Le mie fanfiction sono, in ordine cronologico: “In attesa dei cyborg”(giugno 2001), “Dopo il Cell-game”(luglio2001), “Bulma e Iamko: fine di una storia”(ottobre 2001), “Sul pianeta Vegeta” (febbraio 2002). A diversi mesi dalla stesura della prima storia, non essendone particolarmente soddisfatta, nonostante i complimenti ricevuti calorosamente da tante persone, ho deciso di scriverne una nuova versione. Consiglio, però, di leggere prima, per chi non l’avesse già fatto, “Bulma e Iamko: fine di una storia”, di cui questa costituisce il seguito.

 

 

“In attesa dei cyborg: nuova versione”

Parte I

 

 

Erano micidiali gli assalti di Vegeta, quella sera. Da quando avevano iniziato quella specie di “gioco”, a cui il saiyan la costringeva ripetutamente già da una settimana, Bulma non aveva mai temuto per la sua incolumità come in quegli attimi, nonostante sapesse di non correre rischi effettivi. Si spingeva contro di lei con furia incontrollata e con altrettanto accanimento non le concedeva respiro. La fronte di lei era perlata di sudore ed inutile fu tentare di dirgli che non aveva più la forza di proseguire:

“Dobbiamo finire quello che abbiamo cominciato!” le ringhiò contro lui, respirando affannosamente “aumenta il ritmo donna, così non mi lasci affatto soddisfatto… Dimostrami che non sei una debole femmina come ho sempre pensato!”.

Da quella sfida trasse il vigore giusto a riprendersi e, cambiata posizione, fu lei a spingersi verso di lui.

“Ancora di più!” incalzò il principe.

“Adesso mi hai stufato…”  mormorò lei a denti stretti “ti faccio vedere io…”.

Digitò velocemente alcuni tasti, incrementando l’energia dell’androide che lei manovrava nella realtà virtuale in cui erano immersi.

Vegeta si muoveva nella camera gravitazionale, lanciando assalti a raffica contro l’essere inesistente che gli veniva proiettato dalle lenti scure appositamente costruitegli.

Il robot da lei maneggiato, mentre comodamente se ne stava seduta nel suo laboratorio, lanciò un raggio letale quanto fulmineo che trapassò il costato di Vegeta, facendolo cadere pesantemente sul pavimento.

“Ben ti sta!” esclamò lei trionfante, evidenziando l’esito dello scontro a suo favore.

“Cosa c’è?” lo beffeggiò “adesso non ti rialzi?”.

Nonostante la natura fittizia di quel colpo, il saiyan non accennava a rialzarsi.

“Vegeta…” lo chiamo lei, impallidendo visibilmente.

Si tolse le lenti, ritornando nella realtà del suo laboratorio. Osservando il computer collegato con il trainer gravitazionale, vedeva l’uomo ancora riverso a terra.

In una corsa trafelata si precipitò nel giardino, e spenta la simulazione della gravità, entrò nell’abitacolo semidistrutto.

Il corpo di Vegeta giaceva in una pozza di sudore. Era evidente che era svenuto per la spossatezza di quel nuovo tipo di allenamento che di recente aveva voluto intraprendere.

Lo aveva avvertito sul fatto che dovesse essere usato con cautela e sugli effetti negativi che un uso eccessivo gli avrebbe potuto determinare al cervello.

“Vegeta…dì qualcosa…” lo supplicò quando sul volto di lui si dipinse una contrazione di dolore.

Gli tolse piano le lenti, attendendo una risposta.

“Mi scoppia la testa…” si lamentò faticando ad aprire gli occhi.

“Mi sembrava di averti detto di non esagerare…ma tu sei il solito testone…alla stanchezza fisica aggiungi lo sforzo di una concentrazione mentale eccessiva…considerato che è come se vivessi veramente quelle simulazioni virtuali…” gli rispiegò.

“Non dire sciocchezze!” la mise a tacere subito, riuscendo a mettersi seduto “se i cyborg che dobbiamo affrontare si muovono al tuo ritmo…è sicuro che anche dei bambini potranno batterli…”.

“Ah sì?” si portò indispettita le mani sui fianchi “…se quel colpo fosse stato vero a quest’ora non staresti ad infastidirmi come sempre!”.

Come sempre…

Era assurdo a credersi, eppure erano trascorsi molti mesi dacché Vegeta si era piantato sotto il lussuoso e confortevole tetto della Capsule Corp., proprio il principe dei saiyan, giunto qualche anno prima sul pacifico pianeta Terra con i più cruenti propositi di conquista.

Alla fine era riuscito a conquistare solo il cuore di quella ragazza, che aveva assistito al nascere di quei sentimenti come alla straripamento di un torrente in piena, impotente, atterrita, arresa.

Iamko ormai era solo un volto sfregiato appartenente al passato, un amico caro a cui l’aveva legata, per metà della vita vissuta, un affetto profondo rimasto acerbo.

Nel suo cuore albergava adesso il sentimento di un amore vero, che neanche la scontrosità del principe e la sua ostentata indifferenza riuscivano a scalfire.

Prodigandosi ad aiutarlo nei suoi allenamenti, con gli aggeggi sofisticati che personalmente costruiva per lui, era riuscita ad accorciare la distanza che li divideva e a diroccare quel muro che lui aveva eretto da quella sera sulla terrazza…quando lei, dispettosa, aveva nascosto la chiave della camera gravitazionale sotto la sua maglietta e lui non aveva avuto scrupoli a recuperarla alle sue maniere… (leggi “Bulma e Iamko: fine di una storia).

Aveva agito per impulso quella volta Vegeta e riacquistata la lucidità del gesto compiuto era fuggito via a nascondere la sua vergogna.

Si era autopunito sottoponendosi ad un ostracismo volontario nel trainer gravitazionale, decidendo che una settimana di isolamento sarebbe stata sufficiente per ritornare a confrontarsi freddamente con il fuoco caldo che lei sprigionava dal suo essere, ed invece, quando l’aveva rivista, aveva sentito ancora tra le dita la consistenza di quei seni che aveva involontariamente accarezzato, e nelle lunghe settimane successive aveva potuto solo evitarla.

Anche Bulma combatteva le sue battaglie mentali, esasperanti quanto quelle che lui immaginava di sostenere nei suoi visionari allenamenti, insicura su cosa fosse giusto fare dinanzi alla complessità di quell’uomo, struggendosi nella segretezza del suo intimo.

“Hai capito, principe dei miei stivali? Non ti costruirò più nulla per i tuoi allenamenti “ continuò la ragazza “…da oggi te la vedrai da solo, non voglio sentirmi responsabile se ti dovesse accadere qualcosa!”.

“Sono semplicemente svenuto…” minimizzò ancora con una smorfia dolorante “…del resto, dovrebbe farti piacere quando perdo i sensi…è come se diventassi un giocattolino alla tua mercé…mi meraviglio come tu non te ne sia approfittata questa volta…”.

Bulma lo guardò con un cipiglio di disorientamento.

Giocattolino…approfittarsi…non le era chiaro cosa lui stesse intendendo.

“Non fare la finta tonta…” sogghignò il saiyan “…hai capito bene a cosa mi sto riferendo…” ed abbozzò un sorriso irriverente, portandolo ad un palmo dal suo viso “…perché non me lo accarezzi ancora?” concluse nel tono più scurrile  e volgare che avesse mai adoperato.

Bulma scattò a ritroso, continuando a guardare verso il basso, dove lui era ancora adagiato.

Gli occhi sbarrati erano il segno evidente che fosse giunta alla conclusione cui lui l’aveva condotta.

Lo scoppio della camera gravitazionale…lui ferito ed incosciente sul letto…lei che si era prodigata a curare il suo corpo tumefatto…e quella mano colpevole e vacillante  che aveva ardito a sfiorare impunemente proprio quel muscolo… possente quanto gli altri. (Leggi: “Bulma e Iamko: fine di una storia”)

Furono immagini queste che il cervello proiettò in rapida successione.

Lei non aveva dimenticato quel pomeriggio, ma non avrebbe mai creduto che Vegeta in quell’istante fosse…

“Tu eri sveglio…” concluse sconvolta.

Era cosciente allora, rifletteva scuotendo il capo, e inevitabilmente era riuscito a sentire tutto, anche quel bacio che lei gli aveva rubato poggiando le labbra alle sue.

