Proposta alternativa di documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice del G8 tenuto a Genova

 

 

 

(presentata dai senatori Bassanini, Dentamaro, Iovene, Marini, Petrini,
Turroni, Villone)

INDICE

INTRODUZIONE

Capitolo I
I FATTI DI GENOVA
Le Fonti

1. Le manifestazioni del 19 luglio: le donne iraniane e il corteo dei
migrantes

2. Le manifestazioni del 20 luglio: le piazze tematiche; il corteo della
CUB; il corteo delle Tute Bianche.

2.1 Il Blocco Nero - I Black Blockers
2.2. Le Piazze Tematiche e i cortei
2.3. Il corteo della CUB a Ponente
2.4. Il corteo delle "tute bianche" dallo stadio Carlini a via Tolemaide.
3. Gli scontri a piazza Alimonda e la morte di Carlo Giuliani.
4 . Il corteo internazionale di sabato 21 luglio.
5. La perquisizione alla scuola Pertini (ex Diaz).
6. La perquisizione al centro stampa - media center nella scuola
Diaz-Pascoli.

7. L'uso legittimo della forza, i feriti e i manganelli "tonfa".
7.1. La relazione Cernetig
7.2. La distruzione di materiali video e fotografici.
7.3. L'uso del "tonfa" e dei manganelli
7.4. L'uso dei blindati
7.5. L'uso delle armi

Capitolo II
BOLZANETO: LA CASERMA NINO BIXIO

Capitolo III
ORDINE PUBBLICO A GENOVA E PROPOSTE DI RIFORMA


Capitolo IV
INTERPRETAZIONE DELLA VICENDA

Introduzione

Nei giorni 19, 20 e 21 luglio 2001 si tenne a Genova il cosiddetto G8,
vertice dei sette Paesi più industrializzati del mondo più la Russia. I
giorni dei vertice furono caratterizzati da gravi disordini e dalla morte
di un giovane manifestante, Carlo Giuliani, che fu colpito da un colpo
d'arma da fuoco esploso da un carabiniere accerchiato da manifestanti. I
gruppi parlamentari dell'Ulivo chiesero un'indagine parlamentare; ricevuta
dalla maggioranza una risposta negativa presentarono una mozione di
sfiducia nei confronti del Ministro degli Interni Claudio Scajola. Il
Senato respinse la mozione di sfiducia. Successivamente, anche per
l'impegno politico e parlamentare del centro-sinistra, per la domanda di
verità che veniva dai mezzi d'informazione e dall'opinione pubblica, per il
moltiplicarsi di notizie di abusi perpetrati nei confronti di manifestanti
inermi, per l'irritazione che i fatti avevano suscitato in molti paesi
europei, la maggioranza fu costretta ad approvare la richiesta d'indagine
parlamentare.
Il 1 agosto tanto la Commissione Affari Costituzionali del Senato quanto
l'analoga Commissione del Senato approvarono la richiesta d'indagine sulla
quale i gruppi parlamentari del centro sinistra aveva continuato ad
insistere.

Conseguentemente il Presidente della Camera attivava le procedure per
addivenire alle intese con il Presidente del Senato necessarie per
procedere allo svolgimento congiunto da parte delle due Commissioni
dell'indagine conoscitiva.
Le intese perfezionate in data 2 agosto 2001, prevedevano che le due
Commissioni avrebbero proceduto nell'indagine costituendo un apposito
Comitato paritetico costituito da 36 membri (18 deputati e 18 senatori)
ripartiti tra i Gruppi secondo i consueti criteri vigenti per la formazione
degli organi bicamerali, secondo i criteri della rappresentatività e della
proporzionalità dei Gruppi, nel rispetto del margine di maggioranza.
Il Comitato sarebbe stato presieduto da un deputato in applicazione della
prassi secondo la quale il Regolamento destinato a disciplinarne l'attività
è quello della Camera che per prima ha deliberato l'indagine conoscitiva.
L'Ufficio di Presidenza del Comitato (composto, oltre che dal Presidente,
da due Vice Presidenti e da due segretari) sarebbe stato nominato sulla
base delle intese raggiunte in sede di Uffici di Presidenza congiunti delle
due Commissioni, integrati dai rappresentanti dei Gruppi, ovvero, in
mancanza di unanimità eletto - come da prassi - direttamente dal Comitato .
Il termine per la conclusione dell'indagine veniva fissato per il 20
settembre 2001.
Nella riunione del 3agosto 2001, gli Uffici di Presidenza, entrambi
integrati dai rappresentanti dei Gruppi, delle due Commissioni procedevano
alla Costituzione del Comitato paritetico per l'indagine conoscitiva.
Il Comitato è stato quindi composto, in base alle designazioni dei Gruppi,
dai deputati Donato Bruno (FI), Fabrizio Cicchitto (FI), Filippo Mancuso
(FI), Nitto Francesco Palma (FI), Michele Saponara (FI), Luciano Violante
(DS-U), Antonio Soda (DS-U), Grazia Labate (DS-U), Katia Zanotti (DS-U),
Gianfranco Anedda (AN), Roberto Menia (AN), Filippo Ascierto (AN),
Gianclaudio Bressa (Margherita, DL-L'Ulivo), Giannicola Sinisi (Margherita,
DL-L'Ulivo), Marco Boato (Misto), Erminia Mazzoni (CCD-CDU-Biancofiore),
Pietro Fontanini (LNP), Graziella Mascia (RC) e dai senatori Gabriele
Boscetto (FI), Luciano Falcier (FI), Maria Claudia Ioannucci (FI); Andrea
Pastore (FI), Antonio Tommasini (FI), Franco Bassanini (DS-U), Massimo
Villone (DS-U), Antonio Iovene (DS-U), Luciano Magnalbò (AN), Luigi Bobbio
(AN), Ida Dentamaro (Margherita, DL-L'Ulivo), Pierluigi Petrini
(Margherita, DL-L'Ulivo), Antonio Del Pennino (Misto), Cesare Marini
(Misto), Graziano Maffioli (CCD-CDU-Biancofiore), Cesarino Monti (LNP),
Sauro Turroni (Verdi- l'Ulivo) e Alois Kofler (Per le autonomie).
L'ufficio di presidenza del Comitato è stato cosi' costituito: Presidente:
Donato Bruno; Vicepresidenti: deputato Gianfranco Anedda e senatore Franco
Bassanini; Segretari: deputato Gianclaudio Bressa e senatore Graziano
Maffioli.
Gli uffici di presidenza integrati dai rappresentanti dei gruppi della I
Commissione della Camera e della 1a Commissione del Senato, nel corso della
stessa riunione, hanno convenuto che l'indagine conoscitiva avrebbe avuto
ad oggetto i fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova.
Nella medesima giornata del 3 agosto 2001 si è riunito l'Ufficio di
Presidenza del Comitato, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, che ha
deliberato il programma dei lavori del Comitato medesimo. In particolare si
è convenuto che il Comitato tenesse i propri lavori nel corso delle
settimane dal 7 al 9 agosto, dal 28 al 30 agosto, dal 4 al 6 settembre e
dall'11 al 13 settembre.
I lavori del Comitato sono iniziati il 7 agosto 2001 e sono proseguiti con
lo svolgimento delle audizioni, sino al 7 settembre 2001. Le sedute
dedicate allo svolgimento di audizioni sono state 10; le audizioni svolte
sono state complessivamente 27.
Conclusa questa fase procedurale, secondo quanto convenuto nelle intese dei
Presidenti dei due rami del Parlamento, nella riunione dell'Ufficio di
Presidenza del Comitato, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, del 7
settembre 2001 si è stabilito che il Comitato avrebbe proseguito i lavori
per la predisposizione di uno schema di documento conclusivo.
Si è convenuto in proposito che i lavori istruttori, finalizzati alla
predisposizione di una bozza dello schema conclusivo, si sarebbero svolti
in sede di Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi
alle cui riunioni sarebbero stati, comunque, invitati a partecipare tutti i
componenti del Comitato.
Sulla base degli orientamenti emersi in sede di Ufficio di presidenza, il
Presidente avrebbe presentato uno schema di documento conclusivo da
sottoporre al Comitato in seduta plenaria ai fini della sua adozione; si è
altresì stabilito che in tale sede non si sarebbe proceduto a votazione di
eventuali proposte emendative, il cui esame sarebbe stato riservato alla
fase di discussione presso le due Commissioni Affari Costituzionali di
Camera e Senato, sulla base delle rispettive norme regolamentari.

Lo schema illustrato dal Presidente al Comitato ed alla Commissione non è
condiviso dai presentatori di questa relazione. Essi esprimono
apprezzamento per il modo equilibrato ed efficace con il quale i lavori
sono stati diretti dall'on. Bruno; ma non condividono il documento
presentato perché non contiene una precisa descrizione degli eventi, non ha
approfondito i fatti di particolare rilievo, a partire dalla dinamica degli
incidenti che portarono alla morte di Carlo Giuliani, è privo di proposte
per la gestione migliore dell'ordine pubblico, è privo, infine, di una
valutazione complessiva degli eventi di Genova.

Impostazione della relazione

Questa relazione si articola in quattro capitoli. Il primo descrive il
corso degli eventi. Il secondo si sofferma sui tre episodi più gravi: la
morte di Carlo Giuliani, la perquisizione nella scuola Diaz, gli
avvenimenti verificatisi nella caserma di Bolzaneto. Il terzo analizza le
questioni più strettamente relative all'ordine pubblico in Genova e propone
alcune misure per una più ordinata gestione della sicurezza. Il quarto
presenta un contributo politico interpretativo della vicenda. Le brevi
conclusioni riassumono alcuni punti d'indirizzo politico.

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Capitolo I
I FATTI DI GENOVA
Le Fonti

I fatti sono ricostruiti sulla base della documentazione acquisita dal
Comitato nel corso delle audizioni, delle dichiarazioni rese dalle persone
ascoltate, delle relazioni, anche riservate, trasmesse o consegnate al
medesimo Comitato, dei filmati e delle foto.
I documenti audiovisivi sono stati confrontati fra loro, localizzando gli
episodi sulla cartografia di Genova e riscontrandone gli orari attraverso
le relazioni di servizio delle forze dell'ordine e il brogliaccio delle
comunicazioni radio dei servizi di OP.
Nei casi più significativi, si è indicata specificamente la fonte
dell'informazione.
Le immagini video relative alla perquisizione della scuola Pertini (ex
Diaz) sono state confrontate con le planimetrie dei vari piani dell'edificio

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.

1. Le manifestazioni del 19 luglio: le donne iraniane e il corteo dei
migrantes

Il 19 luglio, promosse rispettivamente dalle "Donne Democratiche Iraniane"
e dal "Genova Social Forum (GSF) ", si svolgono regolarmente e senza
incidenti due cortei. In particolare il secondo corteo, quello dei
migrantes, è composto da circa 50.000 persone, si sviluppa da piazza
Sarzano a piazza Kennedy, ha un carattere festoso e suscita manifestazioni
di solidarietà da parte dei cittadini.
Il colonnello Tesser ha informato il Comitato che nella serata, dopo la
conclusione del corteo, alcuni sconosciuti gettano sassi contro Forte
S.Giuliano AA.PP., colonnello Tesser, seduta del 30 agosto 2001, p.45.,
sede del comando regionale dell'Arma.

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2. Le manifestazioni del 20 luglio: le piazze tematiche; il corteo della
CUB; il corteo delle Tute Bianche.

2.1 Il Blocco Nero - I Black Blockers

L'ordinanza del 12 luglio 2001 del questore Colucci dimostra una perfetta
conoscenza della frangia definita anarco-insurrezionalista, i così detti
black blockers, dei loro comportamenti e metodi; definisce la strategia per
il loro contenimento e contrasto attraverso contingenti di forze
dell'ordine molto mobili, per accerchiarli e bloccarli.
Le relazioni riservate del SISDE del 19 e 20 luglio hanno dato conto di due
distinte riunioni degli esponenti che si richiamano ai black blockers nelle
quali erano state discusse le modalità degli attacchi programmati per la
giornata del 20 luglio, l'ora e il luogo in cui essi sarebbero iniziati. I
servizi informano che circa 300/500 militanti si sarebbero concentrati,
alle ore 12 in piazza Paolo Da Novi. Alle due riunioni di cui alle note 189
e 201 del SISDE, partecipano esponenti di gruppi italiani, tedeschi, greci,
spagnoli e inglesi che vogliono alzare il livello dello scontro e comunque
causare danni ingenti.
Entrambe le note, oltre ad essere trasmesse ai vertici delle forze
dell'ordine con fax urgente, sono direttamente comunicate alla Digos di
Genova. Come si vedrà poi, il giorno 20 luglio i black blockers si
concentreranno appunto in piazza Paolo Da Novi iniziando da lì le loro
devastazioni.

Le preventivate azioni di contrasto non vengono messe in atto.
Nella mattinata del 20 luglio, poco dopo le ore 11.30, un folto corteo di
black blockers risale via Rimassa e corso Torino, diretto verso piazza Da
Novi, piazza tematica "autorizzata", dove si sta svolgendo il presidio dei
Cobas.

Lungo il percorso per accedere alla zona, i black blockers devastano,
incendiano usano i cassonetti per erigere barricate. All'altezza di corso
Buenos Aires i black blockers attaccano i Carabinieri che cominciano ad
arretrare in piazza Paolo Da Novi.
I Cobas abbandonano il presidio per non essere coinvolti nello scontro tra
black blockers e Carabinieri.

I Carabinieri si fermano all'incrocio tra corso Buenos Aires e corso
Torino, mentre i Cobas, arretrando da piazza Paolo Da Novi, si dirigono
verso piazza Palermo, già colpita da incendi e devastazioni, e poi
attraverso via Casaregis si spostano verso piazzale Kennedy. Nel frattempo
i black blockers occupano tutta la zona tra corso Buenos Aires e via
Casaregis percorrendo via Rimassa per raggiungere il meeting point di
piazzale Kennedy. In questo percorso devastano l'area Bank, danneggiano
gravemente un distributore, incendiano cassonetti che utilizzano come
barricate per intralciare il passaggio delle forze dell'ordine.
I Carabinieri giungono in piazzale Kennedy e lanciano candelotti
lacrimogeni. I black blockers fuggono percorrendo la scaletta che da corso
Italia porta a via Nizza.
Durante la fuga, passano davanti ad un contingente della Guardia di
Finanza, che non interviene Dalle relazioni di servizio della Polizia e dei
Carabinieri, comparate con le immagini video del regista Ferrario,
Telegenova, video depositato dall'on. Labate e resoconto GSF..
Il battaglione Tuscania, inviato sul luogo, sbaglia strada, come confermato
dalla nota del 3 agosto 2001 del dott. Zazzaro, responsabile della Sala
radio della Questura di Genova; giunge pertanto in ritardo, quando i black
blockers si sono già allontanati.
I Carabinieri circondano, invece, il meeting point, dove si sono
asserragliati i Cobas.
Da via Nizza, i black blockers indisturbati si dirigono verso piazza
Palermo; durante il percorso si fermano davanti ad un Commissariato della
PS e lanciano pietre; esce dalla porta un agente, disarmato, che inveisce
contro di loro: i black blockers si ritirano dopo aver danneggiato un'auto.
Attraversano piazza Tommaseo e, lungo via Montevideo e adiacenti,
convergono alle ore 13.15 circa verso la congiunzione tra corso Gastaldi e
via Tolemaide. Vengono date alle fiamme alcune auto. Le forze dell'ordine
non intervengono; alcuni elicotteri sorvolano la zona.

L'assembramento dei black blockers , raggiunta una certa consistenza
numerica, si avvia per via Tolemaide addirittura con bandiere nere e
tamburi, dando vita ad una sconcertante parata esibizionistica.
A differenza di quanto asserito, i black blockers non si muovono sempre per
piccoli gruppi cercando di infiltrarsi nel corteo principale; in questa
occasione si muovono come gruppo autonomo, compatto e facilmente
contrastabile.
All'altezza di corso Torino, i black blockers si esibiscono per le
telecamere di tutte le televisioni. I Carabinieri osservano immobili a non
più di duecento metri di distanza.
Successivamente invece di dirigersi verso piazza Verdi e la Zona Rossa, il
corteo dei black blockers attraversa il tunnel della ferrovia e si
indirizza in corso Sardegna, dove attacca un ufficio postale, e poi,
all'angolo di piazza Giusti, assalta un distributore e quindi un
supermercato; le forze dell'ordine continuano a non intervenire.
I black blockers si spostano quindi verso il ponte sul fiume Bisagno
bruciando una Mercedes: la colonna di fumo si vede da lontano.

In via Canevari si raggruppano, bruciano altre auto e danneggiano un
distributore. Sono le 14.20, come si vede dall'orologio che compare nelle
riprese televisive. E' passata più di un'ora dalla partenza del loro
"corteo". Un'ora durante la quale i black blockers hanno devastato un'area
vasta della città, agendo del tutto indisturbati, nonostante le fiamme
dell'ultimo rogo siano ben visibili anche da piazza Verdi, oltre la
galleria, dove sono attestati centinaia di poliziotti e carabinieri.

I black blockers risalgono poi via Canevari verso Nord, lasciando una scia
di devastazione e di incendi. Raggiungono così piazzale Marassi dove c'è la
casa circondariale, presidiati da un piccolo contingente di carabinieri: 39
militari e 3 furgoni. Qui si dividono. Un gruppo risale la scaletta
Montaldo per raggiungere piazza Manin, dove sono concentrati i pacifisti
della Rete Lilliput.
I black blockers lanciano sassi verso i Carabinieri. All'assalto, eseguito
da pochi black blockers, assiste dal ponte un centinaio di persone, alcune
delle quali vestite di nero.
I Carabinieri arretrano con i loro furgoni, formano un piccolo carosello,
lanciano qualche lacrimogeno, quindi si allontanano; i black blockers
assaltano il portone del carcere, lanciano una molotov verso le finestre
dell'edificio e distruggono la targa della casa circondariale La
ricostruzione è effettuata sulla base dei verbali di servizio, delle
chiamate via radio, dei video pervenuti in Commissione; dai verbali di
servizio si apprende che è stata chiamata per 9 volte la centrale operativa
della Questura, solo dopo l'ennesimo tentativo di richiesta urgente di
aiuto, ci si decide ad inviare un contingente di rinforzi, ma quel punto
inutile perché l'assalto è finito ed i BB sono andati via..
L'altro gruppo dei black blockers, che aveva raggiunto piazza Manin, era
stato fronteggiato dai manifestanti pacifici, che lì avevano organizzato la
piazza tematica "autorizzata".

