari che si facesse sera per
ritrovarsi in un letto…
“Ehi…questo
bambino tenta praticamente di succhiare qualsiasi cosa!” si allarmò vedendo
come Trunks aprisse la boccuccia alla ricerca di qualsiasi cosa che gli
riempisse le guance paffute.
“Non mi
dire che ha già fame…”.
“Avanti…muoviti…prenditelo…”
la sollecitò quando il bambino proruppe in pianto.
“Vieni
piccolino…” lo riprese “…vuoi fare ancora la pappa? Ma come devo fare con te!”.
In
quell’istante non pensò che sarebbe arrivata sera senza che la fame di quel
bambino venisse in qualche modo sfamata. Era disperata, sul punto addirittura
di telefonare Chichi per chiederle come lei avesse fatto con Gohan, se solo non
avesse dovuto perdersi in prolisse spiegazioni su chi fosse il padre.
Il
bambino succhiava per un’ora intera ma non ne passava un’altra che riprendeva a
reclamare altro latte. I capezzoli erano sul punto di grondare sangue se quella
boccuccia li avesse torturati ancora. Il dolore che sentiva ad ogni tirata era
come la lama di un coltello che stuzzica una ferita già slabbrata.
“Sono
esausta…non ce la faccio più…” si disperava alla presenza della madre.
“Io sono
convinta che lui mangi molto meno di quello che tu credi…per questo ha
fame…forse sono i tuoi seni a non produrre molto latte e a non saziarlo. Lascia
che vada a preparare quel latte in polvere…così sarai certa di quanto consuma e
tu non soffrirai…”.
Da
qualche ora la madre cercava di convincerla dell’ovvietà della sua
supposizione, che fosse preferibile svezzarlo fin da ora e sostituire con la
sostanziosità di una bottiglina il nutrimento povero del suo petto.
Alla
fine, Bulma, piangente, accennò affermativamente con il capo.
Avrebbe
voluto ancora allattarlo lei, ma incominciava a rendersi conto che il suo latte
non era sufficiente per un saiyan.
A questo
punto, dinanzi a quelle spine che le trafiggevano i capezzoli, era meglio
l’ausilio di un mezzo artificiale e che diventasse fin da ora definitivo ed
esclusivo, per evitare che il piccolo si separasse più faticosamente dal petto
materno.
Sua
madre non si era sbagliata: quando la creatura mandò giù l’intero contenuto
della bottiglina, giunse a testimoniare la sua salutare poppata un sazio e
soddisfacente singhiozzo.
Rimasta
da sola con lui, lo cullò per qualche minuto ed addormentato lo ripose nella
culletta.
Che
giornata! Ma alla fine il suo cucciolo riposava quietamente. Qualche ora
sarebbe riuscita a riposare anche lei prima che Trunks, come qualsiasi bambino,
si risvegliasse e ricominciasse il turno di una nuova poppata.
Aveva
preso a slacciarsi la camicetta quando Vegeta, percorrendo il corridoio alla
volta della sua stanza, fu attratto dal silenzio alfine sopraggiunto, dopo aver
sentito per interminabili ore il trambusto di pianti ed urla provenire dalla
stanza della giovane.
La porta
era stata lasciata socchiusa dalla madre distratta, che dopo aver dato quel
sapiente consiglio alla figlia, indirettamente, adesso, stava per regalarle
qualcosa di altrettanto indimenticabile.
Senza
volere, Vegeta si ritrovò a spiare quel momento di intimità.
Illuminava
la stanza una fioca luce da notte, riverberandosi sulla nudità del petto, che
fluttuava libero da ingombri, mentre lei, lasciato cadere a terra l’indumento,
si occupava di prendere delle salviettine imbevute per pulire i residui di
latte che Trunks le aveva lasciato sulle mammelle nelle ultime e disperate
poppate di prima.
“No, lascia
stare…” una voce calda proprio dietro le sue spalle.
Non
aveva il tono perentorio di un ordine, ma il medesimo effetto paralizzante.
Lei si
voltò piano.
“Non ti
pulire…” soggiunse ancora.
“Ma…io…”
non poté dire altro quando vide l’uomo avvicinarsi e spingerla a ricadere sul
letto.
Quanto
gli erano mancati quei candidi seni…ora più turgidi e gonfi dell’ultima volta
in cui aveva avuto il piacere di contemplarli…eppure ancora così seducenti…
Aveva
tutta la voglia di inebriarsi di quel loro sapore genuino, goderne beato come
aveva visto fare a suo figlio. Non era giusto che venisse espropriato di quel
diritto che prima era solo suo.
