Quale giustizia. Quanti Enzo Tortora.

Dalle storie di Enzo Tortora, di Antonio Negri e di tanti altri alla richiesta di condanna per Silvio Berlusconi, agli arresti di Pisa, alla guerra di Napoli: nulla è cambiato. C'è poco da stare allegri. Giudici che sbagliano o che incarcerano senza ponderare fatti e conseguenze vengono addirittura promossi e dall'alto della loro promozione ci tranquillizzano dicendo che troveranno altri colpevoli. Dio ci protegga!
La notizia della richiesta da parte della Procura di Milano di una condanna a otto anni di carcere per Silvio Berlusconi, che potrebbe far gioire qualcuno di quelli che intendono prendere il posto dell'attuale compagine governativa sostituendola di fatto con una sua immagine quasi speculare, mi scandalizza e mi indigna. Anche perché ho ormai imparato, e non dimentico, che spesso le investigazioni e le accuse sono delle vere e proprie montature. Il guaio è che chi orchestra teoremi, chi sbatte in carcere innocenti, chi agisce come un inquisitore per proprio personale tornaconto o per favorire qualche struttura politica o cose simili, finisce non nel dimenticatoio, non in punizione, ma viene spesso promosso.
Si potrebbero ricordare i fatti relativi ad Antonio Negri. Quando il sostituto procuratore Calogero deve rispondere alla domanda di un giornalista del Corriere della Sera, che gli chiede di dire quali fossero insomma le prove contro Antonio Negri, si esprime obbiettando che la domanda è sbagliata in quanto nessuno può credere che un ideologo di un gruppo possa commettere direttamente attentati. In altre parole risponde che l'assenza di prove è la prova cardine per accusare Antonio Negri.

Si potrebbe vedere oggi quello che sta succedendo a Pisa dove un ragazzo, messo in carcere dal PM, è ora un pericoloso comunista, ora un pericoloso anarchico, ora l'ideologo di un gruppo clandestino, ora uno che di notte va a bruciacchiare un portone di un "politico" locale. Cioè in altre parole la persona incarcerata, che sarebbe obbligatorio e giusto ritenerla innocente fino a prova contraria, è sempre la stessa, ma, a seconda di come torna meglio in un determinata fase istruttoria, si cambia con disinvoltura il personaggio. Attenzione: senza mai averci parlato, senza mai aver indagato tra amici e parenti, senza aver mai svolto quelle buone e genuine indagini che da un lato servono a prevenire dolore alle famiglie di chi viene arrestato e dall'altro a far capire chiaramente che uno viene tenuto d'occhio. No, le indagini vengono svolte in clandestinità, con sofisticatissimi mezzi, con costi elevati, alla barba di chi a male pena riesce a vivere con il suo salario e la sua pensione. Bel il mio Maigret o il mio Sherlock Holmes. Distanti anni luce in quanto ad intelligenza e ad acume. Va bene che per questi piccoli fatti di Pisa né Maigret né Holmes si sarebbero mai scomodati, neppure se inseriti nel libro paga di Pisanu.
Ma qui mi voglio occupare della attuale guerra di camorra e comunicare ufficialmente ai cittadini napoletani che d'ora in poi possono dormire sogni tranquilli. Infatti al Corriere della Sera il procuratore aggiunto Felice Di Persia, che coordina la Direzione distrettuale antimafia (!!!), ha dichiarato con ottimismo che "Li prenderemo, come abbiamo preso quelli che c’erano prima di loro". Sì. Caro Felice Di Persia li prenderai come hai preso Enzo Tortora. L'uomo ha un requisito fino ad una certa età: la memoria. Se piove di quel che tuona, anche a Napoli si riempiranno le celle con persone che non c'entrano nulla con la camorra. Per adesso ripercorriamo la vergognosa vicenda che colpì Enzo Tortora. Quale cittadino lo avrebbe mai condannato a 10 anni? Alzi la mano chi afferma che lo avrebbe fatto. Nessuno la alza? Allora è evidente: i Giudici non sempre amministrano la giustizia in nome del popolo italiano.

Dieci anni fa fu la sorte del presentatore, stroncato da un cancro psicosomatico
Tortora morì d'ingiustizia. E nessuno è stato punito
di DIMITRI BUFFA

Morire di giustizia ingiusta. Dieci anni fà fu questa la sorte di Enzo Tortora stroncato da un cancro psicosomatico che si prese a causa della sua immotivata detenzione e dell'infame linciaggio mediatico-poliziesco cui fu sottoposto. Da allora in Italia ci sono stati dieci anni pieni di vergogna, nonostante il referendum sulla responsabilità civile dei giudici vinto dai pannelliani e in seguito neutralizzato dalla legge Vassalli. La vergogna è di quei pm e di quei giudici che non pagarono mai per il male provocato, ma che anzi fecero persino carriera in seno alla loro casta di intoccabili. Oggi, ad esempio, dopo essere persino stato eletto al Csm, Felice Di Persia è il procuratore capo di Nocera Inferiore, quello che dovrebbe evitare che la camorra si arrichisca speculando sulla ricostruzione della Sarno e Quindici. C' è uno strano destino che accomuna tutti quei magistrati che hanno fatto oltraggi a Tortora o alla sua memoria: vengono immediatamente protetti e coccolati e assurgono ai più alti livelli della categoria. Si prenda Elena Paciotti, ad esempio: è la segretaria dell'Anm, il sindacato dei magistrati che interloquisce con la Bicamerale e che sta tentando di boicottarne i lavori in materia di giustizia in tutte le maniere. Ebbene la signora Paciotti è quella che ha scritto una delle pagine più infami della recente giurisprudenza in materia di diffamazione a mezzo stampa e di calunnia. Infatti porta la sua firma il provvedimento che ha respinto il 20 febbraio 1995 le sacrosante istanze della difesa Tortora di far processare per calunnia l'ex pentito Melluso, quella faccia di bronzo che i giornali leccasputi dell'epoca chiamavano "Gianni il Bello", inopinatamente prosciolto dal Gip di Milano il 19 dicembre 1994 dall'accusa di avere infangato la memoria del presentatore in un'intervista per il settimanale "Gente". In una striminzita paginetta, la Paciotti spiegava di non poter accogliere l'opposizione al proscioglimento di Melluso (nonchè del direttore del periodico Sandro Meyer e della giornalista Matilde Amorosi) perchè «l'assoluzione di Enzo Tortora con formula piena non è conseguenza della ritenuta falsità delle dichiarazioni di Giovanni Melluso ma della ritenuta inidoneità delle stesse a costituire valida prova di accusa». In pratica la Paciotti faceva capire che l'assoluzione di Tortora sarebbe stata per insufficienza di prove. Circostanza peraltro pacificamente non vera.In realtà pochi mesi dopo questa ordinanza di rigetto che definire Ponzio Pilatesca è ancora poco, fu lo stesso Melluso ad autoaccusarsi di avere infangato Tortora per ordine di quegli stessi magistrati, Di Pietro, Di Persia, Fontana e Spirito, che non pagarono mai il loro errore giudiziario. Poi ritrattò di nuovo beccandosi l'ennesima incriminazione di calunnia. Proprio lo sconcertante comportamento di Melluso, in definitiva, ha smentito in maniera clamorosa i ragionamenti giuridici che portarono la Paciotti a scrivere quelle righe che non le fanno onore e che hanno dato l'ultima pugnalata nella schiena (da morto) al povero Tortora.Oggi i familiari del presentatore dovrebbero consolarsi con il fatto che il comune di Milano gli ha dedicato una piazza e che 50 parlamentari di tutti i gruppi chiedono che quei magistrati paghino una volta per tutte. Ma, come ha detto ieri anche sua sorella Anna, «è inutile continuare a strumentalizzare il suo nome come fanno alcuni pseudo garantisti della prima e della seconda Repubblica... e prima di dire "io sono come Tortora", bisognerebbe ricordarsi che lui si dimise dal Parlamento europeo per farsi arrestare da questa giustizia ingiusta».

(Fonte: sito oldpadania)

Enzo Tortora: La giustizia tradita

SOMMARIO: Viene qui riesaminata l'intera vicenda che, dalla maxi-retata contro la Nuova Camorra Organizzata (in cui viene arrestato anche Enzo Tortora), arriva - attraverso le pseudo-indagini, i casi di omonimia, l'uso dei pentiti e delle varie testimonianze, le varie fasi del processo - alla sentenza di primo grado che condanna Enzo Tortora a dieci anni di carcere. Tutto il meccanismo della sentenza viene passato al setaccio e vengono rianalizzate le testimonianze dei vari "pentiti" su cui si regge l'intero castello accusatorio, mettendo a confronto il processo in cui era coinvolto Enzo Tortora con quanto emerso in altri procedimenti giudiziari. (Panorama, 27 agosto 1986)

Il castello di accuse contro Enzo Tortora si è ormai sgretolato. Ne diamo un parziale esempio "passando in rassegna" - come dice Pandico - gli elementi di "prova" su cui la decima sezione del Tribunale di Napoli ha condannato Tortora.
Confrontiamo cioè le principali accuse rivolte dai "pentiti" nei confronti di Enzo Tortora e la valutazione che di queste è stata fatta nelle motivazioni della sentenza del processo di 1° grado del Tribunale di Napoli (primo "troncone") con quanto è emerso in altri procedimenti giudiziari (in particolare nel terzo e quarto "troncone" dello stesso processo alla N.C.O., e nel procedimento aperto a Milano contro Walter Chiari ) o con quanto è stato riportato in documenti ufficiali.
E' necessario precisare che i 640 imputati rinviati a giudizio in seguito all'inchiesta sulla Nuova Camorra Organizzata (N.C.O.) sono stati divisi in tre tronconi e processati da tre diverse sezioni del Tribunale di Napoli. Alcuni imputati "stralciati" sono stati riuniti in un cosiddetto "quarto troncone" e processati da altra sezione del tribunale napoletano.
Nella premessa che segue riportiamo le conclusioni contenute nelle motivazioni della sentenza con la quale il Tribunale di Napoli (1o "troncone")(1) ha condannato Enzo Tortora a dieci anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo camorristico e detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti: nella sentenza in questione si elencano i "pentiti" che avrebbero provato la sua colpevolezza.

I GIUDICI DI NAPOLI : TORTORA E' UN CINICO MERCANTE DI MORTE

"L'appartenenza del Tortora alla N.C.O. (Nuova Camorra Organizzata) è stata provata attraverso le dichiarazioni di Pandico, D'Amico, Federico e, principalmente, di Barra, D'Agostino ed Incarnato. Tutte queste accuse hanno trovato adeguati e convincenti elementi obiettivi di riscontro.
L'attività di spacciatore di stupefacenti (cocaina) del Tortora è stata dimostrata anche attraverso le testimonianze di Castellini, Margutti, Villa e la chiamata in correità di Melluso, tutte prove sorrette da ulteriori elementi di riscontro: il quadro che esce fuori al termine della presente esposizione, ci fa indiscutibilmente vedere la vera faccia di Enzo Tortora, un pericoloso spacciatore di sostanze stupefacenti"."Il Tortora ha infatti dimostrato di essere un individuo estremamente pericoloso, riuscendo a nascondere per anni in maniera egregia le sue losche attività ed il suo vero volto, quello di un cinico mercante di morte".