Alle ore 15.09 la sala operativa della Questura invia il dirigente
Pagliuzzo Bonanno con 100 unità dei reparti mobili di Bologna e Firenze a
piazza Manin, verso la quale il dirigente medesimo ordina un lancio di
lacrimogeni (ore 15.19).

Mentre i black blockers si allontanano in direzione di corso Armellini,
dove erigono barricate con cassonetti e sfasciano le vetture in sosta, le
forze dell'ordine caricano i manifestanti della Rete Lilliput, Legambiente,
Marcia delle donne, Rete contro il G8 e altri che hanno le mani alzate e
non attaccano le forze di polizia Comunicazione delle ore 15.27 alla
centrale radio della Questura da cui pochi minuti prima, 15.20, era partito
l'ordine di eseguire alcuni fermi..

Nel frattempo i black blockers, indisturbati, alzano barricate in
corrispondenza di piazza S.Bartolomeo degli Armeni e ricostituiscono il
loro gruppo in corso Solferino e agiscono ancora una volta indisturbati
lungo via Palestro, corso Magenta e corso Paganini.
Seguendo le indicazioni della sala operativa, le forze dell'ordine guidate
dal dottor Pagliuzzo Bonanno si attestano in piazza Marsala.

Alle ore 14.30 circa, un residuo gruppo di appartenenti al corteo dei black
blockers, che si era in precedenza diretto verso corso Sardegna, si attarda
in via Torino ed alla minacciata carica del reparto di polizia comandato
dal dottor Mondelli fugge verso il tunnel della ferrovia attraversando via
Tolemaide, lungo la quale sta sopraggiungendo il corteo delle "tute
bianche" preceduto dal così detto "gruppo di contatto".
I Carabinieri, guidati dal dottor Mondelli non inseguono la retroguardia
dei black blockers che fugge al di la della ferrovia, e che poi si dirigerà
verso Marassi, ma, come si vede dai video di Telegenova, di Indymedia e del
regista Davide Ferrario, caricano il gruppo di contatto del corteo delle
"tute bianche" e subito dopo il corteo medesimo

I black blockers compariranno anche nella giornata del 21 luglio.

L'episodio più inquietante è testimoniato dal video consegnato dall'on.
Labate e dalle comunicazioni della centrale operativa della Questura, da
cui risulta che per oltre mezz'ora un gruppo di black blockers ha potuto
agire indisturbato in via Rimassa, approvvigionandosi di aste di legno e di
mattoni in una banca e in altri uffici saccheggiati il giorno prima.

I fatti sopra esposti e la loro concatenazione indicano con chiarezza che
nei confronti dei più violenti, identificati nella frangia
anarco-insurrezionalista dei black blockers non sono state poste in essere
le necessarie misure di contenimento e contrasto, pur individuate dalla
ordinanza del questore Colucci del 12 luglio 2001 e confermate nella
riunione operativa del 13 luglio.

I black blockers sono stati lasciati liberi di agire indisturbati, seguiti,
talvolta, da contingenti di forze dell'ordine che non riescono a
raggiungerli e che a volte si scontrano con gruppi di manifestanti
pacifici. In piazza Manin sono stati i pacifisti a tentare di respingere i
black blockers .

Le azioni dei black blockers sono state seguite dall'alto dagli elicotteri;
le loro evoluzioni e la loro localizzazione risultano chiaramente dalle
comunicazioni radio da e verso la sala operativa della questura.

I filmati consegnati al Comitato mostrano in più di un'occasione
manifestanti pacifici respingere violenti vestiti di nero, intenti a
sfasciare vetrine o ad introdursi all'interno dei cortei.

Il filmato del regista Davide Ferrario mostra altresì, in occasione degli
scontri di via Tolemaide del 20 luglio, un uomo vestito di nero e travisato
che avanza, solo, a brevissima distanza, verso un reparto di Carabinieri,
che arretrano.

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2.2. Le Piazze Tematiche e i cortei

Il GSF ha tenuto frequenti contatti con il Questore, Autorità locale di
pubblica sicurezza, per informarlo delle diverse iniziative progettate. Gli
atti principali sono una richiesta del GSF del 16 luglio ed un successivo
provvedimento del Questore del 19 luglio.
Con la richiesta del 16 luglio, il GSF informa il Questore di Genova che
nel corso delle giornate del vertice si sarebbero tenute manifestazioni
statiche e cortei; dal preavviso risulta l'intenzione di diverse
associazioni aderenti al GSF di accerchiare simbolicamente la zona rossa.
Questo documento è stato consegnato al Comitato dal dottor Vittorio
Agnoletto il 6 settembre, nel corso dell'audizione, ma non compare nella
documentazione trasmessa al Comitato dal Prefetto di Genova e dal Questore
Colucci .
Il provvedimento del 19 luglio del Questore di Genova prende atto delle
iniziative che si sarebbero svolte nelle cosiddette piazze tematiche,
prende atto altresì dello svolgimento, in data 20 luglio 2001, della
manifestazione della CUB a ponente e del corteo delle "tute bianche" sino a
piazza Verdi, vietando il corteo per il tratto tra piazza Verdi e piazza De
Ferrari. Il corteo delle "tute bianche" può svolgersi pertanto solo fino a
piazza Verdi.
Le iniziative nelle piazze tematiche si sono svolte secondo i preavvisi
depositati e conformemente alle prescrizioni notificate dalla Questura.
Erano note le organizzazioni e i responsabili:
Presidio di piazza Manin / via Assarotti: Rete Lilliput, Legambiente ,
Marcia delle Donne e Rete Contro G8.
Presidio di piazza Paolo Da Novi: Cobas, Network per i diritti globali e
Movimento antagonista Toscano.
Corteo di piazza Di Negro: la CUB con l'adesione dello Slai Cobas.
Corteo di corso Gastaldi: Tute bianche, Giovani Comunisti, Rage di Roma,
Rete No Global di Napoli .
Piazza Dante: Arci, Attac, Fiom Cgil, Rifondazione Comunista, Unione degli
Studenti, Unione degli Universitari, Centri Sociali di Milano Torchiera e
Baraonda, Cerchio G8 Lila.

Il GSF fin dal 9 maggio 2001 aveva formalmente presentato al Questore di
Genova il preavviso per alcune manifestazioni in forma statica in alcune
piazze (piazze tematiche) nelle quali diverse associazioni aderenti al GSF
intendevano, sulla base delle proprie specificità, comunque "cingere
d'assedio" la Zona Rossa.

Ancora nell'ordinanza del Questore del 12 luglio la decisione sulle piazze
tematiche è sospesa e rinviata ad una data successiva. Ad una riunione
indetta dal questore il 13 luglio prendono parte tutti i funzionari di
pubblica sicurezza e gli ufficiali delle altre forze di polizia e delle
forze armate impegnati nella gestione del G8. Intervengono, in particolare,
il prefetto di Genova, il prefetto Andreassi, il Capo della Polizia, il
Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri, l'ambasciatore Vattani e il
Ministro dell'Interno. In tale riunione viene deciso di modificare nella
sostanza la ordinanza del prefetto del 2 giugno 2001, rendendo così
possibili manifestazioni di piazza all'interno della Zona Gialla allo scopo
di alleggerire la tensione con manifestanti che si preannunciavano del
tutto pacifici.
Il Prefetto Andreassi, a sua volta, con riferimento alla riunione del 13
luglio precisa:
"La parte preponderante dei manifestanti apparteneva a movimenti non
violenti, alcuni dei quali avrebbero compiuto azioni dimostrative anche a
ridosso della Zona Rossa per simboleggiare l'invasione o l'accerchiamento.
Nei confronti di costoro occorreva limitarsi ad un cauto controllo per
impedire che certe iniziative potessero debordare".

Il Prefetto Andreassi aggiunge inoltre:
"Completai queste direttive rinnovando, in una sorta di decalogo, le
indicazioni che avevo più volte ripetuto e dalle quali erano state tratte
alcune delle regole contenute in un vademecum, ormai ampiamente noto,
distribuito a tutto il personale AA.PP., dott. Andreassi, seduta del del 28
agosto 2001, pp. 217."

Con decreto del Questore di Genova del 19 luglio 2001 si prende atto delle
manifestazioni stanziali nelle piazze Manin, Villa, Dello Zerbino, Paolo Da
Novi, Dante e Carignano.
La manifestazione stanziale di piazza Manin è organizzata da Rete Lilliput,
Legambiente, Marcia delle Donne e Rete contro il G8; la manifestazione
stanziale di piazza Dante è organizzata da Arci, Attac, Lila, Rifondazione
Comunista, Fiom, Udi, Uds e alcuni centri sociali; la manifestazione
stanziale di piazza Da Novi è organizzata da Cobas, Network per i diritti
globali e dal Movimento antagonista toscano, tutti aderenti al GSF.

In piazza Dante e nelle piazze Corvetto e Marsala vengono inscenate azioni
dimostrative volte a violare simbolicamente la Zona Rossa. Le relazioni di
servizio delle forze di polizia e dei carabinieri impiegati per contrastare
tali azioni, e le stesse immagini dei filmati, testimoniano però che si è
trattato di azioni non solo simboliche: le barriere metalliche sono state
scosse, si è tentato di aprire dei varchi e di scavalcare le recinzioni. I
manifestanti sono stati fermati mediante gli idranti del Corpo Forestale
dello Stato Si vedano le relazioni di servizio del maggiore Vox, del
sottotenente Piccoli, del Tenente colonnello Ortolani nonché la lettera del
Colonnello Tesser del 10 settembre 2001 e le analoghe relazioni di servizio
di funzionari di polizia (dottor Montagnose, dottor Delavigne).
; due francesi, che erano passati attraverso un varco nella griglia, sono
fermati ed accompagnati fuori della zona rossa.

Intorno alle 14 avvengono incidenti tra le forze dell'ordine ed i black
blockers nei pressi di piazza Alessi.
Verso le 15 il corteo di Globalize Resistence raggiunge le due piazze Dante
e Carignano.
Le notizie degli scontri e delle devastazioni si infittiscono e alle 15,45
il sindaco della città rivolge un appello a Vittorio Agnoletto portavoce
del GSF, chiedendo che cessino le manfestazioni sulle piazze tematiche
poiché la città è devastata, la tensione non è più tollerabile, e le forze
dell'ordine impegnate a fronteggiare le iniziative del GSF non riescono a
far fronte ai focolai dei violenti. La telefonata è trasmessa in diretta
televisiva su Primocanale.
Poco più tardi il dott. Agnoletto comunica al sindaco e al Prefetto
Andreassi la decisione di sospendere la manifestazione in piazza Dante. La
piazza alle ore 16.30 viene effettivamente abbandonata dai manifestanti,
che si dispongono in corteo per risalire lungo via Fieschi e raggiungere il
meeting Point di Piazzale Kennedy. La polizia lancia due, tre lacrimogeni
sulla coda del corteo, si crea panico e disordine ma tutto si ricompone;
piazza Dante alle 17 è sgombra ed il corteo raggiunge pacificamente
piazzale Kennedy.

In piazza Manin, circa alle ore 15.10, al sopraggiungere dei black
blockers, che avevano precedentemente assaltato la casa circondariale di
Marassi, si verifica una contrapposizione fra i pacifisti e i black
blockers all'imbocco di via Assarotti. Ma non appena i black blockers si
allontanano, gli agenti della Polizia di Stato, preceduti da un lancio di
lacrimogeni, irrompono in piazza Manin e caricano i manifestanti pacifici
che, come risulta dalle comunicazione radio della sala operativa, hanno le
mani alzate.
In questa circostanza, così come in piazza De Novi in relazione alla
manifestazione dei Cobas, il comportamento delle forze dell'ordine ha
palesemente contraddetto le direttive generali correttamente ricordate dal
Prefetto Andreassi nella citata audizione del 28 agosto 2001. Con decisione
analoga a quella presa dai manifestanti di piazza Dante, e nello stesso
torno di tempo, anche i manifestanti di piazza Manin decidono di
smobilitare il proprio presidio e di raggiungere piazzale Kennedy.

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2.3. Il corteo della CUB a Ponente

L'ordinanza del Questore del 12 luglio sospende la decisione relativa al
corteo della CUB da piazza Montano a Fontana Marose, preavvisato sin dai
primi di maggio.
Fino alla sera del 17 luglio non vi è alcuna certezza sul percorso del
corteo e solo a tarda sera vi è una formale presa d'atto, con prescrizioni
che limitano il percorso da piazza Montano a piazza Di Negro.
La decisione riguardante la presa d'atto del corteo con partenza da Ponente
deriva dal mutato orientamento dei vertici delle forze di polizia
finalizzato a ridurre la tensione.

L'ordinanza del questore del 19 luglio fa esplicito riferimento alla presa
d'atto del corteo della CUB. Il corteo, piuttosto omogeneo nella sua
composizione, a cui partecipano delegazioni dello SLAI COBAS, del sindacato
USI e anche il Coordinamento Anarchici contro il G8 (FAI) e del Campo
Antimperialista, si svolge regolarmente nonostante alcuni attimi di
tensione, risolti senza particolari complicazioni Si veda la relazione di
servizio del Maggiore dei CC Zanardi consegnata il 10 settembre dal col.
Tesser.

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2.4. Il corteo delle "tute bianche" dallo stadio Carlini a via Tolemaide.

Tra le manifestazioni preannunciate dal G.S.F. al Questore di Genova era
indicato il corteo delle "tute bianche" del 20 luglio che sarebbe partito
dallo stadio Carlini attraverso corso Gastaldi, via Tolemaide, piazza Verdi
fino a via XX settembre e piazza De Ferrari.
Il 19 luglio il Questore di Genova emette il già ricordato decreto con il
quale, prendendone atto, pone limiti al predetto corteo, vietandone la
prosecuzione oltre piazza Verdi, al limite esterno della zona gialla.
Lo stesso 19 luglio il Questore emette una nuova ordinanza di servizio, a
parziale modifica ed integrazione della precedente del 12 luglio,
contenente la disciplina dei servizi di ordine e sicurezza pubblica per il
20 luglio. Nella parte preliminare dell'ordinanza si elencano le
manifestazioni del 20 luglio, non si fa cenno alla manifestazione di cui
trattasi, come se essa non fosse prevista. Solo a pagina 5 della predetta
ordinanza si richiama il corteo e se ne delimita il percorso, assegnando
quindi i contingenti di forze dell'ordine, da impiegare prevalentemente in
piazza Verdi, all'ingresso della quale il corteo dovrà concludersi.

L'ordinanza non dispone che il corteo sia preceduto, seguito ed affiancato
da contingenti di forze dell'ordine, allo scopo anche di garantirne un
tranquillo svolgimento, così come invece era previsto dalla precedente
ordinanza di servizio del 12 luglio del questore di Genova.

Inspiegabilmente tutte le audizioni, fino a quella del 6 settembre del
dott. Agnoletto, non informano il Comitato circa la legittimità del corteo
delle "tute bianche" dallo stadio Carlini a via Tolemaide. Al contrario,
tanto la comunicazione del Ministro dell'interno Scajola alla Commissione
Affari Costituzionali del Senato e in Aula della Camera il 23 luglio quanto
le dichiarazioni di tutti coloro che avevano responsabilità dirette ed
indirette per l'ordine pubblico affermano che il corteo era vietato.
Il Colonnello dei Carabinieri Tesser ancora il 10 settembre invia una
relazione al Comitato, con cui trasmette le relazioni di servizio dei
responsabili dei contingenti dei Carabinieri durante il G8, nella quale
afferma che il corteo non è autorizzato.
Fino al 6 settembre quindi l'intero Comitato ha ricevuto informazioni
inesatte. La circostanza è grave perché in relazione proprio a questo
corteo e alla dinamica dei fatti ad esso connessi, si originarono gli
scontri poi culminati tragicamente nella morte di Carlo Giuliani.
Il corteo parte intorno alle ore 13 dallo stadio Carlini. Al suo interno,
confuso tra i manifestanti, si ritrova un giornalista di Studio Aperto
della Mediaset, Franco Berruti, che inizia la sua trasmissione diretta
dallo stadio Carlini alle ore 12.32 Si veda il video di Studio Aperto del
giorno 20 luglio 2001. Il giornalista afferma in diretta che i manifestanti
si sentono rassicurati e protetti dai container installati nella notte e
che intendono manifestare in modo non violento.
Alle ore 14.28 il giornalista nuovamente in diretta telefonica afferma
ancora una volta che si tratta di un corteo pacifico, attrezzato con soli
scudi protettivi e che i componenti dichiarano di non voler rompere nulla.
Il giornalista, alle ore 14.30, informa che i manifestanti hanno disarmato
e allontanato alcuni personaggi che impugnavano mazze. Quando il corteo
giunge in prossimità di un'auto in precedenza incendiata dai balck
blockers, si vede e si ascolta chiaramente uno degli organizzatori ripetere
più volte che l'auto non è stata incendiata dai partecipanti al corteo.
Poco dopo le 14.30 il corteo, giunto in via Tolemaide in prossimità
dell'intersezione con corso Torino, viene caricato da un contingente di
carabinieri .
L'azione è chiaramente descritta nei video di Telegenova e del regista
Ferrario, oltre che in altri filmati che mostrano le cariche , la
situazione e il comportamento dei dimostranti e il successivo svolgimento
dei fatti. I filmati mostrano che dal corteo non viene lanciato alcun
oggetto verso le forze dell'ordine: né sassi, né bottiglie, né molotov.

Come già descritto nel paragrafo riguardante i black blockers, questi
ultimi, verso le 14.30, dopo aver percorso via Tolemaide ed altre strade
compiendo indisturbati devastazioni ed atti vandalici, imboccano il
sottopassaggio della ferrovia e si dirigono verso corso Sardegna.
Mentre sopraggiunge il corteo delle tute bianche, un piccolo gruppo di
black blockers si attarda in corso Torino, da cui poi si allontana
inseguito da un contingente dei Carabinieri; il gruppo imbocca il tunnel
sotto la ferrovia, dopo essere passato in mezzo al gruppo di contatto che
precedeva il corteo proveniente dal Carlini e che si era diviso in due
parti per effetto dei lacrimogeni lanciati dai Carabinieri. Le due parti
del gruppo di contatto - nel quale erano presenti parlamentari, esponenti
politici, organizzatori del corteo e che comprendeva numerosi giornalisti,
operatori televisivi e fotografi - si erano spostate rispetto a corso
Torino, la prima verso piazza Verdi, la seconda era arretrata a fianco
degli scudi.
Nel frattempo i Carabinieri, giunti all'intersezione, si dividono in due
settori: il primo carica la parte del gruppo di contatto in direzione di
piazza Verdi, mentre l'altro prima fronteggia e poi carica la testa del
corteo non appena il primo gruppo , ritornato sui suoi passi, si
ricongiunge Si vedano anche le relazioni dei servizio del dott. Mondelli e
del Capitano dei CC. Antonio Bruno. .