Ora era in preda al momento più imbarazzante di tutta la sua vita, dove nulla sarebbe stato paragonabile al confronto, da dove niente e nessuno avrebbe potuto trarla fuori.

“Cosa c’è? Finalmente sono riuscito a farti tirare la lingua…”.

Le sue gambe tremavano, la sua bocca si muoveva nel tentativo vano di emettere un suono che fosse articolato. C’era tutta l’impressione che stesse per scoppiare a piangere lì davanti all’uomo,  ma volendo risparmiare una simile umiliazione al suo io profondamente provato, riuscì solo a correre lontana da lui.

 

* * *

 

Fu poco dopo che Vegeta ritornò nella sua stanza, trovando refrigerio sotto lo scrosciare dell’acqua della doccia.

Per quanto fosse difficile ammetterlo, quel beneficio non riuscì a smorzare l’inquietudine del suo cipiglio. Non sapeva perché le si fosse rivolto così, non aveva mai adoperato un linguaggio tanto volgare con lei. Era riuscito davvero a metterla in imbarazzo, rifletté con un pizzico di soddisfazione, e lo meritava considerato tutte le volte che aveva sortito l’effetto medesimo su di lui.

Era recente la domanda irriverente che Bulma gli aveva posto una sera, mentre era a tavola sola con lui.  Era stata una domanda che le era spontaneamente sorta, approfittando del fatto che lui si fosse fatto trasportare da un raro momento di loquacità sulla sua vita personale. Lei aveva voluto sapere se fosse ancora esistente nello spazio qualche cellula organizzativa legata a Freezer ed, avendo appreso come remota fosse una simile eventualità, gli aveva allora domandato se ci fosse qualche persona interessata a dove lui si trovasse:

“Non hai…non so…una famiglia…una moglie?”.

Bulma, giocando d’astuzia, cercava di fargli ammettere ciò che infondo già sapeva. Impensabile, del resto, che lui potesse avere una famiglia, nondimeno era interessata però a conoscere qualche particolare più intimo della sua vita privata. Già da un po’ la tormentava il pensiero che nello spazio potesse esserci più di una donna ad attendere il suo ritorno e che su qualche pianeta avesse già piantato il suo seme.

“Ma cosa…cosa mi stai chiedendo?” aveva inghiottito a fatica un morso della sua coscia di pollo “…sono un guerriero, non ho mai perso il mio tempo con simili idiozie!”.

“E va bene…ma forse avrai una compagna…” aveva insistito, certa che il nervosismo che lo stava assalendo lo avrebbe fatto vacillare.

“Come te lo devo dire allora! Non mi interessano simili cose, né prima, né ora, né mai!”.

Non capiva per quale motivo lei ci tenesse così tanto a saperlo. Tuttavia era chiaro dove lei con quel giro di parole volesse arrivare. Possibile che fosse così evidente l’ignoranza da parte sua di non sapere neanche cosa di preciso tra un uomo ed una donna avvenisse? (Leggi: “Bulma e Iamko: fine di una storia”).

Come aveva fatto ad accorgersene?

Ma era ovvio…chissà quanta esperienza quella tipetta avesse in materia…

Si sentì d’un tratto sciocco ad aver dato quella risposta.

“Dai…non ti arrabbiare…” aveva cercato di farlo rilassare lei, notando che il saiyan si era alquanto contrariato a quell’indiretta rivelazione.

Eppure lei non lo aveva mai adorato come in quell’istante…un saiyan dall’aria matura e dalla vita frenetica…con ancora qualcosa da imparare…l’amore…in tutti i suoi aspetti.

“…Non c’è nulla di strano…considerato la vita che conducevi…non pensare che io…poi abbia più esperienza di te…” rivelò piano, senza fissarlo.

Ma la sua reazione fu imperscrutabile: Vegeta non le aveva creduto, era impensabile credere che quel terrestre di nome Iamko fosse riuscito a starsene buono quando stava con lei.

Per quel che lo riguardava, sapeva già che da parecchi mesi trovava arduo riuscire a frenare gli impulsi che gli si accendevano se le stava accanto.

Quei suoi occhi, quelle sue spalle delicate, quei seni che ondeggiavano ai suoi movimenti, la sua intelligenza e quel caratterino imprevedibile, tormentavano le sue notti, costringendolo a rigirarsi convulsamente nel letto e a stringere le lenzuola quando provava ad immaginare ancora cosa veramente tra un uomo ed una donna accadesse.

Avvezzo per tutta la vita unicamente al combattimento e alla distruzione, cresciuto tra le belve di Freezer con il ricordo solo vago di come fossero fatte le donne della sua razza, Bulma era la prima vera donna con cui aveva a che fare, e di cosa lei avesse sotto quei vestiti poteva riuscire, senza successo, solo ad immaginarlo.

La cosa che lo sconvolgeva era accorgersi che gli sarebbe interessato vedere solo lei e nessun’altra.

Uscì dalla doccia e con un lieve incremento dell’aura, fece evaporare istantaneamente le goccioline sulla pelle.

Indossati dei pantaloni, si gettò stancamente sul letto.

Il volto era ancora cupo ed i suoi occhi si muovevano inquieti alla ricerca di cosa fosse più opportuno fare.

Come principe dei saiyan aveva sempre ottenuto tutto quello che voleva.

Perché temere quella debole terrestre? In nome di cosa doveva inibire i suoi desideri?

Infondo…ad una riflessione più profonda…i suoi allenamenti in attesa dei cyborg sarebbero potuti continuare allo stesso ritmo anche se quella sera stessa fosse andato da lei e si fosse preso ciò che cercava…

 

* * *

 

Bulma si chiuse la porta della camera da letto alle spalle. Poggiandosi contro, si rese conto che più che imbarazzante era la situazione in cui era incappata.

Anche “drammatico” finiva per avere il suono solo di un mero eufemismo.

Per tutto quel tempo Vegeta l’aveva guardata conoscendo quello che lei in un momento di irrazionalità si era concessa di fare sul suo corpo fallacemente addormentato.

Dove trovare ora il coraggio di stare ancora alla sua presenza? Di reggere quello sguardo con cui era sempre  stata in grado di confrontarsi?

Era di quanto più terribile le potesse capitare, pensò mentre si avvolgeva nell’accappatoio, dopo una rapida doccia, dove l’acqua si era mescolata alle sue lacrime.

Era stanca: di tutto, di quell’amore che non trovava sbocco, di quella passione segreta che forse non era più tale.

Tanto tempo senza ricevere da lui nulla, appagandosi solo della sua voce irata e della sua presenza distaccata. Ed ore l’indicibile senso di vergogna sopraggiunto a renderle invivibile anche quegli unici attimi.

Non le restava più nulla, solo quella sconfinata malinconia, attanagliante e dolorosa.

Si adagiò piano sul ciglio del letto, quasi a fatica, come oppressa dalla consapevolezza ormai acquisita della necessità ineluttabile di doverlo dimenticare…di andare avanti…senza di lui…

Pianse ancora, più forte, a singhiozzi.

Povera Bulma…non sapeva ancora che Vegeta era uscito già dalla sua stanza, che percorreva il corridoio con la convinzione e la presunzione di poter prendere tutto senza chiedere il permesso, che quella sera aveva decretato che avrebbe messo fine ai suoi tormentati dubbi, che avrebbe soddisfatto gli impulsi che ormai premevano urgenti.

Bulma si asciugò le lacrime col dorso della mano. Pronta a coricarsi, si infilò le mutandine, una canottina intima di cotone bianco e si abbottonò la casacca del pigiama.

Fu così che la trovò Vegeta quando aprì la porta e se la chiuse con veemenza alle spalle.

All’improvvisa apparizione lei restò come stordita.

Era la prima volta che le faceva visita nella sua camera da letto e non capiva perché avesse scelto proprio quel momento, a quell’ora della sera e dopo quanto era accaduto prima.

“Spogliati…” le disse lui.

Ed era il tono perentorio di un ordine.

“Cosa?…” gli domandò con un filo di voce, pur avendo sentito bene l’intimidazione.

“Ti ho detto di spogliarti…”.

Era immobile a pochi passi da lei, fissando severamente i suoi occhi arrossati e confusi, senza lasciar trasparire nulla dai suoi.

La sua voce risoluta pareva non ammettere dinieghi e Bulma si trovò ad avere le corde della voce tremule quando pronunziò:

“Non capisco…”.

“Adesso basta!” le ringhiò contro “…muoviti e non farmi perdere la pazienza!”.

