TESTIMONIANZE DA
NAPOLI (17/03/2001)
Pubblicate da Liberazione martedì 20 marzo
Il diritto di manifestare
Ritengo inaccettabile l’atteggiamento che una parte delle forze dell’ordine ha
avuto sabato scorso. Ci sono state scene raccapriccianti di agenti che
inseguivano ragazzini liceali come se questi fossero criminali della peggior
specie. Peccato che i cattivi da combattere siano i cammorristi. Voglio inoltre
testimoniare un episodio di cui sono stato involontario protagonista: ad oltre
due ore dalla manifestazione, insieme ad altri nove compagni, ci siamo trovati
a passare presso il Mc Donald di via Guglielmo San Felice. Alla nostra vista
circa cinquanta tra poliziotti e carabinieri ci hanno circondato ed hanno
cominciato ad insultarci, sputarci addosso e provocare con frasi tipo "non
vi Ë bastato quello che gi‡ vi abbiamo dato?". Poi una decina di agenti ha
incominciato ad infierire pesantemente contro due compagni, in particolare
contro Enzo Sansone, responsabile regionale dei Giovani comunisti.
Dario B.
Slai Cobas
Criminale caccia all'uomo
A Napoli c’eravamo anche noi a manifestare. Con una campagna di
criminalizzazione preventiva, avvallata da stampa, Tv e radio, il governo
italiano, gli organi di questo Stato hanno cercato di impedire che i padroni
del vapore venissero disturbati. Tutto questo si Ë concretizzato con una
criminale-fascista caccia all’uomo, dove quello che Ë stato evidente non solo
per chi manifestava in piazza, ma anche per la gente dei quartieri, Ë stato la
negazione di qualsiasi diritto di dissentire e rivendicare i propri diritti.
Esprimiamo la massima solidarietà ai compagni arrestati, ai fermati, ai feriti
e riteniamo necessario rilanciare da subito una mobilitazione a partire dai
posti di lavoro.
Slai Cobas Istituto tumori e Scuola di Milano
Il biologo
La testa spaccata
Sabato scorso ero in piazza Municipio a protestare, usufruendo del diritto
costituzionale di manifestare e esprimere le mie idee pacificamente.
Probabilmente le cose non stanno proprio cosÏ, probabilmente la presenza di
tanta gente non era lecita. Solo in questo modo posso spiegarmi tanta inaudita
violenza da parte delle forze dell’"ordine". Io sono stato portato in
ospedale con mio fratello (testa spaccata dal calcio di un fucile, fucile Ë
scoppiata una guerra?, di un carabiniere; due Tac subite) e poi sei ore in
questura e li insulti, sberleffi, istigazioni; fotografati, identificati,
schedati. Divieto assoluto di telefonare a chiunque.. Negata l’assistenza
dell’avvocato. Fino a venerdì 16 marzo ero un biologo di 28 anni che lavorava
all’università di Napoli, ora sono una persona sfiduciata, che ha perso la
fiducia nello stato, se lo stato Ë rappresentato da quelle persone indemoniate
in azione sabato.
Mario T.
Genitori e professori
Violenze contro i ragazzi
E' con sdegno che denunziamo le violenze praticate dalle "forze
dell'ordine" nei confronti di ragazzi di 14-15 annidurante la
manifestazione a Napoli. Pensavamo fosse ancora un diritto manifestare un
dissenso. Abbiamo mandato i nostri figli con serenità ed abbiamo veduto
poliziotti effettuare cariche senza alcun motivo all’altezza di Calata San
Marco su ragazzi inermi che li avevano chiamati servi dello Stato (molti
genitori erano vicini allo sbarramento dei poliziotti e lo testimonieranno).
Quando il gruppo che voleva forzare lo sbarramento Ë avanzato, abbiamo veduto
gli studenti ginnasiali che con le mani alzate arretravano verso la ringhiera
del Maschio Angioino per tirarsi fuori dalla mischia ma non Ë servito. Ragazzi
che chiedevano di allontanarsi alle forze dell'ordine ( era stato nostro il
consiglio ingenuo: in caso di tafferugli, rivolgetevi alla polizia e chiedete
di allontanarvi) dichiarando con le mani alzate e le facce da quattordicenne:
"sono uno studente vorrei allontanarmi", hanno ricevuto manganellate
in testa per il solo fatto di essere lì. Altri sono stati selvaggiamente
picchiati e trascinati con violenza inaudita verso i cellulari. Di tutto questo
il questore deve rispondere. Chiediamo le dimissioni del Questore di Napoli
quale responsabile di atti che consideriamo inaccettabili in un paese
democratico.
Coordinamento Genitori e Professori
Enrica S., Titti T., Renata B., Annalisa C., Carmela S., Annamaria C., Mario
R., Enzo D. F., Giuseppe S., Patrizia S., Rosa R., Carmela N., Ketty A., Sergio
R., Salvatore E., Annamaria M., Davide F., Francesco A., Maria P., Lello R.,
Vittorio C., Maria V.
I genitori
Denunciamo anche noi
Aderiamo all’iniziativa del "Coordinamento genitori" che ha
denunciato l'operato delle forze dell’ordine in occasione della manifestazione
"No global forum". Molti di noi sono stati testimoni di comportamenti
incredibili, da parte di poliziotti, finanzieri, carabinieri che sembravano
impazziti e che si avventavano con sadismo proprio contro i più giovani. Sono
comportamenti che vanno colpiti e sanzionati, non certo coperti e giustificati
come sta tentando di fare il questore di Napoli.
Francesco A., Lucilla A., Giuseppina B. (nonna), Isabella B., Livia L.,
Paolo R., Maria P. S., Pasquale S., Giovanna T., Monica T.
La comitiva
Aggrediti sulla strada di casa
Scrivo per denunciare un assurdo episodio di violenza da parte delle forze
dell’ordine in cui sono stato coinvolto. Il 17 marzo, alle ore 17 circa, e
quindi almeno un paio d'ore dopo la fine degli scontri a Piazza Municipio, con
un gruppo di amici stavamo raggiungendo la macchina per tornare a casa. A Via
San Felice, siamo stati aggrediti da poliziotti e carabinieri senza alcun
motivo. Un vero e proprio incubo dato che non riuscivamo a capire cosa
volessero da noi. Hanno cominciato ad indicare minacciosamente al nostro
passaggio, poi a chiamarci bastardi comunisti, ricchioni, drogati etc etc, un
mio amico caduto nella loro provocazione ha battuto le mani ed Ë stato
l’inferno. Un intero pullman di carabinieri Ë sceso si avvicinavano dicendoci
di stare calmi e poi ci prendevano a calci e manganellate. Io sono riuscito a
divincolarmi e scappare in cerca di aiuto, alcuni carabinieri, quando li ho
minacciati che sarei andato a chiamare un parlamentare se non lasciavano stare i
miei amici, mi hanno inseguito per alcuni vicoli. Solo dopo, grazie
all’intervento di alcuni dirigenti del Prc, i miei amici sono stati tratti in
salvo dalla furia delle forze dell'ordine.
Giuliano M.
Accerchiati
Infierivano sui passanti
Sabato mattina c’ero anch'io: insieme a 4 amici, tutti senz’’armi o oggetti
contundenti e con la voglia solo di testimoniare pacificamente le nostre idee,
e per questo isolati e ben lontani dai pochi facinorosi (come potranno
testimoniare le telecamere). Siamo stati accerchiati in piazza Municipio dalle
forze dell’ordine (carabinieri in primis), le quali, motivatissime, ci
gridavano "Vi ammazzeremo, bastardi! " e, mirando alla testa,
infierivano principalmente proprio sui passanti e sugli indifesi, terrorizzati
e a braccia alzate. Noi eravamo fra questi. Ho visto persone perbene come noi
cadere tramortite al suolo, dopo aver ricevuto manganellate in fronte. I
feriti, poi, letteralmente "sequestrati" dall’ospedale, e trattenuti
in commissariato, come se il reato fosse essere picchiati, e non il contrario.
E poi l’umiliazione di essere perquisiti fino all’ultimo foglio stropicciato
nel taschino, e poi le flessioni una volta rimasti in mutande, e poi ancora il
"consiglio" degli agenti: "CosÏ la prossima volta non
manifesterete...". Chi ci chieder‡ scusa per quelle ore di violenza
gratuita di cui siamo vittime, e non autori?
G. C.
Lezione di "democrazia"
Vi scrivo con gli occhi ancora lucidi
Con ancora gli occhi lucidi e la pelle del viso "bruciata" provo con
più calma a riflettere sulla manifestazione di ieri. Penso che il processo di
"fascistizzazione" di interi reparti di polizia e carabinieri sia gi‡
abbondantemente concluso: rispondono oramai a nuove logiche politiche,
evidentemente si preparano all'ipotetico cambio di guardia. Bulli ed assassini,
servi in divisa, tornano fieri alle postazioni di partenza brandendo striscioni
e passamontagna come trofei: animali. Fin troppo eccitati, con gli occhi gonfi
ed iniettati di sangue, irreali sconvolti da stupefacenti, da eccitanti: a loro
non viene fatto l'antidoping. Loro compito era garantire il divieto di accesso
a piazza Plebiscito dove un raggiante ministrucolo dell’lnterno consegnava tra
lodi ed applausi dei cortigiani di turno la prima carta d’ identità elettronica
mentre la sua polizia massacrava centinaia di manifestanti dopo averli chiusi
in una piazza senz’alcuna via di fuga: un'esecuzione mafiosa; una
"lezione" preventiva; spettacolo offerto a tutti i delegati assiepati
sulle terrazze di palazzo reale a godersi i combattimenti offerti dai nuovi
gladiatori dello stato.
Giancarlo A.
Lo sfogo di Titty
I loro volti resteranno nei miei occhi
Carissimi compagni, sono sconvolta! Ho visto ragazzini di 15 anni presi a
manganellate con le mani alzate solo perché volevano solo andare via per paura.
I loro volti resteranno impressi nella mia mente per sempre come resteranno nei
miei occhi lo sguardo assassino che ho letto nei volti dei poliziotti... la
loro rabbia repressa, la loro frustrazione sfogata contro chi era lÏ solo per
il diritto di dimostrare le loro idee... ma noi non ci arrenderemo
hasta la victoria siempre, grazie per aver ascoltato il mio sfogo.
Titty, Napoli
Guerra al dissenso
Viviamo in un Regime
Forse fino ad ora non mi ero reso conto di quanto sia grave la situazione,
nonostante abbia visto più e più volte le dinamiche violente delle
manifestazioni. Questa Ë una guerra al dissenso. Noi viviamo in un regime. Ma
la cosa grave Ë che ne siamo assuefatti, non ci spaventa più perché Ë cosa di
tutti i giorni. Ma questa descrizione non Ë forse la descrizione di un azione
di forze dell’ordine manovrate da un cervello oppressivo? Come può qualcuno non
indignarsi.