In pochi minuti si vedono avanzare anche i cellulari dei Carabinieri che
sostengono la carica. Inizia così una fitta pioggia di lacrimogeni lanciati
anche dai tetti dei palazzi e dal ponte della ferrovia. Le cariche
diventano continue, il corteo arretra prima lentamente poi più velocemente
sotto l'assillo dei blindati. La calca e la confusione sono terribili.
Alcune centinaia di manifestanti corrono per le vie laterali, bloccate dai
Carabinieri, ed ingaggiano i primi scontri.
Il grosso del corteo arretra fino a corso Gastaldi per ritirarsi verso lo
Stadio Carlini; nelle strade limitrofe la situazione diventa caotica e gli
scontri con le forze dell'ordine sono violenti e continuano nei quartieri
di San Martino e della Foce.
In questo scenario si verifica di tutto: mancanza di coordinamento tra le
forze dell'ordine; reparti pesanti che non riescono a raggiungere i luoghi
delle emergenze in tempo utile, anche perché non conoscono la città; le
autoblindo dei Carabinieri si muovono con difficoltà perché le stradine
sono strette; un autoblindo viene incendiata da manifestanti, due Land
Rover dei Carabinieri di supporto logistico rimangono intrappolate in
piazza Alimonda: una delle due riesce a disimpegnarsi, l'altra è bloccata
da un cassonetto; si erigono barricate, si risponde con lacrimogeni che
annebbiano, e gli assalti dei manifestanti diventano sempre più violenti.
Qui si consuma la tragedia che vede la morte di Carlo Giuliani. Dalle
relazioni di servizio di Polizia di Stato e Carabinieri, dalle
comunicazioni telefoniche e via radio agli atti della Commissione, il
quadro della catena di comando e della gestione dell'ordine pubblico in
questa zona appare disordinato e con alcuni episodi anomali. Il corteo
ridiscende via Tolemaide, ma all'altezza di via Casaregis viene di nuovo
attaccato. L'attacco a piazza Alimonda con la carica dei blindati è per
molti aspetti singolare: parte lateralmente, da via Caffa, per frantumare
il corteo, ma non ha successo e si trasforma in un vero e proprio
inseguimento dei Carabinieri da parte dei manifestanti Video del regista
Ferrario; la colonna dei Carabinieri è del tutto isolata dal resto delle
forze dell'ordine, che invece in altre circostanze appaiono sempre e
correttamente attente a ridurre le distanze tra i reparti. Lo scontro si fa
violento nei pressi di una Land Rover dei Carabinieri, mentre arriva un
contingente della Polizia di Stato che si blocca a circa 50 metri dall'auto
da cui partiranno i due colpi d'arma da fuoco che uccideranno Carlo
Giuliani nell'atto di lanciare un estintore.

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3. Gli scontri a piazza Alimonda e la morte di Carlo Giuliani.

Il 20.07.2001, gli scontri tra forze dell'ordine e manifestanti proseguono
per molte ore e coinvolgono non più solo i black blockers ma frange del
corteo che sono fuggite nelle vie laterali intorno a via Tolemaide. Qui,
tra cariche, ritirate e scontri matura la tragedia.
Da testimonianze raccolte pare che Carlo Giuliani quel pomeriggio non
dovesse essere in piazza; voleva andare al mare, ma la telefonata di un suo
amico lo fa desistere.
Non sappiamo che cosa sia scattato in lui.
Carlo Giuliani si unisce ai compagni, ma tra via Caffa e piazza Alimonda lo
scontro è fatale. Viene ucciso dal proiettile della pistola d'ordinanza del
carabiniere Placanica, il quale era a sua volta oggetto di una violenta
aggressione da parte dei dimostranti che lo avevano ferito e tentavano di
sfasciare l'automezzo (Land Rover) in cui si trovava con altri militari. Lo
stesso Carlo Giuliani, come dimostrano le immagini raccolte dai reporters,
è colpito mentre tenta di lanciare, da brevissima distanza, un estintore
contro il veicolo.
Immediatamente i Carabinieri fanno cordone intorno al corpo, arrivano i
soccorsi prima dei volontari del GSF, poi, del 118. Gli interventi
risultano infruttuosi e poco dopo viene constatato il decesso di Carlo
Giuliani. A circa tre metri dal capo riverso sull'asfalto, in una grande
pozza di sangue, c'è il bossolo del proiettile che il dott. Cremonesi
raccoglie e dà ad un giornalista di Repubblica Lavoro di Genova. Questi lo
mostra ad un carabiniere il quale afferma essere un bossolo da lacrimogeno.
La notizia arriva fino al Vice Questore aggiunto della polizia, dott.
Lauro, che richiede al giornalista la restituzione del bossolo, la cui
consegna avviene alla presenza della Polizia Scientifica e di un altro
funzionario, la dott.ssa Bucci, che provvede a chiamare il pubblico
ministero di turno.
Intorno al corpo circondato dal cordone della polizia, manifestanti
inveiscono contro le forze dell'ordine (si urla "assassini"), quando
comprendono che il giovane è morto raggiunto dal proiettile esploso
dall'arma del carabiniere e che, una volta caduto a terra, era stato
travolto dalla stessa Land Rover che faceva marcia indietro.L'autopsia
rivelerà che in quel momento era già cadavere e che il colpo, perforato lo
zigomo sinistro, aveva attraversato il cranio uscendo dal cervelletto.
Sull'episodio è aperta l'inchiesta della magistratura e le indagini sono in
corso.
Alcuni giovani partecipanti all'attacco contro la Land Rover si sono
presentati nei giorni successivi all'Autorità giudiziaria e nei confronti
di uno di essi è stato già emesso un provvedimento di custodia cautelare.
Dai verbali di servizio dei due funzionari di polizia che erano sul posto
appaiono contraddizioni in relazione alle immagini e alle dichiarazioni.
Si parla di migliaia di manifestanti; ma i video mostrano in piazza
Alimonda circa quaranta dimostranti, una parte dei quali intorno alla Land
Rover isolata. A circa 50 metri sono posizionati dei contingenti delle
forze dell'ordine che non intervengono. I resoconti delle audizioni
documentano come i componenti il comitato abbiano chiesto più di una volta
ed in diverse occasioni agli auditi, le ragioni del mancato intervento; ma
non si è ricevuto risposta.
Alcune immagini video riprendono Carlo Giuliani sempre in canottiera
bianca, con il passamontagna, ma altre, dopo la sua caduta a terra, lo
riprendono con indosso un giubbottino nero.
Gli interrogativi sulla dinamica e le responsabilità della tragica vicenda
potranno essere sciolti solo dalle indagini che la magistratura sta
compiendo.
Rimane di quell'evento la testimonianza esemplare di Giuliano Giuliani,
padre di Carlo, in quei giorni di acuto dolore per la perdita di suo
figlio: "Occorre distinguere il giudizio sulle forze dell'ordine da chi
sbaglia individualmente" .

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4 . Il corteo internazionale di sabato 21 luglio.

Il corteo, regolarmente preannunciato dal GSF, è previsto dalla ordinanza
del Questore del 12 luglio, che ne prende atto, e dispone talune
conseguenti misure di OP. Il percorso è ben noto da tempo, da via Caprera
(Sturla), attraverso via Cavallotti, i corsi Italia, Torino, Sardegna, fino
a piazza Galileo Ferraris (Marassi), per circa 8 km.
Il corteo, contrariamente a quanto stabilito dalla Ordinanza sopra citata,
non è preceduto, né seguito, né fiancheggiato dai necessari contingenti di
forze dell'ordine.
I manifestanti sono circa 200.000 e partono con qualche anticipo. In
corrispondenza di Forte S.Giuliano alcuni dimostranti esterni al corteo
lanciano sassi verso il Comando dei Carabinieri e vengono prontamente
allontanati.

Prima che il corteo raggiunga piazzale Kennedy si verificano i primi
incidenti provocati da un gruppo di violenti, che diverse fonti calcolano
composto da circa 2-300 persone, la cui prima fila, di poche decine, è
costituita da dimostranti vestiti di nero, a differenza degli altri che non
sono contraddistinti da particolare abbigliamento. La stragrande
maggioranza indossa caschi, passamontagna o ha il viso coperto da
fazzoletti.

I violenti, provenendo da più parti ma in particolare da cancelli di
piazzale Kennedy, assalgono le forze dell'ordine schierate in
corrispondenza della Fiera, scagliando inizialmente sassi, divellendo le
pavimentazioni e la segnaletica, impossessandosi delle transenne e di altre
attrezzature mobili per impiegarle contro i reparti schierati, che
reagiscono lanciando lacrimogeni senza effettuare cariche.

Nel frattempo ricompaiono i black blockers, che raggiungono gli uffici e
negozi fra via Rimassa e corso Marconi, già saccheggiati il giorno
precedente, per impossessarsi di assi e mattoni da usare negli scontri.

Alle 14.06 le azioni dei black blockers vengono segnalate alle forze
dell'ordine, che però non intervengono e, restando immobili, si limitano a
sparare lacrimogeni verso i dimostranti.
Non viene messa in atto nessuna azione per accerchiare e disperdere i
violenti, che continuano ad agire indisturbati per oltre 30 minuti.

Il corteo, ancora lontano, sopraggiunge progressivamente e, per non restare
coinvolto nei disordini, anziché raggiungere via Rimassa, devia
anticipatamente per via Casaregis.

Nel frattempo, mentre gran parte del corteo defluisce verso piazza
Ferraris, un gruppo composto da circa 3-400 curiosi, fotografi e
giornalisti si posiziona dietro le spalle dei violenti che incendiano auto
ed erigono barricate.

Alla vista del fumo, e avuta conoscenza degli scontri, la parte terminale
del corteo rallenta la propria avanzata, mentre le forze dell'ordine
iniziano a caricare il gruppo dei violenti che si disperdono. I
manifestanti pacifici che non sono ancora transitati arretrano
precipitosamente e così il corteo si spezza. La dinamica dei fatti è
confermata dai numerosi filmati televisivi acquisiti dal Comitato ed anche
dalla audizione del Questore Colucci.

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5. La perquisizione alla scuola Pertini (ex Diaz).

Nella sera del 21 luglio venne effettuata la perquisizione nella scuola
Pertini (ex Diaz)
Le relazioni, le audizioni, il materiale cartaceo e visivo mettono in luce
contraddizioni sui tempi, metodi e responsabilità nel procedimento
decisionale e nella escuzione.
Non è chiaro perché la perquisizione sia stata decisa, né è chiara la
sequenza degli eventi.
Il segretario della FSNI ha inoltre riferito al Comitato che già nel
pomeriggio circolavano voci in città di perquisizioni, importanti e
decisive, al termine della manifestazione del 21 luglio e prima della
partenza da Genova dei manifestanti Dottor Paolo Serventi Longhi, AA PP,
seduta del 4 settembre 2001, p. 97.
Dal bilancio reale dell'operazione risultano 93 persone arrestate; per 80
di esse l'arresto è risultato illegittimo; in 12 casi l'arresto è stato
convalidato solo formalmente e le persone sono state scarcerate, perché non
vi erano indizi di colpevolezza. In un solo caso è stata adottata una
misura cautelare.
Il bilancio continua con 62 feriti, di cui alcuni gravemente, la
distruzione di attrezzature e computer del centro stampa. In varie
audizioni si è sostenuto che l'irruzione alla Pertini sia avvenuta a luci
spente Dottor Vincenzo Canterini, AA PP, seduta del 4 settembre 2001,
p.144-145; ma dai video risulta che le luci sono accese al piano di
ingresso, altre luci al secondo ed al terzo piano qua e là.
In proposito, però, va rimarcato che quanto dichiarato dal dott. Canterini,
ovvero di essere entrato solo in seconda battuta, dopo non meglio
specificati altri reparti delle forze dell'ordine, risulta confutato dal
filmato prodotto dagli avvocati del GSF, ma anche dalla circostanza
obbiettiva che dei 17 contusi delle forze dell'ordine ben 15 riguardano il
personale del Nucleo da questi guidato. Sarebbe davvero illogico immaginare
che gli scontri, fino all'accoltellamento di un poliziotto del Nucleo si
siano potuti verificare quando l'altro personale era già intervenuto per
"neutralizzare" i presenti e prendere il controllo dell'edificio.
Dai video l'irruzione appare violenta e si vedono ferite e sangue . I
medici del servizio 118, che portano i soccorsi, riscontrano nei loro
certificati e nella richiesta di smistamento dei feriti nei diversi
ospedali della città molte ferite lacero contuse e traumi cranici; sono due
i ricoverati in codice rosso.
La relazione dell'ispettore, successivamente inviata dal Ministro
dall'interno, mette in evidenza responsabilità, inefficienze, disordine
negli aspetti gestionali della vicenda.
Undici magistrati del GIP di Genova trasmettono al P.G. presso la corte
d'Appello e al Procuratore della Repubblica di Genova due denunce ai sensi
degli artt. 17 disp. att. cpp. e 331 cpp. perché nelle udienze di convalida
dei fermati alla Pertini (ex Diaz) tutti gli arrestati hanno riferito di
essere stati colpiti da manganellate, calci, di aver ricevuto mobilia
addosso, benché si fossero gettati a terra con le mani protese per
dimostrare che non intendevano opporre resistenza e riportano lesioni,
fratture, suture, ematomi vistosi, medicazioni sul capo.
I quesiti che restano ancora irrisolti anche dopo le numerose audizioni,
riguardano l'individuazione delle tappe del processo decisionale, le
modalità tecniche di svolgimento dell'operazione, lo sfasamento temporale
tra l'allertamento dei reparti speciali e l'ora effettiva della
perquisizione.
Per tutte queste ragioni, la perquisizione solleva uno degli interrogativi
più inquietanti delle giornate di Genova e rimanda l'accertamento delle
responsabilità personali da parte dell'Autorità giudiziaria di Genova.

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6. La perquisizione al centro stampa - media center nella scuola
Diaz-Pascoli.

Alcuni minuti dopo l' irruzione nella scuola Pertini ( ex Diaz ) un gruppo
di agenti di polizia entra nella scuola Diaz - Pascoli, posta dalla parte
opposta della via Battisti rispetto alla Pertini ed inizia una
perquisizione dei locali dopo aver radunato i presenti a piano terra,
guardati a vista da agenti che operano a volto scoperto, come risulta da
numerose riprese televisive, tra le quali quella prodotta da Indymedia e
Genoa Legal Forum.
Gli stessi filmati mostrano suppellettili ed attrezzature distrutte; alcuni
computer, collocati negli uffici dei legali del GSF, appaiono manomessi e
privati del hard disk.

Durante la perquisizione, dichiarata un "errore" dal dott. Gratteri, sono
state sequestrate anche alcune (almeno 4) cassette di videocamere, una
delle quali illustrante le fasi di ingresso del reparto mobile all'interno
della prospiciente Pertini ex Diaz e sono state interrotte le trasmissioni
in diretta di Radio Gap.

Il sequestro delle cassette, denunciato in audizione dal dott. Agnoletto, è
confermato dalla relazione trasmessa dal funzionario dott. Mortola il 7
settembre al Comitato.

Non risulta alcun verbale di sequestro del materiale asportato né lo stesso
è stato restituito.

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7. L'uso legittimo della forza, i feriti e i manganelli "tonfa".

7.1. La relazione Cernetig

Le immagini televisive e numerose denunce di cittadini hanno determinato
l'indagine ispettiva affidata dal capo della polizia all'ispettore Cernetig
nei confronti dei comportamenti censurabili di operatori impegnati nei
servizi di ordine pubblico.

La relazione dell'ispettore si sofferma sui casi evidenziati dalle immagini
televisive trasmesse dalle reti nazionali: si registrano casi di violenze
nei confronti di singoli manifestanti, spesso stesi a terra o con le mani
alzate, che risultano da altri filmati pervenuti alla Commissione.
Da tutti i documenti fin qui acquisiti emerge un quadro complessivo che
smentisce la tesi riduttiva contenuta nella stessa relazione dell'ispettore
Cernetig e di altri auditi, che sostenevano essersi trattato di pochi ed
isolati casi. Si è potuto rilevare che la violenza purtroppo non è stata
episodica.
E' necessario che l'attività ispettiva disposta dal Dipartimento della
pubblica sicurezza sia estesa agli altri casi che compaiono nei filmati
acquisiti da singoli cittadini.

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7.2. La distruzione di materiali video e fotografici.

L'audizione del segretario della Federazione Nazionale della Stampa, dott.
Serventi Longhi, del 4 settembre 2001, la documentazione dallo stesso
fornita e numerose immagini video indicano nettamente come alcuni
giornalisti, in particolare alcuni operatori televisivi e fotografi, siano
stati spintonai o picchiati; in alcuni casi sono stati sottratti o
distrutti apparecchiature fotografiche o di ripresa, cassette o pellicole.
Gli episodi di violenza che hanno riguardato i giornalisti hanno avuto come
protagonisti in alcuni casi i black blockers, in altri casi appartenenti
alle forze dell'ordine. Il dr. Serventi Longhi ha dichiarato che taluni
operatori dell'ordine pubblico si sono mimetizzati con pettorine gialle con
la scritta "Stampa" analoghe a quelle distribuite dalla Federazione della
Stampa allo scopo di proteggere l'incolumità dei giornalisti e degli
operatori AA.PP. ,dottor Paolo Serventi Longhi, seduta del 4 settembre
2001, p. 81-82.. Un poliziotto, indossante una pettorina gialla compare in
un filmato mentre impugna una pistola durante gli scontri ( si veda la
relazione dell'ispettore Cernetig).

Il caso più grave è senza dubbio rappresentato dalla già ricordata
sottrazione di almeno 4 cassette video nella scuola Diaz-Pascoli perquisita
per errore.

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7.3. L'uso del "tonfa" e dei manganelli

Le immagini televisive hanno mostrato alcuni manifestanti con profonde
ferite al capo, al volto; macchiati di sangue sono apparsi mura e pavimenti
stradali e della scuola Pertini.
I referti medici delle persone che hanno usufruito delle strutture
ospedaliere di Genova indicano la gravità delle ferite riportate da molti
manifestanti. La stessa relazione dell'ispettore ministeriale dott.
Micalizio ha documentato le prognosi variabili delle 62 persone che hanno
subito percosse nel corso della irruzione nella scuola Pertini (ex Diaz);
tre feriti furono ricoverati con prognosi riservata.
I filmati pervenuti alla Commissione hanno mostrato alcuni agenti che
colpivano i manifestanti con l'impugnatura del manganello oppure impugnando
il "tonfa" a mo' di martello.
Nel filmato depositato dal Genoa Legal Forum e Indymedia si vedono alcuni
poliziotti della mobile di Roma entrare nella scuola Pertini (ex Diaz)
impugnando il "tonfa" dalla parte opposta rispetto all'impugnatura e in
un'altra occasione alcuni carabinieri colpire, impugnando sempre nello
stesso modo il nuovo manganello, manifestanti a terra lungo un muro che
delimitava una strada.