Lei rabbrividì…forse per la paura di aver intuito le sue intenzioni…forse per una morsa di gelo che la paralizzò tutto ad un tratto.

Unica e plausibile poteva essere la spiegazione di quei lampi furenti che lanciavano i suoi occhi:

“Vegeta…se è per quanto accadde quel pomeriggio…” imboccò umilmente questo sentiero “…non so neanche spiegarti perché…perché feci quello…”.

“Non mi interessano sentire le tue scuse…è altro quello che voglio da te adesso…inizieremo esattamente da dove tu ti fermasti quel giorno…”.

“Tu… non sai cosa stai dicendo…” indietreggiò lei sconvolta “…è meglio che tu te ne vada…non sei in te stasera…non sai neanche cosa mi stai chiedendo…”.

“Ed ho tutta l’intenzione di scoprirlo…” addivenne lui “…credimi, per niente al mondo sarei voluto arrivare a questo punto…è tutta colpa tua Bulma…” gli rinfacciò incollerito, senza neanche badare che era la prima volta che pronunziava quel nome.

“Perché? Cosa ti ho fatto di tanto terribile? Cosa vuoi da me?” singhiozzò amaramente lei.

“Dannazione!” scalpitò col piede “è colpa tua se tu sei bella ed io ti desidero!” urlò ai quattro venti e tacque abbattuto dall’eco che questi portarono.

Bulma sgranò gli occhi, portandosi una mano alla bocca.

Quelle parole…tanto profonde…quanto furiosamente dichiarate…avrebbero potuto cambiare tutto…avevano la forza rigenerante di un temporale nella steppa desertica a lungo atteso…

“Vegeta, credevo che mai…mai avresti detto qualcosa di simile…” gli disse tristemente, quasi con comprensione “…ma non puoi farlo in questa maniera…piombando qui così…con furia…dettandomi simili ordini…”.

“Stai scordando chi io sia!” le rammentò laconico “…non mi interessa quali modi usiate voi terrestri, io agisco nelle maniera che reputo più consona a me, i come ed i quando li scelgo io!”.

“Mio dio…ma allora…cosa…cosa hai intenzione di farmi?…” domandò ripiombando nello sconcerto e nel panico.

Non aveva mai tremato di paura al suo sinistro cospetto come in quel mentre, la sua presenza in quella casa non le aveva mai cagionato preoccupazione ed inquietudine.

Vegeta non l’aveva neanche mai guardata abbastanza e lei era certa che tra le infamie di cui era capace a macchiarsi non se ne annidasse una che giungesse a tal punto di scelleratezza.

Invece lui aveva tutta l’intenzione di infangarsi della più disonorevole delle onte e proprio contro di lei…l’unico essere nelle sconfinatezze dell’universo che l’amava e che gli avrebbe dato tutto in cambio solo di un momento di tenerezza.

Le aveva dichiarato di desiderarla eppure intendeva averla nella maniera più meschina, con richieste pressanti e minatorie, con la violenza, com’era nella sua indole. Perché proprio contro di lei, che un simile oltraggio avrebbe doppiamente ferito nel corpo e nei sentimenti?

Possibile che per amare il principe dei saiyan questo fosse il prezzo?

Lei non aveva mai ceduto all’illusione di credere che quelle mani rudi potessero arrendersi ad un momento di gentilezza, ma ora che era sul punto di scoprire che effetto avrebbero sortito sul suo corpo, si accorse di non essere ancora pronta a riceverle, che probabilmente non lo sarebbe mai stata.

Ora come ora, se lui avesse provato a torcerle solo un capello, l’avrebbe odiato per tutta la vita, per averle portato via la sua prima volta, per averle distrutto quel momento che da tempo aveva atteso a vivere, per consumarlo con la persona giusta che lui più non era…e mai lo era stato.

“Avanti…togliti quei vestiti di dosso…” continuò senza lasciarsi impietosire dalle sue lacrime.

“E va bene…se ti vergogni…” disse sedendosi sul letto e slacciandosi i pantaloni “sarò io a spogliarmi per primo…”.

I suoi piedi erano già nudi, dovette solo sfilarsi quell’indumento e togliersi il sottostante pantaloncino aderente, il tutto sotto gli occhi della ragazza, che assistettero a quel denudamento scioccati ed impotenti.

Dinanzi a simile spudoratezza, lei non poté fare a meno che distogliere bruscamente lo sguardo, quando lui le si fu parato dinanzi in tutta la sua portentosa nudità.

“Cosa c’è? Perché non mi guardi?” le chiese adirato dinanzi a quella reazione “…o è che ti ripugno, forse?!”.

Lei sussultò al tono risentito e tonante della voce:

“Guardami, maledetta!”.

In balia ormai dei suoi incondizionati imperativi, non le restò altro che muovere piano il capo e posare su di lui il suo sguardo affranto.

Solo i suoi singhiozzi sconquassavano il silenzio di quelle stanze, mentre lasciava cadere un’espressione schiva e fugace sul suo busto deturpato, sulle sue gambe massicce, sulla quella virilità bruna intorno alla quale aveva qualche volta proibitamene fantasticato.

“Muoviti…te lo ripeto per l’ultima volta se non vuoi che sia io a strapparti quegli indumenti di dosso…”.

Bulma chiuse gli occhi. Come se fosse l’impresa più ardua mai affrontata, portò una mano verso il petto, prendendo a sbottonare con lentezza estenuante il primo bottone…il secondo…il terzo…lasciando infine cadere la casacca a terra.

Quando riaprì le palpebre, persistendo a tenere lo sguardo basso, si accorse che Vegeta era avanzato fermandosi presso di lei.

Poteva sentire il respiro di lui divenuto affrettato, i suoi occhi neri che prendevano già a divorarla.

Il saiyan fissava la trasparenza della canottina, il cotone leggero che modellava morbidamente la nudità sottostante dei suoi seni, i capezzoli che si erano già induriti per la vergogna.

“Togliti anche quella…” le ordinò, ma questa volta la sua voce suonò roca.

Smaniava ormai incontrollato dalla brama di scoprire ciò che non aveva mai veduto, ciò che a lungo aveva provato solo ad immaginare. E lei ora era lì, seminuda, tutta per lui, non importava se piangente e riluttante.

“Ti prego…Vegeta…lasciami sola…va via…” provò a supplicarlo per l’ultima volta “…non rovinare tutto così…”.

Uno strappo rapido, deciso, fatale.

Giunse come un ladro, senza preavviso ed imprevisto.

Bulma restò attonita a guardare i brandelli di cotone che, lacerati, volarono da lei, lasciandola senza più protezione, sola con la sua angoscia.

Si sentì ebbro quando scrutò le rotondità svelate di quel petto, che lei non tentò neanche di coprire.

Vano sarebbe stato…lui non glielo avrebbe permesso…era troppo preso come da una sorprendente rivelazione.

Se solo avesse saputo che era tanto quello che lei nascondeva sotto i vestiti, avrebbe preso quella risoluta decisione molto prima di quella sera.

Aveva atteso troppo…senza ragione…ma ora aveva tutta l’intenzione di recuperare il tempo perso, non importava il prezzo che lei avrebbe dovuto pagare.

Le afferrò le braccia, gettandola sul letto.

Lei urlò, si divincolò sotto il suo peso opprimente.

“E speri di uscire viva da sotto le sue lenzuola?! Vegeta è un animale…un selvaggio…non ha nulla che sia umano…”.

Le parole di Iamko, che le aveva rivolto tra la disperazione ed il risentimento la notte in cui aveva appreso della passione segreta per il saiyan, le ritornarono alla memoria tragiche nella loro brutale veridicità.

Quelle mani immonde, che si erano macchiate del sangue altrui anche quando questo era innocente, che avevano annientato anche con la forza di un dito pianeti interi, non si sarebbero impietosite per la sua fragilità, non si sarebbero arrese al suo pianto disperato.

Bulma pensò di svenire quando sentì lo strappo vigoroso delle sue mutandine.

Era dunque questa la fine ingloriosa dell’amore tormentato che aveva nutrito dentro per tutto quel tempo. Aveva voglia di morire….era preferibile che la uccidesse e la facesse finita subito.

Il vento intanto mosse lieve le tendine, agitò piano le lenzuola, e portò un silenzio inatteso.

Bulma smise di piangere.

Sentì che lui le aveva liberato i polsi dalla solida presa e che con calma aveva preso a scrutare il suo corpo.