Andrea B., via e-mail
Uno scampato
Agenti che lanciavano sampietrini
Anch'io ero a Napoli per manifestare contro il Global Forum e posso dirvi che Ë
stato bellissimo. Fortunatamente sono riuscito ad evitare gli scontri con le
forze dell'"ordine". Posso però raccontarvi che il clima creato dalle
forze di polizia era pesante ed opprimente. Non credo, infatti, che tutelare
l’ordine significhi aspettare i manifestanti alla stazione con manganelli e
cellulari. Non credo, ancora, sia stata una mossa molto intelligente sbarrare
tutte le strade laterali del Corso Umberto chiudendo tutte le possibili vie di
fuga rischiando cosÏ una strage. Trovo molto poco professionale agitare
nervosamente i manganelli verso ragazzi disarmati. Trovo quanto meno assurdo
chiudere 30mila persone in una piazza, peraltro transennata per dei lavori in
corso e dove dunque le vie di fuga erano praticamente inesistenti. Preferirei
poi sorvolare sull'idiozia di quei celerini che lanciavano sanpietrini tra la
folla in fuga o su coloro che vigliaccamente gioivano per aver pestato a sangue
dei poveri compagni inermi perché si commentano da soli.
Hanno cercato di fermarci con la barbarie ma saremo sempre presenti e sempre di
più a barattare le nostre idee con i loro manganelli. No pasaran!!!
Ciro G.
Ferroviere fermato
Attacco premeditato, il questore si dimetta
Chiediamo le dimissione del questore di Napoli Nicola Izzo. L’attacco alla
manifestazione Ë stato preordinato ed eseguito a freddo: come si spiegherebbe
che i giovani del Leoncavallo, arrivati in mattinata in treno alla stazione
centrale di Napoli, siano stati fermati e portati via appena scesi? Ne siamo
stati informati da un compagno ferroviere di Rifondazione che, insieme ad altri
due colleghi in tuta da lavoro, che si erano aggregati ai giovani per
raggiungere il corteo, si Ë ritrovato trascinato e trattenuto in questura per
tutta la giornata. Di questo c'Ë regolare denuncia.
Vincenzo A.
Da una studentessa
Pensavo volessero ucciderci
Sono una studentessa di Architettura, ero al corteo con il mio compagno Ciro.
Sotto lo scalone dell’Università, improvvisamente, vediamo un gruppo di
poliziotti che corre prima verso la stazione e poi subito ritorna indietro e
parte con una carica nella direzione di piazza Bovio. Udiamo distintamente
degli spari, vediamo alzarsi il fumo dei lacrimogeni. Ci uniamo finalmente al
gruppo di Rifondazione sino a piazza Municipio. Subito ci rendiamo conto che la
piazza Ë circondata da un numero impressionante di agenti e che da là non si
può uscire. Ci disponiamo sulle aiuole del Maschio Angioino. Senza capire
perchè vediamo i manifestanti che si trovavano dall’altro lato del cantiere
della metropolitana che cominciano a scappare, partono colpi e poi i
lacrimogeni sul fondo della piazza. Impossibile spostarsi. Cominciano ad
arrivarci in testa lacrimogeni e altri strani razzi sparati dalle forze
dell’ordine. Piango per i lacrimogeni, gli occhi mi bruciano e vengo quasi
travolta dalla folla impaurita. Parte allora una violentissima carica: noi che
eravamo nei pressi del fossato avevamo le mani in alto in segno di resa (anche
se sinceramente non sapevamo proprio perché dovevamo arrenderci) ma la polizia
picchiava furiosamente chiunque e un gruppo di forze dell'ordine correva coi
manganelli alzati verso di noi. Nessuno poteva indietreggiare per evitare di
uccidere i compagni che potevano restare schiacciati sulla balaustra che cedendo
avrebbe causato la morte di tutto il gruppo). I poliziotti hanno detto che ci
avrebbero rotto il culo a tutti. Uno di essi afferra Ciro, un altro comincia a
picchiarlo furiosamente sulla testa. Io afferro il mio compagno lo tiro verso
di me e lo abbraccio per evitare che venga colpito ancora sulla testa (il
sangue sgorgava gi‡ a fiotti). Cadiamo prima in ginocchio uno abbracciato
all’altro per proteggerci vicendevolmente i poliziotti ci colpiscono, cadiamo
completamente distesi continuiamo a ricevere colpi da tutti i lati. Abbiamo
creduto entrambi che oramai ci avrebbero ucciso. Piangiamo e continuiamo a
gridare "vogliamo andare via". Il mio ragazzo urla ai poliziotti
"Mi avete ferito voglio un'ambulanza" ma gli agenti lo minacciano.
Giulia S.
Pubblicati da Liberazione mercoledì 21 marzo
Cobas pestati
Calci in testa
Io ero tra quelli che sabato reggevano alla manifestazione di sabato a Napoli
lo striscione dei Cobas (sorretto da aste di plastica). Quando sono partite le
cariche degli agenti il nostro spezzone di corteo si trovava all’altezza dei
cantieri aperti in piazza Municipio. La polizia ci ha attaccato da davanti,
abbiamo tentato di fugare, altri agenti ci hanno aggredito anche da dietro.
Sono caduto a terra con altri compagni. Mi hanno manganellato in tanti in più
parti del corpo. Cercavo di coprirmi il volto: ho preso una scarica di colpi in
testa. Ai manganelli sono seguiti i calci. io ero ancora a terra completamente
indifeso e gli agenti continuavano a sferrarmi calci in testa con gli anfibi.
Pino G., Cobas scuola
Uno studente scampato
Manganelli e camionette
Sono uno studente napoletano di 15 anni e vorrei raccontare quello che ho visto
e subito durante la repressione delle "Forze dell'Ordine" a Piazza
Municipio a Napoli, sabato 17: quando sono iniziate le cariche ci siamo
spostati in una zona apparentemente sicura, nei primi minuti siamo stati
risparmiati, ma ad un certo punto la polizia ha iniziato a caricare anche noi
pressandoci verso delle inferriate e facendo rischiare un pericoloso salto di
molti metri. Dopo la prima carica ci Ë stato concesso di allontanarci. Mentre
mi allontanavo ho visto una camionetta dei finanzieri cercare di investire un
giovane manifestante. Arrivato all’uscita di Piazza Municipio ho cercato di
passare per Via Medina (da dove Ë arrivato il corteo) ma mi sono imbattuto con
dei finanzieri, non so cosa sia successo agli studenti che stavano vicino a me,
per quanto mi riguarda ho visto arrivare un finanziere armato di manganello
che, nonostante avessi detto con le mani alzate "Sono uno studente, voglio
tornare a casa", mi ha colpito in testa e solo grazie ad un compagno del
Lab. Okk. Ska, che mi ha portato via sono riuscito ad evitare il peggio.
Daniele Q., Coordinamento dei Collettivi Studenteschi Antifascisti
Picchiate e schedate
Umiliate anche in ospedale
Nel giro di una trentina di secondi abbiamo assistito a scene di autentica
guerriglia con i poliziotti che al grido di "Non fateli uscire" hanno
chiuso tutte le vie di fuga impedendo ai tanti giovani spaventati di trovare di
riparo. Siamo state circondate e mentre un nostro compagno veniva colpito
selvaggiamente alla testa, alle tempie, all'orecchio e all'addome, noi siamo
rimaste ferme con le mani alzate. Alcuni poliziotti ci hanno dato il permesso
di andare via ma quando ci siamo voltate una poliziotta ha colpito
gratuitamente alla testa una di noi che Ë caduta a terra sanguinando
vistosamente. Con l’aiuto di alcuni negozianti siamo arrivate all’ospedale
Pellegrini. Dopo le cure siamo state fermate senza motivo e nessuno ci ha detto
dove saremmo state portate: in questura. Qui siamo state accolte con ingiurie,
parolacce e sguardi biechi e obbligate a smontare i telefonini. Dopo molto ci
hanno convocato alla perquisizione come dei veri e propri delinquenti. E’ stata
una fortissima umiliazione. Ci siamo illuse che con una donna sarebbe stato
tutto meno umiliante, ma quella poliziotta, che si chiamava Marina era
tutt’altro che una donna, spietata e qualunquista come tutti gli altri
"uomini di legge" che erano lì. L’esito della perquisizione Ë
risultato negativo ma ci hanno sottratto le tessere del nostro partito
dicendoci che non potevano restituircele e iniziando a strapparle davanti ai
nostri occhi. Solo di fronte alla nostra forte opposizione un poliziotto si Ë "ricordato"
che le tessere di partito sono legali e, quindi, le abbiamo riavute ma non
senza una paternale dello stesso poliziotto per il quale sarebbe stata meglio
una passeggiata con il fidanzato e che con le sue parole (a suo dire) cercava
di strapparci dalla nostra condizione di burattini esecutori di un volere
altrui. Infine Ë arrivato il momento della foto segnaletica senza aver fatto la
quale non si poteva uscire.
Le compagne Maria e Loredana del Circolo PRC Mario Garuglieri di Eboli
Azioni criminali
Reparti in assetto da guerra
Anch'io ero alla manifestazione di sabato, appena dietro il camioncino del
partito. Portavo lo striscione che un nostro compagno ha preso a Porto Alegre,
quella con la scritta "Un altro mondo Ë possibile". Anche se mi
trovavo proprio in coda al corteo sono stato coinvolto insieme a molte altre
persone che scappavano indietro senza sapere il perchè. CosÏ sono arrivati i
primi lacrimogeni. In tutta fretta abbiamo ripiegato lo striscione e cercato di
capire cosa fare. Indietreggiati di qualche metro, ritornando sul corso, da
dietro il corteo i reparti della polizia hanno cominciato a caricare spingendo
quelli che si trovavano davanti a noi in una morsa. Tutte le vie di fuga erano
chiuse da polizia, carabinieri e finanza. Con i telefonini si tenevamo i
contatti con gli miei amici che si trovavano davanti e per sapere come stavano.
Cercavamo di avere notizie. Poi comincio a pensare e ripensare a quello che
avevo visto prima di arrivare davanti al Maschio Angioino: reparti di
finanzieri, poliziotti e carabinieri che all’inizio in Piazza Garibaldi
sembravano abbastanza tranquilli, in fondo al corso mentre sfilavamo con
assoluta normalità, avevano stretto i ranghi, alzato gli scudi e giù compatti
sembravano il soldati romani che avevo rivisto nel film "Il
Gladiatore" gi‡ pronti ad attaccare.
Enrico V.
Slai Cobas
Via il questore Izzo
Ufficiali dei carabinieri che utilizzavano assi chiodate prelevate da un
"vicino" cantiere edile; pistole e mitragliette puntate sul volto dei
manifestanti da agenti che gridavano: "ti odio, ti ammazzo" sulle
aiuole del maschio Angioino contro un gruppo di persone. Feriti schedati
all’ospedale Pellegrini, Minacce da un sacerdote. Persone con le mani alzate
aggredite e sbattute per terra e trascinate per decine di metri e colpite alla
testa con calci e pugni. Agenti della guardia di finanza che si vantavano ad
alta voce con i loro colleghi dei corpi di polizia e dei carabinieri con frasi
come: "l’avimmo íaccise a mazzate". Il signor Giuseppe Inamorato finito
all’ospedale per le percosse subite in caserma dove era stato trascinato da
agenti che con calci e pugni volevano fargli confessare di essere ebreo
costringendolo a baciare la foto di Benito Mussolini. Per questi e tutti gli
altri fatti gravissimi ed inquietanti lo Slai Cobas in un esposto denuncia alla
Procura di Napoli di accertare e punire le eventuali responsabilità degli
agenti e dei dirigenti presenti alla manifestazione nonché quelle imputabili al
questore di Napoli Nicola Izzo.