A
contatto con la bocca poteva già sentire quel nuovo sapore zuccherino che
avevano acquisito, quel gusto dolce di latte che Trunks aveva disseminato un
po’ per tutto il loro profilo.
Le sue
labbra si facevano appiccicose mentre disseminavano i loro baci.
“No…Vegeta…ti
prego…non succhiare…” supplicò lei flebile quando si sentì afferrare uno dei
capezzoli doloranti.
Suonava
così strana quella richiesta…e quel gemito poi… non si capiva se fosse di
dolore o di piacere.
Succhiando
piano, bevve un po’ di quel liquido caldo e mieloso, così insoddisfacente per
un neonato ma unico come ambrosia divina per la sua bocca in quel momento.
Quale
uomo avrebbe mai saputo creare un momento di tale particolarità…
Lui
l’aveva generato del gelo del cuore e foggiato con la fiamma pura del suo fuoco
nascosto.
Un
momento di tale intensità valeva quanto tutti i baci negati e le notti
disertate. Le sue labbra non erano quelle morbide di un lattante ma quelle
roventi di un’amante, insaziabili e dannate.
Si
sarebbe liberato dell’ingombro dei suoi pantaloni se la donna, d’un tratto, non
l’avesse fermato prendendogli il volto tra le mani e fissandolo con gravità.
Risalita
dall’abisso del ritrovato piacere in cui era sprofondata, adesso era sul punto
di annegare nella crudezza della realtà che d’improvviso l’aveva travolta:
“Io non
posso…” disse respirando ancora a fatica.
Possibile
che lo stesse respingendo?
Vegeta
la fissava senza poterlo credere.
“Vorrei…”
gli spiegò con la premura di non ferirlo “…ma ho partorito solo due giorni
fa…non posso…fisicamente…”.
Vegeta
si staccò da lei come se fosse divenuta di ghiaccio, balzando a ritroso,
colpito da una miriade invisibile di schegge di cristallo.
Lei si
sollevò con la schiena, fissandolo supplichevole:
“Ti
prego…resta ugualmente…”.
Ma
Vegeta, dopo essere incespicato nello scendiletto, si affrettò ad aprire la
porta e a correre via.
Bulma
già sapeva come si sarebbe sfogato adesso.
Non
passò qualche minuto che già sentì l’eco furioso dei suoi colpi provenire dal
trainer gravitazionale…
* * *
Un cielo
plumbeo ed uggioso si scorgeva dal vetro appannato della finestra della sua
camera da letto. Al secondo mese del suo puerperio, Bulma teneva tra le braccia
un fagottino che agitava le gambette e fissava una madre dal volto affitto e
sconsolato:
“Piccolo mio…
darei l’oro più pregiato di questo mondo in cambio della spensieratezza dei tuoi pochi mesi di vita…
non ti tange la preoccupazione dell’arrivo ormai imminente dei
cyborg, né ti accorgi che tuo padre se ne sta per andare…
Lui non me lo ha ancora detto…ma so che è così, già da qualche
sera lo sorprendo a guardare più volte verso il cielo stellato, dopo aver
insolitamente abbreviato il suo quotidiano allenamento.
Perfino mio padre non ha il coraggio di spiegarmi del perché
stia riparando, con la solerzia che non gli è propria, una navicella spaziale.
Il nostro futuro è più grigio di questo cielo…piccolo mio….
Se i cyborg dovessero prendere il sopravvento, di noi due non
resterà più niente.
Ugualmente mi chiedo cosa ne sarà se invece trionferà il bene…
Tuo padre si prepara tra breve a scendere sul campo di
battaglia…non per salvare noi…ma solo per tornare ad abbeverarsi alla fonte
tanto gradita della competizione e della rivalità.
Non aspettarti che lui muova mai un dito per salvare la tua e la
mia vita, ma impara subito che il suo orgoglio di saiyan viene sopra ogni cosa.
Mi dispiace…
Badando solo ai miei sentimenti ed accecata dall’amore, scelsi
per te un padre che ti ignora intenzionalmente e ti rifiuta.
Miseramente ho fallito…
Volevo cambiare il suo cuore, ma forse, confondendolo, l’ho
fatto accanire solo di più contro se stesso.