Non c’era rabbia nei suoi occhi, ammaliato sarebbe stato l’aggettivo da adoperarsi per descrivere lo sguardo di lui in quell’istante, che piano fece scivolare la mano lungo le sue spalle arrivando finalmente a lambire quelle forme morbide che lo calamitavano fino a stordirlo. Si accorse subito che, sfiorando quel piccolo bocciolo rosa,  vi si inturgidiva un tenero capezzolo.

Era proprio come essere giunti su un pianeta sconosciuto, dove valeva bene esplorare ogni angolo.

E lui esplorò bene la pienezza di quei seni, contornandone il solco ed il profilo seducente.

C’era da meravigliarsi di come fosse delicato quel tocco, come se quella mano fosse stata avvezza da tempo a fare solo quello. Bulma lo percepì senza più protestare, era rimasta senza parole, abbandonata a quella gradevole e sconosciuta sensazione, col ritmo cardiaco simultaneamente aumentato.

Proseguì con quella stessa flemma verso il ventre, inoltrandosi lì dove la peluria si infoltiva.

Bulma si ritrovò a chiudere gli occhi quasi fremente quando le dita scivolarono tremanti tra le sue gambe che sussultarono di riflesso.

Gemette e lui la sentì perché si fermò all’istante. Alzò gli occhi a guardare quelli di lei, come per inquisire sulla ragione di quel gemito, se nascesse dal piacere o fosse ancora frutto del suo rifiuto.

Bulma lo fissò nelle tenebre del suo sguardo, in cui non più si sentiva smarrita, ma ad un tratto inconsapevolmente trascinata.

Gli posò una mano sulla guancia ruvida, volendosi quasi accertare che fosse proprio lui l’uomo nudo di cui reggeva il peso. A lungo lo accarezzò.

Sì…era arrivato il momento…insieme avrebbero imparato l’amore…

Lo spinse verso di sé.

Lo baciò alfine, teneramente, quasi temendo che lui si allontanasse brusco.

Il saiyan tornò a godere del suo sapore, quel sapore di menta che lei gli aveva fatto conoscere già una volta. Chiuse gli occhi, li volle chiudere per assecondare meglio i sensi, facendosi guidare da lei nel suo primo vero bacio, accettando per la prima volta che fosse qualcun altro a guidare lui.

Staccatosi dalle labbra di lei infine, volle annusare il suo odore, prima di scendere a poggiare il capo sul suo seno.

Si adagiò così per alcuni lunghi minuti, come un bimbo nel grembo materno, strofinando la guancia sulla pelle liscia del petto, lui, belva feroce addomesticata dalla carezzevole mano di lei.

Bulma si ritrovò a pensare per qualche istante che lui si fosse addormentato.

Sfregando e respirando il suo profumo, invece, piano, quasi con timore, senza esperienza, lui portò la bocca a contatto con quel velluto, accarezzando con le labbra ogni centimetro di esso, senza dischiuderle.

Solo dopo, poco conscio di cosa dovesse fare, spontaneamente le aprì, ricoprendo di ciò che altro non erano che timidi baci le sue delicate curve, e concentrandosi infine su una di quelle tenere perline di cui erano incoronate.

Bulma se lo strinse a sé, abbandonandosi sotto di lui, pronta a lasciargli fare tutto ciò che voleva.

Per questo aprì le gambe, senza remore, alla sua mano che insicura si insinuò tra di esse, per andare a scoprire la sua diversità.

Ed anche lei accarezzò le sue ampie spalle, scendendo fino ai fianchi, indugiando sui suoi glutei, e, senza neanche rendersene conto, nel delirio di quelle sbocciate sensazioni, arrivando a sfiorarlo proprio lì.

Allontanò bruscamente la mano, come se avesse toccato fuoco, tremendamente imbarazzata alla reazione istantanea che gli causò.

Vegeta emise un gemito strozzato.

Era dunque di piacere che si gemeva…era dunque di questo che lei si stava soffusamente lamentando.

Tornò a guardarla, desiderando ancora di ripetere quel gesto, di unire cioè la sua bocca alla sua, e questa volta lasciarsi trasportare da impeto maggiore.

E fu così che la passione divampò, al punto tale che le lenzuola si sarebbero arse se quella fosse stata veramente di fuoco.

Ed era bello stare sotto quel torace di marmo contro il quale i suoi seni si schiacciavano, sotto il corpo nudo del temibile principe dei saiyan che in quel momento la stava semplicemente amando come nessun terrestre avrebbe mai saputo fare.

Era bello perdersi nell’oblio del desiderio e dimenticare per quegli attimi il sangue che gli scorreva nelle vene e che gli pulsava a ricordargli di sovente il ruolo atroce che aveva ereditato.

Ora contava solo lei, il suo corpo, il suo profumo, il piacere di essere riuscito ad averla così come lui la voleva.

Erano sensazioni che crescevano all’aumentare dei gemiti di lei: gli piaceva sentirli vicino al suo orecchio.

Mosse il bacino contro quello di lei. Non sapeva cosa di preciso dovesse fare, ma era un richiamo naturale ed innato che l’induceva a prendere quella direzione, come se già sapesse che era lì che avrebbe trovato l’appagamento definitivo.

Bulma lo sentì avvicinarsi, capì che era giunto il momento di scoprire fino in fondo a cosa quel sublime contatto la conducesse. Eppure si accorse ad un tratto di aver paura.

Si irrigidì mentre Vegeta, alla ricerca della fonte di quell’arcano richiamo, vagando smarrito tra le anse di quella selva incontaminata, sentì la punta rigida della sua stessa eccitazione come risucchiata dalla cavità più profonda di quell’antro inumidito, appositamente conformata ad accogliere lui.

E questa si dischiuse, come un tenero bocciolo di rosa, nel riconoscere quella metà che adesso si sarebbe ricongiunta a lei, divenendone una cosa sola.

Col respiro mozzato, si staccò da lei, fissandola quasi perduto.

Lei trovò la forza ed il fiato di dirgli, tremante:

“Continua…piano…” e gli accarezzò la nuca “…piano…ti prego…”.

E lui si addentrò lento fino in fondo, colmandola della propria grossezza, rendendole la tortura più esasperante, facendole lacrimare gli occhi, stringere le lenzuola.

Sentì che questa volta non era di piacere che la ragazza gemette.

“Aspetta…Vegeta…solo un istante…” gli disse quando lui si ritrasse “…lascia che… mi riprenda…”.

Respirò profondamente, riprendendo il governo del proprio corpo al trascorrere di qualche minuto, ma si rese chiaramente conto che lui scalpitava frattanto, che le baciava la piega del collo quasi mordendola, che, incapace di resistere, lo sfregava intanto contro la gamba che prima lei gli teneva stretta intorno.

Bulma gli sorrise, si strinse di nuovo, e colta dal timore che lui la potesse lasciar sola, concesse a Vegeta di riprendere.

Ma a lui non bastò una volta, aveva il bisogno di ripeterlo ancora…e ancora…di affondare in quel calore avvolgente che intorpidiva la mente.

Era riuscito pertanto anche a farla rilassare, senza neanche rendersene conto, Bulma, domato il dolore, aveva preso ad inarcare i fianchi contro di lui.

Non era stato facile lasciarsi andare, accogliere quello sconosciuto nell’intimità della propria persona quando meno se lo aspettava, ma a poco a poco aveva dovuto inevitabilmente cedere alle fiamme che divampavano al suo interno. Si incrementarono ancora di più quando le spinte di lui divennero più incisive, quando lo sentì gemere più forte e ricadere su di lei al termine di un dolore piacevole e lancinante.

Bulma restò immobile, ansimando ancora vistosamente alla tenue luce della lampada che era accanto al letto.

Vegeta si era fermato e lei aveva ancora tutta la voglia che lui continuasse, che appagasse definitivamente quel suo corpo che con maggior ritardo si era lasciato andare.

Ma l’inibiva la vergogna di chiedergli di riprendere:

“continua…” fu un verbo che restò muto sulle sue labbra rosse di eccitazione.

Eppure il suo ventre scalpitava ancora nel tentativo di sentirsi almeno a contatto con la sua virilità, ma ogni movimento le era impedito dalla mole del saiyan, di cui reggeva il peso.

Si accontentò solo della mano di lui che le accarezzò quasi pigramente le gambe rimaste ancora divaricate, ultimo stralcio di quelle carezze che aveva saputo così ben elargire.