Slai Cobas, Pomigliano díArco
Costretta a spogliarsi
Prelevata dalla Digos in ospedale
Sabato in piazza Municipio un lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo mi ha
colpito mezzo dito più su dell’occhio sinistro. Con le mani in alto e
sanguinante, chiedo a carabinieri e poliziotti di poter raggiungere
un’ambulanza; mi insultano e mi mandano via. Con l’aiuto dei compagni di
Rifondazione riesco a salire su un’ambulanza ed Ë allora che comincia l’incubo.
La Digos mi ha prelevata all’ospedale e portata nella caserma Raniero. Io ed
altri tre ragazzi siamo stati i primi a giungervi. Ci hanno fatti inginocchiare
faccia al muro con le mani dietro alla testa e hanno iniziato a picchiarci e ad
insultarci. Durante la perquisizione noi ragazze siamo state private della
nostra intimità, i ragazzi malmenati e sottoposti a trattamenti da dittatura
militare. Tra gli oggetti sequestratimi un rullino fotografico: cosa teme la
"nostra" polizia? Mi hanno trattenuta in caserma per più di cinque
ore.
Donatella R. da Sorrento (NA)
La solidarietà dei napoletani
Finanzieri impazziti
Ero in piazza Municipio a Napoli. Mi sono trovato nella massa di gente che
correva in via Alcide de Gasperi. Dopo aver evitato una carica frontale dei
carabinieri, dai quali molti di noi hanno preso manganellate, tra i quali un
avvocato calabrese colpito ad un fianco da una manganellata, siamo giunti
all’inizio di questa strada in circa trecento. Ci dirigiamo verso Corso Umberto
per raggiungere Via Mezzocannone seguendo il camioncino dello Ska.
All’improvviso da una stradina laterale compare un drappello di finanzieri, in
tuta mimetica, manganelli e scudi. Si dirige al passo verso di noi, ed allora
la maggioranza del gruppo di manifestanti, che stava sul bordo della strada,
alza le mani in segno di resa. Il dirigente del drappello dei finanzieri ordina
la carica per tre volte. E sui manifestanti arriva una nuova gragnuola di
manganellate. Devo infine segnalare i tanti casi di cittadini napoletani ai
quali ho assistito, che hanno aiutato i giovani, a nascondersi in portoni o
indicandogli vie di fuga sicure.
Francesco C.
L'aiuto dei residenti
Auto sfasciate dagli agenti
Quando sabato le cariche dei celerini ci hanno spinti verso i vicoli, alcuni
anziani ci hanno aperto i portoni e ci hanno cosÏ salvati da cariche che
sarebbero arrivate entro breve; non solo. Dopo il lancio dei lacrimogeni, da
alcuni balconi sono stati calati secchi d’acqua e di limoni per aiutarci a
resistere. A questo punto alcuni agenti della guardia di finanza, non riuscendo
a linciare persone, sono saliti sulle capotte di alcune macchine parcheggiate
distruggendole coi manganelli... cosa centravano i napoletani? Hanno pagato per
essersi schierati dall'unica parte possibile?
Paolo di Vercelli
Intrappolati
Picchiato per una foto
Sabato avevo deciso di scendere in strada come osservatore e avevo portato con
me la mia macchina fotografica per documentare gli eventi da semplice
cittadino. Andando incontro al corteo sono passato davanti agli impressionanti
schieramenti di forze dell’ordine, gi‡ da corso Umberto tutte le vie laterali
erano bloccate. Il corteo sfilava, noi potevamo ancora passare tra le maglie
della polizia ma giunti a P. Municipio ci siamo resi conto che eravamo in una
trappola e quando dico "eravamo" intendo dire: manifestanti,
osservatori, giornalisti, fotoreporter e gli stessi agenti in borghese. Partiti
i tafferugli si cercava scampo ma solo via De Pretis era praticabile anche se
bersagliata da lacrimogeni. Qui Ë successo il peggio. Ho visto gruppi di
ragazzini con le mani alzate che venivano caricati. Ci siamo imbattuti in una
"banda" di poliziotti che menavano manganelli al primo bersaglio
facile e personalmente sono stato aggredito da una di queste "bande"
reo di aver fotografato un pestaggio, la macchina me l’hanno strappata e io ho
ricevuto una decina di manganellate. A chi ha giovato tutta questa violenza? Io
non credo che questa reazione di cos" ottusa violenza sia un caso, se
facciamo una analisi anche sommaria delle forze in gioco c’era un poliziotto in
tenuta antisommossa ogni tre manifestanti e se anche qualche decina di questi
ha cercato lo scontro mantenere l’ordine sarebbe stato un gioco da ragazzini,
se poi consideriamo che i pestaggi più vili e odiosi sono avvenuti lontano da
P. S. Giacomo allora il disegno di una arrogante ed esemplare azione repressiva
appare del tutto chiaro.
Enrico D. G.
Pubblicati da Liberazione venerdì 23 marzo
Solidarietà dei napoletani
Un cancello aperto, la salvezza
Mi bruciavano gli occhi, per la prima volta capivo cosa significava la parola
lacrimogeno, e ho pensato ai cani dei pastori brutti e spietati, che tanto
assomigliavano a quelle bestie che ci circondavano. Anche per Giampaolo era la
prima volta ma ci siamo tenuti stretti per mano e unendo due cecità siamo
scappati assieme, come tanti altri ci siamo salvati facendoci coraggio l’un
l’altro. Siamo usciti da piazza Municipio e abbiamo imboccato un vicolo. Un
ragazzo correva sui tetti delle macchine. Si apre il cancello di una casa
popolare e vi entriamo in una cinquantina. Adesso l’inferno era attorno a noi, perchè
eravamo in paradiso: la gente ci scendeva dalle finestre acqua e fazzoletti; un
signore ci offre più tardi la sua casa se dovessero entrare i poliziotti. E’
l’ora del Tg, una finestra aperta ci lascia intravedere dal cortile e dalle
scale, ma ormai quello che mi aveva affascinato era la solidarietà di quel
rifugio, gli ultimi consigli per uscire fuori e beccare la strada giusta, se
mai ce n’era una. Ringrazio quella gente di avere salvato la mia fiducia nella
lotta.
Liliana S.
Un senso di sconforto
Una giornata che non dimentico
Quella mattina eravamo tanti un lungo fiume di persone che pacificamente si era
ritrovata unita. Mi trovavo lontano dagli scontri, alle prime avvisaglie di
violenza ho cercato di uscire dalla piazza, ma la possibilità mi Ë stata
negata, il destino di chi si trovava in piazza era forse gi‡ stato deciso.
Ricordo di non aver visto più nulla, di aver gridato il nome dell’amico che
quella mattina era con me. Ho cercato di fuggire, ho visto persone disperate,
persone calpestate dalla folla impazzita, persone che si sono gettate nel
fossato, eravamo accerchiati, abbiamo alzato le mani chiedendo di non
picchiarci, ci hanno detto sedetevi sul prato non vi faremo nulla. Abbiamo
fatto quella che ci avevano ordinato di fare, a partire dal quel momento Ë
successo di tutto, noi inermi con le braccia alzate, piangendo e gridando, loro
con il calcio del fucile e con il manganello ma soprattutto con i loro occhi
pieni di odio, rabbia, ferocia. Ricordo che i superiori degli agenti ordinavano
di non picchiare ma era tutto inutile. Al temine del pestaggio ci hanno detto
di alzarci e di andare via, esortandoci con il manganello. Avevo mille
ambizioni, credevo nel principio di legalità, nella tutela del cittadino, in
principi che gli studi universitari mi avevano fatto amare. Tutto ciò che ora
rimane Ë un forte senso di sconforto, mi hanno spaccato la testa ma non hanno
infranto le mie idee, per quelle non bastano le botte, non bastano gli insulti,
ci vuole ben altro. La forza di chi come me sogna Ë più grande di una giornata
di terrore, Ë più grande di qualsiasi incubo.
Tullio T.
Identificare i responsabili
Chi ha sbagliato va punito
Grazie Sandro, per il tuo articolo di ieri (21 marzo) sui gravissimi episodi di
Napoli. Più ci penso (io ero là) e più realizzo quanto sia stato grave ciò che
Ë successo (anche leggendo su "Liberazione" quanto accaduto in alcune
caserme). Non dobbiamo dimenticare! Vanno identificate le responsabilità e chi
ha sbagliato deve essere punito (come Ë stato punito chi, tra i manifestanti, Ë
stato denunciato e arrestato), perchè lasciar correre vuol dire creare un
pericoloso precedente per la democrazia (pensare di potersi accanire su persone
inermi, toccare giovani ragazze - CHE RABBIA! -, ecc). grazie per il tuo
impegno.
Diego l.
Violenza gratuita
Picchiati senza ragione
Sabato scorso ero in piazza municipio, partecipavo al quel famoso corteo
festosa con tanti ideali. Quando sono cominciate le cariche soprattutto quelle
rivolte al camion di Rifondazione, dove ero stato per tenere alto lo striscione
dei giovani comunisti, ero sul prato della piazza dove la polizia ha
incominciato a lanciare lacrimogeni ad altezza d'uomo, nella confusione mi sono
trovato schiacciato sulle ringhiere del castello dove la polizia caricava in
continuazione. Siamo riusciti a fuggire verso il municipio ma ci hanno fermati.
Ci siamo sentiti comandare con arroganza di andare verso il porto ma io che
soffro di asma, non riuscivo a respirare per i tanti lacrimogeni e quindi mi
sono accasciato a terra. Da quel momento non ho capito niente. Mi sono trovato
al centro della piazza nel pieno di una carica andata a vuoto, hanno cominciato
a colpirmi. Dopo le percosse ho finto di svenire ma continuavano. Poi Ë
intervenuto un superiore che ha fatto calmare tutti. Hanno chiamato l’ambulanza
e mi hanno letteralmente buttato su di essa come un sacco di patate, senza
togliermi neanche le manette. All’ospedale c’erano parecchi feriti ed io sono
stato soccorso dopo i più gravi. Dopo la l’applicazione dei 2 punti sono andato
in una stanza dell’ospedale dove la polizia registrava i fermati. Dopo ci hanno
trasferiti nella caserma Ranieri dove siamo stati umiliati con perquisizioni
assurde (mi hanno fatto spogliare e mi hanno fatto flettere sulle gambe), con
minacce gratuite in fine ci hanno anche schedato come se noi fossimo dei
delinquenti.
Marco, e-mail
PS. Vorrei ringraziare un poliziotto che era con me in caserma che rasserenava
me Rosa ed Anna due mie compagne di avventura.