Prendiamo in esame quindi, nell'ordine, le posizioni processuali dei principali accusatori :
1. Pasquale Barra
2. Giovanni Pandico
3. Michelangelo D'Agostino
4. Mario Incarnato
5. Pasquale D'Amico
6. Giovanni Melluso
7. Rosalba Castellini e Giuseppe Margutti e le affermazioni della Corte di Napoli (1o grado) sui riscontri obiettivi alle accuse dei "pentiti".
8. I Giudici

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1. PASQUALE BARRA

SOLO AL DICIOTTESIMO INTERROGATORIO RICORDA IMPROVVISAMENTE CHE TORTORA E' UN CAMORRISTA. GLIELO FECE COMUNICARE CUTOLO QUANDO ERA NEL CARCERE DI TRANI

Il "pentito" Pasquale Barra, detto "O animale", killer delle carceri ( ha assassinato, fra gli altri, Turatello e Cuomo), fornisce liste di presunti camorristi per ben 17 esami testimoniali, che occupano oltre cento fogli. Solo al diciottesimo interrogatorio, il 19 aprile 1983, "nell'esaminare gli elenchi redatti da Pandico, conferma senza dubbio che Enzo Tortora, il presentatore della Rai Tv è camorrista regolarmente fedelizzato"
Pasquale Barra "venne a conoscenza dell'affiliazione di Tortora nel 1979, quando era detenuto a Trani, poiché Cutolo glielo fece comunicare dalla moglie di Antonino Cuomo".
"Enzo Tortora fu conosciuto dal Cutolo nel 1978, dopo la fuga dal manicomio di Aversa e precisamente nella casa di Nadia Marzano" dove "si fece fedelizzare". "Parteciparono alla pseudo-cerimonia Raffaele Cutolo, Giuseppe Palillo, Giuseppe Cacciapuoti, Giuseppe Serra".
"Ulteriori chiarimenti gli furono forniti da Cutolo, quando si trovarono assieme per una ventina di giorni nella sezione di massima sicurezza del carcere di Poggioreale, nel 1979".
"Il Tortora era divenuto collaboratore stretto della NCO per il traffico di stupefacenti".
Barra rifiuterà di deporre e di confermare le accuse sia al processo di primo grado che in quello d'appello.

PRIMO FALSO : NON E' VERO CHE CUTOLO INFORMA BARRA, NEL 79 A TRANI, DELL'AFFILIAZIONE DI TORTORA ALLA CAMORRA...SEMPLICEMENTE PERCHE' BARRA NON ERA A TRANI MA A NUORO

Non solo per i giudici del primo "troncone" ma anche per il Pubblico Ministero Armando Olivares, al processo di appello contro Tortora e la NCO(2) , bisogna dare credito a Barra che sarebbe venuto a conoscenza dell'appartenenza di Tortora alla Camorra dalle informazioni che la moglie di Cuomo gli avrebbe comunicato, per conto di Cutolo, quando era nel 1979 nel carcere di Trani: "anche Barra dà una testimonianza del reato - afferma il PM Olivares nella sua requisitoria - del fatto perchè Barra dice io l'ho saputo dalla moglie di Cuomo che faceva da intermediaria tra me e Cutolo e noi sappiamo che questo non solo era possibile ma questo era doveroso..."
Tutto ciò è falso semplicemente perchè...Barra non si trovava nel carcere di Trani nel 1979. Per tutto quell'anno è stato nel carcere di Nuoro con brevi trasferimenti a Napoli e Bari. Nessun inquirente lo aveva fino ad ora scoperto !(3)

SECONDO FALSO : PALILLO NEL 1978 ERA IN CARCERE, NON ALLA CERIMONIA DI FEDELIZZAZIONE DI TORTORA

Giuseppe Palillo non poteva partecipare alla presunta "fedelizzazione" di Tortora nella casa di Nadia Marzano perchè era in carcere.
Arrestato il 30 luglio 1976, è rimasto ininterrottamente in carcere fino ad oggi.

PER I CARABINIERI NESSUN COLLEGAMENTO FRA TORTORA E LA CAMORRA

Da una relazione firmata dal capitano dei CC Emanuele Garelli - allegata negli atti istruttori(4) - risulta, a proposito di accertamenti disposti su una serie di nominativi ( Cutolo Roberto, Marco Medda, Domenico Barbaro, Nadia Marzano, sei componenti della famiglia Palillo) che "in ogni caso non è emerso alcun collegamento fra il presentatore Enzo Tortora e gli elementi indicati".

PER I GIUDICI DI TORTORA BARRA E' PIENAMENTE CREDIBILE

Per i giudici del 1° troncone del processo alla Nuova Camorra Organizzata "tutte le dichiarazioni del Barra appaiono attendibili, in particolare quelle relative alla affiliazione del Tortora alla N.C.O., perchè logiche, articolate, sorrette da elementi di riscontro e non contrastate da altre risultanze processuali".

PER I GIUDICI DEL TERZO TRONCONE I PENTITI BARRA E PANDICO SONO INATTENDIBILI

I giudici del "terzo troncone" del processo alla Nuova Camorra organizzata (5) scrivono, nella motivazione della sentenza, che i principali accusatori di Enzo Tortora, Pasquale Barra e Giovanni Pandico, sono inattendibili. Per quanto riguarda le dichiarazioni del Barra sugli affiliati alla N.C.O., queste "non vengono da un quadro di nomi da lui formulato, ma derivano, benché non sia esplicitamente detto a verbale, dal riscontro confermativo che il dissociato dà agli organigrammi, con molta cura e pazienza elaborati almeno un anno prima dai carabinieri del nucleo Napoli 1 e Napoli 2".

L'ELENCO DEI CAMORRISTI DI BARRA CORRISPONDE, ANCHE NEGLI ERRORI, A QUELLO PREPARATO DAI CARABINIERI

Ancora i giudici del "terzo troncone" : "...il dissociato nomina i presunti affiliati alla nuova camorra organizzata di S.Antimo, recitando l'organigramma redatto dai Carabinieri il 16.1.82, seguendo lo stesso ordine di incolonnamento e talvolta ripetendo lo stesso eventuale errore di trascrizione del cognome"..."il dissociato, pur di mantenere i privilegi personali concessigli, era passato ad effettuare affermazioni accusatorie di ogni genere, arricchite con particolari di fantasia"..."In definitiva Barra Pasquale con le sue 'rivelazioni' non appare di nessuna efficacia ai fini della costituzione, 'ex ante', del quadro probatorio e se ne dovrà fare pressoché a meno nella valutazione delle posizioni dei singoli imputati".

"IL BARRA...AVENDO PRESO IMPEGNO CON I MAGISTRATI...AL FINE DI CONTINUARE A RIMANERE FUORI..."

"Il Barra - scrivono i giudici del "terzo troncone" - inoltre si era lasciato sfuggire nel quadro delle prime dichiarazioni che gli affiliati alla N.C.O. ancora nel 1982 ascendevano a 1400 ed egli presumeva, in qualità di santista, di riuscirne a rivelare tutti o quasi i nomi. Pertanto, avendo preso impegno con i magistrati inquirenti a fornire un grosso contributo, al fine di sperare di continuare a rimanere fuori di un certo circuito carcerario, divenuto estremamente pericoloso per la sua stessa esistenza, questa spinta egoistica, deve aver influito al massimo nell'indurlo a ritenere che tanti personaggi periferici, conosciuti in carcere, giudicabili o in espiazione pena, toccati marginalmente dalla rete d'influenza della N.C.O., ne fossero entrati a far parte, ne dovessero far parte."

CONTINUA LE SCONFESSIONI: IL 24 MARZO 1986 BARRA CONDANNATO A 28 ANNI DALLA CORTE DI PESARO, NEL SILENZIO QUASI ASSOLUTO DELLA STAMPA ITALIANA

Pasquale Barra condannato a 28 anni di reclusione dalla Corte d'Assise di Appello di Pesaro(6), il 24 marzo 1986, per l'assassinio del detenuto Giovanni Ghisena avvenuto nel carcere di Fossombrone il 27 aprile 1981. Il "pentito" Barra aveva accusato Raffaele Cutolo di essere il mandante del delitto. La corte di Pesaro non solo non ha dato nessun credito alle "rivelazioni" del dissociato, ma lo ha condannato ad una pena durissima considerandolo mandante del delitto ed assolvendo il Cutolo.(7)

E ANCORA, BARRA RACCONTA COME EFFETTUAVA I RICONOSCIMENTI FOTOGRAFICI

I giudici del "terzo troncone" aggiungono, a proposito della inattendibilità dei due pentiti, che se gli elenchi dei presunti camorristi pentiti erano stati in realtà suggeriti dai carabinieri, "nè maggiore affidamento può riconnettersi al cosiddetto 'riconoscimento' fotografico dopo che Barra ha ammesso a foglio 177 delle sue dichiarazioni che egli in quei frettolosi riconoscimenti in blocco di decine e decine di persone per volta, molte delle quali, poi, non riconosciute nei confronti personali, non si curava tanto di confrontare le sembianze degli effigiati con quelle che egli asseriva di tenere in mente, quanto alla corrispondenza dei nomi degli effigiati con quelli che aveva elencato o con quelli che aveva confermati sugli elenchi già preparati dal 16.4.1982 dai Carabinieri sulla cui capacità identificativa egli dichiarava di aver pienamente confidato."

NADIA MARZANO:"TORTORA NON POTEVA ESSER STATO ‘LEGALIZZATO’ NELLA MIA CASA DI MILANO PERCHE' ALLORA ABITAVO A MADESIMO"

"7 gennaio 1986, Milano -...Nel 1978 (anno nel quale l'accusa afferma ostinatamente che l'onorevole presidente del vostro partito dott.Enzo Tortora venne a casa mia per fare tribali e selvaggi riti di affiliazione) non ero a Milano"..."Ricordo perfettamente come fosse ieri che nell'anno incriminato mi trovavo a Madesimo in una pensione chiamata ‘Baita del sole’ (della quale potevo e posso tutt'ora fornire l'indirizzo) in quanto il bambino che a quell'epoca aveva 6 mesi...era affetto da pertosse"..."con distinti saluti Nadia Marzano".
Nadia Marzano ha chiesto inutilmente sia in istruttoria che in dibattimento che si indagasse su quanto da lei riferito.
La Corte d'appello di Napoli ha disposto invece la verifica di quanto da lei affermato.

