LA             GLOBALIZZAZIONE

 

Il perché ribellarsi, il perché reagire e combattere questa globalizzazione ingiusta

 

Le lotte sviluppatesi attorno a quelli che una volta erano considerati degli astrusi argomenti di economia internazionale, come il North American Free Trade Agreement (NAFTA) e il General Agreement on Tariffs and Trade (GATT), sono progressivamente uscite dalle pagine economiche, in cui erano state relegate fino a quel momento, per conquistare la prima pagina dei giornali. “Globalizzazione” è divenuta la parola di moda per eccellenza  sulle labbra di uomini politici, professori universitari e analoghi sapientoni: imprese globali, mercati, finanza, sistema bancario, dei trasporti, delle comunicazioni e della produzione attraversano sempre più le frontiere nazionali. La globalizzazione, termine con il quale per brevità intenderemo la globalizzazione capitalista, viene oggi deliberatamente accelerata da gran parte dei governi, da istituzioni internazionali come il Fondo monetario internazionale e la Banca Mondiale e dalle stesse imprese globali.. Ma se il commercio internazionale non rappresenta una novità, questa rapida globalizzazione capitalista costituisce un cambiamento epocale, da cui discende quella che spesso viene definita come “Nuova economia mondiale”.

La globalizzazione ha reso disponibili alcuni prodotti esotici provenienti da ogni parte del mondo, ha ridotto alcuni prezzi e ha aperto nuove, abbaglianti opportunità per alcuni. Essa ha enormemente ampliato la ricchezza e il potere di poche centinaia di imprese globali, ma per la maggioranza delle persone in gran parte del mondo l’era della globalizzazione non ha mancato di far sentire i suoi effetti negativi. Queste persone hanno dovuto subire una crescente disoccupazione, la diminuzione dei salari reali, i licenziamenti di massa, i tagli nei servizi pubblici, dei peggioramenti delle condizioni di lavoro, la scomparsa di piccole unità produttive rurali e di piccole attività economiche, la distruzione accelerata dell’ambiente e la perdita di controllo democratico sui propri governi della società.

Se preso singolarmente ognuno di questi problemi ha cause diverse, tutti sono poi indistintamente aggravati dagli effetti della globalizzazione. Un’economia globale senza regole costringe lavoratori, comunità e stati a mettersi in competizione tra loro per attrarre gli investimenti, in modo tale che ciascuno di loro si sforzi di portare il costo del lavoro, le spese sociali e ambientali al di sotto di quelle altrui. Ne consegue un “livellamento verso il basso”, una disastrosa “corsa verso il fondo” nel corso della quale le condizioni generali tendono a scendere verso il livello dei più poveri e dei più disperati.

In parte il livellamento verso il basso è la conseguenza non programmata di milioni di decisioni indipendenti prese da individui e da imprese che perseguono i propri interessi privati, ma esso è anche un consapevole obiettivo politico delle imprese globali, le quali si sono preoccupate di imporre ai governi nazionali, locali e alle istituzioni internazionali un vero e proprio “Programma delle imprese”. L’obiettivo di questo programma è il ridimensionamento di tutte le barriere che ostacolano il livellamento verso il basso dei costi ambientali, lavoratori e sociali. Esso è stato incorporato in accordi commerciali come il Nafta, nelle “terapie da shock” e nelle politiche di “aggiustamento strutturale” adottate dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale, come pure nelle politiche governative che peggiorano le condizioni della maggioranza della popolazione in nome della “competitività”.

Povertà, disoccupazione, disuguaglianza,influenza delle grandi imprese sul potere politico, stagnazione economica e degrado ambientale non sono certo problemi nuovi e negli ultimi due secoli i popoli li hanno affrontati soprattutto facendo leva sui meccanismi democratici di governo e sulla mobilitazione sociale a livello nazionale. Quando però le grandi imprese sono divenute sempre più globali e quando delle istituzioni sopranazionali come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e il Gatt sono divenuti progressivamente più potenti, questi strumenti si sono dimostrati ogni giorno meno efficaci. L’influenza che le forze popolari avevano conquistato sulla scena nazionale è stata largamente aggirata dalla globalizzazione. Questa situazione può facilmente causare un diffuso senso di impotenza dinanzi a forze globali non tenute a rispondere a nulla e a nessuno dei propri atti.

La globalizzazione è un processo di enorme complessità, che coinvolge pressoché ogni aspetto della vita planetaria. Una parte consistente di tale processo è occulta, essendo stipulata attraverso negoziati segreti che hanno per oggetto accordi commerciali e alleanze tra le imprese. A questo va aggiunto che le contabilità di tali accordi e alleanze sono registrate nei libri aziendali riservati, ma non nei dati forniti alle autorità fiscali dei vari stati. Per quanto armati dei nostri documenti, è di conseguenza probabile che gli storici futuri avranno da discutere molto a lungo, per capire come andavano veramente le cose all’epoca della globalizzazione.