Pieni di sogni
A mani alzate
Siamo arrivati pieni di sogni, eterogenei e fieri delle nostre diversità.
Sapevamo tutti che alla fine qualche carica ci sarebbe stata. Ma eravamo lÏ per
difendere il mondo e le nostre idee, e credevamo che nè l’opinione pubblica, nè
i poliziotti sarebbero riusciti a fermarci. Evidentemente ci sbagliavamo, visto
che gi‡ a metà del percorso tutte le viuzze laterali erano piene di polizia. A
piazza municipio, non appena siamo entrati tutti, la guardia di finanza ci si Ë
chiusa silenziosamente alle spalle, bloccando l’ultima via d’uscita. La
tensione cresceva, la richiesta di far passare una delegazione era stata
respinta, e nell’angolo superiore della piazza (quello chiuso col muro di
ferro) cominciavano a volare i sanpietrini. In un’attimo un’ondata di panico ha
percorso la piazza, le vie di uscita erano tutte bloccate. Un mio amico che in
quel momento era alla Biblioteca Nazionale mi ha poi raccontato di aver sentito
dire dal capo della polizia, di fianco al Questore: "Caricate su tutti i
fronti", contrariamente a quanto dichiarato dallo stesso Izzo. So solo che
le cariche sono partite a distanza di pochi secondi da tutti i lati, piovevano
fumogeni o peggio, venivano lanciati ad altezza d’uomo, e non si capiva più
nulla. Sfuggendo a due cariche siamo riusciti a rifugiarci in un cortile, con
gli occhi devastati dai gas. Dopo circa 40 minuti ci Ë arrivato un
"ultimatum": "O uscite voi, o entriamo noi". Non c'era
molto da scegliere, e cosÏ, mani in alto e volto scoperto, come in un surreale
western urbano, siamo usciti dal nascondiglio.
Arianna,17 anni, studentessa di Napoli
Il funzionario di pubblica sicurezza che ha comandato l’operazione ne Ë
penalmente responsabile
Com’è noto, ai sensi dell’art. 18 del testo unico leggi pubblica sicurezza il
questore, per ragioni di ordine pubblico ovvero per omesso avviso, che gli deve
pervenire almeno tre giorni prima, può (non deve) impedire che una riunione
abbia luogo. Inoltre lo stesso articolo esclude la punibilità per tutti coloro
che, per obbedire all’ingiunzione dell’Autorità si ritirano dalla riunione. Nel
caso in cui bisogna provvedere allo scioglimento della medesima, bisogna
distinguere 4 momenti rituali e graduali estremamente importanti il cui scopo Ë
quello di far comprendere in maniera chiara ai soggetti interessati che la manifestazione
non può avere luogo: invito a disciogliersi, ai sensi dell’art. 22 della legge;
invito formale al discioglimento attraverso tre intimazioni effettuate ad alta
voce; scioglimento della riunione; scioglimento della riunione attraverso la
forza solo se quest’ultima Ë autorizzata dal funzionario di pubblica sicurezza
(art. 26 regolamento di esecuzione), i cui ordini sono sempre tassativi.
Da quanto sopra nascono considerazioni sull’impiego della forza in ordine
pubblico di ordine giuridico che vanno fatte perché sia chiaro che prima di
ordinare lo scioglimento di una riunione occorre accertarsi che esso venga
effettuato secondo formalità non ottemperando le quali si vanificherebbe la
legittimità dell’intervento e gli astanti non comprenderebbero che si sta
vietando loro qualcosa. Infatti, non chiunque può ordinare lo scioglimento di
una manifestazione ma solo l’Ufficiale di pubblica sicurezza e, per giunta,
deve pure farsi riconoscere attraverso l’uso di una sciarpa tricolore ad
armacollo.
Fin qui la teoria, ma la pratica può riservare delle sorprese.
Nel deprecabile momento in cui si dovesse usare la forza vi Ë quasi sempre un
fuggi fuggi generale che, per sua natura, determina il contemporaneo
scioglimento della riunione, poichè, evidentemente, quest’ultima non ha più
luogo se tutti scappano nelle direzioni più disparate. Eí per questo motivo che
la carica delle forze dell’ordine deve cessare perchè Ë stato raggiunto
l’obiettivo e durerebbe in tutto non più di 5 minuti. Non ha quindi senso
caricare persone estranee od anche gli stessi manifestanti trovati ad una
distanza tale da far supporre ragionevolmente che non abbiano potuto udire le
intimazioni ad alta voce fatte dal funzionario di pubblica sicurezza, che,
proprio per tale motivo, non possono nemmeno essere accusate di resistenza o
disobbedienza all’Autorità: non avevano cognizione di quanto stesse accadendo.
Quando però una carica dura molto a lungo Ë probabile che l’obiettivo non sia
quello di sciogliere un corteo ma di fare il deserto e questo la legge non lo
prevede, soprattutto ricordando che Ë stata emanata in piena epoca fascista.
Per questo diventa importante far giungere alle forze operanti l’ordine di
cessata carica, per non fare l’errore di chi si vanta di avere una potente
automobile che fa i 100 km in 4 secondi, ma che ha i freni rotti. Infatti con
l’obiettivo dello scioglimento del corteo che può essere raggiunto anche senza
l’uso della forza, per la quale gli agenti operanti devono essere appositamente
autorizzati dal funzionario di pubblica sicurezza, ogni azione di questi deve
cessare proprio perchè Ë venuto a cessare l’evento che l’ha originata. L’ordine
di cessata carica permetterebbe comunque un più ordinato deflusso delle persone
perchè non vi Ë nulla di più pericoloso di una folla in preda al panico. Ora,
quando un’Autorità ordina lo scioglimento di un corteo, può farlo (non deve),
sostanzialmente, per motivi di ordine e sicurezza pubblica, e l’uso di
sfollagente illegali come i micidiali manganelli telescopici in ferro, regolarmente
documentati dai quotidiani (per esempio a pag. 17 de La Repubblica del 19
marzo) per le sue peculiarità ha una natura spiccatamente offensiva ed Ë punito
dall’art. 4 della legge 110 del í75 con l’arresto da un mese ad un anno e con
l’ammenda da 100mila a 400mila. Non importa identificare i responsabili
materiali perchè in questo il funzionario di pubblica sicurezza che ha
comandato l’operazione ne Ë penalmente responsabile. Le sole foto pubblicate
dai quotidiani ed ogni altra notizia al riguardo determinano nell’autorità di
pubblica sicurezza, il questore, appunto, l’obbligo giuridico di notiziare
l’Autorità Giudiziaria.
Valerio M., Appuntato scelto dell’arma dei Carabinieri
Pubblicate da Liberazione domenica 25 marzo
La solidarietà
Appello contro la repressione
I 30mila studenti, lavoratori, precari che sono scesi sabato in
manifestazione contro i signori della globalizzazione autoritaria, la
globalizzazione costruita sui profitti e sull’esclusione, rappresentano una
risorsa e pongono dei quesiti le cui risposte non possono certo stare nella
brutalità della repressione poliziesca. Quello che abbiamo visto sabato, con il
corteo caricato da tutti i lati, la piazza chiusa e trasformata in una
mostruosa tonnara, studenti, lavoratori e finanche operatori dell’informazione
pestati e rinchiusi nella piazza per più di un’ora, rappresaglie persino nelle
caserme, costituisce un segnale allarmante che purtroppo non giunge isolato...
Dopo i documenti inquietanti prodotti da alti funzionari del Cocer e pestaggi
violenti come quelli subiti dagli antirazzisti di Brescia, il comportamento
della questura di Napoli e del suo massimo responsabile, il questore Izzo,
rappresentano un preoccupante segnale di continuità. Ci chiediamo se nel nostro
paese ci sia da temere per gli spazi di agibilità democratica al dissenso verso
le politiche neoliberiste. Facciamo quindi appello alle forze del lavoro, ai
gruppi sociali, agli intellettuali e a tutte le sensibilità democratiche
affinchè si arresti questa deriva reazionaria comprendendo che dietro il
"vento di Seattle" c’è una richiesta i diritti ed un alfabeto del
bisogno che non può assolutamente essere ricondotto ad un problema di ordine
pubblico.
Prime adesioni:
Gabriele Salvatores (regista), Valentino Parlato (giornalista de "Il Manifesto"),
Sergio D’Angelo (presidente Gesco),
Gianni Min‡ (giornalista), Giovanni Russo Spena (senatore), Vincenzo Aita
(assessore regione Campania), Giuseppe Cantillo (docente Universitario), Silvia
Baraldini, Enzo Albano (magistrato), Don Vitaliano della Sala (sacerdote
San’íAngelo a Scala), Salvatore Palidda (sociologo), Mario Martone (regista),
Stelio Maria Martini (critico), Mario Persico (pittore), Sandro Curzi
(direttore "Liberazione"), Gianfranco Borrelli (docente
universitario), Giuseppe di Iorio (Cgil), Marco Rossi Doria (docente), Peppe
Lanzetta (attore), Domenico Iervolino (ex assessore comune Napoli), Mara
Malavenda (parlamentare), Rachele Furfaro (ex assessore comune di Napoli),
Guido DíAgostino (docente universitario), Tommaso Sodano (assessore provincia
di Napoli), Raffaele Tecce (ex assessore comune di Napoli), Gaetano Marati
(seg. RdB Napoli), Francesco Amodio (Cobas scuola Napoli), Antonio DíAcunto
(verdi ambiente e societ‡), Amedeo Curatoli (OperaNomadi), EíZezi, 99Posse, Ali
Rashid (rappresentante italiano dellíAutorit‡ Nazionale Palestinese), Gigi
Malabarba (seg. Nazionale Sincobas), Vittorio Granillo (Slai Cobas), Pappi
Corsicato (regista), Andrea Morniroli (coop. Dedalus), Bottega OíPappece,
Libreria Dante e Descartes, Stefano Sarcinale (attore), Rosalia Porcaro
(attrice), Fabio Ciaramelli (docente universitario), Giulio Gentile (docente
universitario), A. Carrano (docente universitario), Gabriele Frasca (docente
universitario), Giuseppe Ferraro (docente universitario), Alfonso Di Maio
(docente universitario), G. Tortora (docente universitario), G. Lissa (docente
universitario), Gordon Poole (docente universitario), Filippo Timi (attore),
Massimiliano Guareschi (Shake edizioni), Rosy Pianeta (Shake edizioni), Marina
Spada (Shake edizioni), Rino Malinconico (seg. Sincobas Campania), Franco
Maranta (capogruppo regione Campania Prc), Carmine Malinconico (Azad,
associazione per la libertà del popolo kurdo), Titti Tidone (mamme antismog),
docenti e genitori del liceo Labriola
I "superstiti"
Insultati e provocati
Cari amici di "Liberazione", sono di Modena e vi voglio
raccontare una storia: dovete sapere che dal 12 marzo al 18 marzo io e la mia
morosa eravamo a Napoli; per il 17 aspettavamo due amici da Roma che sono
arrivati e con cui abbiamo passato tutta la giornata. Fin qui nulla di strano,
non volendosi soffermare sugli scontri e sulle violenze (gratuite) della
celere. Verso le ore 19.00 decidiamo di fare un giro nel luogo degli scontri
quindi arriviamo in Piazza Municipio e ci rifermiamo sul prato a parlare
tranquillamente, vedendo che le forze dell’ordine si erano ormai disperse...