SPARISCONO DAGLI ATTI LE LETTERE DELLA MARZANO. PERCHE'?

Negli atti risulta che Barra ha ricevuto alcune lettere da Nadia Marzano. Barra sostiene che Nadia Marzano gli avrebbe scritto "dichiarandosi a sua completa disposizione su Milano" per lo spaccio della droga per conto della NCO. Nadia Marzano afferma invece che fu costretta a mettersi in contato con Barra da un suo amico pregiudicato.
Nel corso del processo di 1o grado, l'avvocato Domenico Ciruzzi contesta l'esistenza in atti delle citate lettere. Mentre nella sentenza si conferma l'esistenza delle lettere, nel corso del processo d'appello viene definitivamente accertato che non sono mai entrate negli atti o sono sparite misteriosamente.
Perchè ? Chi aveva interesse a sottrarle al dibattimento ?

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2. GIOVANNI PANDICO

CUTOLO MI PARLO' DEL CAMORRISTA TORTORA, PROPRIO QUELLO DEL PAPPAGALLO

Il "pentito" Giovanni Pandico, pluriomicida (ha ucciso due impiegati comunali che tardavano a consegnargli un certificato e ha tentato di assassinare la madre), è stato inoltre condannato a tre anni di reclusione per il reato di calunnia dal Tribunale di Napoli nel 1973 e a due anni di reclusione, sempre per calunnia ai danni di agenti di custodia, dal tribunale di Livorno nel 1984. Pandico, che si definisce consigliere di Cutolo, viene interrogato per la prima volta il 21 marzo 1983 ed inizia a fornire elenchi di presunti camorristi. Continua le sue deposizioni fino al 30 marzo quando finalmente "passando in rassegna l'elenco degli appartenenti alla N.C.O. (Nuova Camorra Organizzata) del Nord", fa il nome di Tortora. Il 28 marzo aveva fornito un elenco in cui, al n.60, appariva il nome di Tortora.
Avrebbe avuto questa informazione direttamente da Raffaele Cutolo, capo della N.C.O., nel corso di una discussione che si sarebbe svolta nel carcere di Ascoli Piceno, "quantomeno nella seconda metà del 1981".
"Il discorso sul Tortora venne fuori incidentalmente", nel corso di una discussione relativa ad una partita di droga, quando Cutolo disse "non facciamo come è successo con Tortora", proprio "quello del pappagallo" . Si sarebbe riferito ad uno "sgarro" e cioè di una partita di droga del valore di 50 o 60 milioni di cui "è rimasto debitore alla organizzazione ed in particolare in linea diretta al Barbaro ed allo Alcamo", da Tortora smerciata e non pagata alla N.C.O., negli anni 1977-78. Tortora sarebbe stato, secondo Pandico, un "camorrista ad honorem".

PER I GIUDICI DEL PRIMO TRONCONE PANDICO HA DIMOSTRATO UNA DEDIZIONE SENZA PARI ALLA CAUSA DELLA GIUSTIZIA

Nella motivazione della sentenza del "primo troncone" i giudici dichiarano che: "Deve comunque darsi atto al Pandico, al di là di qualsiasi valutazione critica sulla reale entità del suo contributo, di aver dimostrato una dedizione senza pari alla causa della Giustizia, sposata con impeto e senza vie di mezzo, e di avere sempre tenuto un ruolo coerente con il tipo di personaggio che intendeva rappresentare (quello di camorrista di primo piano deluso dal degenerare dell'organizzazione), senza compiere alcun tipo di strumentalizzazione delinquenziale."

III TRONCONE: PANDICO NON E' STATO MAI AFFILIATO ALLA N.C.O... HA DATO CORPO AI SUOI PERSONALI RISENTIMENTI

Per quanto riguarda Giovanni Pandico il giudizio dei giudici del "terzo troncone" del processo alla Nuova Camorra Organizzata(8) è invece definitivo : "Pandico non è mai stato affiliato alla N.C.O."..."Pandico ha dato corpo a sue personali convinzioni o ai suoi personali risentimenti, che nel corso di questo procedimento non hanno risparmiato nessuna delle persone che hanno avuto un qualche rapporto con lui, compreso un suo ex difensore, accusato nel corso del dibattimento, pubblicamente, di essere un professionista dedito, alla bisogna, anche a operazioni truffaldine." "In definitiva anche Pandico appare come dichiarante scarsamente affidabile e le sue proposizioni accusatorie di poco significato sul piano della formazione della prova."

PER I GIUDICI DEL III TRONCONE LA CATEGORIA PANDICHIANA DEI CAMORRISTI AD HONOREM E' UNA BALLA

Nell'interrogatorio del 30 marzo 1983 Pandico afferma che Tortora sarebbe stato nominato "camorrista ad honorem" dai Palillo nel settembre-ottobre 1980. A proposito di questa categoria di camorristi i giudici del "terzo troncone", esaminando la posizione processuale di Manganiello Felice, affermano che "anche a voler, per mero scrupolo di completezza, spingere l'analisi all'interno della parola del Pandico, ne scaturisce con ogni evidenza l'inconsistenza più assoluta e la totale inaffidabilità. A prescindere infatti dai rilievi che potrebbero muoversi alla stessa categoria 'pandichiana' dei camorristi ad honorem...".

PER I GIUDICI DEL IV TRONCONE PANDICO E' UN MITOMANE INATTENDIBILE

"Inattendibile, discutibile ed equivoco ed è portato a mistificare essendo un mitomane deviante" è il giudizio dei giudici del "4o troncone" del processo alla N.C.O.(9)

BARBARO NON POTEVA AVER CONSEGNATO LA DROGA A TORTORA SEMPLICEMENTE PERCHE'...ERA IN CARCERE

Secondo Pandico, Cutolo parla incidentalmente di Tortora a proposito di uno "sgarro" e cioè di una partita di droga del valore di 50 o 60 milioni che Tortora avrebbe ricevuto da Barbaro e da Alcamo negli anni 1977-78 e che non avrebbe pagato.
Le ricerche portano ad identificare Domenico Barbaro, mentre vani risultano gli sforzi degli organi di polizia per individuare Alcamo.
Ma Pandico (o nella migliore delle ipotesi Cutolo) mente per il semplice fatto che Domenico Barbaro era in stato di detenzione dal 1972 al 1980, e in particolare dal 1977 al 1979 era detenuto proprio a Porto Azzurro con Pandico.

CHI HA VOLUTO UTILIZZARE A TUTTI I COSTI PANDICO ?

Giovanni Pandico viene trasferito, dopo il suo "pentimento", su provvedimento urgente della Procura napoletana, dal carcere di Pianosa in elicottero a Piombino e quindi alla caserma del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Napoli "Francesco Caracciolo"(10), il 13 marzo 1983. Pandico aveva già dichiarato al giudice di sorveglianza di Pianosa la sua decisione di collaborare con la giustizia e di dare informazioni sulla struttura della N.C.O.. Da qui il grande interessamento dei giudici napoletani per questo "pentito". Ma il primo interrogatorio formale dei giudici è datato 21 marzo 1983. Per una settimana, stranamente, Pandico non interessa più a nessuno.
Un avvocato, nel corso del dibattimento, ha riempito questo vuoto: Filippo Trofino ha affermato che Pandico sarebbe stato sentito in quel lasso di tempo da ben sei magistrati, tre dei quali della procura di Napoli che lo avrebbero ritenuto assolutamente inattendibile e non avrebbero verbalizzato perciò le sue dichiarazioni volontarie. Una parte della Procura di Napoli ha invece voluto, a tutti i costi, utilizzare Pandico.
Nonostante la smentita dei magistrati messi in causa, rimane il mistero sull'inspiegabile "buco".

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3. MICHELANGELO D'AGOSTINO

DELLA CUI NOTEVOLE ATTENDIBILITA' SI E' PIU' VOLTE PARLATO

Il "pentito" Michelangelo D'Agostino, autore di sette omicidi (si pente dopo mezz'ora dal suo arresto, avvenuto nel corso di un conflitto a fuoco), "della cui notevole attendibilità si è più volte parlato" - affermano in sentenza (14 gennaio 1986) i giudici del "primo troncone" - "riferì (26 ottobre 1983) un episodio specifico dal quale venne a conoscenza dei collegamenti esistenti tra il Tortora e la NCO". Secondo d'Agostino nel corso di una riunione a Caivano si sarebbe deciso che Puca, successore di Casillo nella gerarchia camorristica, avrebbe preso contatto per lo spaccio di stupefacenti fra gli altri con Tortora.
D'Agostino "riferì che il Puca era in possesso di alcune agendine appartenenti al Casillo, che egli era riuscito a prendere prima dell'attentato in cui trovò la morte il Casillo. In una di quelle agendine era annotato il numero telefonico del Tortora che fu trascritto da alcuni partecipanti alla riunione".

...LA MALSICURA ATTENDIBILITA' DEL PENTITO D'AGOSTINO

Per i giudici del "terzo troncone" anche le dichiarazioni del dissociato Michelangelo D'Agostino, che solo dopo sei mesi dal "pentimento" accusa Tortora, "non si sottraggono ad un giudizio critico che ne mette in luce limiti e debolezze e, in definitiva, la malsicura attendibilità." Il D'Agostino "è ansioso di entrare come portatore di un grosso, autonomo contributo, anche nella maxinchiesta napoletana, di cui ha appreso i contorni e lo spessore dalla lettura dei giornali, che hanno riportato nei giorni precedenti al 21.6.83 ampie notizie sul 'maxiblitz' contro la camorra cutoliana, dando spazio e notorietà ai grandi 'pentiti', Pasquale Barra e Giovanni Pandico". Per quanto riguarda i suoi elenchi di presunti camorristi i giudici affermano che "Altri nomi ancora sembrano provenire dalla lettura recente di notizie di giornali concernenti alcuni arresti dei giorni immediatamente precedenti l'operazione anticamorra della magistratura napoletana."

D'AGOSTINO RITRATTA : HO ACCUSATO ENZO TORTORA IN CAMBIO DI UN PERMESSO

In occasione del processo contro la banda Bardellino presso il Tribunale di S.M. Capua Vetere, nell'udienza del 14 febbraio 1986, il "pentito" Michelangelo D'Agostino afferma che un giudice istruttore del Tribunale di Napoli lo andò a trovare nel carcere di Paliano e quando il "pentito" avanzò le sue rimostranze per non aver potuto pregare sulla tomba del padre, gli propose di firmare il verbale di accusa contro Enzo Tortora. Il permesso sarebbe stato concesso subito dopo.
Lo stesso Michelangelo D'Agostino viene sentito nel corso del dibattimento del processo al clan Vollaro, di fronte alla 7a sezione penale del Tribunale di Napoli e il 18 febbraio 1986, dichiara testualmente : "ho firmato senza leggere verbali che mi venivano messi davanti già scritti. Non so dunque se le mie dichiarazioni sono vere. Ho accusato tanta gente che non conosco. L'ho fatto perchè i magistrati mi avevano promesso la libertà"..."Non ho problemi a fare questi nomi. Si tratta dei giudici Fontana, Spirito, De Lucia".