Il dott. Donnini, nel corso della audizione del 5 settembre 2001, ha
chiarito che il nuovo manganello denominato "tonfa" se usato scorrettamente
può provocare ferite assai gravi.
Da quanto si è potuto verificare le lesioni più gravi sono state provocate
proprio dall'impiego irregolare dei "tonfa".

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7.4. L'uso dei blindati

I filmati acquisiti dal Comitato mostrano in numerose circostanze mezzi
blindati per il trasporto dei militari (VTC) dell'arma dei carabinieri e
blindati della polizia impiegati a velocità elevata allo scopo di
disperdere i manifestanti.
L'impiego di tale tecnica, non prevista dalle disposizioni della ordinanza
del questore del 12 settembre 2001, ha determinato oggettive situazioni di
grave pericolo per l'incolumità dei manifestanti e delle stesse Forze di
polizia, ma non ha risolto alcun problema di ordine pubblico.

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7.5. L'uso delle armi

In almeno cinque circostanze le forze dell'ordine hanno fatto ricorso
all'impiego delle armi.
Oltre all'episodio nel quale ha perso la vita il giovane Carlo Giuliani, le
relazioni di servizio dell'arma dei carabinieri trasmesse dal colonnello
Tesser in data 10 settembre 2001, informano che tre carabinieri hanno
sparato in aria il giorno 20 rispettivamente 2, 5 e 8 colpi di pistola. Il
quinto episodio, noto per essere stato mostrato da riprese televisive, è
stato confermato dalla relazione dell'ispettore Cernetig e dallo stesso
capo della Polizia De Gennaro, che riferiscono di un poliziotto indossante
la pettorina della stampa impugnante la pistola.

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Capitolo II
BOLZANETO: LA CASERMA NINO BIXIO


1. La caserma Nino Bixio di Genova Bolzaneto

Il Comitato Nazionale per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica si pose il
problema della gestione delle persone arrestate nel corso di eventuali
disordini. Nella riunione del 12 giugno fu pertanto coinvolto il Ministero
della Giustizia, nella persona del Dott. Mancuso, reggente del Dipartimento
dell'Amministrazione Penitenziaria (DAP). Valutata l'inopportunità di
utilizzare le strutture carcerarie cittadine, si ipotizzò la costituzione
di siti di immatricolazione distaccati per poter successivamente tradurre
gli arrestati nelle strutture carcerarie di Pavia, Alessandria, Vercelli e
Voghera.
In data 21 giugno si approntò un piano operativo che identificava le
strutture di Bolzaneto e Forte S.Giuliano.
In data 27 giugno, presso il Ministero della giustizia, in una riunione cui
parteciparono i vertici del DAP nelle persone di Paolo Mancuso, Emilio Di
Somma, Alfonso Sabella, il presidente del tribunale di Genova Antonino Di
Indo, il presidente della sezione GIP Giovanni Battista Copello, il
procuratore generale della Repubblica di Genova Nicola Marvulli e un
dirigente del Ministero dell'interno, dott. Luperi, si affrontarono i
problemi organizzativi e gestionali posti dalla eventualità di dover
operare, in occasione del G8, arresti che si prevedeva potessero essere
compresi tra un minimo di 300 ed un massimo di 1000.
Il 28 giugno il Dott. Sabella fu nominato responsabile dell'organizzazione
e del controllo delle attività di pertinenza dell'Amministrazione
Penitenziaria. Recatosi a Genova per visionare le strutture di Bolzaneto e
Forte san Giuliano, preventivamente identificate come idonee dalla PS e dai
Carabinieri, disponeva quanto ritenuto necessario per l'immatricolazione e
la traduzione carceraria degli arrestati.
Il 12 luglio il Ministro della Giustizia firmò il decreto istitutivo dei
due siti carcerari dopo essere stato dettagliatamente informato dal Dott.
Di Somma sulla organizzazione predisposta.


I FATTI

La procedura prevista per Bolzaneto era la seguente: gli arrestati,
condotti dagli uomini delle forze di polizia che ne avevano operato
l'arresto, giunti nel cortile interno, erano visitati sommariamente dai
medici dell'Amministrazione Penitenziaria. Successivamente erano sistemati
in camere di sicurezza dove erano custoditi dalla Polizia di Stato. Una
volta espletate le procedure relative all'arresto, venivano consegnati alla
Polizia Penitenziaria passando nelle camere di sicurezza di pertinenza di
quest'ultima. Erano quindi immatricolati e, come da regolamento, perquisiti
con denudamento e flessione. Raccolti al casellario gli oggetti non
consentiti, gli arrestati - a quel punto detenuti - erano visitati dal
medico che redigeva il diario clinico e, infine, avviati alla traduzione.
Nei giorni 20, 21, 22 luglio sono state immatricolate a Forte S. Giuliano
57 persone e a Bolzaneto 222, 26 delle quali in modo solo formale essendo
state di fatto inviate in strutture ospedaliere.
Le procedure di arresto, immatricolazione e avvio alla traduzione sono
risultate particolarmente lunghe con tempi complessivi fino a 18 ore.
Dal giorno 26 luglio gli organi di stampa hanno iniziato a raccogliere
testimonianze dirette ed indirette in cui si denunciavano abusi e violenze
avvenute nella caserma di Bolzaneto cui avrebbero concorso appartenenti a
tutte le forze di polizia quivi operanti.
Veniva quindi disposta un'ispezione da parte del Capo della Polizia
(affidata al Dott. Montanaro) e una commissione ispettiva da parte del
responsabile del DAP.


L'INDAGINE

Il comitato di indagine fonda le proprie conoscenze sui seguenti documenti:
a) relazione del Dott. Montanaro al Capo della Polizia; b) relazione della
commissione ispettiva al Direttore del DAP; c) testimonianza inviata al
Comitato d'Indagine Parlamentare da Marco Poggi, infermiere in servizio
presso la struttura dal 17 al 22 luglio; d)audizione del Ministro della
Giustizia Sen. Roberto Castelli; e) audizione del Vicedirettore del DAP
Dott. Emilio Di Somma; f) audizione del Dott. Alfonso Sabella, coordinatore
del Sito Carcerario di Bolzaneto

La relazione del Dott. Montanaro riporta numerosi rilievi critici tra cui i
più significativi sono:

1. una totale ed inequivocabile carenza del momento organizzativo e
gestionale; a tale riguardo segnala la mancata previsione di un
responsabile della struttura di "trattazione dei fermati"
2. la mancanza di puntuali direttive organizzative e gestionali.
3. l'inosservanza diffusa del prescritto obbligo di relazione da parte dei
dirigenti.
4. l'assenza di controlli da parte del personale dirigenziale o direttivo
per tutto il periodo di funzionamento.
5. la farraginosità delle procedure che ha allungato i tempi di trattazione.
6. perplessità sulla correttezza della compilazione dei verbali d'arresto,
redatti in maniera sommaria e senza l'indicazione dello stato di salute
degli arrestati anche quando costoro presentavano vistosi segni di
alterazione delle condizioni fisiche.
7. annota, infine, che il funzionario del reparto che aveva rilevato le
funzioni di custodia la mattina del 22 luglio aveva trovato i fermati in
piedi con le gambe divaricate e con le mani appoggiate al muro. Ritenendo
superflua tale posizione aveva loro consentito di sedersi.
L'infermiere Marco Poggi afferma di aver dovuto assistere ad una sequela di
violenze ingiustificate; in particolare:
I. i detenuti, in qualsiasi posto sostassero, dovevano stare in piedi, le
gambe divaricate, le mani e la testa appoggiate al muro, rimanendo così
anche per molte ore senza potersi né muovere né parlare.
II. il medico, già identificato, visitava senza camice, in modo rude e
sgarbato, rivolgendo ai detenuti motti irridenti, senza accertare, come
avrebbe dovuto, la natura delle lesioni nonché certificare la compatibilità
delle stesse con l'asserita natura.
III. Il personale si rese responsabile di alcuni specifici episodi di
violenze fisiche, di aggressioni verbali e di insulti volgari.

La lunga relazione della commissione ispettiva del DAP - della quale faceva
parte lo stesso Dott. Sabella che, in qualità di Coordinatore della
struttura, parrebbe avere caratteri di incompatibilità con il ruolo
ispettivo, conclude che se da un lato emergono diversi episodi meritevoli
di approfondimento in quanto verosimili e di sicura gravità, dall'altro è
possibile ricavare in numerosi casi un'errata percezione dei medesimi da
parte dei denuncianti.
L'audizione del Ministro Castelli conferma la visita effettuata al sito
penitenziario di Bolzaneto accompagnato dal Dott. Sabella avvenuta tra le
una e trenta e le due circa del 22 luglio, quindi nel cuore della notte, e
specificatamente limitata all'area di pertinenza della Polizia
penitenziaria. In quella occasione non trovò nulla di anomalo: i detenuti
stavano in piedi, con le gambe divaricate, mani e faccia al muro e un
Agente Penitenziario era all'interno della cella. Informatosi sul perché di
quella disposizione, gli venne risposto che era necessario tutelare la
donna presente nella cella (tenuta peraltro nella medesima posizione) da
eventuali molestie o aggressioni. Alla domanda se abbia ritenuto credibile
quella spiegazione afferma che a mente fredda gli pare strana e non
esaustiva; però non ritenne grave quella modalità di detenzione perché: "I
metalmeccanici per 35 anni lavorano in piedi dalla mattina alla sera e non
li ho mai sentiti lamentarsi".

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2. CONSIDERAZIONI CRITICHE

La mancanza di un responsabile della struttura di "trattazione degli
arrestati", nonché di direttive e di rapporti rendono difficile ogni
approfondimento di indagine in ordine ai fatti accaduti negli ambienti
gestiti dalla Polizia di Stato. Questo spiega perché l'indagine abbia posto
in primo piano le responsabilità di gestione della Polizia Penitenziaria.
L'assenza di qualsivoglia controllo nell'esercizio di un potere di
coercizione rappresenta di per sè stesso un fatto di rilevante gravità; gli
abusi denunciati, infatti, non si sarebbero verificati se ci fossero state
direttive precise e precisi incarichi di direzione.
Nella relazione della commissione ispettiva del DAP, appare evidente lo
sforzo di minimizzare e giustificare laddove non si può smentire. Mentre si
nega qualsiasi violenza od abuso si ammette che si è registrata una
"ruvidità di comportamento", che è stata usata una "certa durezza", che si
è proceduto "a vincere qualche resistenza passiva". Si nega che si siano
sbattute le teste dei detenuti contro il muro, le teste, invece, venivano
"premute con forza contro il muro". Si ammettono, peraltro, due episodi di
violenza gratuita. Nel primo un Agente di P.S. - transitando in compagnia
di un ispettore lungo il corridoio prospiciente le camere di sicurezza di
pertinenza della P.P.- sferra una gomitata nella schiena di un detenuto che
stazionava a gambe divaricate, mani e faccia al muro. Nel secondo un agente
di P.P. di passaggio nel corridoio colpisce con un calcio la gamba di un
detenuto in attesa, nella canonica posizione, di fronte all'ufficio
matricola. Entrambi gli episodi ricevevano una censura verbale da parte di
personale della P.P. che aveva assistito, ma non dall'ispettore che
accompagnava l'agente).
Ad avviso degli autori di questa relazione , nulla se non un intento
vessatorio può giustificare l'obbligo di rimanere in piedi a gambe
divaricate con le mani e la faccia al muro per ore e ore (fino a 18) senza
potersi muovere e parlare. A riprova di quanto affermato valgono i casi di
due detenuti ricoverati con codice rosso, in stato di incoscienza
(documentato dal fotorilevamento), per sospette emorragie interne poi
scongiurate dagli esami clinici che hanno portato alle dimissioni del primo
dopo poche ore e del secondo dopo due giorni di ricovero.
Le diverse giustificazioni addotte, non sono accettabili alla luce del
fatto che quelle strutture erano dimensionate per gestire una quantità di
arresti ben superiore a quella registrata.
Non può non destare profondo sconcerto il fatto che quelle modalità di
detenzione siano state esibite, senza imbarazzo di alcuna delle parti, al
Ministro della Giustizia, che dovrebbe essere una delle massime Autorità
dello Stato in tema di rispetto delle garanzie costituzionali della dignità
della persona.

Un ultimo rilievo riguarda la legittimità della struttura: gli articoli 59,
60 e seguenti dell'ordinamento penitenziario - posti a fondamento del
decreto ministeriale istitutivo della struttura di Bolzaneto - conferiscono
al Ministro il potere di istituire istituti penitenziari e siti
penitenziari al di fuori delle strutture carcerarie ordinarie, ma non
uffici distaccati di istituti penitenziari già esistenti.
Ai fermati, inoltre, non sono stati garantiti i diritti previsti dagli
articoli 383 e 384 del codice di procedura penale: il diritto ad informare
un terzo dell'avvenuto fermo e la possibilità di ricorrere ad un avvocato
difensore. Con un ordine di servizio della Procura di Genova, infatti, era
stato posto il divieto di colloquio tra i fermati ed i loro difensori
finché gli arrestati non fossero stati trasferiti presso le carceri di
destinazione ovvero con una posticipazione dello stesso di 24 ore circa.

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Capitolo III
ORDINE PUBBLICO A GENOVA E PROPOSTE DI RIFORMA


1. La Pianificazione Operativa delle Attività di Pubblica Sicurezza

Gli obbiettivi di pubblica sicurezza per il G8 di Genova sono stati
enucleati e definiti in occasione delle direttive impartite dal Ministro
dell'Interno del Governo Amato e dei Comitati Nazionali per l'Ordine e la
Sicurezza Pubblica che si sono tenuti sino al 24 maggio 2001, approvando il
documento elaborato dal Capo della Polizia - Direttore Generale della
Pubblica Sicurezza. Questi venivano individuati nella tutela del vertice,
nella tutela dei cittadini genovesi e della città di Genova, nella tutela
del diritto di manifestare pacificamente il dissenso.

Per realizzare questi obbiettivi il prefetto di Genova emanava il 2 giugno
2001 una ordinanza con la quale venivano indicate nella città zone con
vincoli differenziati: la zona rossa assolutamente vietata anche al
traffico pedonale di soggetti non espressamente autorizzati, comprendente
l'area portuale e le sedi del vertice e delle delegazioni; la zona gialla,
esterna alla zona rossa quale zona cuscinetto, nella quale venivano
interdette, fra l'altro, manifestazioni, volantinaggio e sosta degli
autoveicoli; ed infine, quale terzo anello, una zona verde nella quale non
avrebbero dovuto essere consentiti i cortei.

Questa pianificazione operativa di pubblica sicurezza aveva un carattere
necessariamente provvisorio in quanto dipendente da tre circostanze: a) la
individuazione dei luoghi direttamente interessanti le attività del
vertice; b) la individuazione dei luoghi destinati all'ospitalità delle
delegazioni ufficiali e dei capi di Stato e di Governo; c) la definizione
delle manifestazioni di dissenso che sarebbero state autorizzate.

Solo la prima delle tre circostanze fu definita tempestivamente, anche
perché ricadeva nella esclusiva responsabilità del Governo italiano, mentre
le altre due sono state definite solo dopo il 15 giugno 2001. In
particolare le delegazioni straniere erano state particolarmente riottose
nell'accettare l'ospitalità sulle navi; il ritardo impose una
sollecitazione del Ministro dell'Interno alla Farnesina il 30 aprile 2001
ed un ulteriore sollecito del capo della Polizia il 9 giugno 2001. Le
manifestazioni infine vennero autorizzate solo il 12, 17 e 19 luglio 2001
con provvedimenti del Questore in seguito alla definizione dell'indirizzo
politico da parte del Ministro dell'Interno, dopo l'incontro avuto a Roma,
presso la Farnesina il 28 giugno 2001, come ha riferito il Ministro
Ruggiero.

Il mutamento della situazione ha comportato una diversa impostazione
operativa, definita nella riunione del 13 luglio 2001 tenutasi a Genova,
con la presenza del Ministro dell'Interno e dei massimi livelli della
Polizia di Stato e dell'Arma dei Carabinieri. La nuova impostazione
derogava ampiamente, soprattutto per quanto concerne le interdizioni
operanti nella zona gialla, alla ordinanza del prefetto del 2 giugno 2001.

Nell'ordinanza del Questore di Genova si dava conto del lavoro informativo,
svolto ai fini della prevenzione, e si distinguevano i partecipanti alle
manifestazioni come appartenenti, in ordine crescente di pericolosità, al
blocco rosa, giallo, blu e nero. Con la descrizione dei diversi blocchi si
rappresentava uno scenario molto diversificato che andava da associazioni
ed organismi di autentica solidarietà, sino a organizzazioni estremistiche
e persino eversive. Inoltre si descrivevano le modalità operative di queste
ultime, capaci di muoversi, mimetizzarsi, dividersi in piccoli gruppi e
trovare rifugio all'interno di manifestazioni pacifiche; si indicavano
anche gli obbiettivi delle loro devastazioni: banche, catene commerciali,
distributori di benzina.
Di qui l'esigenza di muoversi altrettanto dinamicamente ed agilmente con
reparti specificamente addestrati come il Nucleo Sperimentale antisommossa
o il settimo nucleo del Reparto mobile di Roma.

Le disposizioni del Ministro dell'Interno orientate verso il dialogo con i
manifestanti, già avviato dal precedente Governo con maggiore prudenza, ma
comunque doveroso, ebbero come effetto un' apertura al dialogo, come
definito nell'incontro del 28 giugno 2001 con una delegazione del Genoa
Social Forum. Da questa apertura sono scaturite alcune autorizzazioni a
manifestazioni anche concomitanti con lo svolgimento del vertice. Tali
autorizzazioni, però, non sono state accompagnate da un indirizzo politico
e prescrizioni coerenti che avrebbero potuto consentire l'esercizio più
agevole delle funzioni di pubblica sicurezza; si giunse a cancellare di
fatto la zona gialla per concentrare ogni attenzione sulla sola zona rossa
entro la quale il vertice si sarebbe svolto.