Da tempo ho rinunciato a quest’ambizione che qualche anno fa mi
animava…
Ora mi resta solo la speranza che un giorno arrivi qualcuno per
cui lui trovi la pena di aprire veramente il suo cuore…
Forse io non valevo tanto…
Da quella sera in cui bevve al mio seno, non ha fatto altro che
evitarmi…ed io l’ho assecondato tenendomi a distanza.
Neanche adesso che sta per lasciare questa casa lo fermerò…
Da quando fece il suo ritorno ricoperto d’oro, ho sempre saputo
che questo momento sarebbe prima o poi arrivato…per questo lo evitavo e gli
rivolgevo freddi cenni di presenza…
Era la paura di tornare a legarmi…non il ricordo accantonato di
una notte di violenza…
Ora è prematuro…ma forse un giorno troverò il coraggio di
chiedergli cosa di noi due intende fare…
Intanto, al solo pensiero che possa soccombere nello scontro o
ugualmente andarsene via per sempre al termine di esso, mi sorprende una morsa
agghiacciante di gelo.
Mi sento così triste e così sola…e so che nella vita si vive una
sola volta…che quello che non ho fatto adesso mi travaglierà nel volgere degli
anni.
Ho difeso fino ad ora con grinta e risolutezza le mura che mi
ero eretta intorno per difendermi da lui e non soffrire….ma adesso…dinanzi alla
precarietà delle nostre misere esistenze…sento che sto per demolire io stessa
quelle difese e prendere l’ultima folle decisione…
Stare con lui un’ultima volta…tenerlo un po’ per me…serbare un
altro raro ricordo di dolcezza…
Mi tremano le gambe…il cuore mi tumultua dentro
all’inverosimile…
Sto per andare da tuo padre…piccolo mio…anche se so che ogni
volta che lo raggiungo, ancor di più lo allontano …”.
* * *
La
pioggia era ancora sottile quando lei uscì di casa e si mosse verso il trainer
gravitazionale dove lo aveva visto dirigersi qualche ora prima.
Dalle
officine poteva sentire suo padre lavorare ancora incessantemente al collaudo
della capsula spaziale.
Al
contrario, dal trainer proveniva un insolito silenzio.
Non era
possibile che fosse uscito senza che lei se ne accorgesse, con più eventualità
aveva adesso stesso ultimato l’allenamento, dato che l’indice di gravità
segnava il livello normale.
Aprì
piano lo sportello, facendo con prudenza capolino col suo caschetto azzurro.
Lui
stava bevendo con avidità da una bottiglia d’acqua:
“Cosa
vuoi?” le chiese senza rivolgerle importanza, asciugandosi la bocca col dorso
della mano.
I suoi
occhi ed i suoi capelli avevano ancora il colore cangiante del super-saiyan.
“Mi è
sembrato di averti già detto di non aprire mai quello sportello senza avermi
segnalato la tua presenza…” soggiunse subito dopo.
“L’avevo
dimenticato…non ti sei mai preoccupato molto per me…” una venatura di sarcasmo
nella voce.
“Cosa
sei venuta a fare?” prese un asciugamano, tamponando il sudore sulla fronte e
lungo il collo.
“Quando…quando
pensi di partire?”.
Vegeta
diede per scontato che lei fosse stata già avvertita della sua decisione:
“All’alba
di domattina”.
Dunque
non si era sbagliata…lui stava davvero per andarsene….si strinse nelle spalle,
cogliendola un freddo improvviso.
Lui era
lì…a pochi passi da lei…per l’ultima volta forse…
Da
quanto tempo non contemplava più il suo busto scolpito e la linea seducente
della sua schiena nuda…
Il
raggiungimento del livello del super-saiyan aveva acuito lo spessore dei suoi
muscoli rendendo ancora più marmorea la struttura del suo torso.
Persino
quella nuca, che lui adesso le rivolgeva, era più massiccia dell’ultima volta
in cui l’aveva cinta nel suo abbraccio.
Voltato
di spalle, sentì i passi di lei avvicinarsi piano. Non capiva perché lei fosse
venuta, non dando l’impressione di voler in qualche modo impedirgli la
partenza.
Stranamente,
lo pungolava una punta di fastidio alla constatazione che lei fosse stata fin
ad ora del tutto indifferente alla sua decisione di allontanamento.