PUCA : NON E' MAI ESISTITA L'AGENDINA CASILLO CON IL NOME DI ENZO TORTORA. SONO UN SANTISTA DELLA NCO SE TORTORA FOSSE STATO UN CAMORRISTA L'AVREI SAPUTO

Le agendine di Casillo, su una delle quali comparirebbe il numero di Tortora, di cui ha riferito D'Agostino, non sono mai esistite. Sono state invece trovate due altre agendine. La prima, quella di Casillo, ritrovata al momento della sua morte (è esploso con la sua automobile nel gennaio 1983 a Roma), che riporta il numero telefonico di Rolando Tortora, condannato come camorrista dai giudici di Roma e tutt'ora latitante. La seconda, quella di Assunta Catone, arrestata insieme a Puca nel 1983 a Lecce di cui parleremo nella scheda seguente.
Ciò nonostante il tribunale del primo troncone accredita l'esistenza di una agendina Casillo con il nome di Tortora.
Nel processo di Appello, nell'udienza del 10 luglio 1986, Giuseppe Puca afferma : "io non ho mai posseduto l'agenda di Casillo". Conferma che le uniche agendine esistenti sono quelle entrate agli atti. Non ha difficoltà inoltre ad ammettere il suo grado di "santista" ( braccio destro di Cutolo, ndr.) nella N.C.O. ed aggiunge che "se Tortora fosse stato camorrista lo avrei senz'altro saputo".

COME NASCE L'AFFARE ENZO TORTORA OVVERO ENZO TORTONA

In seguito all'assassinio di Vincenzo Casillo, braccio destro di Raffaele Cutolo, la Squadra Mobile di Lecce perquisisce l'abitazione di tale Francesco Chironi trovando anche una "pagina di agendina con annotato il nominativo di Enzo Tortora e numeri, verosimilmente telefonici, 442168 e 325095". In quella abitazione viene fra gli altri arrestato Giuseppe Puca, successore del Casillo nei vertici della N.C.O., al quale viene attribuita la proprietà dell'agendina. Ciò accade il 15 marzo 1983, 13 giorni prima che Pandico inserisca il nome di Tortora nel suo elenco di camorristi.
La questura di Lecce informa subito i pubblici Ministeri Di Pietro e Di Persia. Da quel momento i giudici e i carabinieri sono convinti che Tortora è un camorrista. Pandico e Barra quindi, che fino allora, nelle decine di interrogatori, non avevano neanche accennato al noto presentatore, "ricordano" improvvisamente il nome di Tortora con le modalità già chiaramente indicate nella sentenza del terzo troncone, e cioè "confermano" elenchi a loro sottoposti.
Nell'interrogatorio di Pandico del 21 ottobre 1983 i due giudici Fontana e De Lucia sono ancora convinti che quei numeri telefonici appartengano proprio a Enzo Tortora poiché esibiscono al "pentito" la presunta agendina di Puca ricevendo strampalate informazioni sul codice segreto con cui decifrare i numeri stessi.
Fino ad allora i magistrati inquirenti avevano omesso di fare l'unica verifica logica, e cioè comporre il numero 442168 per sentirsi rispondere dal signor Enzo Tortona e fare poi il numero 325095 per trovare la signorina Marta Antonia Onofrio, fidanzata di Giancarlo Tortona, fratello di Enzo Tortona.
Solo il 14 novembre 1983, dopo otto mesi, verrà precisato da Catone Assunta, arrestata a Lecce col Puca, del quale era divenuta amante dopo esserlo stata di Enzo Tortona, che l'agendina era sua, da lei manoscritta, e che non vi era scritto Tortora ma Tortona. Ma ormai era troppo tardi per riparare l'errore e inoltre solo la fama di Enzo Tortora poteva sostenere "una istruttoria conclusa senza che mai fosse veramente decollata".

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4. MARIO INCARNATO

APPARE DEL TUTTO COERENTE E PIENAMENTE CREDIBILE, SORRETTO COM'E' DA PRECISI ELEMENTI DI RISCONTRO, ANCHE DI ORDINE LOGICO

Il "pentito" Mario Incarnato, pluriomicida, numero due della cosiddetta "batteria di Ponticelli", gruppo di fuoco camorristico, afferma, il 16 gennaio 1984, che incontrò nel carcere di Novara ( trasferito dal carcere di Poggioreale dove sarebbe stato pestato dagli agenti di custodia della "squadra speciale" - ma nessuno ha mai verificato se avesse veramente subito le lesioni o aperto una inchiesta sulla circostanza) "Davide Sorrentino, noto capo-zona di Acerra ed esponente di primo piano della NCO"..."che gli confermò che Enzo Tortora era un camorrista affiliato alla NCO" - è scritto nelle motivazioni della sentenza del "primo troncone” - "Il racconto del Sorrentino, così come riferito dall'Incarnato, appare perciò del tutto coerente e pienamente credibile, sorretto com'è da precisi elementi di riscontro, anche di ordine logico".

INCARNATO RITRATTA : M'HANNO FATTO ACCUSARE ENZO TORTORA, ME LO HANNO FATTO ACCUSARE DOPO OTTO MESI

Nel corso del processo al clan Vollaro (11) il "pentito" Mario Incarnato afferma testualmente : "non confermo niente di quanto ho dichiarato precedentemente". A domanda del Presidente, sul perchè avesse rilasciato dichiarazioni false, risponde che tutte le cose che aveva detto gliele avevano tutte dette i carabinieri del gruppo Napoli 1 ed aggiungeva: "pure per quanto riguarda quello che ho detto dell'Avvocato Cesare Bruno, quello non è vero niente, mi sono inventato tutto io". Alla domanda sul perchè se la fosse presa con Cesare Bruno, l'Incarnato risponde : "perchè era un nome di spicco, lo accusavano tutti quanti, l'ho accusato pure io..., ai giudici interessava far accusare Cesare Bruno, tutti i giorni venivano in caserma per far accusare Cesare Bruno, l'ho accusato quando stavo a Paliano, cioè proprio all'estremità, non ce la facevo più, come pure m'hanno fatto accusare Enzo Tortora, me l'hanno fatto accusare dopo otto mesi"

ALL'HOTEL PASTRENGO RICCIO E MELLUSO PROGETTAVANO UNA EVASIONE

Sentito per la prima volta in udienza nel corso del processo d'appello di Napoli nel luglio 1986, Mario Incarnato afferma che Melluso è un mentitore. Precisa che nella caserma dei carabinieri Pastrengo di Napoli, denominata l'"Hotel Pastrengo" per i privilegi concessi ai detenuti che "collaboravano" con la giustizia, il "pentito" Luigi Riccio, pluriomicida, capo della "batteria" di Ponticelli, gli aveva chiesto di rafforzare le accuse di Melluso contro Luigi Moccia (per conto del quale avrebbe consegnato droga a Tortora) per consentire allo stesso Melluso di rimanere a Napoli nella caserma e così tentare di evadere insieme a Riccio. Luigi Moccia è infatti l'unico presunto camorrista napoletano che entra nelle "confessioni", tutte ambientate a Milano, di Melluso e che quindi permette d'incardinare la competenza a Napoli invece che a Milano.
Di questo tentativo d'evasione di Riccio e Melluso, che erano nella stessa cella, c'è un elemento di riscontro : il cognato di Riccio viene arrestato dai carabinieri per aver tentato d'introdurre nella caserma Pastrengo dei seghetti.

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5. PASQUALE D'AMICO

CUTOLO MI HA DETTO CHE TORTORA STA BENE DOVE STA. PER LA CORTE E' UN VALIDO INDIZIO

Il "pentito" Pasquale d'Amico, colpevole fra l'altro dell'assassinio, con successivo "impalamento", di un detenuto nel carcere di Poggioreale appartenente ad un clan rivale, nel 1983 a Napoli, afferma, il 14 ottobre 1983, che nel corso di un processo che lo vedeva imputato assieme a Raffaele Cutolo, avrebbe avuto il seguente scambio di batture con il boss della camorra : "Compare, io a Tortora non lo ho legalizzato; come è questo fatto ? Appartiene veramente a noi ? Il Cutolo mi rispose: lascia stare, Tortora sta bene dove sta e contemporaneamente mi mise la mano sul braccio, come a tranquilizzarmi sul fatto che il suo arresto era giusto, in quanto corrispondente alla responsabilità del Tortora". La corte che ha condannato Tortora in primo grado afferma che "in conclusione, comunque, il dissociato riferisce solo una circostanza appresa, sì dal Cutolo, ma in maniera del tutto generica, per nulla articolata e riscontrabile", ma subito dopo aggiunge, con coerenza encomiabile, che "L'accusa del d'Amico, in sostanza, costituisce un valido indizio a carico del prevenuto". _____________________________ 6. GIOVANNI MELLUSO MELLUSO AFFERMA DI AVER CONSEGNATO PIU' DI DIECI CHILI DI COCAINA A TORTORA. PER I GIUDICI DI NAPOLI E' UNA CHIAMATA DI CORREITA' ARTICOLATA, LOGICA E PRIVA DI ELEMENTI OBIETTIVI DI CONTRASTO Il "pentito" Giovanni Melluso afferma, l'8 febbraio 1984, di aver avuto il compito di corriere della droga per conto della banda di Francis Turatello. Dichiara l'esistenza di una foto che lo ritrarrebbe con Tortora, foto questa che non è però stata mai esibita perchè sarebbe stata stracciata. Melluso avrebbe consegnato a Tortora cocaina in varie riprese : la prima "tra la fine del 1975 o l'inizio del 1976",nei pressi di Milano "non ricordo con precisione se fu nei pressi di Legnano o di Melegnano" , per un peso di circa un chilo; la seconda, "a distanza di circa un mese dalla prima", "sulla strada per Cinisello Balsamo", di peso analogo al precedente; la terza "tra la fine dell'inverno e l'inizio della primavera del 1978", nel locale "derby" di viale Monterosa, del peso di 5 o 7 chili, "su disposizione di Luigi Moccia"; la quarta "nell'inverno del 1978 penso di ben ricordare nel mese di ottobre", "in piazzale Loreto o piazza Corveto" per un peso di circa 2 chili e mezzo.
Melluso racconta anche di un altro incontro con scambio di droga e denaro che si sarebbe svolto verso la fine del 1976 a Milano, nello studio dell'avvocato Cacciola. Sarebbero stati presenti alla operazione di spaccio, oltre al Melluso, Turatello e naturalmente Tortora, nientemeno che Calvi e Pazienza!
Per i giudici del "primo troncone" sono questi, in sintesi, gli episodi "in cui si sostanzia la chiamata in correità del Melluso. Trattasi di una chiamata articolata, logica e priva di elementi obiettivi di contrasto. E' risultato, infatti, che in tutt'e quattro le occasioni il Melluso era libero; inoltre la chiamata è stata spontanea e reiterata.
Sussistono poi elementi obiettivi di riscontro, costituiti dall'accertata conoscenza tra Melluso, Turatello e Tortora".