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2. Le Proposte di Miglioramento delle Funzioni di Ordine e Sicurezza
Pubblica in Occasione di Grandi Eventi e Manifestazioni di Piazza

Nel corso dei lavori del Comitato sono state presentate molte proposte di
miglioramento della gestione dell'ordine pubblico. Qui si richiamano solo
quelle riguardanti il mantenimento dell'ordine pubblico e la sicurezza dei
cittadini in occasione di grandi eventi e di manifestazioni di piazza.

Di fronte ad uno scontro di piazza che ha spesso assunto le caratteristiche
della "guerriglia urbana", le forze di polizia si sono trovate impreparate
psicologicamente poiché, come è stato detto, era la prima volta, da oltre
venti anni, che quel tipo di disordini doveva essere affrontato.
Si vuole sottolineare che la formazione degli apparati di sicurezza sia
rivolta non solo alle tecniche di ordine pubblico, ma anche alla
preparazione psicologica di chi è chiamato a svolgere le sue funzioni
spesso in condizioni di grave difficoltà.

Una seconda questione emersa nel corso dei lavori ha riguardato l'attività
informativa Il numero elevatissimo di informative e la genericità di gran
parte di esse non hanno consentito di comprendere la provenienza effettiva
dei pericoli e di individuare i fronti realmente caldi. La massa indistinta
delle notizie ed il modo di porgerle all'attenzione degli organi di
prevenzione più che dare conoscenza ha ingenerato confusione.
Da qui la esigenza di impegnare nel futuro i nostri servizi di sicurezza su
una attività informativa maggiormente selettiva, da cui possa emergere in
concreto la capacità di analisi e la selezione delle priorità, attraverso
una verifica puntuale della qualità delle fonti e del contenuto
informativo, prima che esse siano trasmesse agli organi della prevenzione
ed eventualmente alla polizia giudiziaria .

In questo quadro vanno collocati gli interventi di polizia durante il
vertice, dove si sono verificati deficit dipendenti dai segnalati difetti
dell'attività informativa e deficit dipendenti, dal mancato o difettoso
coordinamento tra le forze di polizia nelle fasi operative o in quelle
immediatamente precedenti.

La presenza di qualificato personale dell'Arma dei Carabinieri è emersa ben
dopo l'audizione del Comandante Generale. Il gen. Ganzer ha sostenuto
dinanzi al Comitato di essere andato a Genova per svolgervi compiti
info-investigativi e cioè, nella sostanza, compiti che relativi
all'attività dei servizi di sicurezza, dei servizi di prevenzione e di
polizia giudiziaria.

Non risulta che di tale attività sia stato informato alcuno. In primo luogo
non è stato informato il Ministro dell'Interno e per esso il Capo della
Polizia - nella sua qualità di Direttore Generale della Pubblica Sicurezza.
Su tale attività, o addirittura meglio, sull'attivazione in Genova di
servizi di tal genere da parte dell'Arma dei Carabinieri nulla hanno potuto
riferire i dirigenti della Pubblica Sicurezza, il Questore o il Prefetto,
che, a vario titolo, per ragioni inerenti alla loro funzione o con speciali
provvedimenti erano stati investiti del compito di programmare i servizi
per la sicurezza del vertice e per il contrasto delle azioni violente
durante il vertice stesso.

Il gen. Ganzer è vicecomandante del ROS e cioè del servizio di polizia
dell'Arma, che corrisponde, nella Polizia di Stato, allo SCO diretto dal
dott. Gratteri. Ebben,e dei compiti affidati e svolti a Genova dal dott.
Gratteri vi è ampia documentazione; di quelli affidati al gen. Ganzer non
esiste documentazione e comunque nulla è stato detto né al Comitato né alle
autorità di pubblica sicurezza che stavano operando per il vertice di
Genova.

Si è assistito anche in questa occasione a condotte non ispirate ai
principi della cooperazione istituzionale e del coordinamento
investigativo. Sul punto occorrono una riflessione immediata ed una
risposta decisa: ancor più indispensabili in giorni come questi nei quali
anche il nostro Paese è chiamato ad uno sforzo mai prima attuato per
contrastare le nuove dimensioni del terrorismo internazionale.

In tema di coordinamento può essere ricordato l'episodio riportato dal
Secolo XIX del 10 luglio 2001 che evidenziava come gli artificieri
dell'Arma dei Carabinieri avevano fatto esplodere una autovettura
parcheggiata nei pressi della Prefettura, ritenendola una autobomba, mentre
la Polizia di Stato aveva già svolto alcuni giorni prima i relativi
controlli ed aveva accertato che si trattava di una autovettura guasta.

E', quindi, indispensabile che tutte le attività riconducibili alle
funzioni ed alla responsabilità del Ministro dell'Interno, quale autorità
nazionale di pubblica sicurezza, e del Capo della Polizia, quale Direttore
Generale della Pubblica Sicurezza, da chiunque svolte, siano portate a
conoscenza degli stessi attraverso le funzioni consultive del Comitato
Nazionale dell'Ordine e la Sicurezza Pubblica, ovvero attraverso specifiche
informative.

Possono essere impiegati norme appositamente previste, quali le direttive
che il Ministro dell'Interno può emanare, per far circolare ogni utile
conoscenza, ma anche per poter successivamente attivare quegli ulteriori
strumenti di collaborazione anche internazionale previsti dagli accordi, ma
anche suggeriti dalla particolare contingenza.

L'aggressione terroristica dell'11 settembre 2001 nei confronti degli
U.S.A. potrebbe suggerire un'accelerazione delle proposte legislative in
materia di servizi di informazione e dei poteri investigativi di polizia.
Occorre però anzitutto che il Governo utilizzi gli strumenti normativi di
cui già oggi dispone impedendo che restino inattuate le previsioni della
legge n.121/1981 che attribuiscono al Capo della Polizia la funzione di
"dirigere", coordinandole, tutte le attività di pubblica sicurezza. Il
Ministro dell'Interno deve attuare concretamente (mediante regolamenti,
circolari, ordini di servizio) le disposizioni introdotte dall'art.21 della
legge n.125/2001 (cd. pacchetto sicurezza).
Esse hanno previsto tra l'altro il rafforzamento delle funzioni del Centro
elaborazione dati del Dipartimento della Pubblica Sicurezza stabilendo che
le diverse forze di polizia vi inseriscano tempestivamente ed in modo
uniforme tutte le notizie e le informazioni acquisite; hanno imposto al
Ministro dell'interno di impartire direttive per la realizzazione di "piani
coordinati" tra le diverse polizie per il controllo del territorio e alla
loro attuazione ha preposto gli uffici provinciali delle forze di polizia.

Non è noto se le direttive sui piani coordinati ed il regolamento per
l'uniforme inserimento dei dati acquisiti da ciascuna forza di polizia nel
CED del Dipartimento siano stati emanati, né, ovviamente, è noto quale
modello per la vigilanza sulla attuazione concreta e corretta di tali
disposizioni, il Ministro stia realizzando.
Sta di fatto che la gestione dell'ordine pubblico a Genova si è mossa in
direzione opposta rispetto al coordinamento o ne ha fatto uno "schermo"
puramente burocratico-formale per evitare responsabilità.

Il punto relativo all'individuazione del responsabile dell'ordine pubblico
merita un breve approfondimento. Il dott. Lauro, funzionario di pubblica
sicurezza assegnato ai servizi di ordine pubblico nei pressi di piazza
Alimonda, dove è rimasto ucciso il giovane manifestante Carlo Giuliani, ha
riferito che, durante i giorni del vertice, la sua direzione dell'ordine
pubblico avveniva comunicando personalmente con l'ufficiale comandante
dell'aliquota dei Carabinieri messa a sua disposizione e che le
disposizioni da lui date venivano da questi poi trasmesse ai carabinieri
sottoposti.
Senza indugiare sulla mancanza di collegamento radio tra il funzionario di
pubblica sicurezza e l'ufficiale dei Carabinieri, che pure meriterebbe un
commento , è emerso in tutta evidenza come nella concitazione degli eventi
anche questa assolutamente contestabile modalità di comando sia risultata a
volte inoperante perché il funzionario civile, che aveva la responsabilità
dell'ordine pubblico, non riusciva a comunicare con l'ufficiale dei
carabinieri.
L'ufficiale dei Carabinieri, invece, era in collegamento permanente con i
Carabinieri operanti alle sue dipendenze.

E' evidente la gravità delle conseguenze, che queste modalità operative
hanno determinato. Tali modalità contraddicono il concetto di direzione
unitaria dell'ordine pubblico e fanno del funzionario una sorta di
colpevole "istituzionalizzato" dei disordini di una piazza o di uno stadio.
Nulla impedisce che la normativa venga rivista, ma ormai non si possono più
utilizzare comodi schermi formali. La Commissione, a seguito delle
risultanze del comitato di indagine, non può ignorare il problema e deve
farsene partecipe con forza perché il Governo assuma determinazioni non
equivoche.

Specie in occasione di grandi eventi, di manifestazioni a carattere
internazionale alla centralizzazione delle responsabilità deve
corrispondere l'effettività del comando.

A tal fine il Ministro dell'Interno deve emanare chiare direttive: le
aliquote delle forze di polizia diverse dalla Polizia di Stato che in
occasione delle attività di ordine pubblico vengono messe a disposizione
del Questore e del funzionario di pubblica sicurezza devono essere soggette
effettivamente al comando operativo di tali autorità senza alcun filtro.

La responsabilità del funzionario di pubblica sicurezza deve trovare
effettività nell'azione di comando, proprio per la sua riferibilità al
Ministro dell'Interno, attraverso direttive e disposizioni attuative che lo
mettano in condizione di svolgere in concreto il ruolo che la legge gli
assegna.

Infine vanno sottolineate le gravi "confusioni" istituzionali che si sono
registrate durante il G8 di Genova. Qui non si tratta solo di parole. E' in
gioco il rispetto di quel complesso di regole, scritte e non scritte, che,
nella loro interezza fotografano il principio di legalità di un paese. Di
certo inquieta che in una sala operativa siano presenti, sia pure per poco,
durante delicatissimi momenti, alcuni esponenti politici; che in una
caserma siano di fatto costituiti istituti penitenziari; che il Ministro
della Giustizia, garante primo di quella legalità, non sappia rendersi
conto nelle sue difficilmente spiegabili visite notturne, che qualcosa di
grave sta accadendo e contribuisca invece, con la sua presenza, a rendere
più difficile il lavoro di operatori di polizia o, quantomeno, più soggetto
ad interessati "inquinamenti interpretativi".

Non è in questione la possibilità per il Ministro della Giustizia di
istituire presidi penitenziari con decreto, ma la grave inopportunità,
suscettibile di trascendere nella illegittimità, di istituire tale presidio
all'interno di una struttura di polizia, con prevedibili cadute nel
rispetto delle procedure e dei diritti stabiliti dalla Costituzione e dalle
leggi in favore dei soggetti arrestati o fermati.

Allo stesso modo non si vuole interdire la possibilità di far visita e dare
incoraggiamento da parte di esponenti di Governo e delle forze politiche a
coloro che sono impegnati nel garantire la sicurezza dei cittadini, ma ciò
non può essere consentito mentre le attività sono in pieno svolgimento
qualora gli stessi non siano titolari di una specifica funzione di
responsabilità nel comando delle operazioni.

Al riguardo il Ministro dell'Interno dovrebbe sollecitare una discussione
nell'ambito del Governo, nella sua collegialità, affinché le prerogative
istituzionali dell'autorità di pubblica sicurezza non vengano in alcun modo
prevaricate; dovrebbe inoltre invitare i Comandanti delle varie forze di
polizia ad emanare una circolare con la quale fornire specifiche
indicazioni a tutti i comandi territoriali in ordine al divieto assoluto di
consentire presenze di soggetti anche qualificati, ma estranei alla linea
di comando, nelle sedi interessate dall'esercizio di importanti attività di
ordine pubblico durante le fasi operative.

Le questioni relative all'ordine e la sicurezza pubblica vanno ricondotte
in una chiave istituzionale nella esclusiva responsabilità politica del
Ministro dell'Interno, che ne risponde dinanzi al Parlamento ed al Paese,
secondo lo schema rigoroso dei sistemi democratici che non tollera alcuna
interferenze di alcun tipo.

Infine, dalla esperienza del G8 di Genova scaturisce l'esigenza di un
approfondimento su come in concreto può essere garantito il diritto di
manifestare liberamente.
Il dialogo è una componente essenziale per il buon esito di un' attività di
ordine pubblico. Anche per questo è indispensabile che i soggetti deputati
a svolgere questo dialogo e questi contatti siano titolari dell'effettivo
comando operativo.

Ne discende la imprescindibile esigenza di ridefinire e riaffermare con
urgenza la esclusività del ruolo e delle funzioni della autorità nazionale
e locale di pubblica sicurezza, anche alla luce degli interventi normativi
che si sono succeduti nel corso degli anni, affinché si possa affrontare il
futuro, che si presenta difficile, con minori confusioni ed incertezze, ma
soprattutto con maggiore sicurezza e libertà.

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Capitolo IV
INTERPRETAZIONE DELLA VICENDA


1. Il "dopo" Genova

Dopo il vertice di Genova è radicalmente mutata la sensibilità ai temi
della globalizzazione.
Ha pesato la morte di Carlo Giuliani.
Ha colpito il numero di partecipanti ai cortei e ai dibattiti,
complessivamente, circa 300 mila, il più alto in assoluto per questo tipo
di eventi. Hanno partecipato soprattutto giovani; ma anche famiglie,
persone comuni che lì hanno trovato il senso di una cittadinanza vissuta
come partecipazione a valori di solidarietà.

Ha incuriosito la partecipazione di mondi assai diversi tra loro, dalle
suore ai centri sociali.
Si è diffusa indignazione tanto per le violenze di gruppi di manifestanti
contro la città e contro le forze di polizia, quanto per le violenze di
appartenenti alle forze dell'ordine contro manifestanti inermi.
Alle democrazie dei paesi più avanzati sono state poste nuove domande che
riguardano: l'equità nelle relazioni tra i popoli, il rapporto tra giovani
generazioni e sistemi politici, il modo in cui i sistemi politici possono
guadagnare la fiducia delle generazioni più giovani, il rapporto tra
diritto di manifestare e sicurezza delle città.
Dopo Genova i temi della povertà, delle malattie, della fame, della sete,
dell'ingiustizia tra i popoli sono stati inseriti nelle agende degli
impegni internazionali Furono i governi D'Alema ed Amato ad impegnarsi
perché questi fossero i temi del G8 di Genova; frutto di tale impegno fu
anche l'accettazione da parte del Segretario generale dell'ONU dell'invito
ad essere presente a Genova; il governo Berlusconi non si discostò da
questi indirizzi..
Solo dopo Genova alcuni capi di governo hanno cominciato ad affrontare il
tema della tassazione delle grandi transazioni finanziarie puramente
speculative al fine di ricavare risorse da utilizzare a vantaggio dei paesi
più poveri del mondo. Si tratta delle prese di posizione di Lionel Jospin e
di Gerhard Schroeder. Il Ministro delle Finanze belga Didier Reynders, pur
mostrandosi scettico sugli effetti della cosiddetta Tobin Tax, si dichiara
dopo Genova favorevole all'inserimento del tema nell'agenda della riunione
dei ministri finanziari dell'Unione Europea (Ecofin) del 21 e 22 settembre
2001.

Uno degli economisti italiani più ostili alla Tobin Tax, il ministro
dell'Economia Giulio Tremonti, soltanto dopo la vicenda Genova ha
presentato una proposta sostitutiva di questa tassa, ma con analoghe
finalità ( Le Monde, 12 settembre 2001). Non è qui in discussione
l'efficacia dell'iniziativa; conta che anche questa proposta nasce soltanto
dopo i fatti di Genova.
Il Rapporto 2002 della Banca mondiale, "Building Insitutions for Markets",
pubblicato nel settembre 2001, segna un netto cambiamento di rotta rispetto
al passato. Lo sviluppo dei paesi poveri sarebbe stato agevolato, secondo i
rapporti precedenti, soltanto dalla totale e assoluta liberalizzazione dei
mercati. L'ultimo rapporto, invece, pubblicato dopo le grandi
manifestazioni antiglobalizzazione, individua in istituzioni efficienti il
presupposto fondamentale per lo sviluppo dei paesi poveri The Wold Bank,
World Development, Report 2002, Building Institutions for Market,
Washington D.C., 2001.
Il Financial Times del 12 settembre 2001, sottolinea come anche la Banca
Mondiale, dovendo tener conto del dibattito sulla globalizzazione,
abbandoni gli antichi lidi e scelga una via di mezzo tra gli opposti
estremismi del liberismo e della pianificazione, sostenendo la necessità di
forti ed efficienti istituzioni per garantire il mercato e vincere la
povertà.
Solo dopo Genova si è discusso, in Italia e fuori d'Italia, dell'utilità
dei vertici internazionali, non perché essi non debbano considerarsi
legittimi - qui ha sbagliato e sbaglia una parte dei contestatori - ma
perché non possono considerarsi esaustivi. E' emersa la necessità di
accompagnare questo tipo di incontri con impegni credibili per la riforma
di alcune grandi istituzioni internazionali, come il Consiglio di Sicurezza
dell'ONU, il WTO, il FMI e la Banca Mondiale, in modo da trovare un giusto
equilibrio tra le esigenze della rappresentanza e quelle della
governabilità.

Le vicende di Genova hanno creato gravissimi problemi di ordine pubblico,
ma, proprio per questo complesso di ragioni, non possono essere considerate
soltanto un problema di ordine pubblico
Non devono sfuggire alla nostra sensibilità il significato della
partecipazione di un così elevato numero di pacifici cittadini, la
professionalità dimostrata dalla grande maggioranza delle forze dell'ordine
in condizioni di particolare difficoltà, la necessità di riformare la
nostra democrazia politica per aprirla alle domande "riformatrici" venute
da Genova e per aprire un dialogo con tutti coloro che chiedono una
globalizzazione diversa.
Anche le stragi di New York e di Washington ci impongono, oltre
all'esigenza di colpire con tutta la necessaria durezza gli attentatori e
chi li ha favoriti, l'obbiettivo di separare da quei criminali tutti coloro
che, vivendo miseramente nella parte povera del mondo, possono considerare
responsabile delle loro condizioni di vita l'intero Occidente e giungere a
giustificare o addirittura a condividere atti di quella disumana violenza.
Nel futuro delle nostre vite saremo costretti a misurarci sempre di più con
i problemi sollevati a Genova. Oscurarli significherebbe far vincere la
logica della violenza, che ogni volta tenta di sacrificare il dialogo per
imporre lo scontro come prevalente misura dei rapporti umani.