Vegeta, quasi addormentato, sentì che quella mano si inumidiva.

La scoprì sporca di sangue. Con preoccupazione vide che un filo di esso imbrattava le lenzuola bianche e che apparteneva a lei.

La guardò, per trovare nell’imbarazzo dei suoi occhi una spiegazione.

Bulma distolse lo sguardo, pensando a come fosse strano sentire di non essere più la stessa di pochi attimi prima, come quel contatto serrato l’avesse resa già un’altra:

“E’ la prima volta…te lo avevo già detto…” gli disse.

Ed era meglio che così fosse perché il saiyan fissò ancora quegli occhi che gli sfuggivano, trovandosi a riflettere che l’avrebbe uccisa senza pietà se qualcun altro avesse posseduto il suo corpo  come lui aveva fatto.

Il pensiero che lei avesse potuto gemere sotto il corpo di un altro, condividerci la sua nudità e profondità, lo destò dal torpore, rinvigorendogli il fisico e la mente. Fu di nuovo in lei, che si sorprese con un singulto, quasi per bandire quella riflessione molesta e dimostrare il dominio che aveva acquistato su di lei.

Bulma richiuse gli occhi, col sorriso fremente di piacere, accettando quell’inaspettata offerta. Per quanto il suo corpo non fosse ancora abituato, la scossa che sentì tra le gambe fu sufficiente a farle raggiungere l’appagamento che cercava.

Non protestò quando lui si fermò e le si adagiò accanto silenzioso, lasciandosi andare insieme al dolce oblio della sonnolenza che sopraggiungeva.

 

* * *

 

Non era ancora l’alba quando il saiyan riaprì gli occhi.

Il cielo si sarebbe schiarito all’orizzonte fra meno di un’ora, ma già si sentiva il canto mattutino degli uccelli provenire dagli alberi del giardino.

La luce sul comodino era stata lasciata accesa ed una leggera brezza proveniva dallo spiraglio della finestra che non era stata chiusa.

Doveva essere stato il cigolio di questa a svegliarlo.

Si alzò, e, nudo e scalzo, andò a richiuderla.

Non era facile riaddormentarsi se c’era un’altra persona che giaceva placidamente nel letto, confinata in un giaciglio di esso ed infagottata nel lenzuolo, mentre una parte del seno restava piacevolmente esposta.

Mentre recuperava a terra i suoi pantaloni, dovette convenire che non era facile riconoscere in lei quella che su Namecc aveva addirittura creduto una ragazzina, con quella fascia rosa tra i capelli ed i vestiti pesanti che nulla ostentavano di lei.

La sentì respirare più forte e stringersi al cuscino che finalmente poteva riavere tutto per sé.

Vegeta uscì, avendo stabilito che avrebbe anticipato prima del consueto l’inizio dei suoi allenamenti. Quella distrazione notturna non avrebbe alterato i ritmi della sua quotidianità.

Bulma riaprì gli occhi molto dopo, quando il sole era già alto e la vita della città era risorta nelle sue diurne abitudini.

Aprì flebilmente le palpebre, sollevandosi con la schiena.

La richiamò più prontamente al risveglio un dolore avvertito lieve tra le gambe.

Osservò il suo corpo nudo, accarezzandosi piano come se non lo riconoscesse. Il sangue di cui si era intriso il lenzuolo era ormai asciutto, ed era lì a ricordarle che quella notte trascorsa aveva lasciato un segno più che indelebile, nel suo corpo, nel suo animo, nella sua esistenza.

Sprofondò di nuovo con la testa sul cuscino, ignorando l’orologio che scandiva le undici passate.

Poteva sentire Vegeta allenarsi instancabilmente nel trainer, poteva sentire le sue mani sul suo corpo, ancora quel membro assalire la sua verginità. Ora lì sentiva come un vuoto e le sfiorò il timore che lui non tornasse più a colmarglielo.

Per il momento, tuttavia, accantonò il pensiero del domani, per salvaguardare il suo benessere mentale e godersi intanto, non senza un senso di disorientamento, quelle emozioni sconosciute.

“Spogliati!”.

Quell’imperativo che l’aveva atterrita…rifletté…adesso suonava solamente così virile…

Finalmente guardò la sveglia sul comodino, ma per quel giorno, stabilì contrariamente al saiyan,  poteva prendere le cose con comodo.

Per questo l’operazione di doccia e vestimento si protrasse oltre il dovuto. La verità era che aveva paura di aprire quella porta e che qualcuno potesse leggere sul suo volto ciò che aveva fatto quella notte. Sentiva di non riuscire a mascherare quel senso di disagio ed imbarazzo che ancora la sorprendeva al pensiero di aver scoperto fino in fondo le potenzialità più carnali dell’amore, in particolare se l’uomo con cui lo aveva fatto non era uno qualunque.

Fortuna che più che remoto era per il momento il rischio di incontrare Crili, Oscar, Genio, Goku, per non aggiungere poi Iamko che di certo non sarebbe riuscita a guardare negli occhi, che, probabilmente, l’avrebbero a loro volta fissata con sdegno, forse con incredulità.

Nonostante questo, però, trovava un certo divertimento nel pensare come sarebbero state le reazioni delle loro facce se avessero saputo che lei era riuscita, almeno per una notte, ad ammansire uno dei guerrieri più temibili che avessero mai scorazzato per le galassie.

Frattanto sussisteva la possibilità solo di imbattersi in sua madre o suo padre. Quanto a Vegeta, invece, era certa che l’avrebbe veduto solo a sera.

Disfece il letto, raccolse le lenzuola imbrattate, assicurandosi di portarle personalmente nella lavanderia al piano di sopra.

Proprio lì incontrò sua madre che faceva il bucato:

“Ah, tesoro, lascia pure tutto lì nella cesta…me ne occuperò io…”.

Ma Bulma le replicò che avrebbe potuto farlo anche lei:

“Non voglio certo che ti stanchi…” si preoccupò la madre “a proposito…come mai ti sei svegliata così tardi? Stai poco bene?”.

“Infatti…” concordò lei, trovandosi incapace a nascondere quello stato d’animo adombrato, che la rendeva taciturna e distratta.

“Dammi qua!” le tolse di mano il lenzuolo, scoprendo subito la macchia colpevole.

“Mi ha sorpreso il ciclo durante il sonno…” gettò lì la ragazza con un risolino, congedandosi subito.

Lavorare non fu più facile.

Alla fine la giornata trascorse tra lunghe pause di confusa e vaga riflessione.

E Vegeta la trovò in cucina, che contemplava fuori dalla finestra il cielo vespertino, mentre l’arrosto nel forno abbrustoliva oltre il dovuto.

“Hai intenzione di lasciarmi a stomaco vuoto stasera?” ruppe il silenzio, facendola trasalire.

Eccoli di nuovo…l’uno di fronte all’altra…vestiti eppure ancora nudi ai propri occhi…

Atteso e temuto quel momento…di speranza e paura altalenanti lo scandire di quella giornata…ora troppo lunga…ora troppo veloce…per entrambi…

Bulma si voltò, accorgendosi solo in quell’istante della nuvola di fumo che sprigionava dal forno:

“Oh, no, che sbadata!” si precipitò a spegnerlo e a togliere subito la pietanza, che di certo un bell’aspetto più non aveva.

“Lo mangerai lo stesso, vero?” gli chiese in tono quasi supplichevole.

Lui come tutta risposta si sedette ed attese che gli venisse servito.

Non si guardarono, ignorandosi vicendevolmente.

Bulma mangiò poco, qualche foglia di insalata aveva già riempito il suo stomaco teso.

Era solita cenare insieme a lui, da sola, quando sua madre e suo padre avevano già lasciato la tavola, bene informati come Vegeta non amasse avere troppe persone intorno.

Ma quella sera la sig. Brief trafficava la cucina più del consueto e fu proprio lei a porre la domanda che accrebbe la tensione:

“Che silenzio!” commentò fissandoli “…è accaduto qualcosa? Non avete nulla da dire, nulla su cui litigare?”.

Bulma arrossì visibilmente, persistendo a tenere gli occhi piantati nel piatto, mentre Vegeta emise un grugnito incomprensibile.

Lei provò a dire qualcosa quando furono lasciati finalmente soli, ma il contegno indifferente di lui non la caldeggiò.

Non c’era confidenza tra loro, nonostante l’intimità condivisa quella notte, nonostante l’ approccio dei loro corpi. E forse era la vergogna di essersi ritrovati nudi ed annebbiati da un’incontrollata passione ad accrescere ormai l’evidente imbarazzo.