MELLUSO AFFERMA DI AVER CONSEGNATO CHILI DI COCAINA A WALTER CHIARI. PER I GIUDICI DI MILANO MENTE DELIBERATAMENTE

Nel marzo del 1984 l'Ufficio Istruzione del Tribunale di Napoli rimetteva alla Procura della repubblica di Milano, competente per territorio, copia delle dichiarazioni di Giovanni Melluso relative alle presunte attività di spaccio di stupefacenti di Walter Chiari, Patrizia Caselli e certo Cusumano Antonino. Nei loro confronti Melluso ha raccontato fatti del tutto analoghi a quelli imputati a Tortora : acquisto e spaccio di ingenti quantità di cocaina, raccontando particolari degli incontri con i due attori.
Con sentenza del 29 luglio 1986 il giudice istruttore ha mandato assolti i tre imputati. Così motiva la sentenza: l'istruttoria "ha in modo chiaro ed evidente dimostrato l'infondatezza dell'accusa. Melluso quando accusa gli attuali imputati mente deliberatamente"..."Gravemente sospetta appare, in secondo luogo, l'assiduità preventiva con altri collaboratori di giustizia per la ragionevole probabilità di reciproco condizionamento, nella specie reso palese dal rilievo che il primo input all'indagine processuale venne proprio da quell'Andrea Villa cui Melluso farà riferimento per spiegare le ragioni della sua decisione di collaborare con l'autorità giudiziaria"..."Dalle accuse che Melluso muove a se stesso ed ai presunti complici, emerge invece un quadro di povertà argomentativa quale difficilmente è dato rinvenire; peggio di incongruenza logica e contradditorietà in grado da travolgere la chiamata senza possibilità di appello, siccome oscenamente nuda"

PER IL GIUDICE DI NAPOLI E' PROVATO CHE MELLUSO LAVORAVA PER TURATELLO, PER QUELLO DI MILANO E' INVEROSIMILE

Per i giudici del "primo troncone" di Napoli "si è provato che il Melluso lavorava per Turatello e che il suo compito specifico nell'organizzazione era quello di fornire di cocaina personaggi del mondo dello spettacolo, con i quali il Melluso aveva una accertata frequentazione".
Il giudice istruttore di Milano scrive invece che :"Il preludio è per sé inverosimile: Francis Turatello, capo di agguerrita consorteria criminale connotata dalla presenza di personaggi di rango e distintasi in azioni clamorose oltre che nel controllo monopolistico di ogni attività criminale, avrebbe cooptato, nel 1975, un 'simpatico' diciannovenne ( Melluso, ndr.) conferendogli il delicato incarico di trasportare chili di cocaina in lungo e largo per la penisola ed anzi commettendogli la responsabilità di 'spostare' lo spaccio di stupefacenti nel mondo dello spettacolo"..."Quali rapporti Melluso abbia intrattenuto con Turatello è difficile intendere, posto che il dichiarante non va al di là della confessione del mero fatto di aggregazione, tacendo nomi, fatti e circostanze significative che se riferite - naturalmente in quanto note! - avrebbero conferito alla sua chiamata ben altro costrutto e spessore di credibilità"

PER I GIUDICE DI NAPOLI MELLUSO E' CREDIBILE, PER QUELLO DI MILANO MELLUSO HA IMBASTITO LA PIU' SCONCERTANTE TRAMA DI CALUNNIE CHE MENTE PUR ALLENATA ALL'IMBROGLIO PROCESSUALE POTESSE CONCEPIRE

"la chiamata in correità operata dal Melluso nei confronti del Tortora è pienamente credibile" afferma la corte di Napoli.
Il giudice istruttore di Milano che ha svolto serie indagini su quanto affermato da Melluso, è di diverso avviso: "Tali essendo i risultati delle investigazioni istruttorie può tranquillamente affermarsi che Melluso Giovanni, prendendo pretesto dal possesso del tutto occasionale delle foto esibite al giudice istruttore di Napoli, ha imbastito la più sconcertante trama di calunnie che mente pur allenata all'imbroglio processuale potesse concepire".

UN ALTRO CASO DI OMONIMIA. MA QUESTA VOLTA NON FINISCE A POGGIOREALE.

Il giudice istruttore di Milano proscioglie il terzo imputato, Antonino Cusumano, perchè il fatto non sussiste. I carabinieri di Napoli, già distintisi nel "maxiblitz" del giugno 1983, avevano infatti identificato il Cusumano accusato da Melluso in "Cusumano Antonino di Francesco e di Accomando Giuseppa, residente in Milano, via Filippo Turati 46". Dalle indagini della procura di Milano si scopre che Antonino Cusumano è un onesto insegnante, che ha una unica responsabilità, quella di essere un omonimo di altro Cusumano, pregiudicato e ben noto alle questure. Per sua fortuna non siamo a Napoli, e quindi riesce ad evitare qualche mesetto di attesa a Poggioreale. A questo proposito scrive il giudice istruttore di Milano : "E' qui appena il caso di stigmatizzare l'approssimazione dell'intervento dell'Arma di Napoli la quale avrebbe dovuto svolgere accertamenti di altra diligenza e doveroso rigore".

NOVE MESI DI CARCERE PER SCOPRIRE CHE GIUSEPPE PECORELLI ERA INNOCENTE

Dopo nove mesi di carcere viene prosciolto per mancanza d'indizi Giuseppe Pecorelli, un giovane del Nolano finito in carcere per le rivelazioni di un "pentito"." Era accusato di aver preso parte a una esecuzione di stampo mafioso avvenuta anni orsono nel turbolento carcere di Poggioreale. Le indagini hanno invece potuto accertare che all'epoca il giovane non era detenuto e aveva soltanto 13 anni."(12)

OGNI PAROLA DI MELLUSO E' STATA COSTRUITA NEL CARCERE DI CAMPOBASSO

"BRESCIA 10 febbraio 1986 - Egregio signor Tortora. Chi le scrive è il dissociato Catapano Guido(13)...sono stato insieme al Melluso per due anni da pentiti con me c'era anche D'Amico Pasquale, ho diviso la cella col Melluso per sei mesi al carcere di Campobasso, e so bene che le accuse che lui gli ha rivolto sono solo delle calunnie: è un pentito che si è creato pezzo per pezzo, con lui ci ho parlato molto delle accuse che gli ha rivolto e mi ha detto molto chiaramente che a lei l'unica volta che l’ha visto è stato in televisione. Ogni sua parola contro di lei l'ha costruita nel carcere di Campobasso. Prima di fare il confronto con lei si era preparato tutti quegli accorgimenti per dare più credibilità alla sua accusa"..."Il Melluso prima del confronto con lei era molto preoccupato perchè mi diceva che ad una consegna da lui fatta di cui sosteneva di essersi incontrato con lei e che lui aveva messo a verbale le date non coincidevano perchè era in carcere, mi disse che si trovava in carcere in Sicilia, ed aveva paura che in aula sarebbe stato smentito..."

HO CONSEGNATO UN CHILO DI COCAINA A TORTORA TRA LA FINE DEL 1975 O L'INIZIO DEL 1976. IMPOSSIBILE PERCHE' MELLUSO ERA IN CARCERE !

Melluso afferma di aver consegnato un chilo di cocaina a Tortora "tra la fine del 1975 o l'inizio del 1976".
E' impossibile semplicemente perchè Melluso era detenuto nel carcere di Sciacca dal 19 novembre 1975 al 6 aprile 1976.

LE DATE DELLE CONSEGNE DELLA DROGA NON TORNANO : ELEMENTARE, AFFERMA IL PM, E' LA PROVA CHE NON C'E' STATO ACCORDO !

I difensori contestano, nei motivi d'appello e nel corso dei confronti, le affermazioni di Melluso sulle date e circostanze nelle quali avrebbe consegnato la droga a Tortora. In alcuni casi dimostrano che le affermazioni di Melluso sono false semplicemente perchè era detenuto in carcere. A questi rilievi risponde il PM Armando Olivares nella sua requisitoria con i seguenti argomenti: "si è andato a guardare qual'erano i periodi in cui Melluso era libero o no, signori se ci fosse stato un accordo, se ci fosse stata addirittura una induzione"..."sarebbe stato molto più facile perchè sarebbe bastato usare un computer per sapere esattamente qual'erano i periodi di carcerazione e qual'erano i periodi in cui il Melluso era stato in libertà e Melluso avrebbe potuto dire con esattezza i giorni in cui avrebbe incontrato Tortora".

TORTORA AVREBBE CONSUMATO COCAINA. PERCHE E' STATA RIFIUTATA LA PERIZIA MEDICA ? TORTORA AVREBBE SPACCIATO CHILI DI DROGA PER MILIARDI. PERCHE' NESSUNO HA INDAGATO SU QUESTA FORTUNA ?

Tortora è accusato di aver detenuto e spacciato più di dieci chili di cocaina. In particolare di aver fatto uso della cocaina "per lenire i dolori di cui soffriva per i postumi di un intervento chirurgico". Perchè nessuno, nonostante le richieste della difesa, nè il giudice istruttore, nè la Corte del Tribunale di Napoli, nè quella della Corte d'appello di Napoli hanno voluto disporre perizia medico legale per accertare se Tortora presentava le ischemie alle mucose nasali tipiche di questa categoria di drogati o tracce nel sangue ?
Perchè nessuno ha provveduto ad indagare sui molti miliardi che Tortora avrebbe dovuto incassare con lo smercio di più di dieci chili di cocaina ?