Quindi per portare a Modena un ricordino prendiamo da terra due bossoli di
lacrimogeni e ripercorriamo Corso Umberto per tornare in casa di una nostra
amica. Percorrendo un vicolo però veniamo sorpresi da una volante della Polizia
che ci ferma e ci perquisisce. Mentre uno dei due scriveva i nostri nomi
l'altro si occupava dell"offensiva": Bolscevichi di merda, ma vi
lavate? Perchè sento puzza di merda! Perchè dovete venire qui a Napoli a
rompere le vetrine ecc. ecc. ». Dopo questo turpiloquio rivolto a quattro dei
più tranquilli tra i manifestanti, anche noi abbiamo difesa la nostra posizione
e i toni si sono fatti un poi accesi, fino al punto che uno dei due ha detto:
Perchè non vi armate seriamente con fucili cosÏ potremo veramente fare la
guerra e vi potremo eliminare definitivamente!». CosÏ dicendo ha estratto la
pistola e la ha riposta in tasca di uno dei due amici romani, ripetendo «dai
tieni la mia pistola ». Il mio amico gliela ha ridata protestando e dicendo che
lui non poteva fare una cosa del genere... io ho cercato di terminare la
discussione con un "credo che il vostro compito sia finito, possiamo
andare?". Di rimpetto mi ha risposto uno dicendo "lo decidiamo noi
quando si deve andare...".
Credo di avere detto tutto... spero che possiate fare qualcosa per via legale
perchè non mi sento di mandare giù una cosa cosÏ grave...
via e-mail
La denuncia
Il racconto d'una vittima
Gentile signor Curzi, sono uno sfortunato partecipante della manifestazione No
Global di Napoli. Anzitutto ringrazio il suo giornale per lo spazio dedicato
alle decine di testimoni di episodi di inaudita e ingiustificabile violenza
contro i manifestanti pacifici, inermi e innocenti, vale a dire il 99% del
corteo. La testimonianza della mia ragazza Ë stata pubblicata martedì 20. Io ho
scritto a "la Repubblica" e a "Il Mattino". La rimando a
queste lettere.
Oggi, a freddo, vorrei fare delle riflessioni. Alcune osservazioni danno adito
a credere che certe cose erano volute e l’iter di svolgimento dei fatti
prevedibile e previsto. La dimostrazione la si ha osservando come era stata
organizzata piazza del Municipio: chi ha autorizzato la manifestazione non può
essere cosÏ ingenuo da credere che 25. 000 persone sarebbero riuscite ad
entrare in una piazza ingombra dei lavori del metrò e di cui la metà inferiore
era resa inaccessibile da uno sbarramento di agenti e di blindati. Non si può
pensare che una sola via di fuga fosse sufficiente: immaginiamo anche solo ad
una fuga per panico collettivo immotivato.
Chiudere la piazza in quel modo presuppone o irresponsabilità totale o
incapacità assoluta nel capire le esigenze di una grande manifestazione di
piazza e di approntare piani di sicurezza. Se non Ë cosÏ, bisogna pensare che
la capacità di comprendere questi problemi pratici ci fosse e che proprio
sapendo che 100 "facinorosi" avrebbero creato problemi, questo
sarebbe stato la giustificazione per fare un massacro in condizioni ottimali
(gran caos, niente vie di fuga, gente che vuol fuggire ma non può...) potendo
comodamente giustificare ogni esagerazione facendo vedere gli scontri con i
"guerriglieri".
In TV sono andate solo le immagini degli scontri coi "facinorosi".
Questi sono finiti dopo un poi e gli stessi sono scomparsi. Da quel momento le
forze dell’ordine hanno iniziato una mattanza bestiale di gente inerme, con le
mani alzate, ragazzine di 14 anni, boyscout, ambientalisti, gente che prendeva
il sole sul prato... Non siamo assolutamente in un paese in cui l’informazione
dice come si svolgono i fatti nella loro completezza.
Ancora mi duole la testa spaccata da un manganello passato fra le mie braccia
alzate, e la rabbia e la frustrazione nel leggere le dichiarazioni secondo le
quali gli agenti hanno solo reagito alle aggressioni mi divora. Ma sono sempre
a disposizione per testimoniare e sto aderendo alle iniziative di Rifondazione
di raccolta di materiale per una denuncia collettiva al Ministero.
Un saluto affettuoso.
C. I., Napoli
Giovani ribelli
Non ci faranno tacere
Ci hanno picchiati, insultati, presi e trattenuti i documenti: ciò che è
successo a due dei nostri compagni Ë come se fosse successo a tutti/e noi, per
questo parleremo al plurale.
Mentre fuggivamo dalla piazza, quattro celerini ci hanno circondato, picchiati
ammanettati e portati sul cellulare dove hanno continuato a picchiarci e ad
insultarci dicendoci:"Votate Bertinotti, votate Bertinotti, comunisti di
merda, tanto tra due mesi sarà finita, arriverà Silvio!". In questo modo
siamo state/i trattate/i, colpevoli di aver voluto manifestare il nostro no ad
un mondo che globalizza solo le ingiustizie.
Ci saremo ancora, perchè solo se saremo tante/i questa brutale repressione che
le forze dell’ordine hanno messo in atto a Napoli non sarà una vittoria per chi
vuole farci tacere
XI° COMANDAMENTO: NON PORTARE SOCCORSO: DIVENTI UN
SOVVERSIVO!
Da una lettera di Chiara
Venerdì sera. Torno a casa. Sono andata con degli amici a sentire un gruppo jazz che suonava, Ë stata una di quelle che solitamente si definisce "una piacevole serata". E' scivolata tranquillamente tra un bicchiere di birra e una chiacchiera; della manifestazione, a dir la verità, si accenna appena, nel tardo pomeriggio avevo saputo che ci sarebbe stato qualcuno che conoscevo l'indomani a Piazza Garibaldi, dietro lo striscione di "Assopace" e diciamo che quello era l'unica sorta di appuntamento che avevo con "qualcuno" lì (ma senza sapere esattamente chi). CosÏ, accennando il discorso durante la serata, scopro che tra i presenti un'altro ragazzo andrò lì a "curiosare" e abitando relativamente vicini ci diamo un' appuntamento. Sto un po' più tranquilla, partire da casa con un'altra persona mi rassicurava sul fatto che se almeno non avessi trovato lo striscione di "Assopace" sarei stata comunque in compagnia. Avevo seguito quello che era successo nelle altre città, riguardo gli scontri tra polizia e manifestanti, ma, forse con un pizzico di incoscienza, mi dicevo: "Vabbè, dai, siamo a Napoli, finir‡ tutto a tarallucci e vino, forse qualche piccolo scontro, inevitabile, ma niente di più"! Forse era solo per autoconvincermi, nella speranza che tutto sarebbe andato per il verso giusto, ma ci tenevo a stare lì: vuoi per la mia inesauribile curiosità, vuoi per il fatto che credevo sarebbe stata una bellissima esperienza vedere sfilare un corteo con gente proveniente da mille e più posti diversi, vederli cantare, ballare tutti insieme e tutti con un unico e solidale obiettivo, mi ripetevo solo che avrei dovuto fare attenzione nel caso di incidenti. Mi dicevo che appena avrei visto qualche strano movimento, sarei tornata a casa, quasi per una tacita promessa a mia madre la quale si preoccupa sempre tantissimo quando vado in luoghi affollati, ma di restare a casa proprio non me la sentivo. Dovevo esserci e dovevo vedere con i miei occhi questo fatidico "popolo di Seattle" come era fatto, che voleva e come lo voleva.
Questo "popolo" che sembra faccia paura a tanti o che tanti altri osannano. Niente di più e niente di meno che farmi una mia opinione sulla cosa. In ogni caso non pensavo, e tuttora non penso, che la parola contestare sia sinonimo inequivocabile di violenza, come tanti invece vorrebbero far credere con l'intento di sopprimere e smorzare chi cerca di far luce su realtà scomode. Che male c'Ë a manifestare pacificamente il proprio pensiero? Con quest'ultimo pensiero mi addormento. Sabato mattina. Ho appuntamento alle 9:30 all'edicola vicino casa mia. Beh, svegliarsi cosÏ presto di sabato mattina per me, adorante discepola di Morfeo, Ë stato un po' un trauma. Mi sfiora quasi il pensiero di chi me lo faccia fare, ma subito rimosso dall'entusiasmo per l'avvenimento e i suoi principi. Sto frequentando in facoltà un corso di Cinematografia Documentaria al quale mi sto appassionando molto e, quasi per spirito di emulazione, vorrei portarmi la macchina fotografica, quella che da poco ho avuto in regalo, penso che l'occasione mi permetterebbe di fare delle bellissime foto, magari come di quelle che si vedono su i libri, ho voglia di mettere alla prova le mie capacità di "documentatrice", ma una strana sensazione (un presentimento?)mi suggerisce di lasciar perdere l'intento. Con gli occhi mezzi chiusi dal sonno, lentamente mi vesto e scendo.
Arrivo all'appuntamento verso le 9:45 e non vedendo nessuno, telefono. L'altro ragazzo non se ne andato, come pensavo, mi dice che deve, in realtà, ancora arrivare! Aspetto. Per le dieci arrivano, sono in due. Meglio ancora, spero non mi perdano di vista una volta arrivati lÏ in mezzo: io, quando sono tra la folla, mi perdo sempre! Ci avviamo. Mentre stiamo in funicolare, uno dei due propone, scherzando, di ritornarsene a dormire o di andarcene su al Vomero a prenderci un bel caffè. Improvvisamente mi sento raggelare e non seguo più il suo discorso, ancora quella strana sensazione non so perchè si rifà viva, ma l'entusiasmo, la curiosità e l'ingenua convinzione che nell'essere lì non ci fosse nulla di male mi fanno proseguire innanzi.
Avrei preferito prendere la metropolitana a Piazza Amedeo e scendere direttamente a P. Garibaldi, ma invece gli altri due sostengono che Ë meglio prendere appunto la funicolare e farsi il percorso del corteo al contrario: in verità siamo tutti e tre un po' pigri e facendo in questo modo avremo risparmiato strada. Passiamo per Via Roma e, proseguendo per Piazza Municipio, vedo che c'Ë un vero e proprio esercito tra polizia, carabinieri e guardia di finanza. Hanno "tappato" tutte uscite della piazza lasciando libero solo l'accesso di Via Depretis. Mi viene in mente la favola de "Il pifferaio magico". Era fin troppo evidente: avrebbero lasciato che il corteo sarebbe entrato da quella parte, per poi chiuderlo in una morsa infernale senza che nemmeno avrebbe avuto il tempo di rendersene conto! Da questo momento decido che comunque sarebbero andate le cose, io, in quella piazza, non ci sarei arrivata. Passiamo per Via Medina, poi Piazza Borsa, vedo da lontano che anche fuori al Mc Donald, come era presumibile, ci sono altri squadroni anti-sommossa. Comincio a pensare che non sarà proprio una bella esperienza, mi cala un po' il mio ingenuo entusiasmo, ma continuando per il Corso Umberto e incontrando il corteo mi rassicuro. Non hanno, poi, un aria tanto minacciosa questi manifestanti, cantano alcuni e ci sono i ragazzetti di alcuni licei che saltano e ridono. Scherzano tra loro. Forse nemmeno capiscono bene che diavolo Ë 'sto "Global Forum" ma si sa, a loro basta che riescono a saltare un giorno di scuola e tutto va bene. Magari hanno rinviato il temuto compito di matematica che il professore un po' sbadato aveva fissato giusto per oggi e allora sono ancora più felici. Il corteo prosegue. Vedo un gruppo di signore non proprio di giovane età che sfila, non riesco a leggere il loro striscione e scherzando con uno dei due ragazzi dico: "Caspita! Non pensavo che ci fosse anche l'Associazione Taglio&Cucito!".