Sapere di essersi visti…di aver goduto così palesemente e di aver fatto godere…

Neanche per Vegeta era stato facile affrontare lo scorrere di quella giornata, ed ignorare che nulla fosse accaduto era arduo quando il profumo di lei ora gli sollecitava l’olfatto, richiamandogli alla memoria il candore della sua pelle levigata.

Bulma alla fine si alzò:

“Io…ritorno in camera mia…si è fatto piuttosto tardi…”.

Ritrovò la sua stanza esattamente come l’aveva lasciata la mattina. Fissò il letto vuoto, dove anche lui aveva dormito, per la prima volta e per l’ultima forse.

La sua freddezza era stata eloquente, il suo silenzio lasciava molte perplessità.

Il lume sul comodino accanto al letto illuminò fievole lo sconforto del suo viso.

Era esattamente questo quello che si aspettava, prevedeva già che le cose non avrebbero potuto seguire un corso diverso.

Restò a lungo così ed avrebbe pianto se d’improvviso non avesse sentito uno spiraglio di vento provenire dalla finestra ed avesse riconosciuto l’inconfondibile sagoma del saiyan stagliarsi sulla parete:

“Vegeta…” esclamò con un filo di voce, voltandosi di scatto dalla finestra da cui era entrato.

Possibile? Una visione, forse? Quale dolce delirio aveva il potere di pungolare a tal punto l’illusione di una disperata?

Non sapeva lui stesso perché fosse ritornato da lei. La verità, inaccettabile, era che non sarebbe mai voluto uscire da quella stanza, che, al contrario, avrebbe dovuto distruggere perché lì, per la prima volta nella sua vita abietta, avendo ammesso il suo interesse per qualcuno, aveva ceduto alla sua alterigia.

Ed ora che aveva conosciuto le debolezze della carne, oltre che quelle dello spirito, trovava doppiamente irresistibile la brama di esserle vicino.

“Non pensavo che venissi…”.

“Non ricordarmelo, sono ancora in tempo per andarmene via…” disse grave.

“Io voglio che resti invece…” ribadì avvicinandosi piano, tornando a posare sul suo volto duro quella mano che aveva saputo ammansirlo.

Lui attese che fosse la ragazza a compiere il primo passo, a baciarlo per prima, a rinnovargli quel sapore che gli aveva lasciato in bocca per tutto il giorno.

Non la toccò; fu ancora lei, quella che la sera prima lo aveva respinto tra strilli e suppliche, a slacciarsi la camicetta e a lasciarla cadere.

Vegeta fissò l’indumento di pizzo bianco che gli copriva il petto: non aveva mai visto in vita sua quel capo prettamente femminile e la sera prima, quando lui era sopraggiunto, lei non indossava nulla sotto la canottina intima.

Lei sorrise, adorando accorgersi di come quel guerriero, esperto di strategie e conoscitore di mondi lontani, fosse così poco pratico di una donna, anche dopo quella notte.

Gli prese una mano e se la portò dietro la schiena:

“Sbottonalo…” gli disse.

Lui, con la voce già roca, obiettò:

“Non darmi degli ordini…non lo sopporto…”.

Ed incespicando con le dita nel gancetto dell’indumento, alla fine poté prendere solo la risoluzione a lui più consona: glielo strappò.

Si baciarono a lungo, ricadendo alla fine sul letto, desiderando completare quello che durante la giornata avevano potuto solo sperare. Ora potevano tornarsi a toccare, a scrutarsi ancora, a rivivere quelle sensazioni che una volta scoperte, non avrebbero più potuto rinnegare.

Era davvero difficile credere che stesse accadendo per una seconda volta.

Vegeta, del resto, sembrava aver imparato già bene quel gioco di movimenti e di pause perché questa volta accedé in lei senza esitazione, districandosi sicuro tra quei meandri già sondati.

Lei fremette al suo ritorno, accogliendolo più solerte della volta prima, accorgendosi subito che stava raggiungendo vette più alte.

Ansimò…ansimò…ed, incontrollata, urlò alla fine, in balia di quello stesso piacevole e lancinante dolore che travolse anche lui.

Non era stato come la notte prima: il suo corpo aveva reagito senza freni alle sollecitazioni del saiyan e per questo adesso lei era sconvolta.

Anche l’uomo, boccheggiante, aveva sul viso la medesima espressione.

“Cos’è quello che stiamo facendo?…Dimmelo…”.

Serviva a che le generazioni non si estinguessero…glielo aveva spiegato Radish quando era solo un ragazzino. Ma a lui un figlio non importava e, nonostante questo, non riusciva a stare lontano da lei.

Bulma non seppe cosa rispondere. Avrebbe voluto dire che era amore, ma avrebbe suonato ugualmente indecifrabile per lui.

Poté restare solamente a guardarlo mentre l’uomo si alzava e raccoglieva i propri vestiti:

“Dove stai andando?”.

“A dormire”.

“Ma puoi restare qui…” propose, alzandosi con la schiena.

Mentre il saiyan si vestiva, Bulma notò per la prima volta la cicatrice da cui un tempo pendeva la sua coda.

“Smettila di fissarmi..” le disse rialzandosi i pantaloni, mentre le dava le spalle, percependo i suoi occhi addosso.

Ma fu lui, soccombendo ad ogni resistenza, a fissarle il petto quando si fu rivoltato nella sua direzione.

Accortasi di quell’esposizione gratuita, si coprì prontamente con il lenzuolo:

“C’è un altro cuscino nell’armadio…”.

“No, me ne vado” fece lapidario nell’infilarsi la maglia.

“Dai…resta…infondo anche ieri hai dormito qui…” insistette.

“Ed infatti ho dormito malissimo…ti saluto…”.

Alla fine, Bulma lo vide andare via; per quella sera, comunque poteva ritenersi più che soddisfatta.

 

* * *

 

Divennero amanti.

Nessuno seppe a lungo cosa stesse accadendo tra di loro. Bulma per il momento si astenne dal farne parola e quanto a Vegeta:

“Se osi raccontare a qualcuno quello che facciamo, giuro che ti ammazzo!” l’aveva redarguita un giorno in cui si erano presentati alla porta della sua casa Genio ed Oscar.

“Siamo venuti in città per assistere ad un concorso di bellezza e non potevamo non passare a farti un saluto!”.

Lei li aveva fatti accomodare in salotto, mentre Vegeta era sgattaiolato all’esterno verso il trainer gravitazionale.

“Siete sempre i soliti…pensate solo alle donne!”.

“Ma tu sei sempre la migliore…” constatò Genio, fissandole il petto da dietro le lenti scure.

“E Iamko…?” si guardò intorno il porcellino trasformista.

“Iamko…?” trasalì lei sulla sedia.

“Dov’è, si sta allenando?”.

“No…” era impallidita “io e Iamko non stiamo più insieme…”

“Ma allora vuoi dire che quello che si sta allenando in giardino è Vegeta?! Oh, che paura, l’idea che siamo soli con quell’individuo non mi piace per niente!” continuò Oscar.

Ma Bulma prese subito le sue difese, asserendo che Vegeta non era l’essere veramente terribile che pareva.

“Tu e Iamko litigate in continuazione…” convenne l’anziano maestro sorseggiando una bibita fresca “…dovreste piantarla di tirarla troppo per le lunghe…visto che ogni volta ritornate sempre insieme, fatela finita e sposatevi!”.

Ma Bulma non fu travolta da quell’entusiasmo:

“E’ veramente finita questa volta” disse con serietà inequivocabile.

“Ma allora sei libera!” esclamò il vecchio porcellone sul punto già di avvinghiarsi addosso.

No, lei stava con Vegeta, almeno era così che le andava di pensare, sebbene il saiyan aborrisse l’idea di avere un legame e più volte glielo avesse fatto trucemente presente.

Comprendeva bene che era una persona molto riservata, che entrambi non si erano ancora assuefatti del tutto a ciò che li stava coinvolgendo. Sapeva anche che il loro rapporto sfuggiva dai canoni normali delle relazioni di coppia: si vedevano solo a sera.

Preparatogli da mangiare, cenavano più silenziosi del passato e lui dibatteva poco su qualsiasi cosa la ragazza dicesse.