SGANZERLA RITRATTA : MELLUSO NON ERA UNO SPACCIATORE ALLE DIPENDENZE DI TURATELLO

Nel corso del dibattimento del "quarto troncone" del processo alla N.C.O.(14) l'imputato Roberto Sganzerla(15) dichiara: "Ecco. Io avevo affermato al Dr.Fontana, cioè io avevo tenuto una tesi che aiutava la accusa di Gianni Melluso, dicendo che Gianni Melluso era uno spacciatore di stupefacenti alle dipendenze di Francis Turatello. Io questa versione me la sono inventata in pieno accordo con Andrea Villa e Melluso. Perchè io e Andrea Villa, cosa abbiamo fatto ? Il Dr.Fontana e il Dr. Di Pietro servivano del materiale di raccogliere sul mondo dello spettacolo"..."Il Melluso non ne voleva sapere, collaborare, non collaborare. Non sapeva niente"..."il Dr.Fontana e il Dr. Di Pietro dice: 'va bene, andate fuori e discutetene voi'. Io e Andrea Villa e Gianni Melluso siamo stati due ore fuori nel cortiletto dell'aria di Paliano e abbiamo un po' discusso questa faccenda"..."Io e Melluso ci siamo messi d'accordo per fare questa versione...e invece non è vero"

SGANZERLA : VOGLIONO CHE SMENTISCA TUTTO

Il 4 maggio 1986 Roberto Sganzerla invia ad Enzo Tortora una lettera in cui, fra l'altro, si afferma che "dal giorno in cui io in aula dissi che a Paliano io, Villa e Melluso ci misimo daccordo per far si che la versione di Melluso fosse credibile, me ne stanno facendo passare di tutti i colori per far sì che io smentisca tutto. Ora mi hanno mandato a Pescara completamente isolato in una sezione da articolo 90 aggravato"..."Io ora le chiedo se io per avere affermato la verità in aula devo essere costretto a vivere così, e dato che al contrario di Melluso non ho magistrati che mi aiutano non so dove sbattere la testa. L'unica cosa che potrò fare è quella di scrivere ai Giudici di Napoli e dire che io non ho mai incontrato Melluso a Paliano"..."Secondo lei cosa dovrei fare ? impazzire in un luogo così o dire che mi sono inventato tutto?"

MARRA : I PENTITI SI CONSULTAVANO PER COINVOLGERE INNOCENTI

Nel corso del dibattimento del "terzo troncone" del processo alla N.C.O., il 25 settembre 1985 il "pentito" Mauro Marra (16) accusa gli altri "pentiti" di aver concordato fra loro molte chiamate di correo. In particolare spiega come nel carcere di Campobasso nel 1984, ad istruttoria ancora aperta, i "pentiti" avessero la possibilità di consultarsi fra loro e fa i nomi di Catapano, D'Amico, Melluso, Auriemma, Dignitoso e Barra.
Il 15 novembre 1985, nel corso del dibattimento del "quarto troncone" ribadisce le sue accuse di falso nei confronti degli altri "pentiti" affermando che "alcuni di loro si sono messi d'accordo per coinvolgere innocenti"
ANCHE PER I GIUDICI DEL TERZO TRONCONE...I DISSOCIATI HANNO CONCORDATO LE ACCUSE

Esaminando i criteri con cui i magistrati istruttori hanno utilizzato i dissociati, sempre i giudici del "terzo troncone" affermano a proposito dei riconoscimenti fotografici che "prudenza metodologica consiglierebbe che, in tal caso, o i nomi ed i volti giusti delle persone da accusare siano collocati fra altri nomi, altre fotografie, oppure che, ricordando il nome o il volto dell'imputato, si pretenda dal soggetto ricordante e dichiarante una risposta circostanziata, dettagliata sulla persona riconosciuta o ricordata.
Nella metodica seguita dal giudice istruttore è assente sia l'una sia l'altra cautela, anzi, ogni dissociato è stato posto nelle condizioni migliori per accusare in blocco tutti gli imputati; dei quali peraltro ciascun dissociato sapeva già che si trattava di persone già accusate da Barra o da qualcun altro dissociato che lo aveva preceduto. In qualche caso poi si sono informati tra loro sulle dichiarazioni da ciascuno di loro singolarmente rese, in vista delle future dichiarazioni da rendere a questo o quel giudice istruttore, pervenendo a concordare dichiarazioni accusatorie, o più spesso a 'coprire', con significative conferme, il tipo di proposizione accusatoria a carico di taluni imputati rese in precedenza da altro dissociato."

IL "PENTITO" TASSINI : "RICCIO, INCARNATO E MELLUSO VOLEVANO CHE IO FACESSI DELLE DICHIARAZIONI CONTRO TORTORA PER RAFFORZARE LE LORO"

Il "pentito" Michele Tassini, sentito il 14 maggio 1986 dal Tribunale di Napoli nel processo al clan Giuliano, ha dichiarato:
"TASSINI - Ho fatto una lettera al Procuratore della Repubblica di Napoli Cedrangolo. Qualcuno a Paliano voleva che io facessi delle dichiarazioni contro Tortora per rafforzare le loro dichiarazioni contro Tortora.
PRESIDENTE - Chi erano questi pentiti?
TASSINI - Riccio, Incarnato e Melluso, quello che ha accusato Tortora, quello che lo chiamano Gianni il Bello. Nella lettera che ho fatto a Cedrangolo io ho fatto i nomi soltanto di Riccio e Melluso. Era Melluso il più interessato a questa vicenda."

IL PENTITO D'AMICO:"DA PADRE DI CINQUE FIGLI NON POSSO PIU' TACERE... MELLUSO E' UN GRANDE BUGIARDO"

"Egregio signor Tortora, chi le scrive è il pentito Pasquale D'Amico"..."l'unica cosa che voglio dirle è un peso che ho sulla coscienza e che da padre di 5 figli non posso più sopportare cioè che Melluso è un grande bugiardo e che a lei non lo ha mai conosciuto, e ciò me lo ha confidato a me ed altri pentiti e per accusare lei davvero si è messo d'accordo a Paliano con Andrea Villa..."

SANFILIPPO(17) "I PENTITI HANNO IN PUGNO I MAGISTRATI"

"BELLUNO 29 novembre 1985 - Egregio signor Tortora, anzitutto le chiedo perdono per averla accusata ingiustamente"..."Ho cercato di convincere i vari Pandico, i vari Melluso, della mostruosità di cui ci siamo macchiati ma inutilmente. Essi mi hanno solo minacciato di morte, ma mi hanno anche costretto a riconfermare le accuse contro di lei, facendomi dire anche, che lei stava progettando un attentato contro il PM Diego Marmo per essere più credibile nella riconferma delle accuse. Successivamente mi hanno fatto trasferire da un carcere all'altro, perchè i Giudici con cui collaborano (collaborano per modo di dire, perchè Fontana, Di Pietro e Di Persia, sanno benissimo che lei è innocente, ma i vari Pandico e i vari Melluso c'è l'hanno in pugno), fanno tutto quello che dicono loro, proprio perchè essi accusano Enzo Tortora... Salvatore Sanfilippo"

VALLANZASCA : MELLUSO CONOSCE POCO TURATELLO

Nel confronto con Renato Vallanzasca, nell'udienza del del 4 luglio 1986 del processo d'appello, Melluso mostra di non conoscere dettagli significativi dell'ambiente e della stessa persona di Francis Turatello.
Ignora ad esempio il nome del gestore del "Derby Club", figura che invece Vallanzasca definisce notissima ai malavitosi che frequentavano quel locale. Fra l'altro il locale è proprio quello nel quale Melluso racconta di aver consegnato droga a Tortora.
Ignora inoltre che Turatello aveva un vistoso tatuaggio al polso.

EPAMINONDA : MELLUSO NON HA MAI LAVORATO PER TURATELLO

Sempre nell'udienza del 4 luglio, Angelo Epaminonda, successore di Turatello come capomafia a Milano, pentito dopo il suo arresto e ritenuto molto attendibile dai magistrati milanesi, dichiara testualmente : "Melluso non ha mai svolto alcuna attività con Turatello". "Io posso dirlo perchè avevo un ruolo primario nella banda"."Escludo che la NCO gestisse a Milano traffico di cocaina. In ogni caso io non lo avrei consentito".

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7.GIUSEPPE MARGUTTI E ROSALBA CASTELLINI

ABBIAMO VISTO TORTORA VENDERE DROGA IN UNO STUDIO DI ANTENNA 3 VERE ED ESATTE LE DEPOSIZIONI DEI CONIUGI MARGUTTI

Rosalba Castellini e il marito Giuseppe Margutti raccontano che il 3 novembre 1979, in occasione di una "festa" dell'Unicef trasmessa in diretta da "Antenna 3", si trovavano in un corridoio degli studi dell'emittente. "Ad un certo punto, la denunziante si accorse"..."che l'elastico delle mutandine che indossava si era rotto e che l'indumento stava per scivolarle giù". Entrarono allora in un ufficio aperto e dietro un fondale "la donna si tolse l'indumento per cercare di ripararlo alla bell'e meglio. In quel mentre, i due udirono dei passi e videro entrare una persona, subito riconosciuta per Enzo Tortora, che si fermò vicino ad una sedia e depose su di essa un sacchetto di plastica. Dopo qualche istante - raccontò la denunziante - entrarono altre persone che confabularono con Tortora il quale estrasse dal sacchetto un pacchetto che uno dei due prese in mano e assaggiò con la punta del dito una polverina bianca, dopo aver praticato un piccolo foro nel pacchetto. Dopo di che fece un segno affermativo con la testa e allora quello che portava una valigetta in mano l'aprì ed estrasse molte mazzette di denaro che diede al Tortora".
I coniugi Margutti denunciano questo episodio solo dopo circa quattro anni, e precisamente il 15 luglio 1983, dopo l'arresto di Tortora. Precisano di aver parlato precedentemente dell'episodio a Verderame e Formaini.
Per la corte di Napoli "resta dimostrato che il Tortora è uno spacciatore di sostanze stupefacenti, tenuto conto della veridicità ed esattezza delle deposizioni del Margutti e della Castellini".

INASCOLTATI E DILEGGIATI I CARABINIERI DI MILANO : AVEVANO AVVERTITO I GIUDICI NAPOLETANI CHE MARGUTTI ERA UN NOTO CALUNNIATORE

In seguito alle indagini del sottufficiale Gianfaldone, del Nucleo dei Carabinieri di Milano, si accerta che "a carico del Margutti figurano numerosi precedenti penali per truffa e per calunnia (due condanne nel 1968 e 1982 la prima ad un anno e quattro mesi, la seconda a due anni e due mesi)" e che il Margutti, prima di rivolgersi alle Autorità, si era presentato alla direzione di un settimanale per vendergli l'esclusiva del racconto. Dal sopralluogo effettuato presso i locali di Antenna 3 era risultata la presenza di alcune toilettes disponibili a tutti, immediatamente dopo il bar, nelle quali la signora Castellini avrebbe potuto agevolmente provvedere alla riparazione dell'indumento .
Nella sentenza di condanna di Tortora la Corte si mostra irritata per le indagini del maresciallo Gianfaldone che aveva tentato di avvertire i magistrati di Napoli sul carattere di Margutti : esibizionista, mitomane, imbroglione. Viene dileggiato con la qualifica di "ineffabile Gianfaldone".

CLERICI : MARGUTTI E LA MOGLIE NON POTEVANO ENTRARE NEGLI STUDI

Italo Clerici , direttore degli studi di Antenna 3 , nell'udienza dell'8 luglio 1986, conferma di aver invitato Margutti come spettatori alla serata di beneficenza per l'Unicef, ma esclude che il pittore e la moglie avessero potuto muoversi per i corridoi e negli altri studi della televisione giacché proprio lui aveva dato precise disposizioni al personale al fine d'impedire agli spettatori di intralciare il lavoro negli uffici.