Mi rammarico per non aver portato la macchina fotografica, però sono contenta che ci sia tantissima gente che riprende, tantissima gente che fotografa: Ë indice di un forte interesse da parte dell'opinione pubblica sul tema e questa la ritengo una cosa estremamente positiva. Scorgo alcuni visi conosciuti. Si scambia una chiacchiera, si scherza, si prosegue. La situazione mi sembra abbastanza tranquilla. Arriva un altro striscione e un altro gruppo, Ë circa alla metà del corteo non cantano, non saltano, non sorridono, ma, soprattutto, non scherzano. Spranghe di ferro, caschi integrali, zaini colmi di non so quale artiglieria. Dicono che sono gli anarchici, ma secondo me di anarchico hanno poco o niente, delle intenzioni della manifestazione hanno poco o niente! Saranno una quarantina in tutto, forse con quelli che sono un po' più indietro sessantina, ma in ogni caso non raggiungono assolutamente nemmeno il 10% del corteo. Con dello spray imbrattano i muri e la strada, poi cominciano a rompere le vetrine delle banche. Ho una stretta al cuore, guardo impotente e delusa queste scene. Studio Conservazione dei Beni Culturali e adoro la mia città, non riuscivo a sopportare la vista di quello scempio.
Il corteo continua a scorrermi dinanzi. Avverto della musica che prima sentivo in lontananza, avvicinarsi sempre di più, credo che sia proveniente da un camioncino, ma la gente Ë tanta e non riesco a vedere bene. Non so come sia stata l'organizzazione nelle altre città, ma ho visto che a Napoli tutto Ë stato affrontato con l'entusiasmo e l'allegria tipica del nostro paese che ha colorato vivacemente e caratterizzato, in alcuni momenti in particolare, anche in modo fortemente folcloristico, questa protesta. Ormai mi erano passati davanti quasi tutti i manifestanti e dico al ragazzo che era venuto l’ con me che avrei voluto spostarmi per andare più in testa al corteo, magari lì dove avevo visto quelle "del taglio e cucito". Ma temporeggiavo perché temevo scattasse una carica mentre raggiungevo un'altra postazione. Avendo visto, lungo il tragitto tutti i vari schieramenti delle forze dell'ordine in assetto di guerra gi‡ quando il corteo si era da poco mosso da Piazza Garibaldi, ero un po' tesa. Mi accorgo che le mie paure non erano del tutto ingiustificate quando dall'alto di un muretto, sul quale ero salita per osservare meglio questo mare che avanzava, vedo la gente che comincia a correre. Sparano i lacrimogeni. Ci sono tanti tra quelli che scappano che con i manifestanti non centrano nulla: persone che stavano recandosi al lavoro, anziani, una mamma col carrozzino. Riesco a ripararmi in un portone di Via Sedile di Porto. Il primo scontro scatta in Piazza Borsa. I due ragazzi che erano con me li ho persi completamente di vista. Nel posto dove mi sono riparata ci sono tre ragazzine di, credo, appena quindici anni che tremano terrificate: hanno perso i loro amici in mezzo alla carica. C'Ë anche una madre che piangendo grida: "Mio figlio Ë l‡ in mezzo, aiutatemi!". Mi viene in mente mia madre. Cerco di rassicurarla come posso. La invito a ripararsi più all'interno del palazzo, in modo che non veda gli scontri e non si impressioni ulteriormente. Appena vedo che la situazione si Ë leggermente calmata esco fuori, provando a scorgere gli altri due ragazzi, ma niente. Proseguo per Via Sedile, quando sbuco nella piazza sta finendo di passare la coda del corteo, la situazione Ë tornata alla normalità anche se ci sono dappertutto i segni di questo primo scontro e nell'aria resta ancora acre la puzza dei lacrimogeni.
Ne ho abbastanza, anche perché i manifestanti hanno gi‡ da un po' imboccato Via Depretis per dirigersi verso Piazza Municipio e lì io so bene quello che li aspetta. Per chi Ë alla ricerca di uno scontro ancora più duro, troverà pane per i suoi denti, ma si troverà in trappola senza uscita. Sono un po' preoccupata per gli altri due che erano con me, ma, i miei tentativi per rintracciarli sono del tutto inutili. Sono ancora nella piazza quando ad un angolo vedo sedute due ragazze contuse. C'Ë un signore che sta parlando con loro. Sono davvero conciate male. Mi avvicino, capisco che quel signore le aveva prestato soccorso, aiutandole ad arrivare dal centro della piazza, dove erano state pestate, a quell'angolo un po' più riparato: non lo conoscono. Porgo un fazzoletto ad una delle due che ha il braccio sanguinante. Sono di Bologna. Piangono, non per il dolore delle ferite, ma per il modo con cui sono state inflitte. Sono inciampate mentre la carica era in atto e non sono più riuscite a rialzarsi per la folla di manifestanti che correvano in tutte le direzioni. A quel punto sono state circondate dai poliziotti che con calci e manganellate hanno inferto i loro colpi fino a farle perdere quasi conoscenza. E con questo hanno stroncato tutti i loro ideali, i loro sogni, le aspettative che si erano create nell'arrivare quella mattina a Napoli credendo anche loro, come me, di "partecipare ad una bella cosa". L'altro signore vuole raggiungere gli altri della manifestazione, cosÏ mi offro di accompagnarle io in ospedale. Via L. Sanfelice Ë ancora piena di polizia, non si può passare, hanno ancora il sangue agli occhi. Prendo lo zaino della ragazza che ha una spalla gonfia (dal gonfiore credo che sia rotta, ma non glielo dico) e torniamo indietro per Corso Umberto fino a salire per Mezzocanone. Camminando le illustro un po' la città, sono contenta di farlo, un po' per distrarle, un po' per dimostrarle che Napoli non Ë solo quella che hanno visto pochi momenti prima.
Cerco di sdrammatizzare, anche se ero fortemente preoccupata per il loro stato di salute. Sulla strada per il Pellegrini incontro un'amica felice di vedermi, mi domanda se so qualcosa della manifestazione e io le indico semplicemente le due ragazze livide e frettolosamente la saluto. Loro mi chiedono in continuazione, se voglio tornare lÏ tra gli altri, di indicarle semplicemente la strada,ma le racconto quello che avevo visto a Piazza Municipio e, ad ogni modo, con quegli occhi ricolmi di terrore per le violenze subite, credo che chiunque, con un minimo di sensibilità , non le avrebbe lasciate sole.
Ore12. Ricevo la telefonata di un mio caro amico. Dice che ha saputo degli scontri violentissimi di Piazza Municipio, ma lo rassicuro dicendo che mi trovavo a tutt'altra parte, accompagnando due ragazze bolognesi in ospedale. Ultima frase: "Ti chiamo tra un'oretta, quando torno a casa" e penso che dovrei telefonare anche ai miei genitori, credendo che la notizia sia arrivata anche a loro e di tranquillizzare che io, lì in mezzo, non ci sono! Che,per l'educazione che mi Ë stata impartita, stavo semplicemente aiutando due ragazze portandole al pronto soccorso più vicino, cercando, con una buona parola, di offrirle un minimo di conforto. Semplicemente ciò che avrei voluto trovare io se mi fossi trovata in una città che non conoscevo, per di più stordita dalle manganellate della polizia. Entriamo al Pellegrini, le accompagno verso l'ingresso del Pronto Soccorso e richiamo l'attenzione di un medico. Prendo i loro zaini e aspetto l ì fuori. A raffica, arrivano feriti più o meno gravi. Ci sono quelli che arrivano con le ambulanze, ci sono quelli che arrivano a piedi: carne da macello.
Una giornalista del quotidiano "La Repubblica" mi si avvicina facendomi una serie di domande, cerco di risponderle per quanto mi Ë possibile, anche lei deve fare il suo mestiere, ma la vista di tutti quei corpi sanguinanti, mi rendeva sconvolta. Vorrei avere notizie delle due bolognesi, se quella più grave ha sul serio la spalla rotta. Un signore robusto, con i capelli grigi, in borghese, mi si avvicina: "Venga un attimo con noi".
LÏ per lÏ, penso che forse nell'angolino dove mi ero messa, stavo intralciando il passaggio delle barelle, che mi devo spostare. Poi il signore mi afferra per le braccia, da dietro, e mi porta nella guardiola della polizia: "Mi dia un documento". Intontita e con un filo di voce rispondo: "Ho solo questo" ed estraggo dalla borsa l'abbonamento A.N.M., quello annuale, con la foto. "Meglio di niente" ho pensato. C'era un'altro paio di ragazzi quando sono entrata lì e a distanza di pochi minuti sono arrivati altri e altri ancora. Ho visto che segnavano i miei dati, mi sono detta: "Ora mi chiederanno come mai ero lì, io dirò che ho soccorso le due ragazze, mi faranno firmare qualcosa, mi restituiranno il documento e mi lasceranno andare, tutto qui!" e invece dopo entra una poliziotta, o meglio un'ispettrice o cos'altro non so, e sento che dice "Si si portateli tutti alla Raniero". Mi chiamano tra i primi quattro e penso che Ë meno male, cosÏ mi sbrigo subito, subito e torno a casa! Forse qui non hanno i fogli per le dichiarazioni, se ne dobbiamo fare una. Provo a chiedere informazioni su cosa sta accadendo e perché dobbiamo spostarci, nessuno mi risponde, nessuno mi d‡ retta, ci sono altri come me che hanno accompagnato feriti, che provano a spiegare perché erano là, ma vengono respinti dagli agenti. Solo quando esco fuori e mi si avvicina una signora mostrandomi il tesserino dell'ordine degli avvocati, comincio a capire qualcosa. Mi dice: "Per qualsiasi cosa, sono un avvocato, il mio nome ËÖ" e mentre lo diceva mi hanno spinto nella macchina della polizia, che avevo si, visto uscendo, ma che mai avrei immaginato stesse aspettando me. "Alice nel paese delle meraviglie" cominciava a svegliarsi finalmente! A sirene spiegate e correndo, come se trasportasse chissà quale efferato criminale, l'auto ha preso direzione Piazza Dante per, poi, girare per Via Broggia, qui si Ë bloccata per il traffico. La gente che aspettava alla fermata l'autobus, cercava di sbirciare all'interno dell'auto per cercare di riconoscere il "delinquente" e tra loro, qualcuno soddisfatto diceva: "Ah! Meno male che ogni tanto funziona la giustizia!"