Per contro, chi è minacciato dalla globalizzazione stessa ha bisogno per potersi difendere di comprendere nel miglior modo possibile ciò che sta accadendo, mentre l’informazione a disposizione è frammentata tra campi disciplinari e impostazioni politiche diverse.

 

 

RESISTERE ALLA NUOVA ECONOMIA GLOBALE

 

Per la maggior parte della popolazione del pianeta la Nuova economia mondiale è una catastrofe già in corso: chi ne è colpito non può sfuggirle e d’altra parte nemmeno può permettersi il lusso di accettarla. Questa situazione ha provocato una diffusa quanto misconosciuta serie di rivolte contro gli accordi commerciali internazionali, contro i programmi di austerità delle “terapie da shock” e degli “aggiustamenti strutturali”, contro la perdita di diritti, il peggioramento delle condizioni di vita e altre conseguenze della globalizzazione. Questi che seguono sono episodi che anche se non hanno avuto grande rilevanza mediatica hanno un importante valore politico.

·        Contro il Nafta si è costituita una inedita coalizione di ambientalisti, sindacalisti, agricoltori, difensori per i diritti dei consumatori  e altri attivisti statunitensi canadesi e messicani. Pur dovendo fronteggiare una compatta alleanza formata dai tre rispettivi governi e dai due principali partiti americani, al Congresso degli Stati Uniti essi sono stati sconfitti per un pugno di voti appena;

·        Organizzata nell’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln), la popolazione della provincia messicana del Chiapas ha imposto il suo controllo sulle principali città della regione. Oltre a chiedere la democratizzazione, la riforma agraria e i diritti per i nativi, essi hanno affermato: “Il Nafta è il certificato di morte per le popolazioni indigene del Messico. Noi siamo insorti per rispondere alla sentenza di morte pronunciata contro il nostro popolo dal presidente Salinas”;

·        Centinaia di migliaia di studenti e lavoratori francesi sono scesi in piazza e si sono scontrati con la polizia per opporsi a un decreto, che introduceva paghe per i giovani lavoratori del 20-70 percento più basse rispetto ai minimi contrattuali vigenti. Dopo diverse settimane di incidenti nelle principali città il governo ha ritirato il decreto.

·        Nella città indiana di Bangalore circa mezzo milione di agricoltori hanno partecipato a un “satyagrah del seme” per protestare contro i provvedimenti suggeriti dal Gatt, che a loro avviso avrebbero permesso alle imprese globali di distruggere i propri mezzi di sussistenza. I manifestanti sono stati dai rappresentanti di aziende agricole e di altre organizzazioni dell’Etiopia,delle Filippine, della Malesia, dello Sri Lanka, della Thailandia, del Nicaragua, del Brasile, dell’Indonesia, della Corea e dello Zimbawe che condividevano le loro medesime preoccupazioni;

·        I lavoratori del Belgio hanno proclamato uno sciopero generale, il primo dal 1936, per opporsi ad un pacchetto governativo di misure di austerità che congelava i salari reali ed effettuava tagli all’assistenza pubblica, al sistema sanitario e a quello pensionistico per recuperare “competitività sui mercati esteri”. Lo sciopero generale ha paralizzato il sistema dei trasporti, la navigazione, il servizio postale e quello scolastico, bloccando uffici di imprese globali del calibro della General Motors, della Bayer e della Basf;

·        In Polonia i partiti che sostenevano la “terapia da shock” sono stati puniti dagli elettori. Quando il nuovo governo si è dimostrato incapace di mantenere le sue promesse di aumenti salariali e delle spese sociali, 30000 lavoratori provenienti da tutta la Polonia hanno marciato su Varsavia in segno di protesta;

·        Più di un milione di persone ha partecipato a manifestazioni parallele in 150 città per protestare contro la crescente disoccupazione. Da Londra a Roma, i lavoratori hanno scioperato per richiamare l’attenzione sulla perdita di posti di lavoro.

Questi avvenimenti possono apparire scollegati ma non lo sono.Se da una parte ciascuno di essi ha motivazioni e caratteri specifici, dall’altro essi sono parte di una resistenza, mondiale e poco riconosciuta, agli effetti della globalizzazione, come pure lo sono centinaia di azioni simili in un gran numero di altri paesi. Per il futuro della politica mondiale sarà decisivo il carattere che assumeranno i movimenti che scaturiscono da queste iniziative, se cioè essi rimarranno limitati alla rivendicazione della tutela di interessi ristretti, se sfoceranno in esplosioni di rabbia sciovinistica oppure se saranno in grado di imboccare strade più costruttive. Su questo ultimo punto si stanno facendo grandi passi anche se ogni manifestazione è accompagnata da duri scontri causati per la maggior parte dalle forze del disordine.

 

 

 

 

 

 

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