E' FALSO QUANTO DICE MARGUTTI. NON MI HA MAI PARLATO DELL'EPISODIO TORTORA

Giuseppe Margutti, in una lettera al giudice istruttore Fontana del 16 luglio 1984, affermò di aver parlato dell'episodio Tortora con l'avvocato Verdirame e il capo usciere del quotidiano "La Notte", Enrico Formaini.
Convocato dall'accusa, nel corso dell'udienza del processo d'appello del 15 luglio, Enrico Formaini smentisce invece il pittore Margutti dicendo di conoscerlo, di aver parlato più volte con lui, ma mai di Tortora.

PER I GIUDICI DI MILANO MARGUTTI E' UN ESIBIZIONISTA

La mattina del 28 aprile 1986, Giuseppe Margutti consegna al portiere di casa Verdirame (secondo eventuale teste a suo favore) un biglietto per l'avvocato con su scritto : "Mi devi dare subito i miei 20 milioni perchè non vedo più il motivo che tu te li trattenga per precauzione. Entro oggi li voglio, altrimenti andrò dalla polizia a dire tutto e così salteranno fuori i nomi di chi ha preso i 50 milioni sborsati da quelli di Tortora per la mia ritrattazione"
Verdirame querela immediatamente Margutti per estorsione e calunnia.
La sentenza del tribunale di Milano manda assolto Margutti dall'accusa di estorsione e trasmette gli atti al PM per il reato di calunnia, perchè il suo biglietto ricattatorio non concreta reato di estorsione, ma nega ogni attendibilità al Margutti. "Verdirame era del tutto estraneo alla vicenda della ritrattazione del Margutti. La somma di venti milioni è cospicua per chiunque.
Conseguentemente la condotta del Margutti non aveva serie possibilità di successo, non avendo intrinsecamente una portata sufficiente a determinare la parte offesa ad un esborso notevole". "Ad avviso del Collegio è nell'ambito di un certo protagonismo, che ribalta la figura del Margutti alle cronache soddisfacendo forse un'ansia di celebrità compressa dalla mediocrità del quotidiano, che può realisticamente individuarsi la chiave di lettura dell'iniziativa del prevenuto ai danni di Verdirame"..."attesa la contiguità temporale di questi fatti con il dibattimento di appello contro la NCO, il Margutti verosimilmente cerca nuove forme di protagonismo e di pubblicità".

ULTIMA RETROMARCIA DEL PITTORE MARGUTTI

Intervista a Giuseppe Margutti del giornalista Benedetto Mosca, messa in onda dall'emittente televisiva RETE A nel marzo del 1986. MARGUTTI: " ...io mi trovavo in tribunale quando questo qui, è un giornalista, non è un fotografo, non mi ricordo il nome...sa che mi fa: 'ma lo sai che quello è così così', e questo mi dà questa versione dei fatti: che Tortora quel giorno doveva ricevere del denaro da...non lo so...dalla Svizzera, ma non so...doveva ricevere dei soldi che non voleva ovviamente spartire con Renzo Villa perchè Renzo Villa era il socio di Antenna 3...Non ha ricevuto questi due qui nel suo studio, perchè avrebbe dovuto dare delle spiegazioni circa quei soldi...E lui non voleva darle, perchè non erano soldi di Antenna 3...Questa qui è la versione che mi ha dato questo signore"..."Tortora entra e prende i soldi, e dà questo diciamo così...questo era un pacchetto bianco così...e lui mi ha detto che erano dei documenti, un plico, piegati in quattro ...con dei punti metallici...quando quello l'ha preso in mano si è punto e ha…sa, come quando ci si punge viene istintivo mettersi il dito alle labbra"..."la persona che lo consegnava si punse un dito, e se lo portò alla bocca. Ecco da lì è scattato 'è droga'."

8. I GIUDICI

TUTTE QUESTE ACCUSE HANNO TROVATO ADEGUATI E CONVINCENTI ELEMENTI OBIETTIVI DI RISCONTRO. UNA ISTRUTTORIA DIVINA : BARRA E PANDICO HANNO CONSENTITO DI ARRESTARE CENTINAIA DI CAMORRISTI INSOSPETTABILI

Per i giudici del "primo troncone" tutte le accuse "hanno trovato adeguati e convincenti elementi obiettivi di riscontro".
Il procuratore dottor Di Pietro(18), dopo aver confermato che l'arresto di Enzo Tortora è avvenuto esclusivamente sulla base delle accuse di Pandico e Barra affermava nel 1983(19): "Barra e Pandico ci hanno consentito di arrestare centinaia di persone che non sarebbero mai state neppure sospettate. Alcune di queste oggi stanno in carcere per reati da ergastolo."

INTERCETTAZIONI TELEFONICHE, APPOSTAMENTI, CONTROLLI, PEDINAMENTI ? COL. CONFORTI:...NON MI RISULTA..LO ESCLUDO.. NESSUNO CE LO HA CHIESTO ..

"PRESIDENTE -...avete disposto e svolto indagini attraverso intercettazioni telefoniche delle utenze di questi soggetti?
COL.ROBERTO CONFORTI (20) - Non mi risulta...escludo che ci sia stata una istanza del genere...non mi risulta che l'Arma abbia disposto intercettazioni telefoniche a riguardo le utenze di tali personaggi...escludo che siano stati svolti accertamenti, attraverso ad esempio appostamenti e controlli, sia pure saltuari...non abbiamo nemmeno mai disposto un servizio di pedinamento...". Il Colonnello Conforti era stato interrogato in dibattimento nel processo al primo troncone a proposito della nota dei Carabinieri, senza data e senza firma, in cui era scritto "Enzo Tortora noto presentatore si vuole che sia dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti".
PRESIDENTE - Poi, diceva: si vuole che sia dedito allo spaccio di stupefacenti; questo "si vuole", da chi lo avrebbe saputo?
CONFORTI - Da quello che dicevano i dissociati ai magistrati.
AVVOCATO - Quindi, in sostanza, è il riassunto di quanto hanno detto i dissociati?...questa informativa è successiva al 28 marzo (data dell'interrogatorio di Pandico) ed è il riassunto di quello che dice Pandico?
CONFORTI - Confermo in pieno".

PER TRE MESI, DALLE ACCUSE DI PANDICO ALL'ARRESTO DI TORTORA NESSUNA INDAGINE DI POLIZIA, NESSUNA INTERCETTAZIONE TELEFONICA, NESSUN PEDINAMENTO, NESSUNA INDAGINE PATRIMONIALE E NEPPURE LA PERQUISIZIONE DOMICILIARE. PERCHE'?

Il 28 marzo 1983 Giovanni Pandico fa per la prima volta il nome di Enzo Tortora. Fino all'arresto del 17 giugno 1983, per circa tre mesi, nessuna indagine di polizia viene effettuata nei confronti di Tortora, nessuna intercettazione telefonica, nessun pedinamento, nessuna indagine patrimoniale e neppure la perquisizione domiciliare al momento dell'arresto. Perchè ?
A questo proposito ricordiamo il falso del sostituto procuratore Lucio di Pietro che dichiarò su "la Repubblica"(21) che "il collega Di Persia, io, la polizia e i carabinieri abbiamo lavorato per quattro-cinque mesi...a identificare le persone nominate dai pentiti, a cercare ogni riscontro, a far rilievi fotografici, a rileggere centinaia di vecchie indagini di polizia giudiziaria rimaste senza sviluppo".
Se le indagini sono state veramente effettuate perchè non compaiono negli atti ? Che risultati hanno per esempio dato i riscontri oggettivi che secondo l'informatissimo Adriano Baglivo del “Corriere della Sera” sarebbero stati effettuati a Lugano su presunte esportazioni di capitali da parte di Tortora?(22) Scrive Baglivo :"E' il momento dei riscontri oggettivi. Alcuni ufficiali della Guardia di Finanza, accompagnati da esperti in 'depositi occulti' sono a Lugano per il controllo di alcune operazioni finanziarie, sulla scia delle dichiarazioni formulate dai pentiti. Pandico ha ribadito che 'il compito di Tortora nell'organizzazione era quello di piazzare la droga e di portare i soldi all'estero'."Se queste indagini sono state effettuate, quali risultati hanno dato ?

...VISTOSE LACUNE DI UNA ISTRUTTORIA, CONCLUSA SENZA CHE MAI FOSSE VERAMENTE DECOLLATA

Per i giudici del "terzo Troncone" la verifica dibattimentale non è stata meramente formale "ma solamente tesa a colmare le vistose lacune di una istruttoria, conclusa senza che mai fosse veramente decollata". Infatti in un altro passo si afferma che "nell'entusiastica consapevolezza di essere riusciti a penetrare nell'oscuro e ben coperto mondo della N.C.O., investigatori di polizia giudiziaria e magistrati inquirenti hanno finito per concedere amplissimo credito alle parole del dissociato, trascurando o riducendo al minimo i controlli che potevano e dovevano essere effettuati sulle centinaia di dichiarazioni nominative confermative". Ancora nelle motivazioni della sentenza il "Collegio" afferma, a proposito di alcune posizioni processuali che: "Esse parvero sintomatiche, quasi emblematiche, della estrema disinvoltura con la quale i dissociati hanno ritenuto di poter gestire le proprie dichiarazioni troppo spesso recepite acriticamente e senza i necessari controlli."..."Ad avviso del Collegio la posizione di Barone Antonio è emblematica delle erronee conseguenze cui può condurre la acritica accettazione delle parole dei dissociati ed un troppo affrettato esame delle risultanze processuali che ne dovrebbero costituire il riscontro."..."La posizione di questo imputato è un altro palpitante esempio dei risultati cui può condurre la supina accettazione della parola dei dissociati, della loro inespressa ma inequivoca volontà a porsi come importanti collaboratori degli inquirenti anche quando nulla sanno per scienza diretta e riferiscono solo per sentito dire."