Alla fine si ritrovavano nella camera di lei ed esattamente come quella seconda volta in cui avevano fatto l’amore, il saiyan restava immobile e mentre scendeva a compromesso con i suoi stessi desideri, era lei che si avvicinava e piano lo soggiogava alfine.

E come quella volta, lui la lasciava poco dopo, a nulla serviva chiedergli di restare.

La lasciava sola nel suo letto, a struggersi del desiderio di tenerlo ancora al suo fianco, poggiare la testa sul suo torace, trovare lì riposo al ritmo regolare del suo respiro.

“Continua ancora..” osava chiedergli pur di incatenarlo al suo letto, al suo cuore.

Ma non era raro che anche quella supplica restasse inesaudita e che egoisticamente la lasciasse senza neanche averle dato il piacere ultimo.

Quante volte avrebbe voluto avvicinarsi a lui nel corso della giornata e semplicemente baciarlo per ritornare poi in laboratorio e proseguire il suo lavoro. Non era molto quello che elemosinava, né pretendeva di uscire insieme, o altro che poco si addicesse al suo burbero carattere, solo qualche piccola attenzione che non riducesse il loro rapporto esclusivamente a quel momento serale.

Ma lui non le concedeva altro, non voleva, né avrebbe saputo farlo.

E lei intanto incominciava a nutrire la colpevolezza di quella relazione segreta ed anomala, che, per quanto risultasse scabroso ammetterlo, era, almeno per lui, fatta solo di sesso.

Intensi erano i sentimenti di lei invece, che dava tutta sé stessa in quegli attimi, che mai erano comunque di sfrenatezza e libidine.

Era l’unico momento in cui lui le apparteneva, in cui lei riusciva a domare la sua ostinazione di solitudine.

Solo quello le restava…ma incominciava a non bastarle più ed intanto era passato un mese dacché lui aveva preso a frequentare il suo letto.

Non vi entrava tutte le sere, qualche volta deliberava di richiudersi nella sua camera, ma riaddormentarsi allora era più penoso per entrambi.

Anche quella sera Vegeta aveva scelto la via di un volontario esilio.

Bulma attendeva che si presentasse questa volta, essendo inconsueto che disertasse l’incontro per quattro sere successive.

Era già a lungo che lo attendeva, alla fine, chiuse la finestra quando un alito di vento le fece intirizzire la pelle.

Indossò la vestaglia, preparandosi ad affrontare ardita l’impatto decisivo col saiyan e le scuse che mai sarebbero venute.

Il corridoio che conduceva alla sua porta era immerso nel buio di quella sera silente.

Erano soli in casa: aveva accolto con grande entusiasmo la notizia che sua madre e suo padre sarebbero stati assenti per alcuni giorni, attratta dall’eccitante prospettiva di avere la casa a sua completa disposizione, ma quei giorni erano stati perfino peggiori dei precedenti.

Aprì piano la porta, entrando nella stanza avvolta dalle tenebre, rischiarata da una debole falce di luna.

Fuori, il ramo di un albero batteva contro il vetro della finestra: c’era aria di tempesta, fuori, come in quella casa…

Lei lo avrebbe scoperto tra poco, tragicamente.

“Cosa sei venuta a fare?” l’accolse Vegeta, disteso sul letto su di un fianco, con le spalle voltatele contro, come se avesse avuto il sentore che lei gli avrebbe fatto visita.

Sentì il materasso abbassarsi, lì dove lei si era seduta:

“Vattene, sono stanco…non accadrà nulla stasera…”.

“Non sono venuta qui per questo… non è solo il piacere quello che cerco da te…in una coppia c’è anche dell’altro…” gli disse tristemente.

“Quante volte devo rammentarti che noi non siamo una coppia! Io ho la mia vita e tu la tua e …”.

“Basta…basta…” lo bloccò lei per nulla arrabbiata alle sue offese “…non ho molta voglia di litigare con te…”.

Invero, sembrava che lei avesse l’urgenza di comunicargli qualcosa di importante, che stesse cercando di aggrapparsi ad un punto per intraprendere il discorso.

“Hai forse intenzione di andartene via?” non era questo quello per cui era venuta, ma quel dubbio l’aveva aggredita con l’imprevedibilità di un assalitore.

Per la prima volta quell’ipotesi si aggrovigliò nella sua mente, dandole la sensazione palpabile del vuoto incolmabile in cui sarebbe stata ineluttabilmente inghiottita se fosse stata questa la decisione che lui stava maturando.

Senza più vederlo…accudirlo…sentirlo allenare…non avrebbe più avuto senso aprire gli occhi e svegliarsi…

“No, non me ne andrò…” disse lui, dando l’impressione che non avesse mai elucubrato sulla possibilità. Non soggiunse altro, perseverando nel darle le spalle.

“Vegeta…” pronunziò il suo nome per esordire in quello che sembrava essere un annuncio molto importante.

Lui non si mosse, neanche quando lo richiamò. Possibile che si fosse assopito?

Si sporse oltre, accorgendosi che giusta era la sua intuizione. Restò così qualche istante a guardare i suoi occhi chiusi ed il torace sollevarsi placido.

Gli avrebbe parlato l’indomani, prima che riprendesse i quotidiani allenamenti.

Ed intanto, persa in quella contemplazione, sorrise…

Il suo saiyan…quanto le era divenuto caro…se solo lui avesse potuto capire l’adorazione e la stima che gli riservava…nonostante tutto…

Si chinò su di lui, lasciandogli maternamente un bacio sull’ampia fronte, prima di lasciare la stanza e dirigersi nel suo letto, dove la stanchezza la calamitava.

Vegeta riaprì gli occhi al tonfo leggero della porta che si chiuse, rivoltandosi a guardare il soffitto, contro il quale, i rami agitati dal vento riverberavano l’inquietudine delle proprie ombre.

Inquietanti come da un po’ di giorni si agitavano i pensieri nella sua mente.

Era rimasto lì per allenarsi ad avvampare d’oro, ma aveva imparato solo ad accendersi di desiderio.

Avrebbe dovuto già raggiungere l’agognato livello di ogni saiyan, gli allenamenti a cui si era sottoposto superavano di gran lunga l’estenuazione.

A questo punto non poteva non attribuire la responsabilità del vistoso ritardo all’unica distrazione che si era concesso. Un mese prima aveva lasciato sfogo ai suoi impulsi, persuaso che li avrebbe saputi domare e piegare all’occorrenza. Ma di lei, del suo profumo di donna, delle sue languide carezze, dei suoi gemiti soffusi, non ne aveva saputo fare più a meno ed adesso stavano intorpidendo il rigore e l’inflessibilità delle sue giornate.

Non era più una distrazione solo serale, come avrebbe voluto, non lo era mai sta fin dalla prima sera in cui si era infilato senza invito nel suo letto ed ora che lei personalmente lo accoglieva, era altresì più difficile resistere.

Di lei le piaceva tutto: questo lo aveva capito prima ancora che divenissero amanti ed ora si accorgeva, con propria costernazione, che con difficoltà crescente lasciava il suo letto.

La situazione gli stava pericolosamente sfuggendo di mano, lei non era più una distrazione solo fisica, ma anche mentale.

Era tutta colpa di quella maledetta donna!

Sollevatosi dal letto, in preda ad una rabbia trascesa, trovò una via di fuga dalla finestra, incurante della pioggia che si approssimava a tempesta. Lo scrosciare dell’acqua, forse, lo avrebbe aiutato a dipanare il groviglio di pensieri che gli tumultuavano dentro.

Lottando contro il vento, aveva raggiunto una radura lontana dalla città, dove arrestò il suo volo incontrollato.

Maledetto anche Kaarot…il suo nome…la sua origine…la sua stirpe…!

Ma per quella sera il suo peggior nemico era solo quella donna, i suoi occhi azzurri, le sue mani delicate. Per lei, in quei momenti, aveva imparato ad essere dolce e gentile, lui, il più malvagio che dal ventre di una saiyan mai fosse stato concepito.

Avrebbe anche potuto convivere con quella debolezza carnale che mai uomo risparmia, ma l’essersi trasformato in un essere garbato e docile rasentava l’ignominia.

Avrebbe dovuto andarsene via da quella casa, ma, per il momento, ad un saiyan, abituato ad affrontare i pericoli e non a fuggirne, non parve questa la soluzione più appropriata.