Era assurdo tutto quello che stava accadendo, sembrava un film, o il servizio di qualche telegiornale. Non mi rendevo conto che la protagonista di tutto questo ero io. Fino a venti minuti prima stavo rassicurando quelle ragazze, venti minuti dopo ero nella macchina della polizia. Penso: "Come sono duri 'sti sedili" e poi vedo che la portiera non ha apertura dall'interno "Ora capisco perché i criminali stanno anche da soli dietro, non possono scappare!". Non mi venivano in mente altro che cose ovvie e banali, come un rifiuto inconsapevole della mia coscienza di ammettere la gravità di quello che stava accadendo. Mi guardavo tutt'intorno evitando che nella mia visuale capitasse parte del mio corpo. Come se stessi vedendo uno di quei film in cui alla fine l'innocente viene messo dentro e il colpevole rimane libero. Ma io non c'entravo nulla, ero solo una spettatrice. Ho pensato: "E' risaputo! Chi ruba una mela Ë arrestato, chi violenta una ragazza no! Ma io neanche la mela ho rubato, perché sto qui? O Ë proprio per questo che sto qui?" L'auto va velocissima, in contrapposizione ai miei pensieri che vanno a rilento alla ricerca di una risposta alternativa a quella realtà, vedo che sfreccia tra i vicoletti, ma non capisco più dove sono. Ci fermiamo. Mi aprono la portiera e un corridoio di poliziotti ci "accoglie" con sputi, insulti e spintoni. Entro in un grosso stanzone dove sul fondo vedo, cinque, sei ragazzi inginocchiati, faccia al muro, presi a calci, calci cosÏ forti da farli saltare da terra. E' quello che aspetta anche me. Ho paura. Sento le gambe tremarmi tanto che, quando ci sbattono contro al muro e dicono di inginocchiarci con le mani dietro la nuca, Ë quasi un momentaneo sollievo.
Le provocazioni e gli insulti sono pressanti, mai avrei immaginato che le cose andassero cosÏ! Forse la vera anarchia regna proprio qui, dove qualunque poliziotto puÚ picchiare quanto vuole lui e quando vuole lui. Se ti giravi per vedere chi le stesse prendendo, giù con calci e pugni anche su di te. Hanno fatto cosÏ con un ragazzo che mi era affianco. Perdi ogni diritto, senza un minimo di dignità. Mi hanno detto cose orribili. Ho cominciato a pregare, la mia disperazione e smarrimento richiedevano un urgente bisogno di qualcosa cui appigliarmi, in cui trovare forza. Pregando riuscivo ad isolarmi da tutte le loro provocazioni, a non sentire più niente. Solo ad un tratto, uno mi ha urlato in faccia tirandomi i capelli: "Si sulament' hann' sfiorat' a 'na cullega dda nost' t'amma accirere'!".(Se solamente hanno sfiorato una nostra collega, ti dobbiamo ammazzare!). E mi sono sentita come se mi leggessero una sentenza di morte: colleghi o colleghe loro saranno stati sicuramente feriti negli scontri che ci saranno stati a Piazza Municipio e loro lo sapevano benissimo, avrebbero cominciato con una scusa qualsiasi a prendermi a calci. Solo l'intervento dei commissari, li ha fatti momentaneamente calmare. Continuavo a pregare. Ci sono venuti vicino dicendo che appena se ne fossero andati i loro capi per noi non ci sarebbe stato più scampo, che eravamo dei bastardi, che ora, lÏ dentro, stavamo facendo le finte pecorelle e che invece non eravamo altro che una massa di sovversivi e per questo avremmo pagato: sapevano benissimo che non era cosÏ, che i ragazzi che erano lÏ d'ideali ne avevano tanti si, ma di sovversivo e di violento ben poco.
Alcuni poco più che adolescenti, magari hanno compiuto diciotto anni da poco e con il sogno "assurdo" di poter cambiare il mondo; sono cresciuti con i racconti dei loro genitori che hanno fatto il '68 e, con quegli ideali d'eguaglianza, pace, solidarietà, giustizia (quella vera!) e trasparenza, erano venuti quella mattina a manifestare, ma che di voler cercare lo scontro con le forze dell'ordine non avevano la benché minima intenzione. Hanno cominciato le perquisizioni: uno per volta, dentro al bagno, a porta chiusa. Ancora mi assale il terrore, non capisci cosa ti succede l‡ dentro e non vedo poliziotte in giro, non mi meraviglierei se a perquisirmi fosse un poliziotto e mi mettesse le mani addosso. Arriva il mio turno, nessuna poliziotta e c'Ë un poliziotto nel bagno. Temporeggio e,fortunatamente, vedo arrivare una donna in borghese che mi invita a seguirla. Nell'entrare vedo il lavandino pieno di sangue e altro sangue schizzato "di fresco" su tutte le pareti. In quel momento non capisco: se tutti quelli che sono lì provengono dall'ospedale, saranno gi‡ stati medicati, ricucite le ferite e bendati; allora da dove proveniva tutto quel sangue? Non so darmi una spiegazione, o meglio, preferisco non darmela!
La donna dice di spogliarmi. Sembra più "umana" di tutti gli altri. Vorrei dirle che io non c'entro niente, che ho solo accompagnato due ragazze in ospedale, ritenendo di fare una cosa giusta e che invece quello che stava accadendo non era giusto, ma riesco appena a chiederle quando finir‡ tutto quest'incubo. Lei non sa rispondermi, controllando nella mia borsa trova il telefonino acceso, mi ordina di spegnerlo. Dice che se non l'avessi capito sono "in fermo" e non ho diritto a comunicare con l'esterno. Mi chiede se ho piercing e mi fa togliere i lacci delle scarpe, dice che con quelli potrei farmi del male. Rispondo che se non sono loro farmene, io, da sola, non ho di certo nessuna intenzione di procurarmelo. Poi mi guarda la collanina che ho al collo, Ë titubante, poi dice che quella posso tenermela. Prende le due cinture che avevo poggiato nello spogliarmi sul lavandino. Erano entrambe un regalo, le avevo da tempo, ci tenevo molto. Chiedo se le potrà riavere indietro. Non lo sa. Aspetta che mi rivesto ed apre la porta. Penso che forse il peggio sia finito. Non so nemmeno perché penso questo. Ho bisogno di una bugia da raccontarmi. Mi respingono contro al muro, giù, in ginocchio. Il ragazzo affianco a me sottovoce chiede che hanno mi fatto lì dentro, rispondo che io sono stata perquisita da donna, che con me Ë stata abbastanza tranquilla, ma sono pienamente cosciente che per lui non ci sarà lo stesso trattamento.
I poliziotti l'hanno preso di mira da com'Ë entrato nella caserma. Mentre lui Ë dentro, i "capi" ordinano che chi Ë stato perquisito può girarsi e mettersi seduto, sempre giù, per terra. CosÏ vedo il ragazzo che spinto,esce dal bagno. Ancora l'insultano, ancora lo provocano pesantemente. I segni delle percosse sono più che evidenti sul suo volto anche perché prima di entrare lÏ dentro era completamente illeso. Era anche lui al Pellegrini e anche lui era lì per aver accompagnato una ragazza che ha avuto sette punti di sutura alla testa e contusioni varie. Dopo un po' Ë arrivata anche lei in caserma. Fino alle 16 continuano arrivare poliziotti che portano altri ragazzi. Non riesco a capire ancora quanti ne siano. Sono dall'altra parte dello stanzone e io devo stare seduta per terra, senza muovermi e poi c'Ë un gran via vai di commissari, agenti in borghese e tanti altri in divisa. Stanno portando un ragazzo nuovo. Lo "depositano" vicino a me.
E' straniero e non parla la nostra lingua. Il poliziotto gli chiede i documenti, ma lui non capisce e lo prega di ripetergli la domanda in inglese o in francese. "Dicit 'a stu' strunz che madda ra'e document!" (Dite a questo stronzo che mi deve dare i documenti!). CosÏ un ragazzo si mette a fare da interprete. Il nuovo arrivato gli dà il passaporto. E' svizzero. L'agente controlla la fototessera al suo interno ed esclama con un tono ricolmo d'odio: "Si, sÏ propr' tua' stess' facc'e cazz!" (Si, sei proprio tu la stessa faccia di cazzo!). Lo prende a parolacce, per giunta in dialetto, quando sa che non capisce. Ma lui insiste, cosÏ, giusto per soddisfazione personale. Poi si allontana chiamando un collega: "Vedi? Abbiamo preso anche un clandestino". Clandestino?!? A quanto pare non si arriva mai a toccare il limite del paradossale. Chissà che fine gli faranno fare ora. Ormai Ë tre ore che sono qua dentro. Nessuno ci dice qualcosa, nessuno ci d‡ delucidazioni su cosa sta accadendo, nessuno, oltre ai nostri dati, ci chiede qualcosa. Quei pochi che tentano di spiegare la loro posizione vengono respinti e presi in giro dai poliziotti, ai superiori, figuriamoci, non ci si può nemmeno accostare.
Vedo che cominciano a compilare delle carte. "Forse tra un po' ci faranno scrivere una dichiarazione, ci faranno una specie d'interrogatorio!" dico a quelli che mi sono vicini, la speranza insiste prepotentemente a non volermi abbandonare. Dal fondo della stanza sento che un agente risponde ad un ragazzo, che ha chiesto di poter telefonare a casa, che non era possibile, in quanto, se eravamo stati arrestati ne avevamo diritto, essendo semplicemente fermati no!Mi riviene di nuovo in mente che chi ruba una mela Ë trattato peggio di chi compie un atto ben più grave. Non credo che si permettano di trattare i camorristi come stanno trattando noi. A loro non sputano addosso, loro hanno carceri dotate di ogni comfort,Ë questa la realtà. Anch'io vorrei avvisare casa, mia madre sarà sicuramente in ansia. Spero che al telegiornale non abbiano detto nulla o perlomeno non abbiano avuto il tempo di montare le immagini delle cariche delle forze dell'ordine, non vedendomi arrivare si preoccuperebbe sicuramente, si sentirebbe male, ed Ë questa l'ultima cosa che vorrei. Improvvisamente mi si avvicina un poliziotto, si china verso di me e senza spiegarmi nulla mi dice di firmare. Intontita prendo la penna che mi porge, sto quasi per firmare, quando mi "risveglio" e mi viene in mente (Sacrilegio!LÏ dentro non hai diritto di pensare solo di eseguire ciò che ti viene ordinato) di approfittare di quella prima e unica occasione che avevo per capire finalmente, di che cosa ero stata accusata. Come mai ero stata "fermata" se ero gi‡ ferma per fatti miei fuori un ospedale? Ho sempre pensato, quando leggevo i giornali, che i "fermati" di una manifestazione erano quelli che durante essa, ancor prima di scontri, erano stati trovati in possesso di molotov, sampietrini, spranghe, oppure quelli che erano stati presi in fragrante, mentre lanciavano bulloni, pietre,rompevano vetrine, incendiavano cassonetti dell'immondizia. Io ho visto quel minuto gruppetto di teppisti fare questo, a tanti di loro li ho visti ancor prima che indossassero i caschi e si coprissero il volto e posso assicurare che in quello stanzone non c'era nemmeno una di quelle facce. Il poliziotto, vedendomi non scrivere m'indica nuovamente lì dove devo apporre la mia firma. Gli dico che mi rifiuto e dopo tutte le minacce e le provocazioni, credo che di aver usato tutto il mio coraggio per farmi uscire quella frase. Avevo letto che erano segnate le due cinture che mi avevano preso: sono diventate oggetti pericolosi sottoposti a sequestro.