DISINTERESSE DEI MAGISTRATI INQUIRENTI PER RAFFAELE CUTOLO E IL SUO GRUPPO DIRIGENTE, PER I GRANDI AFFARI DELLA CAMORRA E I SUOI COLLEGAMENTI CON IL MONDO POLITICO

Analizzando la posizione di Pasquale Barra, i giudici del "terzo Troncone" scrivono, nelle motivazioni della sentenza, che "Se è vera la spiegazione che egli ha dato sulle ragioni della sua dissociazione, è verosimile che nel porsi a disposizione della giustizia, egli ritenesse che i magistrati lo avrebbero sentito sui fatti di maggior rilievo concernenti la persona di Raffaele Cutolo ed il suo gruppo dirigente. Invece egli si è trovato di fronte ad una richiesta che esorbitava dalle sue reali conoscenze, cioè quella di confermare o svelare gli interi organici della N.C.O. al di là ed oltre la conoscenza limitata che ne avevano i carabinieri..."
Perchè ai magistrati istruttori non interessano notizie sul vertice della N.C.O., sui suoi "affari", sul contrabbando, sugli appalti, sul traffico di droga, sui collegamenti con le amministrazioni dell'area napoletana, sul "terzo livello" ?
Nel 90% degli interrogatori rivolgono ai "pentiti" solo due tipi di domande, sui fatti di sangue e su Enzo Tortora. Perchè si interessano solo dei "manovali" della camorra, dei killer e con tanta insistenza di Enzo Tortora ?
Forse la notorietà di Enzo Tortora e lo scandalo del suo arresto avrebbero potuto coprire l'inconsistenza del maxiblitz, "colmare le vistose lacune di una istruttoria, conclusa senza che mai fosse veramente decollata"?
Ma al di là delle supposizioni rimane un fatto indiscusso: all'ombra del clamore suscitato dal maxiprocesso grazie sopratutto al nome di Tortora e alle trionfalistiche affermazioni di sconfitta definitiva della camorra , quest'ultima ha potuto riformulare indisturbata nuovi accordi fra i clan e riconsolidarsi. E' indubbio che all'indomani del maxiblitz che ha solo sfiorato la N.C.O., la camorra ha fatto di Napoli uno dei più grossi centri di traffico della droga ed ha rafforzato il suo controllo sugli appalti relativi alla ricostruzione dei territori colpiti dal terremoto dell'80.

LA MAXIRETATA CHE DOVEVA DISARTICOLARE LA CAMORRA NAPOLETANA: GIA' DOPO IL PRIMO GRADO 55% D'ERRORI

La maxinchiesta sulla N.C.O. aveva portato in totale a 856 ordini di cattura. 144 arrestati sono risultati omonimi di presunti camorristi indicati dai "pentiti" e poi scarcerati nei primi 40 giorni dell'inchiesta. 65 "sospetti" sono stati prosciolti in istruttoria. 259 imputati sono stati assolti (107 con formula piena) nei quattro processi. 22 imputati sono stati stralciati.
349 sono i condannati.

DUBBI NON SE NE PUO' AVERE, ALTRIMENTI DOVETE LIQUIDARE MELLUSO MI DISPIACE MA TORTORA DOVETE CONDANNARLO

Le conclusioni del PM Armando Olivares nella sua requisitoria al processo d'appello : "Signori, arrivati a questo punto io vi dico che dubbi sullo spaccio di droga da parte di Tortora non se ne può avere. Non se ne può avere perchè altrimenti voi dovete, in base ai principi più tradizionali per l'acquisizione della prova della nostra tradizione giuridica, voi dovete liquidare Melluso integralmente e dovete dire perchè Melluso ha mentito e perchè ha mentito soltanto i dettagli, perchè ha potuto articolare la prova in quel determinato modo"..."Se questo non riuscite a farlo, e ripeto in base ai dettami della nostra tradizione giuridica, allora mi dispiace ma Tortora dovete condannarlo per spaccio di stupefacenti"..."Che quindi ci sia stata o non ci sia stata la fedelizzazione di Tortora non ha assolutamente importanza questo, ha importanza invece che Tortora si è collegato alla nuova camorra organizzata. Si dice che sia andato anche a Ottaviano. C'è qualcuno che lo afferma e questo è il motivo della competenza territoriale, non vedo perchè non ci sarebbe andato dal momento in cui si trattava di una attività effettivamente lucrosa e questo è quanto basta perchè voi dobbiate confermare la responsabilità di Tortora anche per l'affiliazione all'associazione di tipo camorristico mafioso"..."io vi chiedo anche per Tortora la condanna a tutti e due i capi di imputazione che gli sono stati addebitati e con la concessione delle attenuanti generiche la riduzione della pena a sei anni di reclusione e 30 milioni di multa".

UN CALUNNIATORE DELLO STAMPO DI MELLUSO

"L'istruttoria compiuta dal rappresentante del P.M. e da questo G.I. (Tribunale di Milano) sostanzialmente volta alla ricerca di dati oggettivi di riscontro alle affermazioni accusatorie del Melluso e quindi ad accertare la sua oggettiva attendibilità, ha in modo chiaro ed evidente dimostrato l'infondatezza dell'accusa: Melluso quando accusa gli attuali imputati (Walter Chiari e Patrizia Caselli) mente deliberatamente. Si omette di esaminare i motivi, le ragioni che hanno indotto Melluso ad accusare gli imputati per una plurima serie di argomentazioni, prima fra tutte l'inutilità di tale analisi ai fini della presente decisione". Melluso "ha costretto questo ufficio giudiziario a tanta inutile investigazione. A proposito della quale e delle accoglienze che le saranno riservate presso certi "pentiti", è per sé indicativa l'esclamazione sfuggita di bocca al Melluso quando ormai si faceva evidente l'indisponibilità di questo ufficio ad accettare supinamente le menzogne ammannite : 'Siccome ho l'impressione che lei non creda a quanto vado riferendo, debbo segnalarle che mi è stato riferito da persone delle quali preferisco non fare il nome...che lei starebbe cercando di screditarmi con l'affare Chiari, per modo che la cosa pesi sull'appello Tortora. Si dice che lei sia amico dell'avvocato Della Valle. La cosa mi ha stupito, anche perchè in tutti i processi ai quali mi sono presentato, le mie dichiarazioni sono state sempre riscontrate'.
In tutti, probabilmente, meno che in questo, nè ad un calunniatore dello stampo di Melluso può essere consentito di agire in provocatoria prevenzione, mettendo in discussione l'operato dell'Ufficio del P.M. di Milano.
IL PARLAMENTO EUROPEO : VI E' LA CERTEZZA CHE UN ORGANO DELLA MAGISTRATURA HA AVUTO L'INTENZIONE DI NUOCERE ALL'UOMO E ALL'UOMO POLITICO

Il 9 dicembre 1985 il Parlamento Europeo respinge all'unanimità la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell'eurodeputato Enzo Tortora per oltraggio a magistrato in udienza. I fatti contestati sono relativi all'udienza del processo alla N.C.O. del 26 aprile 1985, quando il pubblico ministero affermò "il suo cliente è diventato deputato con i voti della camorra". In seguito a ciò, Tortora gridò "E' un'indecenza".
Nella motivazione della decisione del P.E. si legge tra l'altro : "il fatto che un organo della magistratura voglia incriminare un deputato del Parlamento per aver protestato contro un'offesa commessa nei confronti suoi, dei suoi elettori e, in ultima analisi, del Parlamento del quale fa parte, non fa pensare soltanto al 'fumus persecutionis' : in questo caso vi è più che un sospetto, vi è la certezza che, all'origine dell'azione penale, si collochi l'intenzione di nuocere all'uomo e all'uomo politico."...
"In questo caso sia tuttavia consentito...ribadire l'espressione della propria indignazione di fronte ad una messa in discussione flagrante dell'istituzione parlamentare come quella che si colloca alla base della presente richiesta di revoca dell'immunità."

NOTE

1. Motivazioni della sentenza del primo troncone del processo alla N.C.O. depositata il 14 gennaio 1986 - Tribunale di Napoli, 10a sezione penale composta da : Luigi Sansone, Presidente; Gherardo Fiore, Giudice estensore; Orazio Dente Gattola, Giudice.
2. Va Corte d'Appello del Tribunale di Napoli, Antonio Rocco, presidente, Luigi Morello, giudice a latere, Antonio Ricci, giudice a Latere.
3. Secondo i prospetti del Ministero di Grazia e Giustizia, Pasquale Barra viene trasferito il 5 dicembre 1978 al carcere di Nuoro. Il 19 gennaio 1979 viene portato a Napoli per essere ritradotto a Nuoro il 30 gennaio 1979. Ancora il 28 febbraio a Napoli per essere riportato a Nuoro il 18 marzo del 79. Il 28 aprile viene trasferito per motivi di giustizia a Bari e quindi a Napoli il 2 maggio 1979, per ritornare ancora a Nuoro il 13 maggio dello stesso anno. Ancora un trasferimento a Napoli il 9 luglio con ritorno a Nuoro il 31 dello stesso mese. A novembre, il 14, ancora un trasferimento a Napoli per ritornare a Nuoro il 27 dello stesso mese. Rimane a Nuoro per tutta la fine del 1979, per essere riportato a Napoli il 9 gennaio del 1980.
4. Foglio 532 del vol. 2o principale.
5. Tribunale di Napoli - Sez. Ottava Penale composta da Giampaolo Cariello, Presidente; Mario Saccone, Giudice estensore; Emilio Migliucci, Giudice; sentenza del 13.11.85.
6. Presidente Fiore, P.M. Monaco
7. IL MATTINO, 4 aprile 1986.
8. Tribunale di Napoli - Sez. Ottava Penale composta da Giampaolo Cariello, Presidente; Mario Saccone, Giudice estensore; Emilio Migliucci, Giudice; sentenza del 13.11.85.
9. Tribunale di Napoli, 5a sezione penale composta da Francesco Serpico, Presidente, Luigi Esposito, Giudice, Salvatore Sbrizzi, Giudice.
10. Le modalità del trasferimento di Giovanni Pandico dal carcere di Pianosa sono raccontate dal giornalista Bruno Rubino nel libro "Parola di Pandico", JN Editore, Napoli 1985. Secondo Rubino "Nella caserma dei carabinieri Francesco Caracciolo, a pochi metri dalla stazione ferroviaria di Mergellina, lo attendono i sostituti procuratori Lucio di Pietro e Felice Di Persia". Non vi sono però prove che lo confermino.
11 6 febbraio 1986, Tribunale di Napoli
12. La Stampa, 25 marzo 1984
13. Il "pentito" Catapano Guido è imputato per associazione a delinquere nel processo contro la NCO.
14. 22 novembre 1985, Tribunale di Napoli, Presidente dott.Serpico.
15. Il "pentito" Roberto Sganzerla è imputato per associazione a delinquere nel processo contro la NCO. E' stato assolto per insufficienza di prove.
16. Il "pentito" Mauro Marra apparteneva al gruppo di fuoco del camorrista Pasquale Scotti. Pluriomicida, è imputato nel processo contro la NCO.
17. Il noto "pentito" Salvatore Sanfilippo è stato condannato all'ergastolo per vari reati.
18. Il sostituto procuratore Lucio Di Pietro ha avviato, insieme al sostituto procuratore Felice Di Persia, l'inchiesta contro la N.C.O.. Una volta formalizzata, i giudici istruttori sono stati Giorgio Fontana, Angelo Spirito e Raffaele De Lucia.
19. La Repubblica, 30-31 ottobre 1983, intervista di Gianpaolo Pansa.
20. Interrogatorio del Col.Roberto Conforti nel corso del dibattimento del "quarto troncone" del processo alla N.C.O.
21. Intervista rilasciata a Giampaolo Pansa su La Repubblica del 30-31 ottobre 1983.
22. Corriere della Sera, 2 ottobre 1983.

L'articolo e le segnalazioni sono di boeuf enragé

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