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2. I temi discussi in Italia

In Italia le giornate di Genova hanno avuto un impatto del tutto
particolare. A noi non si sono poste solo le domande comuni alle altre
grandi democrazie.
Il vertice si è svolto in Italia, era la prima grande prova internazionale
del nuovo Governo di centro destra; è stato seguito con attenzione da tutto
il mondo avanzato.
Il tragico fallimento della sicurezza pubblica fuori della cosiddetta "zona
rossa", dove si svolgeva il vertice, ha reso purtroppo poco rilevanti il
significato e i risultati dell'incontro.
Ha invece aperto la porta a discussioni ed analisi che hanno riguardato la
scelta della città come sede del vertice, il rapporto tra dissenso,
disobbedienza civile e violenza, la preparazione delle forze dell'ordine a
fronteggiare eventi di questo tipo, il coordinamento tra le diverse forze
di polizia, il deterioramento dell'immagine del Paese dopo che , con
l'ingresso nell'Unione Monetaria Europea ed il risanamento della finanza
pubblica, l'Italia aveva ripreso con autorevolezza una collocazione di
prestigio nello scacchiere internazionale.

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3. Il peso della morte di Carlo Giuliani

La morte di Carlo Giuliani è stata la prima nel mondo in occasione di
manifestazioni antiglobalizzazione; la prima in Italia dopo quella di
Giorgiana Masi, avvenuta a Roma il 12 maggio 1977.
Questa tragedia ha segnato il senso di quelle giornate. Ha conferito un
significato del tutto particolare alle devastazioni di parte della città,
alle aggressioni contro le forze dellordine, ai gravi maltrattamenti contro
manifestanti pacifici e persone arrestate, alla singolare "perquisizione"
notturna nella scuola Pertini (ex-Diaz).
Senza la morte di questo giovane, che aveva deciso solo all'ultimo momento
di partecipare alla manifestazione, rinunciando ad una progettata gita al
mare per solidarietà con i manifestanti, e tuttavia autore anch'egli di
atti di violenza contro le forze dell'ordine, le giornate di Genova
sarebbero state ricordate soprattutto per il fallimento di una gestione
politica e operativa dell'ordine pubblico.
Dopo quella morte appaiono invece in tutta la loro gravità la sterile
polemica sulla scelta della città di Genova, la contraddittorietà degli
indirizzi della maggioranza e del governo, il tentativo di isolare le forze
dell'ordine dalla società civile e di rompere il rapporto istituzionale tra
queste e la magistratura, i difetti gravi nel coordinamento delle diverse
forze di polizia e nelle loro concrete modalità di impiego, le speculazioni
successive di alcuni uomini politici, la difficoltà di rispondere
adeguatamente alle domande politiche, sociali e culturali poste dal
movimento.
A Genova si sono poste domande di inedita portata: giustizia per i poveri
di tutto il mondo, diritto allo sviluppo, alla salute, alla pace,
all'ambiente. Ma anche la necessità di riaffermare nel nuovo contesto le
garanzie, la sicurezza e la libertà: libertà per i manifestanti pacifici e
per i cittadini , sicurezza nel corso delle manifestazioni per le persone e
per le cose, garanzie per gli stessi appartenenti alle forze dell'ordine le
cui condizioni di lavoro, per l'insensatezza dei responsabili politici, non
devono diventare tali da esporre a rischio la loro stessa incolumità fisica
e quella dei cittadini.

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4. I temi di cui non abbiamo discusso

Genova avrebbe potuto costituire, nonostante le intuibili difficoltà, un
momento di sforzo unitario del Paese , delle sue Istituzioni e delle sue
forze politiche, sociali e culturali.
Avrebbe potuto costituire anche dopo la morte di Carlo Giuliani, un momento
di serietà e di rigore, idoneo a rassicurare il Paese, le sue forze di
polizia e l'opinione pubblica internazionale.
Si sarebbe potuto anticipare una seria riflessione sui limiti dell'attuale
catena di comando in materia di ordine pubblico. E' risultato, ad esempio,
che il funzionario civile, responsabile della sicurezza sulla piazza, non
può ordinare direttamente ai carabinieri le operazioni da svolgere, ma deve
passare attraverso l'ufficiale o, in alcuni casi, attraverso un
sottufficiale, con la conseguenza dell'impossibilità di dare ordini quando
nelle fasi più concitate l'intermediario sia lontano da lui AAPP, audizione
del dr. Maurizio Fiorillo, 5 settembre 2001, p.161.
Si sarebbe potuto riflettere sui limiti della nostra democrazia politica,
sul modo in cui allargarla a nuovi soggetti, a nuove idee, a nuovi valori.
Così non è stato, soprattutto perché sono prevalse in settori della
maggioranza la chiusura ad ogni critica e la tendenza ad utilizzare a fini
di parte le vicende di Genova.

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5. Le scelte contraddittorie

Dai lavori del Comitato è emerso il quadro confuso di un miscuglio di
scelte politiche contraddittorie che hanno disorientato gli operatori di
polizia, non hanno contrastato e isolato i violenti, non hanno garantito i
manifestanti pacifici, hanno avallato le violenze di appartenenti alle
forze dell'ordine nei confronti di manifestanti inermi e nei confronti di
giovani arrestati, non hanno riconosciuto il comportamento civile della
grande maggioranza dei manifestanti e delle diverse forze di polizia.
Hanno nuociuto soprattutto quattro fattori:
a) L'assoluta ed esclusiva prevalenza data, dal Ministro degli Interni,
alla tutela della zona rossa ;
b) il tentativo del centro destra, dopo i fatti di Göteborg, ed ancora di
più dopo i fatti di Genova, di prendere le distanze dalla scelta di questa
città come sede del vertice;
c) la fuga di notizie incontrollate provenienti dai servizi di sicurezza,
idonee ad esasperare la tensione prima del G8;
d) il tentativo della componente più estremista della maggioranza di aprire
una lacerazione tra forze dell'ordine e società civile.

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6. Il Genoa Sociale Forum e le sue componenti

Il Comitato ha inoltre analizzato il ruolo del Genoa Social Forum e delle
sue varie componenti.
Il movimento è una realtà assai complessa. Vi si riconoscono più di 700
sigle associative e non c'è un'unità di progetto politico.
Le componenti principali sono due.
La prima è contro la globalizzazione in quanto tale e comprende tipi di
motivazioni assai diverse tra loro. Una prima motivazione è nettamente
anticapitalistica ed antiamericana; coglie soltanto i limiti, i vizi e i
rischi del capitalismo e del modello di vita americano senza coglierne gli
aspetti positivi. Una seconda motivazione si pone agli antipodi della
prima; ha un carattere localistico, di chiusura e ripiegamento sulle radici
tradizionali, ha paura del "meticciato"e della perdita di identità che
inevitabilmente la globalizzazione porta con sé ed intende rifugiarsi nei
mondi delle piccole comunità locali, nei valori delle piccole appartenenze.
La Lega Nord, come è emerso più volte in Parlamento, è l'espressione
italiana di questi orientamenti; avrebbe voluto addirittura marciare contro
il vertice di Nizza, e rinunciò solo in forza dell'accordo elettorale con
Forza Italia. Così anche quelle associazioni contadine, in particolare
francesi, che protestano contro le barriere doganali ai propri prodotti, ma
invocano le stesse barriere contro i prodotti altrui.
La seconda componente si impegna per un'altra globalizzazione, dal volto
umano, estesa ai diritti ed alle libertà civili e religiose, non limitata
al mercato e all'informazione. Questi movimenti colgono gli aspetti
positivi della globalizzazione e vogliono estenderli a coloro che ne sono
esclusi. La parte più idealista, che comprende anche un'anima religiosa,
invoca giustizia tra i popoli, lotta contro la povertà, la fame, le
malattie e la sete, l'analfabetismo, e chiede la globalizzazione dei
diritti e dei valori civili. La parte più politica si interroga su come
ottenere questi obbiettivi e propone la riforma democratica dei grandi
organismi internazionali.
Nelle iniziative del movimento, inoltre, si inseriscono a volte, senza
farvi strategicamente parte, provocatori, anarchici insurrezionalisti,
gruppi eversori e violenti di diversa collocazione politica, black
blockers, che utilizzano parassitariamente le manifestazioni per attaccare
le forze di polizia, fare opera di provocazione, distruggere beni che essi
ritengono simboli della società che avversano.
A causa di questa complessità, e dell'impossibilità di riduzione ad unum
dell'intero movimento, non si possono attribuire a tutte le componenti del
movimento linguaggi e comportamenti propri di alcune di esse.
Tuttavia alcuni gruppi di manifestanti non hanno né isolato né condannato
le violenze, si sono avvalse di un linguaggio aggressivo, non hanno segnato
con nettezza il confine che esiste tra la disobbedienza civile e la
violenza, hanno tenuto comportamenti ambigui, come la riproduzione davanti
alle telecamere delle tecniche di violazione della zona rossa.
Tutto ciò ha contribuito ad alimentare il clima di tensione, ha
incoraggiato taluni all'aggressività ed ha fornito alle componenti più
estremiste della maggioranza parlamentare il pretesto per dare un'immagine
violenta di tutto il movimento.
Il dr. Agnoletto, portavoce, del GSF ha ammesso l'errore dell'uso di un
linguaggio violento ( seduta del 6 settembre 2001, p. 79 del fascicolo).
Luca Casarini, portavoce delle "tute bianche", ha spiegato al Comitato il
comportamento della propria componente del GSF in termini non convincenti e
senza la consapevolezza della scarsa consistenza, nella pratica, dei
confini tra i comportamenti da lui definiti di "disobbedienza civile" e la
violenza vera e propria.
Tuttavia la responsabilità di alcune componenti del GSF non è di per sé
idonea a cancellare o ridurre le responsabilità del governo e di chi era
responsabile in loco della pubblica sicurezza.
Era infatti ampiamente noto a tutti che Genova, è la stessa cosa sarebbe
valsa per qualunque altra città Si ricorda a questo proposito l'intervento
del senatore Grillo, AA PP, Senato, seduta n.8 del 27 giugno 2001, sarebbe
stata attaccata da gruppi violenti.
Infatti prima di Genova altre manifestazioni avevano fatto presagire le
difficoltà nelle quali ci si sarebbe imbattuti.

Questi precedenti avrebbero dovuto condurre nella gestione pratica
dell'ordine pubblico a distinguere tra violenti e non violenti. Ma la
repressione a Genova si è rivolta prevalentemente contro gli inermi ed
invece i gruppi violenti sono stati prevalentemente lasciati agire.
In una scena ripresa da una emittente televisiva locale, TeleGenova, si
vede chiaramente un cittadino, in Corso Torino, dove erano state appena
effettuate devastazioni, che, impaurito per il disordine, giunge ad inveire
contro le forze dell'ordine chiedendo il loro intervento a tutela della
città per evitare che i cittadini siano costretti a difendersi da soli. Il
cittadino è visibilmente esasperato, tanto che alcuni poliziotti si
avvicinano cortesemente a lui per calmarlo.

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7. La principale responsabilità del Ministro dell'interno.

Il ministro Scajola ha indicato nel suo intervento in Comitato, e quindi
dopo l'evento, i cinque obbiettivi che il governo intendeva garantire a
Genova: a) assicurare il regolare svolgimento del vertice, garantendo ai
Capi di Stato, ai Capi di Governo e a tutte le delegazioni di partecipare
in condizioni di completa sicurezza; b) tutelare i diritti dei cittadini
che erano a Genova, l'incolumità della città e dei beni dei privati; c)
garantire la libertà di manifestazione durante le giornate della conferenza
a tutti coloro che avessero espresso le loro opinioni pacificamente e nel
rispetto delle leggi; d) agire con il massimo rigore nell'azione di
contrasto verso i violenti che avessero tentato di turbare il regolare
svolgimento del vertice; e) offrire piena fiducia all'azione delle forze
dell'ordine.
E' stato conseguito soltanto il primo dei cinque obbiettivi. Ma non sono
stati tutelati né la città di Genova, né la libertà di manifestazione
pacifica, né è stata assicurata la repressione dei violenti. E' stata messa
a rischio la fiducia dei cittadini nelle forze di polizia.
Sono quattro fallimenti gravi determinati dal fatto che in verità l'unica
reale priorità era costituita dalla cosiddetta difesa della zona rossa.
Tutto il resto era considerato secondario ed accessorio.
La scelta di concentrare le forze di polizia nella zona rossa ed attorno a
questa zona, rinunciando a presidiare l'intero territorio della città con
la medesima cura, ha permesso ai violenti di spadroneggiare, ha impedito ai
reparti delle forze dell'ordine di svolgere un'azione serena e ferma di
controllo del territorio e li ha costretti ad inseguire disordinatamente i
manifestanti, di modo che sono stati i più violenti tra loro a determinare
con le distruzioni gli spostamenti delle forze dell'ordine.
D'altra parte l'obbiettivo prioritario per il governo, lo era anche per le
forze dell'ordine; in assenza di una ordinata e previdente distribuzione
delle forze sul territorio, ciascun reparto era responsabilizzato a non
creare condizioni che potessero mettere a rischio la zona rossa. Ciò forse
spiega alcune singolarissime inerzie.
Fatto sta che il Ministro ha ritenuto di difendere i capi di stato e di
governo prevalentemente con la presenza delle forze di polizia, nulla di
più giusto, e di difendere i genovesi prevalentemente attraverso il dialogo
con gli esponenti dei manifestanti, niente di più sbagliato. Il dialogo era
utile, anzi necessario, ma per ragioni di ordine civile, non per ragioni di
ordine pubblico. Era ed è giusto consentire ad un movimento, che pone
grandi straordinari problemi all'attenzione di noi tutti, di poter
esprimere liberamente le proprie posizioni. Ma la gestione contrattata
dell'ordine pubblico è possibile solo quando le manifestazioni sono indette
e gestite da organizzazioni omogenee e con una riconosciuta capacità di
tenuta della piazza. Nella specie il GSF, proprio per rappresentare oltre
700 organizzazioni dagli orientamenti ideali più diversi, per la prima
volta tutte insieme alla prova della manifestazione di piazza, non aveva né
poteva avere le caratteristiche di tenuta proprie delle forze politiche o
sindacali tradizionali.
Inoltre il Ministro, aveva tutte le informazioni necessarie per prevedere
quello che sarebbe accaduto. Ma nulla ha fatto per difendere Genova e i
genovesi, forse sulla base dell'erroneo e non responsabile calcolo che i
disordini nella città avrebbero comunque trattenuto i manifestanti lontano
dalla "zona rossa".
Il ministro dell'Interno, in base alla legge sulla riforma della polizia
(121/81), è "responsabile della tutela dell'ordine e della sicurezza
pubblica", "adotta i provvedimenti per la tutela dell'ordine e della
sicurezza pubblica", emana non solo "direttive" ma anche specifici "ordini"
nei confronti del dipartimento di pubblica sicurezza.
Si può discutere di queste forme di responsabilità in capo ad un'autorità
politica; alcune di queste previsioni vanno riviste, come noi proponiamo
più avanti. Ma oggi lo statuto del Ministro dell'Interno è quello definito
dalla legge. Ai doveri, che da quello statuto derivano, l'on. Scajola è
venuto meno.

I lavori del Comitato hanno messo in luce inoltre come nella maggioranza e
nello stesso governo siano emerse differenze e contraddizioni che hanno
concorso a disorientare l'opinione pubblica e le forze di polizia.
Il 9 maggio il presidente della Regione Biasiotti dichiara a La Stampa:
"Genova non può permettersi di ospitare le manifestazioni degli antiG8 nei
giorni del summit."
Su Il Corriere della Sera del 3 giugno l'on. Frattini, che sarà ministro
della Funzione pubblica nel governo Berlusconi, sostiene invece la
necessità del colloquio.
Anche dopo Göteborg le valutazioni divergeranno. Mentre il Presidente del
Consiglio insisterà sul tema dell'allarme e della paura, il ministro degli
Esteri riferirà al Comitato, rispondendo ad una domanda dell'on. Boato, che
dopo Göteborg si manifesta la consapevolezza che la protesta conteneva

"elementi che rappresentavano valori nuovi e vecchi, ma che nessuno poteva
mettere in discussione, come i diritti umani, i diritti dei lavoratori, la
protezione dei bambini, l'ecologia, la protezione dell'ambiente, la lotta
alla povertà eccetera.. Direi che dopo Göteborg tali argomenti sono entrati
nel dibattito tant'è vero che Göteborg ha avuto forse un'influenza positiva
nel convincere tutte le delegazioni che questi dovevano essere i temi del
vertice di Genova." AAPP Camera dei deputati, seduta del 7 settembre 2001,
p. 61.

L'11 aprile 2001, un mese prima delle elezioni, l'on. Gasparri, esponente
di Alleanza Nazionale e Ministro delle Comunicazioni nel governo
Berlusconi, dichiara a Il Giornale: "E' sbagliata la strategia del dialogo
con gli oppositori del G8. Palazzo Chigi ha sottovalutato la violenza del
popolo di Seattle".

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8. La condivisione della scelta di Genova come sede del G8.