Penso che sono le stesse identiche cinture che hanno riempito in quest'ultimo periodo bancarelle, negozi,le passerelle delle più famose case di moda. Credo che da domani, a questo punto, dovranno avere il permesso di porto d'armi un po' tutti, allora, per indossarle. Più in fondo alla pagina c'Ë scritto qualcosa riguardo alla manifestazione che ero stata "fermata" lÏ in mezzo, forse mentre commettevo qualcosa di violento, ma, a dir la verit‡, non riesco a leggere bene: l'agente indicandomi il posto dove devo firmare me lo impedisce di fare, e quando provo a spiegargli, timorosa, che la mia storia Ë differente da quella riportata su quel foglio, nervosamente si allontana senza lasciarmi finire di parlare. Mi convinco che vada a chiamare qualche superiore, che qualcuno, vista la mia reazione, mi ascolti, ma niente. Altri poliziotti si avvicinano per far firmare altri ragazzi attorno a me e loro, ormai distrutti fisicamente e psicologicamente, senza opporsi, eseguono l'ordine. CosÏ come li hanno ridotti, farebbero qualunque cosa che li consenta di abbreviare quella tortura. Ora che devono compilare tutte quelle scartoffie, gli agenti prestano meno attenzione a noi e riesco a scambiare qualche parola con quelli che mi sono più vicini. Ci sono due ragazzi di Padova,erano venuti alla manifestazione anche con la scusa di vedere un po' Napoli. Hanno circa vent'anni. La ragazza Ë stata colpita da manganellate alla testa durante le cariche a Piazza Municipio, poi continuandomi a raccontare, mi mostra la schiena. Un orrore! E' un'unica macchia violacea. Ha del sangue che continua ad uscirle da una delle ferite alla testa e nonostante questo Ë stata continuata a picchiare anche una volta arrivata in caserma, senza un minimo di pietà. Il fidanzato l'aveva accompagnata in ospedale.
Sono stati tra i primissimi ad arrivare. Mi spiega che era una delle prime volte che partecipavano ad un corteo. Avevano saputo che nei giorni precedenti non c'erano stati incidenti, nonostante ci fossero state altre iniziative contro il Global Forum, e sono partiti sereni. Lui durante gli scontri in Piazza era riuscito a ripararsi. Ma vedo che ha un labbro spaccato e gli chiedo spiegazioni. Durante la perquisizione, in bagno, a porte chiuse, un poliziotto l'ha fatto spogliare e dopo un tentativo di violenza sessuale, lui ha reagito, dopo di che Ë stato picchiato selvaggiamente. Mi indica un altro ragazzo, dicendomi che con lui Ë capitata una cosa simile. Ad un altro durante la perquisizione, hanno ridotto in mille pezzi una cinquantamila lire che gli hanno trovato nel portafoglio e gli hanno distrutto il telefonino. Mi mostra il cellulare col display e la tastiera completamente spaccata, irrecuperabile. C'Ë un altro ancora che stava passeggiando per fatti suoi, appena sapeva della manifestazione. Si Ë trovato da quelle parti e si era fermato a guardare.
Quand'Ë scattata la carica nemmeno ha avuto il tempo di accorgersene: Ë stato accerchiato dalla polizia, erano almeno in cinque, dice, e giù con botte a più non posso. Qualcuno lo ha poi accompagnato alla prima ambulanza arrivata. Arrivato al Pellegrini Ë stato "fermato". Eccole qua le storie dei "pericolosi sovversivi" bloccati dalla polizia e come queste tante e tante altre. Il più "rivoluzionario" mormora non Ë cosÏ che uccideranno i suoi sogni. C'Ë anche un avvocato. Ha trovato una ragazza pestata per strada e l'ha accompagnata al pronto soccorso, una storia simile alla mia. Nonostante abbia mostrato il tesserino dell'ordine Ë vestito con un giubbotto di pelle, da "manifestante" ed Ë stato portato in caserma anche lui.
Ore17. Alcuni poliziotti ci dicono che tra un po' ci lasceranno andare. Io sono sempre in attesa del momento in cui mi faranno fare una deposizione. Qualcuno chiede "dopo" che succeder‡, quali conseguenze avremo, ma non rispondono, sono evasivi, qualcuno di loro cita qualche articolo, qualche numero. Mi sembra quasi fatto apposta per non farci capire, vorrei chiedere a quell'avvocato, ma l'hanno chiamato per l'ennesimo controllo dei documenti. Vedo dei flash, credo siano giornalisti e invece hanno cominciato a fare le prime foto segnaletiche. Quelle di fronte e di profilo che a volte scherzosamente si fanno tra gli amici. Oramai non mi stupisco più, ormai non vedo l'ora di uscire da questo posto soffocante e umiliante, e basta. Chiamano uno alla volta, ma prima di vedere il flash scattare, passa un po' di tempo: che sia arrivato il momento che chiedono qualcosa? Che ci ascoltano? Attendo che chiamino il mio nome, temendo di non riuscirlo a sentire quando lo faranno e di rimanere ancora altro tempo lì.
"Pezzuti!" "Eccomi!" vado verso una scrivania. E' il mio momento, ora mi chiederanno perché non ho voluto firmare il verbale e io spiegherò tutto. Un signore più anziano, forse un superiore, mi chiede se ho un documento, tiro fuori dalla borsa l'abbonamento. Lui si arrabbia. Dico che non ho altro: "Capisco che non Ë un documento ma c'Ë la foto, ci sono i miei dati, meglio di niente!" Scrivono il mio nome, cognome, chiedono il nome di mio padre e tutto il resto. Dopo aver segnato tutto il signore mi chiede: "Tu sei d'accordo, vero, con questo contro-Global?". Mi stanno finalmente dando la possibilità di essere ascoltata, mi sembra incredibile. Balbettando dico:"Mi lasci spiegare" "Si, si, sempre la stessa storia, vai a fare la foto, va!". Rassegnata, me ne vado. Mi danno un numero da attaccarmi in petto. Il fotografo dice di accostarmi al muro, poi mi chiede come mai non avevo i lacci. Forse voleva fare una battuta, o forse era solo curiosità. "Qui me li hanno presi. Sono stati loro" e scatta la prima foto. "Ora girati, guarda verso quel muro" Provo una profonda vergogna in quell'istante. Scatta la seconda. Mi tolgono il numero. Ormai Ë fatta. Non so cosa scriveranno accanto a quella foto, ma ora sono schedata a tutti gli effetti. Non conosco questo, a livello burocratico, civile o penale, cosa possa significare, ma sento già profonde le ferite psicologiche che questa giornata mi ha procurato. Umiliata, provocata, accusata, malmenata e tutto questo per aver avuto compassione di due ragazze, per aver creduto di stare compiendo onestamente un mio dovere. Non posso dire di pentirmi per ciò che ho fatto, come potrei farlo? Devo dire che la prossima volta che vedo qualcuno in difficoltà, proseguo per la mia strada ignorandolo? Mi rifiuto al solo pensiero! Ci hanno messo in un'altra fila, da qui, due alla volta, ci scorteranno fin fuori la caserma. Ho lo sguardo perso nel vuoto, mi sento come ipnotizzata aspettando l'ultimo ordine di alzarmi per poi uscire. Sono tra gli ultimi. Siamo in quattro ad essere chiamati. Anche loro si sono stancati e vogliono tornarsene a casa.
Esco dal portone, fuori pioviggina, ho freddo. Stamattina, quando sono uscita, c'era un bellissimo sole che troneggiava in un cielo azzurrissimo e avevo deciso di lasciare a casa il giubbotto. Tanto per pranzo sarei tornata! Non riesco a camminare bene, senza i lacci. Il poliziotto che ci accompagna con aria quasi paterna ci chiede perchè facciamo queste manifestazioni, tanto Ë cosÏ che vanno le cose e ad andare contro ci rimettiamo solamente. Nessuno gli risponde. Che senso avrebbe? Mentre proseguiamo (Ë una lunga discesa quella per arrivare al cancello che d‡ sulla strada o a me sembra non finisca mai!) ci passa una macchina affianco: "Vuttl' tutt' quant' rind' a'mmunnezz!" (Buttali tutti quanti nell'immondizia) e cosÏ che un poliziotto dall'auto grida al collega che ci scorta. "Lasc' e'st’ò" (Lasciali stare) risponde: "Tanto s'ver che so' tutt' bravi guagliun!". Questa frase mi arriva come l'ennesima pugnalata della giornata. Ma come? Se si vede che siamo bravi ragazzi, che significato ha tutto quello che Ë accaduto! Sono andati a prendere i più deboli, i meno esperti, quelli che non pensavano che correndo in ospedale sarebbero andati incontro ad un pericolo. Tutta la gente che era lÏ l'avevano presa tra il Pellegrini e il Loreto Mare. I teppisti, quelli veri, erano ben equipaggiati contro le botte e anche se le hanno prese, sanno bene le regole riguardo cosa fare e dove non andare in questi casi. Arriviamo al cancello, fuori ci sono i familiari dei ragazzi e qualche avvocato che non hanno lasciato entrare.
Ci accolgono con un applauso, come fossimo degli eroi. Ma non siamo eroi, siamo solo delle persone che si sono recate ingenuamente dritti nella tana del lupo. Che sono state picchiate e insultate con la piena consapevolezza, da parte delle forze dell'ordine, di aver a che fare con la gente sbagliata. Mi Ë stato esplicitamente detto: "Noi qualcuno dobbiamo pur prendere. Se non volevate correre questo rischio rimanevate a casa. Vi sia di lezione per la prossima volta!". Praticamente funziona cosÏ: devono dichiarare un certo numero di persone che hanno preso, "fermato", per dimostrare che hanno svolto un buon lavoro. Come lo facciano e dove le prendano non ha importanza. Cercano "giustamente" il modo più semplice per farlo. Delle umiliazioni subite nessuno ci render‡ conto. Delle percosse e delle violenze nessuno verrà mai a sapere e, in ogni caso, sarebbe sempre la parola nostra contro la loro, la parola di uno schedato contro un poliziotto: assolutamente senza alcun valore. Chiedo scusa, ma Ë cosÏ che la penso, Ë la verità Ora ho aperto gli occhi e non sogno più. Torno a casa.
Chiara