Stava
per dirle di andarsene via e lasciarlo solo, quando d’improvviso sentì
qualcosa di morbido imprimersi a fuoco
proprio dietro al collo, lì dove lei gli aveva lasciato l’impronta di un
timidissimo bacio…eppure audace al punto tale da avere la forza di farlo
vacillare per un istante.
Dopo tal
prodezza, lei si sentì cogliere da un indicibile senso di insicurezza al
pensiero di come lui avrebbe reagito adesso.
Vegeta
era rimasto immobile…forse sul suo volto si stava dipingendo una maschera di
rabbia e di astio. Indietreggiò sul punto di battere in ritirata, quando:
“Dove
pensi di andare?”.
La sua
voce era ferma, quasi intimidatoria.
“Io…non
volevo…non so cosa mi abbia preso…” spiccicò lei nel panico più evidente.
Il
saiyan si voltò finalmente, prendendo a muoversi verso di lei:
“Smettila
di fare la santarellina…” le disse “…se i tuoi pensieri sono gli stessi che ho
io in questo momento…sei tutt’altro che innocente…”.
Con
vigore le afferrò un braccio, facendole saltare in un solo colpo tutti i
bottoni che chiudevano il suo vestito.
Bulma
era già sul punto di protestare. Quando lui agiva così impetuosamente, lei si
sentiva inerme ed indifesa, per quanto, nel rifletterci poi a freddo, si
accorgesse di come quel modo di fare così virile le piacesse.
“Ma
cosa…” restò sconcertata fissando il suo corpo scoperto.
“Non ti
lagnare…” l’avvertì lui “…non puoi fare ad un uomo quello che hai fatto e
pretendere che se ne stia con le mani in mano”.
Quanto
era sorprendente quel saiyan…così freddo quanto poi capace di tirare fuori
istintività di così sublime livello…
Senza
neanche accorgersene, sapeva essere l’amante ideale…maschio in ogni particella
della sua essenza…
Se la
strinse contro di sé con possesso.
Lei non
si divincolò, ma tuttavia si irrigidì, ancora poco conscia di cosa l’uomo aveva
intenzione di farle.
“Cosa
c’è…?” chiese in un roco sussurro lui, mentre la faceva distendere sul
pavimento “…pensi che voglia farti del male, forse?”.
Lei
guardò nei suoi occhi di super-saiyan, così cerulei da sembrare inverosimili:
“Non lo
so…” pronunziò, avvertendo stentatamente la sua stessa voce.
“Non mi
interessa averti con la violenza…” le disse fissandola a sua volta “…solo un
pazzo rinuncerebbe alla spontaneità delle tue mani e della tua bocca…”.
“Allora…”
fece lei mentre declinava il collo ai suoi baci “…quella volta eri pazzo…”.
Lui, già
annebbiato totalmente dalla passione:
“Tu mi
hai fatto impazzire…” alla fine ammise ciò che la lucidità non gli avrebbe mai
concesso di dire.
E dopo
tanto tempo tornò a ripercorrere i dolci pendii del suo corpo, le distese calde
e vellutate, le selve ombrose stillanti di rugiada.
I suoi
fianchi si erano di nuovo assottigliati, anche i seni erano ritornati come li
ricordava lui, incoronati da due piccole perline delicate.
In quel
trainer in cui da anni gettava il sudore, alla fine, proprio sul freddo
impiantito gettò il suo seme.
Quando
Bulma riaprì gli occhi frementi, si accorse che i capelli di lui erano tornati
neri come le ali di un corvo e gli occhi ardevano come brace.
Di tutte
le qualità che un saiyan potesse aver acquistato con la trasformazione, mai lei
avrebbe pensato che potesse aver raggiunto altezze impareggiabili perfino
nell’atto dell’amore.
Forse
semplicemente era stata la forza della disperazione a rendere quel momento
indimenticabile, la disperazione da parte sua di sapere che quella poteva
essere l’ultima volta, la disperazione da parte di lui di averne fatto per
troppo tempo a meno.
Vegeta
le si stese accanto. Lei ebbe l’impressione che lui non avesse la sollecitudine
di andarsene come tutte le altre volte.
Nonostante
la durezza del pavimento sul quale giacevano nudi, era pronta a restarvi fino
all’alba del giorno venturo. Neanche un morbido letto di piume sarebbe stato
più invitante al confronto.
Era in
procinto di osare appoggiare il capo sul comodo cuscino che era il suo torace,
quando irruppe nel silenzio dell’abitacolo il pianto di un neonato.