La scelta della città di Genova come sede del G8 venne proposta formalmente
in Parlamento dal Governo D'Alema con il ddl 4566 del 5 aprile 2000
intitolato "Disposizioni per l'organizzazione del vertice G8 a Genova".
C'era già stata Seattle; ma non fu sollevata alcuna obiezione, anzi gli
esponenti del centro destra che intervennero tanto alla Camera quanto al
Senato sottolinearono non solo la condivisione della scelta, ma anche il
positivo clima di concordia tra maggioranza e opposizione.
Alla Camera, ad esempio, fu l'on. Armaroli, di AN, che ribadì: " Su un
disegno di legge governativo sono i deputati dell'opposizione che si
schierano a favore di Genova".
Simile fu la situazione nella legislatura successiva quando il governo
Berlusconi presentò alle Camere il ddl di conversione del Decreto Legge
160/2001 "recante ulteriori finanziamenti per la presidenza italiana del G8
per l'anno 2001 e per il vertice di Genova". C'erano già state, come detto
in precedenza, Praga, Nizza, Göteborg, il salone delle biotecnologie a
Genova e il forum di Napoli sulla E-governance. Il clima fu comunque
unitario; e chi criticò la scelta di Genova lo fece solo in relazione alla
necessità di dover impiegare nuove risorse finanziarie ( int. on. Armani in
Commissione speciale, 15 giugno 2001).
A questa critica rispose l'on. Baiamonte, di Forza Italia, che ricordò il
comportamento cooperativo tenuto dall'opposizione nella precedente
legislatura.
Ma la questione fu affrontata in modo più approfondito dal senatore Grillo,
del gruppo F.I., in sede di dichiarazione di voto il 27 giugno 2001:
"Si è parlato in questi giorni e a lungo del G8 e da taluni si è osservato
che Genova, per la sua struttura urbanistica e per le caratteristiche del
suo territorio mal si addice ad ospitare vertici così importanti.
Non c'è dubbio - lo dico io, rappresentante eletto in questa città- che ci
sia del vero in questo, ma credo che il problema non sia Genova e la sua
struttura urbanistica e orografica, bensì un altro. Credo infatti che
finché i vertici fra i Grandi della Terra si svolgeranno nei centri urbani,
dovremo mettere comunque e sempre in conto i problemi della contestazione
e, conseguentemente, quelli della sicurezza. D'altro canto credo che sia
inimmaginabile pensare di svolgere incontri di questo livello, che hanno
avuto in questi anni lo sviluppo che conosciamo, in località isolate, dando
così l'impressione di cercare un rifugio in soluzioni che potrebbero
apparire, queste sì , conseguenza di una scelta ancora più elitaria, ancora
più distante dal consenso della gente.Sono convinto invece che a Genova il
nostro Paese saprà ben figurare, dimostrando con le sue capacità
organizzative, all'opinione pubblica mondiale quanto sia meritata la sua
credibilità internazionale."

Un mese prima dell'evento, illustrando una sua interrogazione al vice
presidente del Consiglio, l'on. Bornacin (AN) confermava l'unanimità della
scelta:
" (Il vertice di Genova) nacque come un'occasione importante per il nostro
Paese, per la città di Genova, tanto è vero che, pur essendo stato
approvato dal precedente Governo, i disegni di legge che ne varavano
l'organizzazione vennero votati anche dal centrodestra con una procedura
d'urgenza sia al Senato che alla Camera" AAPP, Camera deputati, seduta 27
giugno 2001

Dopo il vertice di Göteborg i quotidiani dettero notizia di discussioni in
sede di governo circa la possibilità di spostare il vertice da Genova ad
altra sede. Si ritenne di confermare Genova, informava il Corriere della
Sera del 17 giugno, perché ormai era troppo tardi ed anche per un'altra
ragione:

".la tesi politica a favore del mantenimento del vertice nel capoluogo
ligure - scriveva l'autorevole quotidiano - è che l'eventuale grave
insuccesso sul piano dell'ordine pubblico sarebbe stato attribuibile
pressoché in toto ai governi di centrosinistra. Se invece la sede venisse
spostata il nuovo governo ne avrebbe una più diretta responsabilità."

La tesi veniva confermata da successive dichiarazioni del presidente del
Consiglio, secondo il quale i meriti ed i demeriti del G8 sarebbero
comunque ricaduti sul precedente governo che aveva scelto la città di
Genova v. Il Giornale, 17.6.2001, p.4: " Berlusconi: sul G8 meriti e colpe
vanno a chi ci ha preceduti".
La dichiarazione appariva prevalentemente diretta ad attribuire le
responsabilità di un cattivo esito al precedente governo. Se il vertice non
avesse avuto problemi si sarebbe infatti sostenuto che il merito era di chi
lo aveva gestito. La riprova è nel vertice ONU del 1994 che si tenne a
Napoli. Il vertice era stato organizzato dal governo Ciampi, sostenuto dal
centro-sinistra, ma venne condotto dal primo governo Berlusconi; ebbe un
buon risultato, ma a nessuno venne in mente di accreditarlo al precedente
presidente del Consiglio.
Per queste ragioni, dopo le dichiarazioni del presidente del Consiglio,
autorevoli esponenti dell'opposizione sostengono, come titola Il Sole 24
Ore del 17 giugno, che il leader della CdL "è un irresponsabile".
Il presidente della Regione Liguria, Sandro Biasiotti, dichiara a La Stampa
del 18 giugno: "O si fa a Genova o non si fa da nessuna parte".
Il Ministro Scajola in una lettera a Il Secolo XIX dell'11 luglio escludeva
l'inidoneità di Genova pur lamentando i ritardi nell'organizzazione, che ,
come emergerà dai lavori del comitato, erano determinati dalle incertezze
di alcune delegazioni, in particolare quella degli USA, sulla sistemazioni
logistica, incertezze motivate da ragioni di sicurezza .
Tuttavia il Ministro Frattini in un'intervista a Il Messaggero del 19
luglio, rispondendo al giornalista che obiettava: "Ma è stato il governo di
cui fa parte a trasformare Genova in una città di guerra", rispondeva:
" Noi abbiamo dovuto rispondere ai messaggi inquietanti ed alle minacce.
Era nostro dovere stendere una rete di sicurezza per i genovesi e le
delegazioni straniere. Tanto più che non può essere il governo Berlusconi a
pagare il prezzo della scelta sbagliata di Genova come sede del G8."

A queste affermazioni se ne aggiungeva un'altra, "Sarebbe stata meglio una
video conferenza", che lascia perplessi non solo per l'inopportunità, non
solo per la disarmante irresponsabilità, ma anche per la sua inutilità; a
meno che tutto lo sforzo di alcuni uomini di governo non fosse concentrato,
piuttosto che sulla buona riuscita del vertice, sulla ricerca di espedienti
per attribuire le responsabilità di un previsto insuccesso al precedente
governo.
La scelta, condivisa dal centro destra sin dall'inizio, era confermata da
alcuni uomini di governo e solo alla vigilia, quando maggiore sarebbe stata
l'esigenza di rasserenamento, diventava per altri, e per lo stesso
presidente del Consiglio, sbagliata e pericolosa.
Peraltro una parte delle polemiche non dipendeva da una valutazione attenta
delle circostanze di fatto, ma da pure ragioni di lotta politica.
In questo quadro si colloca una singolare iniziativa assunta dalla
componente ligure di Forza Italia il 22 febbraio 2001, alla vigilia dello
scioglimento delle Camere per le elezioni politiche. Il Secolo XIX
pubblicava un'intera pagina di inserzione pubblicitaria dove era riprodotta
una fotografia della presidente della provincia di Genova, Marta Vincenzi,
insieme ai contestatori della mostra-convegno internazionale sulle
biotecnologie, tenutasi a Genova dal 24 al 26 maggio 2000; la foto
raffigura la polizia che fronteggia i dimostranti con le scritte "Pericu,
Vincenzi, volete che tutto questo si ripeta? Forza Italia: no alla violenza
e alle ambiguità, sì ad un G8 sicuro". La presidente Vincenzi contestava
l'idea di eccitare la tensione e la paura, insita nel messaggio contenuto
nel manifesto, ed aggiungeva di essere "onorata di essere stata ritratta in
una foto dove si può osservare sia l'efficienza delle Forze dell'ordine che
il diritto democratico di manifestare da parte di chi contestava".
Peraltro il senatore Grillo, appartenente a FI ed eletto in Liguria,
contestava seccamente l'iniziativa del suo partito in un'intervista allo
stesso quotidiano, definendola "Una brutta provocazione".
Da questo tipo di messaggi e dalle contraddittorie posizioni sopra
ricordate nasce il disorientamento in cui si trovarono non solo i cittadini
di Genova ma soprattutto le forze dell'ordine, incerte persino sulla
condivisione, da parte del Governo che le dirigeva, della stessa scelta
della città del vertice.
Il Governo e le forze politiche che lo sostengono avrebbero dovuto giocare
la carta dell'autorevolezza, della serenità e del prestigio; giocarono
invece quelle della divisione e della paura.

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9. La fuga delle notizie provenienti dai servizi di sicurezza

Il G8 si è presentato all'attenzione dei servizi di sicurezza con caratteri
del tutto inediti.
I problemi sono derivati dall'intreccio di rischi provenienti da varie
fonti: dalle organizzazioni eversive italiane, da quelle terroristiche
operanti nei diversi Paesi del G8 che avrebbero potuto avere uno specifico
interesse ad attentare all'iniziativa in quanto tale o al responsabile
politico del loro paese; dal terrorismo internazionale antiamericano ed
antioccidentale; dal terrorismo degli estremisti islamici. Come è stato
osservato in un saggio dedicato a questa materia E.C.Del Re, I servizi al
G8, Limes, 3/2001, p. 203ss., si continua a trattare il movimento
antiglobalizzazione come un problema di eversione e di antagonismo,
tendendo ad accomunarlo ad altri del passato. Soprattutto non si è distinto
tra il movimento antiglobalizzazione in quanto tale e coloro, del tutto
diversi, che avrebbero potuto approfittare delle iniziative
antiglobalizzazione per realizzare i loro piani eversivi. Secondo alcuni, i
servizi italiani sarebbero cresciuti negli ultimi anni dal punto di vista
qualitativo molto più della capacità istituzionale di utilizzare
l'intelligence E.C. Del Re, cit., p.207. In realtà sembra che le
informazioni siano state più spesso utilizzate dai mezzi di informazione
per "colpi" giornalistici, che dai responsabili politici come elemento di
riflessione e di intervento. Ciò è grave perché snatura lo stesso lavoro
del sistema di sicurezza.
Se la valorizzazione prevalente delle informazioni dei servizi è di
carattere mediatico, senza alcuna distinzione tra informazioni, illazioni,
previsioni, sospetti e descrizione di ipotetici scenari, è inevitabile una
tendenza dei servizi stessi a lavorare sulle notizie che possono apparire
più eclatanti rispetto a quelle che possono apparire più fondate. Questa
deformazione si verifica non per loro responsabilità, ma per responsabilità
di quella parte dei responsabili politici, che non utilizza ancora nelle
forme e con l'attenzione dovuta il lavoro dei servizi, senza contare che
appartengono proprio a questo mondo coloro che con maggiore frequenza
trasmettono le notizie ai mezzi di informazione provenienti dai servizi.
Per quanto è apparso al Comitato, i servizi non hanno selezionato il
materiale in loro possesso, facendo invece giungere sul tavolo dei
responsabili una congerie di informazioni confuse ed inutilizzabili. Alcune
di queste, per la loro eterogeneità, dal sangue infetto da gettare sugli
agenti, alle buste con sangue di maiale (perché poi di maiale?) agli
alianti per colpire i capi di Stato - erano inidonee a prevenire alcunchè
ma idonee a suscitare l'allarme più elevato. E ciò è tanto più grave se,
come puntualmente avvenuto, quelle informazioni erano fatte pervenire, con
tempestività pari alla irresponsabilità, alle redazioni dei quotidiani e
dei settimanali e pubblicate quindi con grande risalto e con titoli,
coerenti con il contenuto, che suscitavano paura e tensione v. ad es. Il
Giornale 17 giugno 2001 "Il piano segreto per far tremare Genova"; Id., 18
giugno "Spunta Bin Laden dietro i finanziamenti del popolo di Seattle".
Il dr. La Barbera, per le sue funzioni di direttore centrale della Polizia
di Prevenzione, aveva appunto il compito della prevenzione e doveva quindi
elaborare i dati che pervenivano dai servizi. Egli ha precisato di aver
diffuso alle articolazioni periferiche 126 note di interesse ( i servizi ne
avevano elaborate oltre 200), ma ha lamentato che i dati rilevanti erano
stati "complessivamente rari, comunque non dettagliati e, soprattutto,
indistinti tra una moltitudine di informazioni risultate nella maggior
parte dei casi prive di un qualche riscontro" (seduta 28 agosto 2001,
p.145).
Si è verificato il paradosso che quelle informazioni mentre non aiutavano,
per la loro eterogeneità e la conseguente scarsa affidabilità, ad elaborare
una razionale strategia di difesa si rivelavano, per la loro irresponsabile
comunicazione agli organi di informazione, del tutto idonee tanto ad
aumentare la tensione nella città di Genova quanto a motivare i gruppi più
violenti.

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10. Le scelte autonome di Alleanza Nazionale

Le confusioni maggiori sono derivate dalla linea tenuta da Alleanza
Nazionale anche in divergenza dagli orientamenti del governo e degli altri
partiti della maggioranza.
Gli elementi di fondo di questa linea sono due: generare un clima di paura
nella città di Genova; tentare di costruire un proprio rapporto politico
privilegiato con le forze dell'ordine.
Sulla paura a Genova insistono numerosi commenti di uomini politici di
destra ed organi di stampa che a questa parte politica fanno riferimento.
La linea è espressa chiaramente dal deputato Bornacin in un'intervista del
10 luglio a Il Secolo d'Italia:
"Ribadisco che Genova resta una città in preda al terrore, l'effetto
positivo dell'azione dell'esecutivo non basta a colmare una paura
alimentata anche dai ricordi del convegno internazionale sulle
biotecnologie della primavera di un anno fa..Negozi chiusi, tassisti in
agitazione per le mancate risposte sulla propria tutela da parte
dell'amministrazione comunale di centrosinistra e fuga dei residenti nei
tre giorni del vertice sono il quadro attuale della situazione che sta
coinvolgendo anche Imperia e Sanremo, centri attraverso i quali transiterà
il popolo di Seattle".

La tesi, espressa con chiarezza da vari articoli de Il Giornale, è che la
sinistra, proprio perché ha perso le elezioni politiche, cerca una
rivincita a Genova contro il governo di centrodestra "Il Giornale" 20
maggio: in : E' allarme rosso al G8. L'estrema sinistra in cerca della
rivincita.".:

"Proprio per questo il voto del 13 maggio è destinato a pesare, eccome,
sullo svolgimento dal 20 al 22 luglio prossimo del vertice degli otto Paesi
più industrializzati del mondo: da un lato si agitano i 200 mila
contestatori internazionali della globalizzazione, blanditi e sponsorizzati
dai "compagni" italiani che ne faranno un'occasione di rivincita dopo la
batosta elettorale."

Tentativo di rivincita violenta della sinistra sconfitta alle elezioni e
terrore nella città sono i due assi di questa interpretazione politica, che
hanno avuto effetti gravi nell'immagine delle forze di polizia e nel
comportamento di alcuni appartenenti ai diversi reparti impegnati a Genova.
D'altra parte solo in questo modo si spiegano le aggressioni verbali di
alcuni appartenenti alle Forze dell'Ordine contro gruppi di manifestanti o
di arrestati definiti "comunisti" con varie qualificazioni spregiative
aggiuntive; la stessa motivazione trova la provocazione di un agente che a
Bolzaneto fa sentire la canzone fascista "Faccetta Nera" ad alcuni detenuti
V. lettera di Marco Poggi, infermiere alla Caserma di Bolzaneto, inviata al
Comitato il 30 agosto 2001..
Alleanza Nazionale cerca di sfruttare a suo vantaggio l'evento di Genova.
Non può apparire come chi lo ha cogestito e quindi non può coglierne gli
utili in termini di consenso e di immagine. Questo spazio è tutto occupato
dal presidente del consiglio e dai ministri dell'interno e degli affari
esteri. D'altra parte è significativo che il Ministro dell' Interno non
deleghi neanche un momento della preparazione ad un sottosegretario.
Per AN non resta che cavalcare il vertice, non sul versante della politica
bensì sul versante dell'ordine pubblico, schierandosi aprioristicamente
contro i manifestanti e dalla parte delle forze dell'ordine, cercando di
aprire una frattura tra società civile e forze di polizia, come è proprio
di una cultura autoritaria dell'ordine pubblico.
E' significativa un'attenta lettura dell'intervento:
Gli indirizzi politici, sono autorevolmente ed abilmente espressi dal
vicepresidente del Consiglio on. Gianfranco Fini alla Camera il 27 giugno
2001, per di più in una seduta trasmessa in diretta televisiva: a)
attribuire davanti all'opinione pubblica e alle forze di polizia ogni
manifestazione di piazza ai gruppi violenti ed eversivi; b) garantire che
in caso di scontri nessuna responsabilità sarà in alcun caso addebitata dal
governo alle forze dell'ordine.
Il vice presidente del consiglio non parla di violenza sulle cose e sulle
persone, parla soltanto di manifestazioni e turbolenze di piazza. Ma un
corteo di migliaia di persone, anche se pacifico, è di per sé una
manifestazione di piazza ed arreca quelle che sono chiamate "turbolenze",
blocco della circolazione stradale, chiasso etc.; altra cosa naturalmente
sono le violenze, le quali peraltro non sono connaturate ai cortei, se non
in una visione autoritaria, ottocentesca dell'ordine pubblico, contraria
alla costituzione repubblicana, come "ordre dans la rue".
Questo indirizzo è profondamente sbagliato; non serve a garantire né i
manifestanti pacifici né le forze di polizia; è solo il precipitato di una
cultura autoritaria fondata sulla separazione-contrapposizione tra forze
dell'ordine e società civile, che potrebbe annullare il rapporto saldo e
democratico che l'intero paese, indipendentemente dalle collocazioni
politiche, ha con le sue forze dell'ordine. Ed infatti sono proprio gli
appartenenti a quest'area politica che insistono sulla irriducibile
contrapposizione tra manifestanti e forze di polizia.
Per fortuna solo una ristretta minoranza di appartenenti alle forze
dell'ordine si è fatta condizionare da questo indirizzo.
L'ANSA del 19 luglio informa che "un gruppo di parlamentari della Casa
delle libertà sarà a Genova durante i giorni del G8 in funzione di
'osservatori', per portare la loro solidarietà alle Forze dell'ordine e per
evitare che queste possano essere accusate di aver compiuto provocazioni
contro i manifestanti". L'iniziativa è presentata dal capogruppo di AN alla
Camera, Ignazio La Russa e dal suo promotore, il deputato Filippo Ascierto,
anch'egli di Alleanza nazionale. La stessa agenzia informa che il
presidente La Russa ha dichiarato che quei parlamentari "vogliono guardare
con i propri occhi per essere sicuri che non possano essere avanzate facili
accuse verso le Forze dell'ordine" e che i deputati saranno presenti a
staffetta nella sala centrale operativa. E l'on. Ascierto spiega
all'ADNkronos che "i parlamentari saranno in 'sala situazione' in modo tale
che nessuno potrà parlare di provocazioni da parte delle forze
dell'ordine.". Lo stesso deputato, informa Il secolo d'Italia del 20
luglio, dichiara: "Le forze dell'ordine avranno dei testimoni di parte ,
così non si potrà dire che hanno messo in atto provocazioni." Il Secolo
d'Italia, 20 luglio 2001, p.2, I deputati della CDL "osservatori"
dell'ordine..
In pratica, una forza politica di governo, invece di invitare alla serenità
e alla calma insiste sul clima di scontro, giunge a prevedere azioni di
forza degli operatori di polizia e si dichiara disponibile preventivamente
a dire, in qualità di testimone "di parte", che non ci sono state
provocazioni da parte delle forze dell'ordine. Ma nessuno sino a quel
momento, nel mondo politico, tranne i citati deputati di AN, aveva accusato
la polizia di "provocazioni" o previsto che tali comportamenti avrebbero
potuto essere messi in atto dalle forze di polizia. E' in ogni caso la
traduzione degli indirizzi indicati dal vicepresidente del consiglio e
presidente di Alleanza nazionale, on. Fini.
Le finalità di questo non responsabile atteggiamento sono due: contribuire
a far aumentare la tensione e rassicurare le forze di polizia circa la
copertura preventiva offerta da quella forza politica a qualunque loro
comportamento. Il disordine diventava "necessario": se, infatti, non ci
fossero stati disordini, non sarebbe scattato il meccanismo politico che ha
portato quel partito ed i suoi dirigenti ad assumere a Genova una
visibilità tutta propria, persino superiore a quella del presidente del
Consiglio.
A questo clima si associano alcuni piccoli sindacati, politicamente vicini
ad AN. Il presidente di una Unione Sindacale di Polizia, riporta l'ANSA del
17 giugno, chiede di annullare il vertice di Genova che si trasformerà "in
una trappola per le forze di polizia" con "il rischio di un massacro per i
nostri agenti". Nessun dialogo "con i contestatori " del G8 contro i quali
va usato "il pugno di ferro", sostiene un Libero sindacato di polizia
all'ANSA il 21 giugno. Lo stesso sindacato (ANSA 29 giugno) "contesta il
diritto a manifestare invocato dal popolo di Seattle "quando lo stesso
diritto viene negato, con fulminee ordinanze di divieto, per tantissime
manifestazioni di estrema destra e di altro segno politico. La stessa
organizzazione annuncia il 5 luglio (ANSA) che terrà il giorno successivo
un presidio davanti alla Questura di Genova per protestare "contro la
mollezza governativa di fronte alle assurde richieste di alcuni esponenti
dell'organizzazione antiG8".
Il carattere non responsabile di questi comportamenti emerge con chiarezza
ancora maggiore se si considera che nei giorni antecedenti al vertice erano
stati commessi vari attentati Il 16 luglio 2001, un plico bomba ferisce il
carabiniere Stefano Storri della stazione dei CC di S. Fruttuoso a Genova
[F,144] [U,90] [MM, I,24];
Il 17 luglio 2001, una busta contenente due proiettili e le foto di
Agnoletto e Casarini è indirizzata al Sindaco di Genova, dott. Pericu
[MM,I,24] [MM, 29].
Il 18 luglio 2001: esplode una lettera bomba nella sede del TG4 di Segrate;
viene recapitata una busta incendiaria alla società Benetton Group di
Ponzano Veneto [F,144]; un plico incendiario è inviato al prefetto di
Genova [HH, 110,126]; a Bologna viene disinnescata una bomba in pieno
centro [ANSA]; si verifica un attentato alla sede di un'agenzia milanese di
lavoro interinale, rivendicata da un sedicente "Fronte rivoluzionario per
il comunismo" [ANSA]., con conseguenze in qualche caso gravi, che avevano
contribuito a creare un clima di allarme.
Sarebbe stato più saggio da parte di un'importante forza politica, con
grandi responsabilità di governo, non cavalcare il terrore a fini di parte,
ma contribuire a rasserenare gli animi e a ridurre le tensioni.