Bulma era un nemico, i nemici andavano affrontati, i nemici andavano uccisi…Bulma dunque doveva…morire…

Quel sillogismo lo spiazzò per un istante, anche solo pensare di farle del male lo aveva lasciato atterrito. Eppure non aveva mai avuto pietà per nessun nemico, nella sua vita indistintamente era stato impietoso verso donne e bambini; quella sensazione di gelo che lo aveva paralizzato nel meditare la morte di lei era il segno più evidente dell’influenza negativa che lei stava esercitando.

Era per questo che non riusciva a ricoprirsi dell’aureo manto del super-saiyan: non era cattivo abbastanza…non come un tempo, quando disumano aveva ucciso il compagno che gli aveva teso la mano…

Sotto il peso di quelle constatazioni, perse il controllo della propria volontà, mentre una luce sinistra pervadeva il suo sguardo: il sacrificio di una stupida oca poteva restituirgli la malvagità che cercava, l’onore che lei gli aveva tolto e se quell’oca era amica di Kaarot…sarebbe stata un valido motivo per ritornare a fronteggiarsi con l’acerrimo rivale.

Posseduto da quei turpi pensieri, ruggendo dentro il suo spirito implacabile e guerriero, si mosse in direzione della Capsule Corp…

 

 

* * *

 

La tempesta aveva preso ad imperversare violenta. Né il vento, né i tuoni frenarono il suo diabolico ritorno.

Quando aprì la porta della stanza di lei, Bulma era avvolta nel caldo tepore delle coperte, dalle quali solo un caschetto azzurro faceva capolino.

Sembrava placidamente assopita, prima che il fragore di un tuono irrompesse a farla sussultare dal letto, a gridare addirittura quando un successivo balenio illuminò la presenza spettrale accanto al suo letto:

“Vegeta…” mormorò fissando l’uomo, una volta che il lume accanto al letto rischiarò debolmente la stanza.

Quello che la lasciò trasecolata fu vedere come lui fosse completamente inzuppato di pioggia.

“Ma cosa hai fatto? Che ti è successo?” chiese infilandosi le pantofole e correndo a prendere degli asciugamani dal bagno.

Con i capelli spettinati, un pigiama a pallini rosa e bianchi ed un paio di babbucce col muso di coniglio era il ritratto inconsapevole di una bambina.

“Allora?” gli richiese porgendogli un accappatoio, che lui non prese.

Non si accorse del suo sguardo glaciale, dei propositi blasfemi che vi celavano, non trovando nulla di propriamente insolito nel suo comportamento.

“Si può sapere cosa sei andato a fare fuori con questo tempaccio?”.

Doveva farla finita subito: un calcio nello stomaco sarebbe stato sufficiente a farle vomitare sangue e soffocare senza respiro. Oppure poteva adoperare un facile raggio inceneritore ora che lei si era spostata ad esaminare da dietro i vetri l’entità della tempesta:

“Distruggerà completamente il giardino…mia madre non lo riconoscerà al suo ritorno…”.

Eppure non riusciva a raccogliere energia nella mano, che ricadde lungo il fianco quando l’immagine di lei riversa a terra in un lago di sangue durò l’istante agghiacciante di un lampo.

Il nemico, senza dubbio, più peggiore che mai avesse affrontato…aveva già perso contro di lei…

Ma non intendeva lasciare quella stanza senza aver combattuto in un modo o nell’altro la sua battaglia, pronto fin dall’inizio a fare uso di qualsiasi sleale mezzo e a derogare ogni regola di onore.

Avrebbe dunque potuto deturpare il suo bel viso, perché quegli occhi adamantini e quelle gote delicate, sfigurati da piaghe slabbrate e tinte di sangue, non lo ammaliassero più.

Ma forse no…non voleva farla davvero finita…forse c’era un altro modo…per poterla avere, appagarsi e…restare ugualmente un saiyan…

“Che cosa fai ancora tutto bagnato? Avanti, spogliati ed asciugati, stai bagnando tutto lo scendiletto…” gli ordinò.

Lui le obbedì, prendendo a denudarsi, mentre una macchinazione altrettanto malvagia si faceva strada dentro.

Quando fu nudo, ignorò l’accappatoio che lei nuovamente gli porgeva.

Afferrato il suo braccio, l’attirò rudemente contro di sé.

“Vegeta…” restò lei intontita, battendo le palpebre.

Scese a baciarle il collo, lì dove il pigiama lasciava intravedere la tenere piega.

“Cosa ti prende?” chiese lei, lasciandoglielo fare, poco avvezza ad una manifestazione di così esplicito desiderio prima che la passione lo annebbiasse del tutto.

Con l’ennesimo strappo deciso, la liberò dell’ingombro di quegli indumenti, mettendo la sua pelle bagnata e raggelata contro il calore circondante di lei, che rabbrividì al contatto, trovando in esso nondimeno l’abbraccio più eccitante mai ricevuto.

La pioggia aveva acuito il suo odore selvaggio, il vento piegato la cima acuminata del suo crine.

Le mani di lei scivolarono sulla schiena inumidita non trovandovi appiglio:

“Vegeta…” lo richiamò staccandosi faticosamente dalle sue labbra, che non le concessero tregua, seguitando sulla sua spalla “…io vorrei parlarti prima di…”.

“Parlarmi?” le tappò la bocca con una mano “francamente non intendo ascoltarti..ora…”.

Tutto sommato, anche lei pensò che malgrado l’urgenza e l’importanza della comunicazione, questa potesse essere accantonata per la durata di un amplesso…che si preannunciava piuttosto sbrigativo e frettoloso del solito.

Ma anche la superficialità è talvolta sinonimo dell’incontenibilità del desiderio, e l’impellenza di concludere l’atto rapidamente sapeva essere a suo modo molto allettante.

Bulma si arrese.

Nonostante questo però, non fu lenta nel notare come le carezze del saiyan fossero più pesanti del normale, come incominciassero a rasentare quasi un senso di fastidio.

“Ahi!” gemette quando un pizzico le indolenzì uno dei suoi teneri capezzoli.

Tuttavia ancora lo baciò, mentre lui, afferratala per i glutei, la fece ricadere sul letto, che cigolò sonoro.

Brutalmente le aprì le gambe, sistemandosi prepotentemente nel mezzo.

Lei non protestò ancora, illudendosi che fosse solo molto virile quel suo modo selvaggio di fare, prima che una spinta più forte le facesse spalancare di colpo le palpebre.

“Ti prego…fa più piano….”.

Sordo…indifferente…non si accorse neanche che lei non riusciva a tener dietro il suo ritmo.

Qualcosa incominciava a non andare, era evidente se anche la seconda preghiera restò inascoltata.

Non era la prima volta che lui, preso dalla passione, dimenticasse che sotto di sé fremeva il corpo di una fragile terrestre, ma bastava richiamarlo perché allora si fermasse, le rivolgesse uno sguardo di silente mortificazione e riprendesse con più calma.

Invece adesso…

Gemette ancora, tentando nondimeno di persuadersi che lui non stesse agendo intenzionalmente, che tra breve avrebbe finito quel tormento.

Eppure non riusciva più a resistere, per quanto si sforzasse di stringere le lenzuola e i denti:

“No…basta…!” proruppe, per sentirsi replicare:

“Cosa c’è? Non ti piace?” ansimò senza arrestare l’assestamento vigoroso delle sue spinte.

Non era lui…quale demone stava governando il suo organismo?

“Mi fai male…” scoppiò a piangere, sentendosi lacerare fino in profondità.

Era un dolore acuto, soffocante, insostenibile. Faceva male dentro, fino a lambirle l’animo.

Un vuoto devastante si stava scavando dentro di lei adesso.

Belva feroce…spietata…disumana…un vero saiyan ora…nell’unico atto in cui aveva rinnegato sé stesso.

“Basta! Basta!” urlò straziata, colpendolo con tutte le proprie forze quando lui si rilassò e sollevò poi il suo peso da lei.

“Ma che ti prende?” si rifugiò in un cantuccio del letto, lontana da lui.

Un cucciolo bastonato…questo ora era…

Si coprì frettolosamente con un lembo del lenzuolo dalla vista di quello sconosciuto, che le offriva uno sguardo di soddisfazione, quasi ad inneggiare il suo successo.

Si passò il dorso della mano sulla bocca, un modo come un altro per esprimere la sazietà al termine di un’ingozzata:

“Perché ti meravigli tanto, hai forse dimenticato che sono un saiyan?”.

Si alzò, raccolse i suoi vestiti e la lasciò sola, più tragicamente di tutte le altre sere.

 

Continua…

 

Lilly81