Vegeta
si guardò intorno senza capire da dove la fonte provenisse. Bulma invece si
mosse a cercare qualcosa tra i vestiti sparsi a terra, vedendo naufragare tutte
le prospettive di quella notte:
“Trunks
si è svegliato…” annunciò lei, trovando la ricetrasmittente collegata alla
culla del bambino.
Spense
l’apparecchio e, con sommo sforzo, prese a rivestirsi davanti ai suoi occhi.
Vegeta la imitò di lì a poco, trovando imbarazzante lo stare nudi su di uno
spoglio pavimento.
Si era
già alzato in piedi, abbottonandosi i pantaloni, quando prese parola senza
guardarla negli occhi:
“Tornerò
quando arriveranno i cyborg, nel giorno preciso in cui il giovane del futuro ci
ha anticipato l’arrivo. Nel frattempo mi allenerò a modo mio altrove…questo
pianeta non mi offre le condizioni che cerco e questo spazio ristretto non mi
permette più di muovermi come vorrei…”.
Bulma
non capiva perché lui avesse il bisogno di giustificare la sua partenza, non
essendosi mai sentito nel dovere di spiegare le proprie intenzioni a lei.
“Sei
libera…” le disse il saiyan dandole definitivamente le spalle.
“Non…non
capisco…”.
“Sei
libera da me…puoi cercarti qualcun altro…un altro padre per Trunks…se credi che
ne abbia bisogno…un altro… cui concedere il tuo letto…”.
Bulma
non sapeva se risentirsi di quella proposta che rasentava l’offesa o cogliere
l’aspetto più generoso di esso:
“Mi hai
da sempre detto che ero libera di fare quello che volevo…che io e te eravamo
indipendenti l’uno dall’altra…perché mi dici adesso questo…?”.
Lui
stava per dirle che, il giorno in cui l’aveva posseduta la prima volta, aveva
promesso sé stesso che l’avrebbe uccisa senza pietà se lei fosse appartenuta a
qualcun altro, invece:
“Non è
cambiato esattamente niente da quello che pensavo prima di noi…ti ho detto
questo perché tu non ti convinca che quest’ora che abbiamo passato insieme
possa avere qualche significato per me…” fu l’ultima efferatezza che le
rivolse.
“Non c’è
alcun problema…” ribatté lei a testa alta, voltando i tacchi ed uscendo sotto
la pioggia scrosciante.
* * *
L’alba
sopraggiunse, ma il sole quel giorno non spuntò mai, coperto da una spessa
coltre di nubi.
Vegeta
percorse il giardino, lasciando sul terreno melmoso l’impronte della sua
partenza. Nel silenzio di quel mattino, a cui la città non aveva ancora aperto
i suoi occhi, la cadenza dei suoi passi si attutì nelle pozzanghere disseminate
sul suo cammino.
Si
guardò intorno: accanto alla capsula pronta per il decollo c’era solo uno
scienziato dagli occhi assonnati ed una sigaretta già accesa tra le labbra.
Lei non
c’era dunque…non era venuta a supplicarlo di non partire…non era venuta per
mostrargli le sue lacrime…invero neanche il giorno prima aveva tentato in
qualche modo di opporsi alla sua decisione.
Lo avrebbe
fatto la Bulma che lui aveva conosciuto solo pochi anni prima, non la donna che
adesso era diventata, che lui, senza neanche volere, aveva fatto crescere
regalandole sé stesso, un figlio e tanta disperazione.
Lei,
intanto, da dietro i vetri della sua stanza, lo vide salire sulla navicella.
Teneva tra la braccia suo figlio:
Ho promesso a me stessa che non l’avrei fermato…che non sarei
andata a salutarlo facendogli vedere la mia afflizione…
Che non avrei pianto…perché anch’io ho un orgoglio, troppo
spesso ferito, da difendere quanto il suo…e da lui ho imparato ad avere il
controllo delle mie azioni…
Eppure ho un nodo che mi attanaglia la gola…
Sento i miei occhi già infuocati…
Ogni forza di volontà già vacilla in questa valle di lacrime che
mi inonda…
Piango…ma non vorrei perché so di essere forte…non dovrei perché
lui non lo merita…
Ti prego…piccolo mio…piangi…perché le mie lacrime possano
confondersi alle tue…”.
Lilly81
Per
contattarmi: ro.cristiano@libero.it