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10.1. La presenza a Genova dei parlamentari di Alleanza nazionale

Durante i giorni del vertice, e dei disordini, furono presenti a Genova il
vicepresidente del consiglio ed alcuni deputati di Alleanza nazionale. Si
trattava dell'adempimento della "missione" anticipata attraverso la
conferenza stampa del 18 luglio. I deputati si trattennero per pochi minuti
nelle sale operative della polizia di Stato e per molte ore tanto il 20
quanto il 21 luglio, in Forte San Giuliano, sede del Comando provinciale
dell'Arma dei carabinieri a Genova. E' stato riferito al Comitato che il
lungo prolungarsi della visita presso la sede dell'Arma era stato
determinato dalla violenza dei disordini attorno a Forte san Giuliano. E'
pur vero che, come risulta anche al Comitato, i disordini iniziarono
intorno alle 11,30 del mattino; ma il momento di massimo scontro si ebbe
tra le 16, 30 e le 17,30 (ora in cui morì Carlo Giuliani), proprio quando i
deputati lasciarono il comando.
Un'Ansa del 20 luglio riporta una dichiarazione dell'on. Ascierto: "Sono
stato nella centrale operativa dei carabinieri insieme ad altri due
parlamentari, Guido Bornacin e Federico Bricolo, fino a pochi minuti prima
della morte del manifestante. Dal monitor ho potuto vedere le diverse zone
di Genova dove vi erano degli scontri e posso testimoniare un grande senso
di responsabilità dei carabinieri.". Analoghe dichiarazioni erano rese
dallo stesso parlamentare a varie radio private e pubbliche. Da queste
dichiarazioni emerge una presenza costante di questi deputati in un luogo,
sala operativa, particolarmente delicato, in modo da rafforzare l'idea, che
AN ha tentato di costruire attorno al vertice, di partito garante delle
forze dell'ordine. Peraltro il generale Siracusa precisava, sulla base
delle informazioni in suo possesso, che i deputati Bornacin, Ascierto e
Bricolo si erano trattenuti il giorno 20 nella sala stampa e non nella sala
operativa, mentre non era in grado di fornire precisazioni in ordine alla
visita effettuata il giorno 21 dal vicepresidente del Consiglio AA PP,
Camera dei Deputati, seduta 8 agosto 2001, p.197. Il colonnello Graci,
comandante del reparto operativo dei carabinieri di Genova, smentisce
nettamente l'on. Ascierto: "In centrale operativa, accompagnati dal
comandante provinciale, sono entrati alcuni parlamentari, sia il 20 sia il
21 luglio: sono entrati, hanno salutato il personale di servizio e sono
usciti.in centrale operativa si sono fermati il tempo strettamente
necessario per salutare." AA PP, Camera dei Deputati, seduta 29 agosto
2001, p.113.
Non si ha alcun motivo di dubitare della dichiarazione resa da un ufficiale
dell'Arma, che peraltro coincide sostanzialmente con quella del Comandante
generale, essendo evidente che se la visita alla sala operativa era durata
solo i pochi attimi necessari per un saluto di cortesia non c'era ragione
di informarne dettagliatamente il comandane generale. Bisogna però
chiedersi per quale motivo l'on. Ascierto millanti in dichiarazioni la sua
lunga presenza nella sala operativa dei carabinieri. Non si tratta di una
infantile vanteria. La sala operativa, ha spiegato il colonnello Graci al
Comitato, è un'area riservata e vi entra solo il personale autorizzato;
inoltre nei cinque anni di comando del reparto operativo era questa la
prima volta che vi entravano parlamentari, sia pure per il tempo
strettamente necessario ai saluti AA PP, Camera dei Deputati, seduta 29
agosto 2001, p. 114.
Dichiarare quindi di essere stato a lungo in sala operativa (anche in
diretta radiofonica) era una bugia, ma serviva a dare l'immagine di un
partito credibile, capace di forzare regole e di garantire quindi quella
copertura di cui gli esponenti di AN avevano parlato nei giorni precedenti.
Non c'è dubbio che nessuna forza di polizia si sia lasciata attrarre da
queste richieste offerte di padrinato, che miravano a conferire ad esse una
collocazione di parte, contro i principi fondamentali della nostra
democrazia.
E tuttavia non può non rilevarsi il carico di responsabilità politica che
quei comportanti assumono nei disordini di Genova e nel costruire il
convincimento che in piazza, per reagire ai disordini, ci si poteva
comportare secondo gli indirizzi di quel partito e non secondo i doveri
imposti alle forze di polizia dal nostro ordinamento costituzionale e
riassunti in un opuscolo che il Ministro dell' Interno aveva fatto
distribuire a tutti coloro che operavano a Genova.

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11. Gli indirizzi di Alleanza nazionale dopo Genova

Subito dopo il vertice parte una sorta di terzo tempo dell'operazione degli
esponenti di AN. Occorre tener fede a quanto garantito prima delle
manifestazioni; ma gli eccessi di alcuni appartenenti alle forze di
polizia, che sembrano corrispondere alle indicazioni di esponenti di AN,
rischiano di costituire un boomerang perché espongono il complesso delle
forze dell'ordine ad un giudizio pesantemente negativo, tanto in Italia
quanto fuori.
Gli stessi esponenti di AN cercano di riprodurre il paradigma secondo il
quale c'è una criminalizzazione generalizzata delle forze di polizia, a
Genova i disordini sono stati ispirati dalla sinistra, le violenze
ingiustificate a danno dei manifestanti sono un affare di scarso rilievo.
Un giornalista de Il Corriere della Sera chiede al Ministro delle
comunicazioni Gasparri se si debba far luce sugli eventuali abusi delle
forze dell'ordine. Il Ministro risponde:
"D'accordo si faccia luce su queste cose. Per me sono questioni di
dettaglio. Possiamo anche stabilire se un poliziotto ha dato quattro
manganellate anziché tre. Ma non è questo il punto chiave.(il punto chiave)
è la contiguità, la copertura fornita dalla sinistra alle violenze dei
manifestanti.a fronte di dieci errori compiuti da funzionari di polizia, ci
sono cinquecento reati commessi da esponenti di spicco della sinistra." Il
Corriere della Sera, 31 luglio 2001, p. 3: "Gasparri: stabilire se un
poliziotto ha dato tre o quattro manganellate? Un dettaglio", intervista di
Giuseppe Sarcina.

Successivamente quando cominciano le indagini della magistratura sui
disordini, è sempre AN che attacca pesantemente i magistrati, accusandoli
di incriminare la polizia e di essere indulgenti con chi ha seminato
violenza a Genova. Il 1° settembre 2001, il presidente dei deputati di An,
on. La Russa, il portavoce di AN, Mario Landolfi e il presidente dei
senatori di AN, sen. Domenico Nania, dichiarano congiuntamente, come
riportato dall'ANSA: " [.] agli occhi degli italiani è inspiegabile che la
magistratura genovese continui ad indagare poliziotti e carabinieri e non
arresti i teppisti che hanno tentato di linciare le forze dell'ordine [.] ".

Infine, annuncia un'agenzia AGI del 6 settembre 2001, alla festa di AN
verrà presentato un video realizzato dal SAP, Sindacato Autonomo di
Polizia, sulle violenze commesse a Genova "dalla sinistra".

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12. Le conseguenze dell'atteggiamento di AN

Un'analisi dei fatti e delle dichiarazioni conduce quindi i presentatori di
questa relazione a ritenere che parlamentari di Alleanza Nazionale abbiano
condotto una propria personale gestione del vertice, separandosi dalle
altre forze della maggioranza, al fine di acquisire un proprio peso
specifico nella coalizione e di costruire un proprio personale rapporto con
le forze dell'ordine.
Questa doppiezza di indirizzo politico ha creato incertezza e, in una
situazione di oggettiva confusione determinata dalla cattiva gestione
dell'ordine pubblico durante le due giornate, è stata uno dei fattori di
degenerazione della situazione.
Si è trattato di una scelta rischiosa perché ha tentato di aprire una
lacerazione tra società civile, sistema politico e forze di polizia. Le
forze dell'ordine devono godere in democrazia della fiducia dell'intera
società civile e dell'intero sistema politico. Altrimenti esse sono
collocate su un fronte di parte che le rende nemiche di una parte della
società civile e avversarie di una parte del sistema politico. Questa
lacerazione è incompatibile con l'articolazione dei poteri in democrazia e
con il corretto rapporto di fiducia che deve intercorrere tra istituzioni e
società.
Forse maggiori chiarimenti su questa assai discutibile scelta avrebbe
potuto fornire al Comitato il vicepresidente del consiglio on. Gianfranco
Fini.
Ma la maggioranza del Comitato si è opposta alla sua audizione.

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13. Il comportamento delle forze dell'ordine

Più complessa è la questione del comportamento delle forze dell'ordine.
Esse sono state sottoposte a turni pesantissimi; hanno vissuto la vigilia e
quelle giornate in uno stato di tensione grave determinato anche
dall'irresponsabile comportamento di quegli esponenti di AN che avevano
creato le condizioni psicologiche di una sorta di prova di guerra, non di
una prova, per quanto difficile, di ordine pubblico; sono state dirette
male sul territorio; hanno subito gli effetti della ormai tradizionale, ma
non per questo meno grave, mancanza di coordinamento; sono state lasciate
senza cibo e senza acqua per moltissime ore, nonostante il caldo, la
fatica, il rischio. Uno dei giovani funzionari sentito dal Comitato, che si
trovava in piazza Alimonda nel momento della morte di Giuliani, rispondendo
ad una precisa domanda, ha informato che prestava servizio da 11 ore, ma si
era alzato alle quattro del mattino perchè era alloggiato a 40 chilometri
da Genova; da quell'ora era riuscito a bere dell'acqua solo attorno alle
15,30 AAPP, Camera dei Deputati, audizione dottori Lauro e Fiorillo, 5
settembre 2001, p.168 ss.h
E' in queste condizioni che si sono verificate le incertezze nelle piazze e
nelle strade, gli errori di valutazione, le reazioni violente ed
ingiustificate nei confronti dei manifestanti pacifici. Non si tratta di
comportamenti giustificabili, perché proprio nel rischio emerge la funzione
di polizia. Tuttavia nessuna responsabile valutazione può prescindere dalle
condizioni concrete nelle quali si svolsero gli eventi. E le condizioni
concrete erano di tensione, di disagio, di cattiva organizzazione , di
cattiva conoscenza della città, di difetto di comunicazione. I funzionari
di pubblica sicurezza, infine, erano in molti casi privi di concrete
possibilità di comando nei confronti dei reparti dei quali erano
responsabili.
L'esame delle cause dei comportamenti anomali nelle strade di Genova di
appartenenti alle forze dell'ordine comporta quindi la considerazione di
molteplici fattori. Alcuni sono di carattere soggettivo, altri invece
dipendono dalle strutture di comando. Hanno pesato, ancora, l'inadeguata
distribuzione delle forze nella città di Genova; la concezione,
insidiosamente propalata da quegli appartenenti ad AN, per la quale i
manifestanti erano, per il fatto stesso di manifestare, pericolosi per la
sicurezza pubblica; un atteggiamento, non del tutto assente nel Paese, e
quindi neanche nelle forze dell'ordine, per le quali l'uso della forza è
una prerogativa indiscutibile di chi esercita il potere di coercizione per
conto dello Stato.
Necessariamente diverse sono le valutazioni per le violenze commesse
durante la perquisizione nella scuola Pertini-Diaz e a Bolzaneto. Esse sono
oggetto di valutazione da parte dell'Autorità Giudiziaria; ed è a
quell'autorità che spetta accertare le responsabilità individuali. Ma la
politica non può sottrarsi ad un giudizio.
La confusione che precedette la perquisizione, l'assenza di un chiaro piano
di intervento all'interno, la genericità del mandato, le modalità
dell'esecuzione hanno fatto sì che alla fine, per il numero di feriti, la
violenza dell'irruzione, l'affollamento non necessario degli operatori di
polizia, la pochezza dei risultati, è maturata l'impressione di un
intervento nel quale l'intento di reagire alle violenze subite nel corso
della giornata sembrava far aggio sull'esigenza di acquisire elementi di
prova.
Ancora più inaccettabili sono le violenze della caserma di Bolzaneto. Una o
tante non interessa al giudizio politico. Il corpo e la dignità
dell'arrestato sono intangibili nello Stato democratico.
Nello Stato democratico l'arrestato non è ridotto a cosa, non è alla mercè
di chi lo custodisce; è persona con i diritti e la dignità che
dall'ordinamento costituzionale gli sono riconosciuti. Chi lede gli uni o
mortifica l'altra avvilisce la funzione che esercita, apre una lacerazione
tra Stato e società civile, diffonde paura per lo Stato invece che
rispetto, rischia di rompere la coesione civile del Paese.

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Considerazioni conclusive


Al termine dell'indagine conoscitiva, e al di là delle legittime diversità
politiche che si esprimono in sede parlamentare, la Commissione ritiene che
l'intero Parlamento debba riaffermare unitariamente alcuni principi
fondamentali che riguardano il rapporto tra sistema politico, forze di
polizia, società civile, dissenso.
Il sistema politico deve garantire, in tutte le sue componenti, che le
forze di polizia siano e si sentano forze dell'intero Paese,
indipendentemente dalle maggioranze e dalle minoranze che vivono nel
parlamento e nella società. La coesione di un Paese si misura anche sulla
base del grado di fiducia che nelle forze di polizia ha la società civile,
soprattutto nelle sue aree di dissenso politico.
Le forze di polizia italiana hanno saputo conquistare questa fiducia non
solo attraverso il quotidiano impegno, ma anche attraverso la lotta contro
le organizzazioni terroristiche e le organizzazioni mafiose. La polizia che
era in strada a Genova è la stessa che ci ha liberato dal terrorismo rosso
e dallo stragismo nero; è la stessa che ha arrestato i più importanti capi
delle organizzazioni mafiose. Gli errori che sono stati commessi a Genova,
e che ha riconosciuto lo stesso Ministro dell'Interno nel corso della sua
audizione davanti al Comitato , non possono essere utilizzati per rompere
quel rapporto di fiducia. Tutti dobbiamo auspicare che nessuna forza
politica tenti più nel futuro di mettere la polizia contro una parte della
società civile.
Le forze dell'ordine, dal canto loro, devono esercitare il più rigoroso
controllo sui propri comportamenti per evitare, in qualsiasi ipotesi, che
l'esercizio della forza possa trasformarsi in abuso.
Il dissenso, infine, non può essere considerato una patologia. Il dissenso,
la possibilità di manifestarlo e di organizzarlo, sono l'essenza stessa
della democrazia, che contiene dentro di sè le regole perchè una minoranza
dissenziente possa diventare maggioranza, attraverso il consenso dei
cittadini. Il sistema politico e le forze di polizia hanno il dovere di
garantire che il dissenso possa esprimersi liberamente, soprattutto, quando
porta in sè i germi del nostro futuro, come quello che la grande
maggioranza dei cittadini ha manifestato a Genova. Il dissenso, per parte
sua, non deve mai esprimersi in forma violenta e non deve indulgere a
comportamenti equivoci o tolleranti nei confronti della violenza.
La democrazia infatti non è solo esercizio di pluralismo; è soprattutto
esercizio di responsabilità.